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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

In fuga da Dio

Lunedì, 7 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 230, Mart. 08/10/2013)

 

Per sentire la voce di Dio nella propria vita bisogna avere un cuore aperto alle sorprese. Altrimenti il rischio è di mettersi «in fuga da Dio», accampando magari anche una buona scusa. E così può accadere che proprio i cristiani abbiano la tentazione di fuggire da Dio e le persone “lontane” riescano invece ad ascoltarlo. Lo ha detto Papa Francesco che ha celebrato messa lunedì mattina, 7 ottobre, a Santa Marta, suggerendo una strada sicura: lasciamo scrivere la nostra storia da Dio.

Il vescovo di Roma, nell’omelia, ha preso come paradigma la storia di Giona, a commento della prima lettura (1, 1 - 2, 1.11): egli «aveva tutta la sua vita ben sistemata: serviva il Signore, forse pregava tanto. Era un profeta, era buono, faceva del bene». Siccome «non voleva essere disturbato, con il metodo di vita che lui aveva scelto, nel momento in cui ha sentito la parola di Dio cominciò a fuggire. E fuggiva da Dio». Così quando «il Signore lo invia a Ninive, lui prende la nave per la Spagna. Fuggiva dal Signore».

In fin dei conti, ha spiegato il Pontefice, Giona si era già scritto la propria storia: «Io voglio essere così, così, così, secondo i comandamenti». Non voleva essere disturbato. Ecco la ragione della sua «fuga da Dio». Una fuga, ha messo in guardia il Papa, che può vedere protagonisti anche noi oggi. «Si può fuggire da Dio — ha affermato — essendo cristiano, essendo cattolico», addirittura «essendo prete, vescovo, Papa. Tutti possiamo fuggire da Dio. È una tentazione quotidiana: non ascoltare Dio, non ascoltare la sua voce, non sentire nel cuore la sua proposta, il suo invito».

E se «si può fuggire direttamente», ha proseguito, «ci sono altre maniere di fuggire da Dio un po’ più educate, un po’ più sofisticate». Il riferimento è al passo evangelico di Luca (10, 25-37) che racconta di «quest’uomo, mezzo morto, buttato sul pavimento della strada. Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada. Un degno sacerdote, proprio con la talare: bene, bravissimo. Ha visto e ha guardato: Arrivo tardi a messa, e se n’è andato oltre. Non aveva sentito la voce di Dio, lì». Si tratta, ha spiegato il Papa, di «una maniera diversa di fuggire: non come Giona che fuggiva chiaramente. Poi passò un levita, vide e forse ha pensato: Ma se io lo prendo o se io mi avvicino, forse è morto, e domani devo andare dal giudice e dare testimonianza. E passò oltre. Fuggiva da questa voce di Dio in quell’uomo».

Invece è «curioso» che ad avere «la capacità di capire la voce di Dio» sia «soltanto» un uomo «che abitualmente fuggiva da Dio, un peccatore». Infatti, ha precisato il Pontefice, «a sentire la voce di Dio e ad avvicinarsi» all’uomo bisognoso di aiuto «è un samaritano, un peccatore» lontano da Dio. Un uomo, ha rimarcato, che «non era abituato alle pratiche religiose, alla vita morale». Era teologicamente nell’errore «perché i samaritani credevano che Dio si doveva adorare da un’altra parte» e non a Gerusalemme.

Ma proprio questa persona «ha capito che Dio lo chiamava; e non fuggì». Si «fece vicino» all’uomo abbandonato, fasciandogli «le ferite e versandovi olio e vino. Poi lo caricò sulla cavalcatura. Ma quanto tempo perso: lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Ha perso tutta la serata!». Nel frattempo, ha notato il vescovo di Roma, «il sacerdote è arrivato in tempo per la santa messa, e tutti i fedeli contenti. Il levita ha avuto il giorno dopo una giornata tranquilla, secondo quello che lui aveva pensato di fare», perché non è dovuto andare dal giudice.

«E perché — si è chiesto il Papa — Giona fuggì da Dio? Perché il sacerdote fuggì da Dio? Perché il levita fuggì da Dio?». Perché — ha risposto — «avevano il cuore chiuso. Quando hai il cuore chiuso non puoi sentire la voce di Dio. Invece un samaritano, che era in viaggio, vide» quell’uomo ferito e «ne ebbe compassione. Aveva il cuore aperto, era umano». E la sua umanità gli permise di avvicinarlo.

«Giona — ha spiegato — aveva un disegno della sua vita: lui voleva scrivere la sua storia, bene, secondo Dio. Ma lui la scriveva, il sacerdote lo stesso, il levita lo stesso. Un disegno di lavoro. Quest’altro peccatore» invece «si è lasciato scrivere la vita da Dio. Ha cambiato tutto quella sera», perché il Signore gli mise davanti «questo povero uomo, ferito, buttato sulla strada».

Io mi domando — ha proseguito il Pontefice — «e domando anche a voi: ci lasciamo scrivere la nostra vita da Dio o vogliamo scriverla noi? E questo ci parla della docilità: siamo docili alla Parola di Dio? Sì, io voglio essere docile. Ma tu hai capacità di ascoltarla, di sentirla? Hai capacità di trovare la Parola di Dio nella storia di ogni giorno o le tue idee sono quelle che ti reggono e non lasci che la sorpresa del Signore ti parli?».

«Sono sicuro — ha concluso Papa Francesco — che tutti noi oggi, in questo momento, diciamo: ma questo Giona se l’è cercata proprio e questi due, il sacerdote e il levita, sono egoisti. È vero: il samaritano, il peccatore, non è fuggito da Dio!». Da qui l’auspicio che «il Signore ci conceda di sentire la sua voce che ci dice: Va’ e anche tu fa’ così».

 



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