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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Se l'uomo prova a salvarsi da solo

Giovedì, 19 dicembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 292, Ven. 20/12/2013)

 

L’uomo non si salva da solo e chi ha avuto la superbia di provarci, anche tra i cristiani, ha fallito. Perché solo Dio può dare vita e salvezza. È questa la meditazione, nella prospettiva dell’Avvento, che Papa Francesco ha proposto durante la messa celebrata stamani, giovedì mattina 19 dicembre, nella cappella della Casa Santa Marta.

Prendendo spunto, come di consueto, dalla liturgia del giorno il Pontefice ha voluto ricordare che «la vita, la capacità di dare vita e la salvezza vengono soltanto dal Signore» e non dall’uomo che non ha «l’umiltà» di riconoscerlo e di chiedere aiuto. «Tante volte» nella Scrittura si parla «della donna sterile, della sterilità, dell’incapacità di concepire e dare vita». Ma sono anche tante le volte in cui avviene «il miracolo del Signore, che fa che queste donne sterili possano avere un figlio».

Papa Francesco ha fatto riferimento anzitutto alla mamma di Sansone, la cui storia è stata riproposta stamani dal passo del libro dei Giudici (13, 2-7.24-25a). E poi ha ricordato anche ciò che «accade alla moglie del nostro padre Abramo: lei non poteva credere» di avere un figlio a causa dell’età avanzata «e sorrideva dietro la finestra da dove spiava di cosa parlava il marito. E sorrideva perché non poteva crederlo. Ma ha avuto un figlio». Il vangelo di oggi (Luca, 5-25), ha proseguito il Papa, ricorda anche quanto «è accaduto a Elisabetta». Tutte storie bibliche di donne che, ha spiegato il Pontefice, mostrano come «dalla impossibilità di dare vita, viene la vita». Ed è accaduto anche a donne non sterili ma che non avevano più alcuna speranza per la loro vita «Pensiamo a Noemi — ha specificato il vescovo di Roma — che, alla fine, ha avuto un nipotino». In sostanza «il Signore interviene nella vita di queste donne per dirci: io sono capace di dare vita!».

Papa Francesco ha fatto notare che nelle parole dei «profeti c’è l’immagine del deserto: la terra deserta, incapace di far crescere un albero, un frutto, di far germogliare qualcosa». Eppure proprio «il deserto sarà come una foresta. Dicono i profeti: sarà grande, fiorirà!». Dunque «il deserto può fiorire» e «la donna sterile può avere la vita» soltanto nella prospettiva della «promessa del Signore: io posso! Io posso dalla vostra secchezza far crescere la vita, la salvezza! Io posso dall’aridità far crescere i frutti!». La salvezza «è l’intervento di Dio che ci fa fecondi, che ci dà la capacità di dare vita», che «ci aiuta nel cammino della santità».

Una cosa è certa: «Noi non possiamo salvarci da noi soli». In tanti ci hanno provato «anche alcuni cristiani», ha ricordato il Papa citando i pelagiani. Ma solo l’intervento di Dio ci porta la salvezza.

Da qui la domanda del Pontefice: «Ma da parte nostra cosa dobbiamo fare?». Innanzitutto, ha risposto Papa Francesco, «riconoscere la nostra secchezza, la nostra incapacità di dare vita». Poi «chiedere». E ha formulato così la richiesta che si fa preghiera: «Signore, io voglio essere fecondo; io voglio che la mia vita dia vita, la mia fede sia feconda e vada avanti e possa darla agli altri. Signore, io sono sterile; io non posso, tu puoi. Io sono un deserto; io non posso, tu puoi». E «questa, sia — è stato il suo auspicio — la preghiera di questi giorni prima del Natale».

Fa pensare, ha poi proseguito il Papa, «come i superbi, quelli che credono che possono fare tutto da sé, sono colpiti». E si è riferito in particolare «a quella donna che non era sterile, ma era superba e non capiva cosa fosse lodare Dio: Micol, la figlia di Saul. Rideva della lode. È stata punita con la sterilità». L’umiltà è una dote necessaria per essere fecondi. «Quante persone — ha rimarcato — credono di essere giuste, come lei, e alla fine sono poveracci!».

Invece è importante «l’umiltà, il dire “Signore sono sterile, sono un deserto”». Come è importante ripetere in questi giorni «quelle belle antifone che la Chiesa ci fa pregare: “O figlio di David, o Adonai, o Sapienza — oggi — o Radice di Iesse, o Emmanuel, vieni a darci vita, vieni a salvarci perché Tu solo puoi, io da solo non posso”».

Così, ha concluso il Pontefice, «con questa umiltà, umiltà del deserto, umiltà di anima sterile» dobbiamo «ricevere la grazia: la grazia di fiorire, di dare frutto e di dare vita».

 



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