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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIULIO PAPA

Domenica, 7 aprile 2019

[Multimedia]


 

Incontro con malati e anziani

Incontro coi ragazzi

Incontro col gruppo del Presepe vivente

Incontro con gli sposi novelli

Incontro con i volontari della Caritas


 

Incontro con malati e anziani

SIGNORA:

Vogliamo ringraziarLa per questa Sua visita, un privilegio, e accogliamo con tanta riconoscenza come un dono del Signore la Sua visita tra noi. La dobbiamo ringraziare perché, in tutti questi anni, Lei ci ha preso amorevolmente per mano e ci ha portato a Gesù. Ci benedica, Padre, siamo sicuri che questo incontro sarà per tutti noi ricco di frutto. Pregheremo sempre per Lei, Le assicuriamo la nostra preghiera continua perché Le vogliamo tanto bene!

SIGNORE:

Buonasera, Santità, l’ispirazione per questa poesia l’ho trovata a Piazza San Pietro quando, insieme a migliaia di fedeli, aspettavamo di conoscere Lei, il Papa nuovo. Perciò racconta quell’attimo. È scritta in romanesco, speriamo che non Le crei problemi. Fa così:

“Er fumo appare pe la quinta volta, speriamo questa sia la volta bona! Poi sento un urlo, la gente se n’è accorta: er fumo è bianco! E l’eco s’arisona. Subito in piazza nascono i commenti: ‘Presto, domanda, senti chi hanno eletto, che l’emozione me fa ballà li denti!’. ‘Ma statte calmo, non fa lo spiccialetto’. Poi, come d’incanto, migliaia de cristiani te puntano curiosi er finestrone: ecco, s’affaccia! Battiamogli le mani come mette li piedi sur balcone! Lei se presenta e dice: ‘Bonasera, scusate se vengo da lontano. Io so’ Francesco, so’ Papa da stasera’. La gente pensa: ‘Ma com’è er capitano?’. Quel ‘bonasera’ insolito, cordiale, toglie ogni dubbio alla perplessa gente. ‘Questo è un amico – pensa –, meno male, somiglia pure a Cristo enormemente: con quell’aspetto umile, assennato, che al sol vederlo, abbasta na parola, de dije na preghiera che ha pregato, e n’er silenzio l’orare mio s’invola. Che v’ho da dì? Me so’ emozionato, me rimagno er precedente scritto quando sul Papa la penna ci ho calcato! Sbaglio pur’io, ce l’avrò il diritto? Me sento de st’evento entusiasmato, per cui lo vojo dì proprio de gusto che tra li tanti l’hanno ben capato, e finalmente abbiamo er Papa giusto! Evviva er Papa!”.

PAPA FRANCESCO:

Grazie, grazie tante! Nel saluto la signora ha detto che eravate contenti perché oggi è venuto Pietro. E’ vero il Papa è il successore di Pietro, ma questa mattina, uno mi ha fatto – un ragazzo trentenne più o meno – mi ha detto: “Ma è vero quello che ci diceva la nonna, che il Papa come successore di Pietro ha il numero di telefono di Pietro e lo chiama?”. E’ la prima volta che l’ho sentito! È divertente! No, non ho il telefonino di Pietro, ma cerco di fare quello che Gesù ha chiesto a Pietro, di “confermare”: confermare i fratelli nella fede, nella speranza, nella carità. E dirvi che, sì, c’è la vecchiaia, ci sono le malattie, ci sono tanti problemi, ma c’è Gesù. E Gesù non delude mai, mai! “Ma, Signore, io sto soffrendo…”. E Gesù cosa dice: “Anch’io so cos’è la sofferenza”. Tutte le lamentele che noi possiamo fare a Gesù, Lui le trasforma in preghiera e le presenta al Padre, perché Lui è passato per tutte queste cose prima di noi. Non dimenticare Gesù. Sì, evviva il Papa, evviva Pietro, ma Gesù, Gesù! Le altre cose senza Gesù non servono, non vanno avanti. E come trovare Gesù? Lui ci ascolta, Lui ci vede, Lui ci ama. Parlare semplicemente con le nostre parole, e anche lamentarsi: “Eh sì, ma Signore, è troppo, è troppo, è troppo…”. Sì, dillo, Lui capisce. Ma non dimenticatevi: Gesù, Gesù, Gesù. Io non ho il telefonino di Pietro, ma tutti noi abbiamo il “telefonino” di Gesù, e tutti possiamo “connetterci” con Gesù, e lì “c’è sempre campo”, sempre, sempre! Ci ascolta sempre, perché Lui è così, vicino a noi.

