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INCONTRO DI PREGHIERE E TESTIMONIANZE IN OCCASIONE DELLA
 GIORNATA MONDIALE DEI POVERI AD ASSISI

Basilica di Santa Maria degi Angeli (Assisi)
Venerdì, 12 novembre 2021

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INCONTRO CON LE CLARISSE AL PROTOMONASTERO DI ASSISI

Papa Francesco

Fanno sempre festa: è una vera Clarissa, questa… Sempre. Perché Sant’Agostino diceva su questo che bisogna essere sempre attenti. Diceva: “Ho paura che il Signore passi e che io non me ne accorga, che sta passando”. Questa attenzione dello Spirito, e anche voi, della sposa che sempre attende che passi il Signore. È bello questo, stare attenti. L’anima attenta, non l’anima dispersa dappertutto, no, attenta, aspettando il Signore. A me piace quando trovo le contemplative che sono attente.

E per essere attente, bisogna avere in pace tre cose.

Avere in pace la testa. Perché alle volte, sai, la testa gira… Sempre ci sono persone, anch’io, tutti, con la tentazione di stare dappertutto, guardare… Da bambino, ricordo che nel quartiere c’era una signora che la chiamavano – non so se la traduzione è così – la “finestrona”, perché dietro la grata della finestra, stava tutta la giornata a guardare quello che succedeva. No, quell’attenzione non serve, perché è dispersa in quello che succede. Ma l’attenzione della mente che è pulita, è attenta a quello che succede, perché pensa bene. Per esempio, una mente che pensa bene è una mente che non perde tempo nei pensieri per chiacchierare delle altre. Pensa bene della gente. Per pensare male c’è già il diavolo, no?, lui da solo è sufficiente. La mente serena.

Seconda cosa, per stare attenti al Signore, il cuore sereno. Sempre riprendere l’inizio della vocazione: perché sono stato chiamato io? Per fare carriera? Per arrivare a quel posto, a quell’altro? No. Per amare e per lasciarmi amare. E sempre tornare a quell’inizio della vocazione. Ognuno di noi ha nel cuore l’inizio della vocazione. Tornare con la memoria, e così sistemare il cuore con quello che il cuore sentiva in quel momento. La gioia di seguire Gesù, di accompagnarlo.

E poi, la serenità delle mani. È vero che per pregare dovete stare così [fa il gesto delle mani giunte]; ma le mani devono anche muoversi per lavorare. Per dire: un consacrato, una consacrata che non lavora, che non mangi. Questo lo dice Paolo in una Lettera ai Tessalonicesi: chi non lavora, che non mangi.

Mente, cuore e mani, sempre facendo quello che devono fare, e non facendo altre cose.

E così, io direi, c’è l’equilibrio del consacrato, della consacrata, delle suore. È un equilibrio passionale, non è un equilibrio freddo: è pieno di amore e di passione. Ed è facile accorgersi quando passa il Signore, e non lasciarlo passare senza ascoltare cosa vuole dire. Il vostro lavoro è questo. Portate sulle spalle i problemi della Chiesa, i dolori della Chiesa e anche – oserei dire – i peccati della Chiesa, i peccati nostri, dei vescovi, siamo vescovi peccatori, tutti; i peccati dei preti; i peccati delle anime consacrate… E portarle davanti al Signore: “Sono peccatori, ma lascia perdere, perdonali”, sempre con l’intercessione per la Chiesa.

Il pericolo non è essere peccatori. Se io adesso domandassi: “Chi di voi non è peccatrice?”, nessuna parlerebbe. Lo diciamo: siamo tutti peccatori. Il pericolo è che il peccato diventi abituale, come un atteggiamento normale; perché quando il peccato, un atteggiamento peccaminoso diventa così, non è più peccato, diventa corruzione. E il corrotto è incapace di chiedere perdono, è incapace di accorgersi che ha sbagliato. La via della corruzione ha soltanto un biglietto di andata, difficilmente di ritorno. Invece, la vita dei peccatori sente il bisogno di chiedere perdono. Mai perdere questo sentimento di bisogno di chiedere perdono, sempre.

Cosa significa questo? Che siamo peccatori, che non siamo corrotti. Se uno a un certo punto dice: “No, io non sento di dover chiedere perdono”, attento: stai andando sulla strada della corruzione. Chiedere che la Chiesa non sia corrotta, perché la corruzione della Chiesa è brutta! È di “alta qualità”: i preti, i vescovi, le suore corrotti sono di altissima qualità! Pensiamo a quelle suore gianseniste, per esempio, di Port Royal: erano purissime come angeli, ma dicevano che erano superbe come diavoli. È la corruzione di altissima qualità, la corruzione della gente buona. C’è un detto che dice: “Corruptio optimi pessima”, cioè la corruzione di chi è più buono è pessima, è la peggiore. Sempre con l’umiltà di sentirsi peccatori, perché il Signore perdona sempre, guarda dall’altra parte. Perdona tutto.

