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VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL SEMINARIO VIRTUALE
"AMERICA LATINA: CHIESA, PAPA FRANCESCO E GLI SCENARI DELLA PANDEMIA"

Giovedì, 19 novembre 2020

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Saluto i partecipanti a questo Seminario virtuale intitolato «America Latina: Chiesa, Papa Francesco e gli scenari della pandemia», il cui obiettivo è riflettere e analizzare la situazione di pandemia del covid-19 in America Latina, le sue conseguenze e, soprattutto, le possibili linee di azione e di aiuto solidale che vanno sviluppate da tutti coloro che fanno parte e intessono la bellezza e la speranza del continente. Ringrazio gli organizzatori per questa iniziativa e auguro che possa ispirare cammini, risvegliare processi, creare alleanze e dare impulso a tutti i meccanismi necessari a garantire una vita dignitosa ai nostri popoli, specialmente a quelli più esclusi, attraverso l’esperienza della fraternità e la costruzione dell’amicizia sociale. Quando dico quelli più esclusi, non lo dico nel senso di dare l’elemosina ai più esclusi, o come un gesto di beneficienza, no, lo dico come chiave ermeneutica. Da lì dobbiamo iniziare, da ogni periferia umana, da ognuna, se non iniziamo da lì, sbaglieremo. E questa forse è la prima depurazione del pensiero che dobbiamo fare.

La pandemia del covid ha amplificato e messo ancora più in evidenza i problemi e le ingiustizie socio-economiche che già affliggevano gravemente tutta l’America Latina, e con maggior durezza i poveri.

Alle disuguaglianze e alla discriminazione, che aumentano il divario sociale, si aggiungono le difficili condizioni in cui si trovano i malati e molte famiglie che attraversano momenti d’incertezza e subiscono situazioni d’ingiustizia sociale. E ciò appare evidente quando si constata che non tutti dispongono delle risorse necessarie per adottare le misure elementari di protezione contro il covid-19: un tetto sicuro dove poter attuare il distanziamento sociale, acqua e prodotti sanitari per igienizzarsi e disinfettare gli ambienti, un lavoro sicuro che garantisca l’accesso alle prestazioni, solo per citare quelle più imprescindibili. Credo che questo dobbiamo tenerlo ben presente. È essere concreti. Non solo come misura di protezione — come ho detto poco fa — ma anche come fatti che devono preoccuparci. Tutti hanno un tetto sicuro? Tutti hanno accesso all’acqua? Hanno prodotti per igienizzarsi e disinfettare gli ambienti? Hanno un lavoro sicuro? La pandemia ha reso ancora più visibili le nostre vulnerabilità preesistenti.

In questo momento sto pensando anche ai fratelli e alle sorelle che, oltre a subire l’impatto della pandemia, vedono con tristezza che l’ecosistema attorno a loro è in serio pericolo a causa degli incendi boschivi che stanno distruggendo vaste zone come il Pantanal e l’Amazzonia, che sono il polmone dell’America Latina e del mondo.

Siamo consapevoli che gli effetti devastanti della pandemia continueremo a viverli a lungo, soprattutto nelle nostre economie, che richiedono attenzione solidale e proposte creative per alleviare il peso della crisi. Nel Regno di Dio, che inizia già in questo mondo, il pane giunge a tutti e avanza, l’organizzazione sociale si basa sul contribuire, condividere e distribuire, non sul possedere, escludere e accumulare. Queste due terne credo che debbano scandire un po’ il passo del nostro pensiero. Nel Regno di Dio il pane giunge a tutti e avanza, l’organizzazione sociale si basa sul contribuire, condividere e distribuire, non sul possedere, escludere e accumulare. Perciò siamo tutti chiamati, individualmente e collettivamente, a svolgere il nostro lavoro o missione con responsabilità, trasparenza e onestà.