Grazie, grazie della vostra accoglienza e delle vostre preghiere. E pregate per me, non dimenticatevi. Adesso io pregherò per voi.

Adesso preghiamo la Madonna insieme.

BENEDIZIONE

Grazie dell’accoglienza.


Incontro coi ragazzi

RAGAZZA:

Benvenuto, Santità, speriamo che il nostro saluto, la gioia e l’emozione che proviamo nel vederLa giungano fino a Lei…

RAGAZZO:

In questa struttura che è stata la nostra chiesa per tre anni è riunita una parte fondamentale del cammino cristiano, iniziando dai bambini negli ultimi anni battezzati, continuando con i bambini e i ragazzi che si preparano alla Comunione e alla Cresima, fino ad arrivare agli adolescenti, ai giovani e ai loro catechisti accompagnatori. Da quando abbiamo saputo dal nostro parroco padre Dario che Lei avrebbe presieduto il rito della Dedicazione della Chiesa di San Giulio ci siamo preparati per accoglierLa al meglio e, come può ben immaginare, molti tra noi avrebbero voluto porgerLe delle domande.

RAGAZZA:

A nome di tutti lo faranno Eleonora e Carlotta.

ELEONORA:

Avete mai dato da mangiare ai poveri in persona?

PAPA FRANCESCO:

Sì, l’ho fatto, parecchie volte, è una cosa che tutti i cristiani devono fare, dare da mangiare ai poveri in persona. Tutti noi in un momento della vita siamo stati come dei poveri, non sapevamo mangiare, è stata la mamma ad allattarci, a farci crescere, a darci da mangiare… Anche noi. Altri non hanno da mangiare anche da grandi, bambini come te, per esempio non hanno da mangiare perché il papà non ha il lavoro, e allora si fa la fame in quella casa. Tutti noi dovremmo fare sempre questo gesto di dare da mangiare agli altri come Dio ci dà da mangiare a noi. Grazie.

DOMANDA:

Santo Padre, buonasera. Sono Carlotta, ho 20 anni e sono una degli animatori degli adolescenti. In questi mesi abbiamo riflettuto con i ragazzi sul rapporto con Dio e lungo il percorso sono sorti dei dubbi. Come Gesù disse: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, anche noi, quando la vita ci mette alla prova, ci poniamo la stessa domanda. Come possiamo affidarci senza riserve a Lui? Anche Lei ha dubitato durante il suo percorso? Se così fosse, come ha ritrovato la fede?

PAPA FRANCESCO:

Grazie. Tutti, tutti gli uomini, tutte le donne, tutti i bambini in un certo momento hanno dei dubbi, fa parte della vita dubitare. E dubitare è anche un po’ mettere alla prova Dio: se è vero che Lui è fedele, se è vero che Lui ci ascolta… I nostri dubbi vengono, per esempio, quando c’è una malattia in famiglia, o quando viene a mancare il papà, la mamma, il nonno, la nonna, il fratello… “Signore, perché?”. Vengono i dubbi, sempre. In quel momento dobbiamo scommettere su una cosa: sulla fedeltà di Gesù. Gesù è fedele, è l’unico totalmente fedele. Noi siamo fedeli agli amici, ma a volte non siamo fedeli fra noi. Gesù invece sempre. È una fedeltà che non delude mai, prima o dopo il Signore si fa sentire. Non avere paura dei dubbi, non avere paura di dubitare. Dubito, ma questo dubbio posso condividerlo con gli altri, discutere e così crescere. Non avere paura. Tu, come responsabile dei cresimandi, insegna loro a dubitare bene, perché se non imparano a dubitare faranno della Cresima quello dicono alcuni romani: il “sacramento dell’addio”. Dopo la Cresima, tanti auguri e non ci vediamo più… E se ne vanno, perché non sanno come gestire i dubbi. Invece se tu, come responsabile, insegni loro a dubitare bene e a cercare risposte forti, vere ai dubbi, tu li prepari perché la Cresima non sia il sacramento dell’addio, ma il Sacramento della forza, che ci dà lo Spirito Santo. Non so se ho risposto…, o vuoi che dica qualcosa di più…