Mi diceva un confessore, che era a Buenos Aires, 92 anni – ancora continua a confessare, a 94, ha sempre la coda al confessionale, è un Cappuccino, ha la coda di gente, la coda di uomini, donne, bambini, ragazzi, operai, preti, vescovi, suore, tutto, tutto il gregge del popolo di Dio va a confessarsi da lui perché è un buon confessore… - Un giorno è venuto in episcopio, ancora non era tanto vecchio, avrà avuto 84 anni, è venuto da me e mi disse: “Sai – mi dava del tu, questo dava del tu a tutti – sai, c’è un problema…” – “Dimmi, dimmi” – “È che a volte mi sento male perché perdono troppo… E sento qualcosa dentro…”. Era un uomo di alta preghiera, di alta contemplazione. “E dimmi, che cosa fai, Luigi, quando ti senti così?” – “Eh, vado in cappella e prego, e dico: ‘Signore, perdonami, perché ho perdonato troppo’” – “Ma tu sei di manica larga?” – “No, no, io dico le cose serie, ma perdono perché mi viene da perdonare”. Una volta gli dissi, non in quel momento, in precedenza: “Ma qualche volta tu ti ricordi di non aver perdonato?” – “No, non lo ricordo”. Bel confessore, questo, no? “E cosa fai?” – “Vado in cappella, guardo il tabernacolo: ‘Signore, perdonami, ho perdonato troppo!’. Ma a un certo punto gli dico: ‘Ma stai attento: perché sei stato tu a darmi il cattivo esempio!’”. Dio perdona tutto. Soltanto chiede la nostra umiltà di chiedere perdono. Per questo è importante non perdere questa abitudine di chiedere perdono, che è una virtù. Invece, il corrotto la perde. Peccatori sì, corrotti no!

Io mi chiedevo: ma la Madonna, qualche volta ha chiesto perdono? L’Immacolata… È una domanda teologica, da fare alle suore… Ma io non credo che la Madonna sempre sia stata “sopra se stessa”: per le piccole cose, in cui lei credeva di avere sbagliato, sicuramente chiedeva scusa al Signore, benché non fossero oggettive, ma era così. Per esempio, penso a quel viaggio da Gerusalemme, dove il ragazzo era scappato ed era rimasto lì: ma quante volte avrà chiesto perdono! “Avrei dovuto essere più vicina…”. Nella vita ci sono queste cose, no? Perché dico questo, questa domanda? Perché anche il più perfetto deve avere il cuore aperto a chiedere perdono, sempre. È la cosa più bella, essere perdonato.

Ieri pomeriggio sono stato con un gruppo di giovani che lavora nella predicazione del Vangelo ai giovani di oggi. Anche giovani artisti, quelli delle bande che fanno queste cose nuove, soprattutto negli Stati Uniti, Hollywood, quella zona. Mi hanno fatto vedere – dei pezzi – con questi giovani di cui alcuni dicono di non credere neppure nel proprio naso… Hanno fatto la parabola del figlio prodigo: tutta la storia di un ragazzo moderno, attuale, che spreca i soldi del papà, che entra in tutti i vizi e poi alla fine, parlando con un amico, gli dice: “Io non sono felice, sono triste, perché mi manca papà, mi manca papà. Ho fatto tutte queste sporcizie e ho preso una strada brutta che non mi aiuta… Ma non oso tornare a casa perché ho paura che mio papà mi rifiuti o mi bastoni o mi insulti… non me la sento”. E quello gli dice: “Ma non hai un amico che vada a sondare un po’ il papà: ‘Cosa succederebbe se tuo figlio tornasse?’” – “No, non ho più nessuno” – “Ma, se vuoi, posso andare io, e gli dirò che ti dia un segno” – “Ma quale segno?”. E parlano di questo. E alla fine dice: “Io ci vado, parlo al tuo papà, gli dico che tu hai questo desiderio di chiedere perdono e tornare, ma non sai se sarai ben ricevuto, e che se lui ti riceverà bene, che metta un fazzoletto bianco sul terrazzo, che si veda bene”. E il figlio incominciò il cammino, e quando fu vicino alla casa, la vide: vide la casa piena di fazzoletti bianchi! Ossia le nostre mani non sono sufficienti per ricevere tutto quello che Lui ci dà, anche quando siamo peccatori e gli chiediamo perdono. E l’abbondanza di nostro Padre è così: ci aspetta con la casa vestita di tanti fazzoletti bianchi. È più generoso!

