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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLE AUSILIARIE DIOCESANE DI MILANO E ALLE
COLLABORATRICI APOSTOLICHE DIOCESANE DI PADOVA E TREVISO

Sala Clementina
Sabato, 14 dicembre 2019

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Care sorelle,

vi do il benvenuto e vi ringrazio di essere venute, come pure sono grato ai Vescovi e ai sacerdoti che vi hanno accompagnato. Ringrazio in particolare l’Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini, per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro.

Mi sta a cuore sottolineare l’aspetto centrale della vostra identità, che è significativa come forma di presenza di donne nella Chiesa. E questa riflessione va fatta  a partire dalla vostra storia, che a Milano inizia nel periodo dell’episcopato di San Giovanni Battista Montini.

La vostra storia dice che non siete nate “a tavolino”, tanto meno per una esigenza ideologica, ma siete nate dalla vita, dall’esperienza di apostolato associato, specialmente nell’Azione Cattolica. Quell’apostolato associato di cui parla il Decreto conciliare sull’azione dei fedeli laici (nn. 18-20). Siete nate dalla collaborazione con i preti nella pastorale parrocchiale e diocesana. Questo è molto importante.

Quando Gesù accoglieva “alcune donne” tra i suoi discepoli, anche in stretta collaborazione con i Dodici, non lo faceva per un femminismo ante litteram, ma perché il Padre gli faceva incontrare queste sorelle, a volte bisognose di essere guarite, esattamente come gli uomini (cfr Lc 8,2). Tra queste, Maria di Magdala aveva un carisma particolare di fede e di amore per il Signore, ed Egli si mostrò a lei per prima il mattino di Pasqua e la incaricò di andare a portare l’annuncio ai fratelli: apostola degli apostoli. Ma anche le altre donne hanno una presenza determinante nei racconti della Risurrezione. Perciò è molto giusto, oltre che bello, questo vostro nome di “donne della risurrezione”, attribuitovi proprio dall’Arcivescovo Montini.

Ma ritorniamo al Concilio. Là dove parla in particolare dell’Azione Cattolica, dice: «Questi laici, sia che si offrano spontaneamente, o siano invitati all’azione e alla cooperazione diretta con l’apostolato gerarchico, agiscono sotto la superiore direzione della gerarchia medesima, la quale può sancire tale cooperazione anche per mezzo di un “mandato” esplicito» (Apostolicam actuositatem, 20). Qui si vede un punto originante e qualificante: l’esperienza di collaborare direttamente con i pastori nel servizio alla gente, al popolo di Dio, nelle parrocchie, negli oratori, con i poveri, nelle carceri… In chi vive questo “lavoro”, a volte duro e faticoso (cfr Rm 16,6), lo Spirito Santo semina doni speciali di dedizione, che possono anche diventare di consacrazione nella Chiesa.

E qui è importante che il Vescovo e i sacerdoti incaricati da lui facciano il discernimento. È quello che è successo a voi, nelle diverse realtà diocesane: Milano, Treviso, Padova e Vicenza. Si notano alcune costanti tra le diverse esperienze, e quella essenziale è che il Vescovo si fa attento a un dono che si riscontra nella comunità, un dono che corrisponde a un’esigenza pastorale – ma non solo a una funzione, non è un funzionalismo –, e allora opera un discernimento. Così il carisma viene vagliato, accolto e riconosciuto, e riceve una sua forma in quella comunità diocesana. Dunque, emerge come qualificante l’elemento della collaborazione stretta con il Vescovo.

Naturalmente ci sono altre forme di cooperazione delle donne nella Chiesa, sia fedeli laiche sia religiose sia consacrate secolari, ma la vostra ha questa specificità.

Ho apprezzato – e ve ne sono grato – che nel presentare il vostro carisma facciate riferimento a un passaggio di Evangelii gaudium, dove si legge: «La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. […] Così riscopriamo che Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato. Ci prende in mezzo al popolo e ci invia al popolo, in modo che la nostra identità non si comprende senza questa appartenenza» (n. 268). Per voi, questo popolo ha il volto concreto della vostra diocesi. Infatti i nomi di tutti gli Istituti qui rappresentati vi qualificano come “diocesane”. È una delimitazione, certo, ma che ha il senso del radicamento e non della chiusura, della fedeltà e non del particolarismo, della dedizione e non dell’esclusione.

Questo aspetto della fedeltà non a un popolo generico, ma a questo popolo, con la sua storia, le sue ricchezze e le sue povertà è un tratto essenziale della missione di Gesù Cristo, inviato dal Padre alle «pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24). E il suo dare la vita per tutti passa necessariamente attraverso il darla per quelle persone concrete, per quella comunità, per quegli amici, e per quei nemici. Questa fedeltà costa, ha la durezza della croce, ma è feconda, generativa, secondo i disegni di Dio.

Care sorelle, vi ringrazio per la vostra testimonianza. Andate avanti, con la gioia della risurrezione e la passione per la vostra gente. Vi benedico e prego per voi. E anche voi, per favore, pregate per me. Grazie!

 



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