CARLOTTA:

Con i ragazzi ci siamo chiesti se anche Lei, che è il più grande rappresentante della fede, se nella sua vita Le è mai successo di avere dei forti dubbi che l’hanno messa veramente alla prova e come è riuscito a uscirne.

PAPA FRANCESCO:

Ho avuto tanti dubbi, tanti, tanti. Davanti alle calamità, ma anche alle cose che mi erano successe, nella mia vita. Come sono riuscito a uscire… Credo che non sono uscito da solo, non si può mai uscire da soli dal dubbio. Ci vuole la compagnia di qualcuno che ti aiuti ad andare avanti, per questo è importante essere sempre in gruppo, insieme, con gli amici… Da solo tu non puoi mai. Ci aiuta anche parlare dei dubbi con i genitori o con gli amici o con un catechista... ma sempre parlare con un altro. E poi parlare dei dubbi con Gesù. Alcune volte ho sentito qualcuno che diceva: “Io con Gesù non ci parlo, perché Lui mi ha rovinato la vita. Io sono arrabbiato con Gesù…”. Ma anche arrabbiarsi con Gesù può essere un modo di pregare; è dire a Gesù: “Guarda questa cosa, mi fa arrabbiare…”. A Gesù piace vedere la verità del nostro cuore. Non fare finta davanti a Gesù. Davanti a Gesù bisogna sempre dire le cose come tu le senti. “Io ho questo dubbio, non ci credo… Io ho questo, quest’altro…”. Parlare così, questa è una bella preghiera, e Lui è tanto paziente, ci aspetta.

Alcuni giorni fa ho ricevuto una lettera di un ragazzo, avrà circa 30 anni, e mi diceva che dopo un’esperienza di fidanzamento fallito era pieno di angoscia. Mi diceva così: “Io sono rotto”. Tante volte noi ci sentiamo così, fatti a pezzi dentro, tutti distrutti, con il gran dubbio totale: cosa posso fare? Guarda Gesù, lamentati con Lui, e cerca un amico, un’amica che ti aiuti a sollevarti. Sempre, anche quando siamo caduti – e nella vita tutti abbiamo delle cadute, tutti ne abbiamo – dobbiamo aiutare a sollevarsi chi è caduto. E pensate che l’unico momento in cui è lecito guardare una persona dall’alto in basso è per aiutarlo a sollevarsi, altrimenti non si può guardare con superiorità. Insegna anche questo! Grazie.

RAGAZZO:

Santità, ora Greta e Maria Chiara Le vorrebbero consegnare dei disegni fatti dai bambini della Scuola Elementare di Piazza Forlanini, che sposano un progetto caritativo denominato “Eccediamo”, che consiste nel donare le merendine avanzate alle persone più bisognose.

CONSEGNA DEI DONI

RECITA DELL’AVE MARIA E BENEDIZIONE

PAPA FRANCESCO:

E pregate per me! Ma io ho visto qualcosa di strano lì… Lo sapete fare bene il segno della croce? Fammi vedere… “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, e qualcuno fa così [imita il segno delle croce fatto male]. Facciamolo insieme bene! “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. E così dovete farlo. Ciao, grazie!


