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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Per una cultura dell'incontro

Martedì, 13 settembre 2016

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.210, 14/09/2016)

Un invito a lavorare per «la cultura dell’incontro», in modo semplice «come ha fatto Gesù»: non solo vedendo ma guardando, non solo sentendo ma ascoltando, non solo incrociando le persone ma fermandosi con loro, non solo dicendo «peccato, povera gente!» ma lasciandosi prendere dalla compassione; «e poi avvicinarsi, toccare e dire: “Non piangere” e dare almeno una goccia di vita». È questo, secondo Papa Francesco, il messaggio contenuto nelle letture liturgiche proclamate durante la celebrazione della messa mattutina nella cappella di Casa Santa Marta martedì 13 settembre.

Soffermandosi in particolare sull’episodio della vedova di Nain narrato nel vangelo di Luca (7, 11-17), il Pontefice ha sottolineato come «la parola di Dio» del giorno parlasse di «un incontro. C’è un incontro fra la gente, un incontro tra la gente che era sulla strada». E questa, ha commentato, è «una cosa non abituale». Infatti, «quando noi andiamo per la strada ognuno pensa a sé: vede, ma non guarda; sente, ma non ascolta»; insomma ciascuno va per la propria direzione. E di conseguenza «le persone si incrociano fra loro, ma non si incontrano». Perché, ha chiarito sgombrando il campo da ogni equivoco, «l’incontro è un’altra cosa», ed è proprio «quello che il Vangelo oggi ci annuncia: un incontro fra un uomo e una donna, fra un figlio unico vivo e un figlio unico morto; fra una folla felice, perché aveva incontrato Gesù e lo seguiva, e un gruppo di gente, che piangendo accompagnava quella donna», rimasta vedova che andava a seppellire il suo unico figlio.

Questo incontro, ha spiegato Francesco, «ci fa riflettere sul modo di trovarci fra noi». Infatti, «dice il Vangelo: “Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione”». In proposito il Pontefice ha fatto notare come non sia «la prima volta» che il Vangelo parla della compassione di Cristo. Anche «quando Gesù vide la folla, il giorno della moltiplicazione dei pani — ha ricordato — fu preso da grande compassione e davanti alla tomba del suo amico Lazzaro lo stesso, e pianse».

Una compassione, ha avvertito il Papa, che non è affatto la stessa che abbiamo noi normalmente «quando per esempio andiamo per strada e vediamo una cosa triste: “Peccato!”». Del resto «Gesù non ha detto: “Ma povera donna!”». Al contrario, «è andato oltre. Fu preso da compassione. “E gli si avvicinò e parlò. Le disse: Non piangere”». E in tal modo «Gesù con la sua compassione si coinvolge nel problema di quella signora. “Si avvicinò, le parlò e toccò”. Dice il Vangelo che toccò la bara. Ma sicuramente quando ha detto “non piangere”, toccò la vedova pure. Una carezza. Perché era commosso, Gesù. E poi fa il miracolo»: quello cioè di risuscitare il ragazzo.

In ciò il Pontefice ha individuato un’analogia: «Il figlio unico morto assomiglia a Gesù e diventa figlio unico vivo come Gesù. E c’è un gesto di Gesù che proprio fa vedere la tenerezza di un incontro e non solo la tenerezza, la fecondità di un incontro. “Il morto si mise seduto e cominciò a parlare ed egli — Gesù — lo restituì a sua madre”. Non ha detto: “Ma, è fatto il miracolo”. No, ma: “Vieni, prendilo, è tuo”». Ecco perché «ogni incontro è fecondo. Ogni incontro restituisce le persone e le cose al loro posto».

Un discorso, questo, che suona attuale anche gli uomini di oggi, troppo «abituati a una cultura dell’indifferenza» e per questo bisognosi di «lavorare e chiedere la grazia di fare una cultura dell’incontro, di questo incontro fecondo, di questo incontro che restituisca a ogni persona la propria dignità di figlio di Dio, la dignità di vivente». Noi «siamo abituati a questa indifferenza», ha sottolineato il Papa, sia «quando vediamo le calamità di questo mondo» sia davanti alle «piccole cose». Ci si limita a dire: «Ma, peccato, povera gente, quanto soffrono» per poi tirare dritto. Mentre l’incontro è altro, come ha spiegato Francesco: «Se io non guardo — non è sufficiente vedere, no: guardare — se io non mi fermo, se io non guardo, se io non tocco, se io non parlo, non posso fare un incontro e non posso aiutare a fare una cultura dell’incontro».

Ritornando alla descrizione della scena evangelica, il Pontefice ha poi evidenziato come, davanti al miracolo compiuto da Gesù «la gente presa dal timore glorificava Dio. E a me piace vedere anche qui — ha confidato — l’incontro di tutti i giorni fra Gesù e la sua sposa, la Chiesa, che è in attesa che lui torni. E ogni volta che Gesù trova un dolore, un peccatore, una persona fuori strada, lo guarda, gli parla, lo restituisce alla sua sposa». Dunque, «questo è il messaggio di oggi: l’incontro di Gesù con il suo popolo; l’incontro di Gesù che serve, che aiuta, che è il servitore, che si abbassa, che è condiscendente con tutti i bisognosi». E, ha rimarcato Francesco, «quando diciamo “bisognosi” non pensiamo solo ai senzatetto», ma anche a «noi bisognosi — bisognosi della parola di Gesù, di carezze — e anche a quelli a noi cari». Un esempio concreto? Il Papa ha descritto l’immagine di una famiglia riunita a tavola: «quante volte si mangia, si guarda la tv o si scrivono messaggi al telefonino. Ognuno è indifferente a quell’incontro. Anche proprio nel nocciolo della società, che è la famiglia, non c’è l’incontro», ha commentato. Da qui l’esortazione conclusiva «a lavorare per questa cultura dell’incontro, così semplicemente come l’ha fatto Gesù».

 



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