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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Agnelli o lupi?

Martedì, 14 febbraio 2017

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.37, 15/02/2017)

Nella festa liturgica dei santi Cirillo e Metodio, «bravi araldi del Vangelo» che «hanno rischiato tutto» e «fatto più forte l’Europa», Papa Francesco si è soffermato a riflettere sulla «missionarietà della Chiesa» e sulle caratteristiche che deve avere chi è «inviato a proclamare la parola di Dio». Lo ha fatto durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta martedì 14 febbraio.

La meditazione del Pontefice ha preso spunto dalla orazione colletta del giorno, nella quale si chiede «che tutti i popoli — tutti gli uomini! — accolgano la parola di Dio e formino il santo popolo fedele di Dio». E se per «formare il popolo» occorre «accogliere la parola», allora «c’è bisogno di seminatori di parola, di missionari, di veri araldi». Come i santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, i quali «sono stati bravi: bravi araldi, che portarono la parola di Dio. E anche sono riusciti a portarla nella lingua di quella gente, perché la capissero».

Anche nelle letture proposte dalla liturgia si parla di missionarietà, con Gesù che invia i discepoli (Luca 10, 1-9) e con Paolo e Barnaba che sono inviati (Atti degli apostoli 13, 46-49). Ma, si è chiesto Francesco, come deve essere «la personalità di un inviato, di un inviato a proclamare la parola di Dio?». Ne sono emerse tre caratteristiche.

Innanzitutto, «di Paolo e Barnaba si dice che parlavano con franchezza». Quindi, ha detto il Papa, la parola di Dio si deve portare «con franchezza, cioè apertamente; anche con forza, con coraggio». Sono proprio queste, ha spiegato, le traduzioni della parola greca usata da Paolo nella Scrittura: parresìa. Ciò significa che «la parola di Dio non si può portare come una proposta — “ma, se ti piace...” — o come un’idea filosofica o morale, buona — “ma, tu puoi vivere così...”». Essa invece «ha bisogno di essere proposta con questa franchezza, con quella forza, perché la parola penetri, come dice lo stesso Paolo, fino alle ossa».

Accade infatti che «la persona che non ha coraggio — coraggio spirituale, coraggio nel cuore, che non è innamorata di Gesù, e da lì viene il coraggio — dirà, sì, qualcosa di interessante, qualcosa di morale, qualcosa che farà bene, un bene filantropico», ma in lui non si troverà la parola di Dio. Così sarà «incapace di formare il popolo di Dio», perché «solo la parola di Dio proclamata con questa franchezza, con questo coraggio, è capace di formare il popolo di Dio».

La seconda caratteristica dell’inviato emerge dal brano evangelico. Qui Gesù dice: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Pregate dunque il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe». Ha commentato il Papa: «La parola di Dio va proclamata con preghiera», e ciò va fatto «sempre». Infatti, ha aggiunto, «senza preghiera, tu potrai fare una bella conferenza, una bella istruzione, buona, buona, ma non è la parola di Dio. Soltanto da un cuore in preghiera può uscire la parola di Dio». Occorre quindi la preghiera «perché il Signore accompagni questo seminare la parola, perché il Signore annaffi il seme perché germogli».

Infine, dal Vangelo emerge «un terzo tratto che è interessante». Si legge: «Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi». Cosa significa? «Il vero predicatore — ha spiegato il Pontefice — è quello che si sa debole, che sa che non può difendersi da se stesso». L’inviato «in mezzo ai lupi» potrebbe obbiettare: «Ma, Signore, perché mi mangino?». La risposta è: «Tu vai! Questo è il cammino». A tale riguardo Francesco ha richiamato una «riflessione molto profonda» di Giovanni Crisostomo: «Ma se tu non vai come agnello, ma vai come lupo tra i lupi, il Signore non ti protegge: difenditi da solo». Cioè: «Quando il predicatore si crede troppo intelligente o quando quello che ha la responsabilità di portare avanti la parola di Dio vuol fare il furbo» e magari pensa: «Ah, io me la cavo con questa gente!», allora «finirà male», oppure «negozierà la parola di Dio: ai potenti, ai superbi...».

A supporto di questo pensiero, il Papa ha raccontato una vicenda («non so se è vera o no — ha detto — ma aiuta a pensare»). Riguarda una persona «che si vantava di predicare bene la parola di Dio e si sentiva lupo: “Io ho la forza, non ho bisogno, non sono un agnello”». Dopo la sua predica, andato in confessionale, gli si accostò «un “pesce grosso”, un grande peccatore», che «piangeva, piangeva, piangeva» per i «tanti peccati» e, «pentito, voleva chiedere perdono». Allora il confessore, pensando che fosse per merito della sua predica, «incominciò a gonfiarsi di vanità» e chiese al penitente: «Mi dica, qual è la parola che io ho detto che più ha toccato lei, nella quale lei ha sentito che doveva pentirsi?». E la risposta fu: «È stato quando lei ha detto: passiamo a un altro argomento».

È solo un aneddoto per spiegare che «quando quello che deve portare la parola di Dio lo fa come sicuro di se stesso e non come un agnello, finisce male». Se invece lo si fa «come un agnello, sarà il Signore a difendere gli agnelli. I lupi non potranno. Forse ti toglieranno la vita, ma il tuo cuore rimarrà fedele al Signore».

«Così — ha concluso il Papa — è la missionarietà della Chiesa. Così si proclama la parola di Dio. Così sono i grandi missionari, quelli che proclamano la parola non come cosa propria, ma con il coraggio, con la franchezza che viene da Dio» Sono coloro che, «siccome si sentono poca cosa, pregano». Quindi «i grandi araldi che hanno seminato e hanno aiutato a crescere le Chiese nel mondo, sono stati uomini coraggiosi, di preghiera e umili». Del resto, ha aggiunto il Pontefice, «lo stesso Gesù ce lo dice: “E quando voi avrete fatto tutto questo, dite: sono servo inutile”. Il vero predicatore si sente inutile perché sente che è la forza della parola, quella che porta avanti il regno di Dio».

L’invito dunque è quello di pregare i santi Cirillo e Metodio, «patroni d’Europa, araldi del Vangelo, che ci aiutino a proclamare la parola di Dio con coraggio, in preghiera e con umiltà».



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