Incontro col gruppo del Presepe vivente

SIGNORA:

Santo Padre, siamo onorati di darLe il benvenuto e di incontrarLa in questo giorno per noi importantissimo, che consideriamo di rinnovamento della nostra parrocchia sia nelle mura sia soprattutto nello spirito. In particolare noi rappresentiamo la realtà del Presepe vivente, della parrocchia di San Giulio: “Venite, adoremus”. Di fronte a Lei vede un piccolo gruppo di persone in rappresentanza di tutta la comunità che ha partecipato alla realizzazione del presepe in modo totalizzante, completo e vivo. Presenti anche tanti bambini, tanti giovani, circa 400 persone tra comparse e staff. Abbiamo una storia tanto breve quanto intensa ed importante. Negli ultimi tre anni una semplice parrocchia di quartiere è riuscita a realizzare con le proprie forze e con la grazia di Dio il presepe vivente per tutta la città di Roma e per i suoi visitatori.

SIGNORE:

Il nostro scopo originario di raccogliere offerte per la ricostruzione del tetto della nostra chiesa è diventato nel tempo dono per i nostri fratelli concittadini e fedeli che in ogni rappresentazione del presepe decidevano di condividere con noi il vero senso del Natale, vivendo il mistero e le emozioni della natività e della famiglia. Infatti, dalle prime rappresentazioni realizzate nelle zone adiacenti alla nostra chiesa e all’oratorio siamo arrivati nel cuore della città di Roma, presso il bellissimo sito archeologico di Porta Asinaria, dinanzi alla Basilica di San Giovanni in Laterano, con il supporto e il patrocinio del vicariato e del comune di Roma. Siamo testimoni diretti di una bellissima storia di condivisione, fratellanza e solidarietà, sacrificio per il bene comune. Esempio tangibile di pazienza, fede, ma soprattutto di gioia cristiana. Le immagini che il monitor sta riproducendo sono il vivido ricordo delle esperienze che abbiamo vissuto negli ultimi tre anni.

SIGNORE:

Santo Padre, quello che oggi vogliamo offrirLe e condividere è l’amore che diventa fecondo. È l’impegno profuso dalla comunità di San Giulio di cui noi rappresentiamo una piccola parte, persone semplici di una parrocchia, che hanno messo a fattor comune le proprie energie, le proprie passioni, competenze e talenti, riuscendo in un’impresa che ai suoi albori sembrava impossibile, e padre Dario glielo può dire. Sembrava veramente impossibile! Quello che abbiamo realizzato non sarebbe stato fattibile senza la partecipazione attiva da parte degli amici della comunità di Piubega, qui rappresentata da nostri amici e fratelli. La comunità di Piubega, paese nel mantovano dove il nostro parroco, padre Dario Frattini, ha esercitato [il ministero] prima di arrivare nella nostra parrocchia, ha un’esperienza trentennale nella costruzione e rappresentazione del presepe vivente. Oggi ci piace pensare che la nuova chiesa e quel nuovo tetto stia lì anche grazie alle fatiche, ai servizi e alle emozioni che la comunità di San Giulio ha offerto nella realizzazione di quello che a noi tutti sembra essere un vero, piccolo, grande miracolo. Il presepe vivente di Roma. Grazie mille dell’opportunità che ci ha donato, di poter essere qui insieme a noi. Grazie mille!

PAPA FRANCESCO:

Accomodatevi. Ho visto chi ha fatto Erode… E chi ha fatto san Giuseppe?

SIGNORE:

San Giuseppe? Non c’è… Il parroco!

PAPA FRANCESCO:

Ah, tu! E il Bambino Gesù, c’è?

SIGNORE:

Mia figlia ha fatto Maria.

PAPA FRANCESCO:

