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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Il serpente che uccide e quello che salva

Martedì, 15 marzo 2016

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.062, 16/03/2016)

Se vogliamo capire la «storia della nostra redenzione» dobbiamo guardare il crocifisso. L’omelia di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta martedì 15 marzo ha ruotato attorno al «mistero» della sofferenza e della morte di Gesù che si è “fatto peccato” per la salvezza dell’uomo.

Al centro della riflessione del Pontefice, seguendo la liturgia del giorno, c’è stata l’immagine del serpente, portatrice di un «messaggio».

Il serpente, ha detto il Papa, «è il primo degli animali che viene nominato nel libro della Genesi», ed è ricordato come “il più astuto”. Il serpente torna, ed è il passo richiamato dalla prima lettura, nel libro dei Numeri (21, 4-9) quando si narra di come nel deserto il popolo mormorasse contro Dio e contro Mosè: «Il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti. Quelli mordevano la gente e un gran numero di israeliti morì». Allora il popolo si pentì, chiese perdono e Dio ordinò a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta. Chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Ha commentato il Pontefice: «È misterioso: il Signore non fa morire i serpenti, li lascia. Ma se uno di questi fa del male a una persona, guardi quel serpente di bronzo e guarirà». Il serpente, quindi, viene innalzato per ottenere la salvezza.

A questo punto, sempre seguendo lo sviluppo della liturgia del giorno, Francesco ha ripreso il brano del vangelo di Giovanni (8, 21-30) in cui Gesù, discutendo con i dottori della legge, «dice loro chiaramente: “Se non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati! E quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che ‘Io Sono’”».

“Io Sono!”, ha spiegato, «è il nome di Dio; quando Mosè domanda al Signore: “Se il popolo mi dice, ma chi ti manda? Chi ti manda, a te, a liberarci? Qual è il nome? ‘Io Sono!’”». Quindi: «Innalzare il Figlio dell’uomo! Come il serpente...».

Lo stesso concetto era stato ribadito da Gesù in un passo riportato «due capitoli prima», quando egli «dice ai dottori della legge lo stesso: “Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, perché chiunque crede in lui sia salvato».

Il serpente cioè, ha detto il Pontefice chiudendo il ragionamento, è «simbolo del peccato; il serpente che uccide; ma un serpente che salva. E questo è il mistero del Cristo».

Anche san Paolo, ha ricordato il Papa, «parlando di questo mistero, dice che Gesù svuotò se stesso, umiliò se stesso, si annientò per salvarci». L’apostolo, anzi, suggerisce un’espressione ancora più forte: «Si è fatto peccato». Allora, volendo usare il simbolo biblico, potremmo dire: «Si è fatto serpente». Ed è questo, ha detto Francesco, «il messaggio profetico di queste letture di oggi. Il Figlio dell’uomo, che come un serpente, “fatto peccato”, viene innalzato per salvarci».

Dobbiamo quindi «guardare il Crocifisso e guardare proprio questo mistero: un Dio “svuotato” della sua divinità — totalmente! — per salvarci». Ma, ha aggiunto il Pontefice, «chi è questo serpente che Gesù prende su di sé per vincerlo?»: la risposta si legge nell’Apocalisse di Giovanni, dove si ritrova il nome — tra l’altro, ha fatto notare il Papa, che il serpente nella Bibbia «è il primo nominato degli animali e forse credo che sia l’ultimo» — e si legge che «è stato vinto il serpente antico: Satana». Il peccato quindi, ha detto il Papa, «è l’opera di Satana e Gesù vince Satana “facendosi peccato”». Così dalla croce egli «innalza tutti noi». Perciò «il Crocifisso non è un ornamento, non è un’opera d’arte, con tante pietre preziose, come se ne vedono: il Crocifisso è il mistero dell’“annientamento” di Dio, per amore».

Il serpente, ha spiegato il Pontefice, «profetizza nel deserto la salvezza»: viene infatti «innalzato e chiunque lo guarda viene guarito». Ma questa salvezza, ha sottolineato, non è stata fatta «con la bacchetta magica da un dio che fa le cose»; piuttosto è stata fatta «con la sofferenza del Figlio dell’uomo, con la sofferenza di Gesù Cristo». Una sofferenza tale da portare Gesù a chiedere al Padre: «Padre, per favore, se è possibile io non vorrei bere questo calice». Si vede qui «l’angoscia», accompagnata, però dall’espressione: «Ma sia fatta la tua volontà».

È questa, ha concluso il Papa, «la storia della nostra redenzione», è questa «la storia dell’amore di Dio». Perciò, «se noi vogliamo conoscere l’amore di Dio, guardiamo il Crocifisso». Lì incontriamo «un uomo torturato, morto, che è Dio, “svuotato della divinità”, sporcato, “fatto peccato”». Di qui la preghiera finale: «Che il Signore ci dia la grazia di capire un po’ di più questo mistero».

 



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