La pandemia ha fatto vedere il meglio e il peggio dei nostri popoli e il meglio e il peggio di ogni persona. Ora più che mai è necessario riprendere coscienza della nostra appartenenza comune. Il virus ci ricorda che il modo migliore di prenderci cura di noi è imparando a prenderci cura e a proteggere quanti abbiamo accanto: coscienza di quartiere, coscienza di popolo, coscienza di regione, coscienza di casa comune. Sappiamo che, accanto alla pandemia di covid-19, esistono altri malesseri sociali — la mancanza di un tetto, la mancanza di terra e la mancanza di lavoro, le tre famose T (techo, tierra, trabajo) — che servono da indicatori e richiedono una risposta generosa e un’attenzione immediata.

Dinanzi a questo cupo panorama, i popoli latinoamericani ci insegnano che sono popoli con anima che hanno saputo affrontare con coraggio le crisi e hanno saputo generare voci che, gridando nel deserto, hanno spianato i sentieri del Signore (cfr. Mc 1,3). Per favore, non lasciamoci rubare la speranza! Il cammino della solidarietà come giustizia è la migliore espressione di amore e di vicinanza. Da queste crisi possiamo uscire migliori, così come hanno testimoniato tanti nostri fratelli e sorelle nel dono quotidiano della loro vita e nelle iniziative che il Popolo di Dio ha generato.

Abbiamo visto «la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni» (Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020). Su questo punto mi rivolgo anche a quanti esercitano responsabilità politiche e mi permetto, ancora una volta, d’invitare a riabilitare la politica, che «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune». Come ho detto nella recente enciclica Fratelli tutti: «Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità. Perché un individuo può aiutare una persona bisognosa, ma quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e [processi sociali] di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della carità politica”. Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale» (n. 180).

Ciò esige da tutti noi che abbiamo un ruolo di guida d’imparare l’arte dell’incontro e non favorire né avallare o utilizzare meccanismi che facciano di questa grave crisi uno strumento di carattere elettorale e sociale. La profondità della crisi richiede proporzionalmente la levatura della classe politico-dirigente, capace di alzare lo sguardo e guidare e orientare le legittime differenze nella ricerca di soluzioni attuabili per i nostri popoli. L’unica cosa che ottiene il discreditare l’altro è minare la possibilità di trovare accordi che aiutino ad alleviare, nelle nostre comunità, ma soprattutto per i più esclusi, gli effetti della pandemia. E noi abbiamo, in America Latina, non so se ovunque, ma in gran parte dell’America Latina, una grandissima capacità di progredire nel discreditare l’altro. Chi paga questo processo di discreditamento? Lo paga il popolo, progrediamo nel discreditare l’altro a scapito dei più poveri, a scapito del popolo. È tempo che il tratto distintivo di quanti sono stati prescelti dai loro popoli per governarli sia messo al servizio del bene comune e non che il bene comune sia posto al servizio dei loro interessi. Tutti conosciamo le dinamiche della corruzione che va in tale direzione. E ciò vale anche per gli uomini e le donne di Chiesa; perché quelle interne ecclesiastiche sono una vera lebbra che fa ammalare e uccide il Vangelo.

Vi esorto affinché, spinti dalla luce del Vangelo, continuiate a uscire insieme a tutte le persone di buona volontà alla ricerca di quanti chiedono aiuto, alla maniera del Buon Samaritano, abbracciando i più deboli e costruendo — è una frase molto sfruttata, ma la dico lo stesso — costruendo una nuova civiltà, poiché «il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno» (Fratelli tutti, n. 11).

Di fronte a queste grandi sfide, chiediamo alla Vergine di Guadalupe che la nostra terra latinoamericana non si “desmadre”, ossia non perda la memoria di sua madre, che la crisi, lungi dal separarci, ci aiuti a recuperare e valorizzare la consapevolezza di questo meticciato comune che ci fa fratelli e ci rende figli di uno stesso Padre.

Ci farà bene ricordare ancora una volta che l’unità è superiore al conflitto. Che il suo mantello, il suo mantello di Madre e di Donna, ci ripari come un solo popolo che, lottando per la giustizia, possa dire: «Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri» (Lc 1,54-55). Grazie.


da L'Osservatore Romano, Anno CLX, num. 269, 21/11/2020



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