Tu hai fatto Maria, che bello! E il Bambino Gesù chi l’ha fatto? Non c’è?… Va bene. Vorrei fare un’altra domanda ma la farò dopo, prima vi dirò una cosa che è successa l’anno scorso, no, l’altro anno, il 2017. Per il tempo di Natale, in un Paese dell’Europa, molto laico, molto laico – è vietato ogni simbolo religioso negli uffici pubblici, niente, non c’è né un simbolo cristiano né un simbolo ebreo né un simbolo musulmano, no, tutto laico – non si poteva fare, ma il sindaco di quella città piccola ha pensato che il presepe è oltre, un simbolo oltre la religione, è un simbolo anche culturale, richiama tutti… Ha pensato così e ha fatto un bel presepe all’entrata dell’ufficio dove lui lavorava, il sindaco. E la gente felice, perché la gente non segue queste stupidaggini di pensare che siccome è un Paese laico non si può fare il presepe. Ma la notizia è arrivata al prefetto della regione di quel Paese, che si è arrabbiato perché quello che aveva fatto il sindaco andava contro la laicità dello Stato. Prende il telefono, chiama il sindaco e gli dice: “Come hai permesso che il parroco…” – “No, l’ho fatto io!” – “Ma come?” – “Sì, ma la gente è felice. Adesso che c’è non lo togliamo…” – “Sì, tu devi toglierlo!”, dice il prefetto al sindaco. E il sindaco risponde: “Ah, peccato, perché ho voluto fare anche un omaggio a Lei e ho messo la Sua fotografia”. E il prefetto dice: “Quanto tempo manca ancora?” – “Due settimane, poco…” – “Va bene, come favore, sì”. Aveva sentito della fotografia e gli era piaciuto. “Ma mandami una foto dopo” – “Sì sì”. Così è andato il presepe. Ma la foto non arrivava, e ha richiamato: “E la foto? “ – “Sì, l’ho inviata”. Il giorno dopo e richiama: “Ho ricevuto la foto ma io non vedo la mia foto, dove l’avete messa?” – “Sì, è lì, è lì…” – “Ma fra la gente?” - “Sì” – “Guarderò”. Non la trova e richiama e dice: “Ma io non mi vedo lì, dimmi, da che parte?” – “Nell’angolo a sinistra” – “Ma lì non c’è niente” – “Sì, è la Sua foto” – “Chi è?” – “E’ l’asino!”. Questa è storica, è storica, non è una fantasia, è successo nel 2017. E io vi domando: chi ha fatto l’asino adesso? Chi ha fatto l’asino?… [RISATE]

Grazie di questo. Io non sapevo di questo presepe vivente, però oggi, mentre avevo un po’ di tempo, ho preso alcuni libri che sono arrivati per vederlo, erano arrivati questa settimana, e c’era un piccolo libro che si chiama “Presepe, il Vangelo vivente”, fatto dal vescovo di Chieti, dove c’era la storia del presepe in napoletano: non si capisce, io non capisco niente, ma è bellissimo. Per caso adesso trovo questo, voi… “Il presepe è – mi è piaciuto il titolo – il Vangelo vivente”. Pensate che San Francesco evangelizzava anche solo con questo: vedere Gesù, imitare Gesù, imitare la Madonna, imitare Giuseppe, imitare la semplicità dei pastori, non imitare Erode!… Andate avanti! Grazie, grazie.

BAMBINE:

Caro Papa Francesco, Chiara e Giulia noi ci chiamiamo, e oggi la nostra esperienza ti raccontiamo. Grazie a mamma e papà, abbiamo vissuto un periodo nell’antichità. Sentire le persone augurarci buoni auspici, rendevano tutti noi tanto felici, immedesimandoci nei mestieri ricordavamo com’era ieri. Osservando le casette dalle candele illuminate ci facevamo lunghe passeggiate. Ogni giorno eravamo presenti ad aprire i battenti. Dai bambini agli anziani, tutti venivano battendo le mani. Di nuovo il presepe vivente noi vogliamo far, con la speranza che Lei ci venga a trovar!

PAPA FRANCESCO:

Vi dirò una cosa che è un’avant-première, una notizia in anteprima. Quest’anno faremo, con il dicastero della Nuova Evangelizzazione, una giornata, una settimana del presepe, per spingere a fare il presepe nelle case, nelle piazze. Questa è una notizia che vi daranno dal quel Dicastero.

BAMBINA:

Caro Papa Francesco, sono Giorgia e ho quasi 9 anni. Quest’anno farò la mia prima Comunione. Grazie alla catechesi familiare ho imparato che comunione vuol dire condividere con Lei la gioia e l’amore che sento nel mio piccolo cuore.

PAPA FRANCESCO:

Adesso preghiamo la Madonna.

