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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Come una chioccia

Giovedì, 29 ottobre 2015

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.248, 30/10/2015)

«Con tenerezza di padre». Nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta giovedì 29 ottobre, Papa Francesco ha ribadito una certezza: Dio non riesce a non amarci, non riesce a «staccarsi da noi». Possiamo anche rifiutare quell’amore, ma lui ci aspetta, «non ci condanna», e soffre invece per la nostra lontananza.

La meditazione del Pontefice ha preso avvio dal brano della lettera ai Romani (8, 31-39) nel quale san Paolo «fa come un riassunto di tutto quello che aveva spiegato sulla nostra salvezza, sul dono di Dio in noi, quello che il Signore ci ha dato». Il resoconto dell’apostolo, ha notato il Papa, appare «un po’ trionfalistico», come se dicesse: «Abbiamo vinto la partita!». È una sicurezza che viene espressa da una serie di constatazioni: «Ma se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Se Dio ci ha dato questo dono, con questo dono nessuno potrà nulla contro di noi. Chi muoverà accuse contro di noi? Chi ci condannerà?». Sembra cioè, ha commentato Francesco, «che la forza di questa sicurezza di vincitore» Paolo l’abbia «nelle proprie mani, come una proprietà». Come dire: «Adesso noi siamo i “campioni”!». E infatti afferma: «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori».

Però, ha messo in guardia il Papa, forse l’apostolo «voleva dirci una cosa più profonda» e non semplicemente che noi siamo i vincitori, «perché noi abbiamo questo dono in mano, ma per un’altra cosa». Quale? La risposta va cercata nel passaggio successivo della lettera paolina, dove l’apostolo «comincia a ragionare così: “Io sono, infatti, persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze né altezza, né profondità né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore”». Cioè, ha spiegato il Pontefice, «non è che noi siamo vincitori sui nostri nemici, sul peccato»; è vero piuttosto che «noi siamo tanto legati all’amore di Dio, che nessuna persona, nessuna potenza, nessuna cosa ci potrà separare da questo amore».

Paolo, quindi, in quel «dono della ricreazione», della «rigenerazione in Cristo Gesù», ha visto di più: «quello che dà il dono». Ha visto «l’amore di Dio. Un amore che non si può spiegare».

Da qui parte la riflessione che tocca la vita quotidiana del cristiano. «Ogni uomo, ogni donna — ha detto Francesco — può rifiutare il dono: “Non lo voglio! Io preferisco la mia vanità, il mio orgoglio, il mio peccato...”. Ma il dono c’è!». Quel dono «è l’amore di Dio, un Dio che non può staccarsi da noi». Ecco, ha aggiunto il Papa, «l’“impotenza” di Dio. Noi diciamo “Dio è potente, può fare tutto!”. Meno una cosa: staccarsi da noi!».

È un concetto talmente grande che richiede un’esemplificazione, subito portata dal Pontefice, il quale ha ricordato un’immagine evangelica — quella di Gesù che piange sopra Gerusalemme — che «ci fa capire qualcosa di questo amore». Nel pianto di Gesù, ha spiegato Francesco, c’è «tutta la “impotenza” di Dio: la sua incapacità di non amare, di non staccarsi da noi».

Nel vangelo di Luca (13, 34-35) si legge il lamento di Gesù sulla città: «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti, quelli che ti annunciano la salvezza e lapidi quelli che sono stati mandati a te». È un lamento, ha sottolineato il Papa, che il Signore rivolge non solo a quella città ma a tutti, ricorrendo a «una immagine di tenerezza: “Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali e voi non avete voluto!”». Come dire: «Quante volte ho voluto far sentire questa tenerezza, questo amore, come la chioccia con i pulcini e voi avete rifiutato...».

Ecco allora perché Paolo, avendo capito questo, «può dire che è persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra cosa potrà mai separarci da questo amore». Dio, infatti, ha ribadito, il Papa, «non può non amare. E questa è la nostra sicurezza».

Una sicurezza che coinvolge tutti, senza esclusioni di sorta. «Io — ha aggiunto Francesco — posso rifiutare quell’amore», ma farò la stessa esperienza del buon ladrone che lo ha rifiutato «fino alla fine della sua vita» e proprio «lì lo aspettava quell’amore». Anche l’uomo «più cattivo, il più bestemmiatore è amato da Dio con una tenerezza di padre, di papà» o, per usare le parole di Gesù, «come una chioccia con i pulcini».

Così dunque il Papa ha riassunto la sua meditazione: «Dio il potente, il creatore può fare tutto»; eppure «Dio piange» e «in quelle lacrime» c’è tutto il suo amore. «Dio — ha concluso — piange per me, quando io mi allontano; Dio piange per ognuno di noi; Dio piange per quelli malvagi, che fanno tante cose brutte, tanto male all’umanità...». Egli, infatti, «aspetta, non condanna, piange. Perché? Perché ama!».

 



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