BENEDIZIONE

PAPA FRANCESCO

Sono andati a Greccio questi? In comunità? Li invito ad andare. Tu [rivolto al Parroco] organizza e poi ne parliamo. È un invito mio, li invito: che vadano. Tu prepara tutto e poi fammi sapere.


Incontro con gli sposi novelli

DONNA:

Santo Padre, la Sua presenza oggi per tutti noi è fonte di gioia, di grande emozione. Sembra quasi un sogno averLa nei luoghi dove da tre anni, su iniziativa del nostro padre Dario, si svolgono gli incontri del cammino verso il Sacramento del matrimonio. Di seguito leggo delle riflessioni sull’amore coniugale che sono emerse nel corso dei nostri incontri.

Amore è il dono di Dio che ci fa sentire protetti, ci fa gioire per poter invecchiare insieme dopo un cammino e un percorso di vita presi per mano. Amore è scegliersi e capire, constatare nel tempo che anche dopo anni di matrimonio si è convinti che la scelta fatta è quella giusta e, se pronti a confermare e rinnovare la scelta, noi ci riscegliamo. Amore è donarsi con pazienza, saper ascoltare, avere l’entusiasmo di cercarsi. Amore è rispettarsi, ma amore è anche saper accettare le debolezze dell’altro, i disguidi, le incomprensioni, le piccole burrasche umane che spesso si presentano nella vita coniugale. Amore è essere consapevoli che la coppia vede e sente sempre la presenza di Gesù, è la consapevolezza di condividere e di vivere in tre. L’amore di una coppia è un luogo sicuro, è come la roccia che sfida le intemperie su cui si fonda la nostra vita, è il luogo dove sentirsi sempre a casa.

UOMO:

Santo Padre, siamo qui dopo un percorso, un cammino, dopo aver meditato una parola di un nostro amico comune che ci dice che l’amore va posto più nelle opere che nelle parole. E dopo questo e dopo un lungo discernimento, e dopo soprattutto l’opera di convincimento di padre Dario, è ripartito dopo tanti anni insieme ad altre coppie il cammino di preparazione al matrimonio. E alcuni di questi sposi ci hanno chiesto di poter continuare perché hanno capito che quello era solo l’inizio, non era la fine. Il sacramento era il sigillo per iniziare. E perciò noi ci incontriamo tutti i mesi, alternando incontri di preghiera e incontri biblici, in cui invece facciamo esperienza, ci confrontiamo con delle coppie della Bibbia e questo ci dà grande forza, grande speranza e ci fa respirare un amore più grande del nostro stesso amore coniugale. Ci fa essere famiglia di famiglie.

DONNA:

Santo Padre, grazie per essere qui con noi. È una grande gioia perché arriviamo dopo il cammino di Quaresima dove abbiamo fatto memoria assieme dei doni ricevuti. Deuteronomio 8: “Ricorda, Israele”. Noi ci sentiamo veramente delle persone fortunate perché ci sentiamo persone che sono state salvate. Il nostro percorso assieme è dalla schiavitù alla libertà in coppia. Stiamo camminando così. Abbiamo preparato due doni simbolici per Lei. Uno è il programma del nostro corso. Noi ufficialmente La invitiamo, La invitiamo a partecipare. Se vuole, veniamo noi a Santa Marta… [ridono] Le lasceremo poi il programma, se vorrà potrà leggerlo. Il secondo dono lo porta nostro figlio, Giacomo, il primogenito. Abbiamo visto che ha già benedetto delle fedi; noi chiediamo di benedirLe nuovamente, perché poi le scambieremo… Questi sono i colori della Sua nazione, l’Argentina, è un dono per Lei. Cercheremo poi nel migliore dei modi di fare memoria per gli sposi del giorno del nostro matrimonio, del nostro sacramento. I futuri sposi dovranno avere un po’ di pazienza, riprenderanno le fedi, le porteranno con loro già con la Sua benedizione. Un valore aggiunto. Le chiediamo veramente di pregare per noi e noi faremo altrettanto per Lei.

PAPA FRANCESCO:

Mi piace questo, perché si pensa alla preparazione al matrimonio. Una volta, nell’“altra diocesi”, è venuta una signora, sposata da anni, un po’ arrabbiata perché mi ha detto così: “Voi siete ingiusti con noi, perché per diventare prete si deve studiare 8, 9 anni. Il vescovo valuta, i superiori valutano il candidato e poi lo accettano per essere prete; ma poi questo prete va avanti e se non gli piace, prende un’altra strada e la Chiesa gli dice: sì, puoi sposarti, vattene via e ti sposi. E noi, che [ci uniamo] per tutta la vita, con 4 conferenze ci sistemate? No, non va”. La preparazione al matrimonio non è fare 4 conferenze, tutte teoriche, no. E poi non va. La preparazione è un cammino, è un “catecumenato”. Quando gli adulti vogliono battezzarsi devono imparare la dottrina, devono fare un cammino con la comunità. Il matrimonio è lo stesso, è un catecumenato. La preparazione previa non solo è conoscere qualcosa sul matrimonio ma è convivere con la comunità, è sentire esperienze di altre persone, condividere i dubbi. E poi non finisce lì il catecumenato. È molto importante che continui dopo le nozze e che accompagni i primi tempi, i primi anni di matrimonio. E mi piace vedere che qui si fa questo. È molto importante.

Io direi due cose soltanto. La prima. Per la vita matrimoniale ci sono tre parole chiave, forse voi le sapete, ma si devono imparare con la mente e con il cuore: “posso?”, “grazie”, “scusa”. “Posso?”. Sempre chiedere permesso alla sposa o allo sposo, non essere invadente, siamo in due. Sì, quando ero solo facevo quello che volevo, ma adesso siete in due. Sempre dire: “Posso?”, senza essere invadente. “Grazie”. Ringraziare: “grazie”. Noi dimentichiamo di dirci grazie. È tanto importante che dopo pranzo il marito ringrazi la moglie: “Era buono il pranzo”. E dopo anche la moglie il marito… Grazie. Sempre il grazie, grazie per i figli. E “scusa”. Avere l’umiltà di dire: sì, ho sbagliato, scusami. Punto, e finisce la storia. Se non c’è questa terza parola la storia continua ed è brutta.

E qui la seconda cosa che volevo dire. Nei matrimoni normali si litiga, si litiga. Non bisogna avere paura di litigare. Quando esplode “la bomba” dico tre o quattro cose, volano anche i piatti, ma i piatti si comprano nuovi, non c’è problema… Ma c’è soltanto una cosa importante: non finire la giornata senza fare la pace. Perché? Perché la guerra fredda del giorno dopo è molto pericolosa. “Sì, ma dopo tutto quello che ho detto e che mi sono sentito dire, come farò la pace?”. Semplice, fai così [una carezza] e ciao. Finita la storia. Finisce la giornata in pace, e con questo si risparmiano tanti dolori. Le tre parole e la pace alla fine. E non dimenticatevi di quella guerra fredda del giorno dopo che è il tarlo che incomincia a rovinare un matrimonio.

Grazie, grazie per la testimonianza. Adesso preghiamo la Madonna e san Giuseppe per voi.

RECITA DELL’AVE MARIA E BENEDIZIONE

E avanti, coraggio!


Incontro con i volontari della Caritas

SIGNORE:

Santità, Eminenza, Eccellenza, buon pomeriggio, buon pomeriggio anche a tutti noi, a tutti voi. Mi rivolgo a Lei come portavoce della carità parrocchiale. Noi rappresentiamo una parte della comunità, quella che si caratterizza in modo specifico per le azioni concrete a favore delle persone bisognose. AccoglierLa qui è uno straordinario incentivo a proseguire nel cammino intrapreso seguendo il Suo invito a offrire segni concreti di solidarietà davanti alla tentazione dell’indifferenza: il centro di ascolto, la raccolta e la distribuzione di alimenti, indumenti e medicinali, il banco alimentare, che vanno a toccare la parte più povera del nostro territorio. Carità è anche occuparsi della socialità attraverso la comunicazione e l’incontro con il circolo dell’amicizia, dell’abbraccio, il circolo degli uomini, il giornalino e il sito web, gli aiuti alle famiglie con la presenza di un doposcuola che accoglie settimanalmente bambini, soprattutto stranieri, e di un consultorio famigliare che offre consulenze preziose, veramente preziose. In questa parrocchia, fin dal 1998 è presente il Progetto Gemma – forse seguendo l’esempio che ci ha dato san Giovanni Paolo II – che aiutando mamme in difficoltà a portare avanti la gravidanza promuove la cultura della vita. Cultura della vita che anche la comunità di Sant’Egidio, qui presente con alcuni suoi rappresentanti e presente nel nostro territorio, ci sprona a diffondere. Abbiamo cercato inoltre – ce lo ha chiesto Lei nel 2015 – di accogliere un migrante; non ci è stato possibile, però ci siamo rivolti ad altre fragilità umane del nostro territorio per poterle integrare, magari con un contratto di lavoro e con la nostra ospitalità. Quest’anno poi, collaborando con la Caritas diocesana, per ciò che riguarda l’emergenza freddo abbiamo accolto tre persone che Le ha presentato il nostro parroco con l’impegno di moltissime famiglie della nostra comunità. C’è stata un’iniziativa veramente di massa, commovente. Abbiamo anche un servizio per la raccolta del sangue da donare all’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Santità, con questo elenco spero di non averle dato l’impressione di un “supermercato della carità”, un’espressione che ha usato il direttore della Caritas diocesana quando è venuto qui da noi, per farci capire proprio che la parrocchia non è il luogo in cui ognuno entra, sceglie qualcosa e se ne va. Le assicuro che non è così. Siamo in collegamento assiduo tra di noi, ci muoviamo tutti insieme, ognuno con le proprie competenze e con un solo obiettivo, raggiungere l’altro in nome del Vangelo. Abbiamo un sogno che vorremmo realizzare e che chiamiamo “Officina della solidarietà”. È un progetto che ha bisogno di spazi e della ristrutturazione di quelli esistenti, ma che vorremmo realizzare con il Suo consenso e con l’aiuto della diocesi, se può. Infatti tra poco tempo nascerà nel nostro quartiere il polo oncologico del Bambino Gesù: vorremmo farci trovare pronti a dare ospitalità e assistenza alle famiglie dei piccoli pazienti. Attraverso l’accoglienza di queste molteplici realtà, pur con i nostri limiti, desideriamo fortemente condividere un’idea più ampia di famiglia, di Chiesa, in unione fraterna fra noi e con gli altri, come figli di un unico Padre. Non mancheranno le nostre preghiere per la Sua persona e per la Sua missione per il Suo ministero pastorale. Vorremmo anche che Lei portasse un saluto al Papa emerito, Sua Santità Benedetto XVI. Infine, ma non da ultimo, grazie, grazie, grazie per la sua preziosa presenza!

PAPA FRANCESCO:

Io direi che ci sono tre segnali che fanno vedere che una parrocchia va bene. Il primo è la preghiera, quando la gente prega: una parrocchia che prega, la gente viene a pregare e anche a casa prega. Questo è il primo segnale. Vedere: qui si prega o non si prega? E questa è una delle cose che evitano di cadere in quel “supermercato” che abbiamo sentito. Perché la preghiera perché trasforma tutto, tutto. Secondo, è la carità dei fatti, questo che voi fate. Prendersi cura dei bisogni dei fratelli, delle sorelle, delle famiglie… Anche i bisogni nascosti, che non si fanno vedere per vergogna, ma ci sono, ce ne sono tanti… E sempre con quella carità operosa, una carità attiva, la carità del “sì”: “sì, io faccio questo”, del “sì”, attiva. È il secondo segnale. E il terzo è la carità passiva. Cosa vuol dire la carità passiva? Che vi amiate e non vi critichiate fra voi. È una malattia molto forte il pettegolezzo, e quando c’è pettegolezzo in una parrocchia, la parrocchia non va bene. E’ un vizio che entra, entra sottilmente: portare una notizia per sparlare degli altri… No, per favore questo non va.

Adesso preghiamo insieme la Madonna.



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