Ricordo, tornando sul perdono – a me piace parlare del perdono, perché è una cosa positiva: più del peccato, il perdono – quando Pietro domanda al Signore: “Ma quante volte devo perdonare? Sette volte va bene?” – “Settanta volte sette”, cioè sempre. Anzi, quando ci insegna il Padre Nostro, perdonare gli altri è condizione per essere perdonati. Voi, in capitolo, per esempio – succederà, non credo qui, ma pensiamo a un altro convento – una di voi è arrabbiata, ha la faccia un po’ d’aceto, diciamo così, “perché mi sono arrabbiata con quell’altra, ma che sia lei a chiedermi perdono perché è stata lei…”. Le piccole cose della comunità, tutti le conosciamo, anch’io sono stato in comunità e so com’è la comunità. Anche nella Curia succedono queste cose… Ma fai il primo passo! Fai un sorriso, soltanto un sorriso! È un bel giorno…

Non so se ne ho parlato, l’altra volta: Teresina. Quando doveva uscire dal coro, prima della cena, dieci minuti prima, per portare la madre San Pietro al refettorio perché la poveretta zoppicava dappertutto; era un po’ impaziente, e se la Teresina la toccava diceva: “Non mi toccare! Se mi tocchi è peccato!”. Alcune volte succede, questa amarezza. E cosa faceva, Teresina? Un sorriso, sempre. La portava, la faceva sedere, le tagliava il pane, tutto, così quando arrivavano le altre suore era tutto pronto per incominciare la cena. E una volta, era così forte la lamentela della madre San Pietro, e Teresina sentì la musica di un ballo [nella casa accanto al monastero] e disse: “C’è gente che sta ballando, gente lieta, gente che si diverte… Ma io non cambio questo per quello, per me questo è più bello”. La bellezza della carità fraterna.

E questo vivere la carità è avere il cuore aperto, le mani aperte, la mente aperta per l’incontro con il Signore, perché non passi e io non me ne accorga.

Bueno. Qualcuna forse sta pensando: “Quando finirà, questo prete… è la predica di Quaresima?”. Io vi ringrazio. Pensate alla Chiesa. Pensate agli anziani, ai nonni, che tante volte sono “materiale di scarto”: non li vogliono avere in famiglia perché sono molesti e li mettono in qualche posto... Pensate alle famiglie, come devono lavorare papà e mamma, tante volte, per arrivare a fine mese, per avere da mangiare. Pregate per le famiglie perché sappiano educare bene i figli. Pensate ai bambini, ai giovani e alle tante minacce della mondanità che fa tanto male. E pregate per la Chiesa. Pensate alle suore, alle donne consacrate come voi, a quelle che devono lavorare nelle scuole, negli ospedali. Pensate ai preti. Teresina è entrata al Carmelo per pregare per i preti: noi abbiamo bisogno, abbiamo bisogno. Pregate perché sappiamo essere pastori e non capi di ufficio: che i preti siano vescovi, sacerdoti, abbiano questa pastoralità, essere pastori.

Non mi viene di dire altro. Credo che la predica di Quaresima sia stata lunga! Vi ringrazio tanto.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE NELLA BASILICA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi ringrazio per avere accolto il mio invito – io sono stato l’invitato! – a celebrare qui ad Assisi, la città di San Francesco, la quinta Giornata Mondiale dei Poveri, che ricorre dopodomani. È un’idea che è nata da voi, è cresciuta e siamo arrivati già alla quinta. Assisi non è una città come le altre: Assisi porta impresso il volto di San Francesco. Pensare che tra queste strade lui ha vissuto la sua giovinezza inquieta, ha ricevuto la chiamata a vivere il Vangelo alla lettera, è per noi una lezione fondamentale. Certo, per alcuni versi la sua santità ci fa rabbrividire, perché sembra impossibile poterlo imitare. Ma poi, nel momento in cui ricordiamo alcuni momenti della sua vita, quei “fioretti” che sono stati raccolti per mostrare la bellezza della sua vocazione, ci sentiamo attratti da questa semplicità di cuore e semplicità di vita: è l’attrazione stessa di Cristo, del Vangelo. Sono fatti di vita che valgono più delle prediche.

Mi piace ricordarne uno, che esprime bene la personalità del Poverello (cfr Fioretti, cap. 13: Fonti Francescane, 1841-1842). Lui e fra Masseo si erano messi in viaggio per raggiungere la Francia, ma non avevano portato con sé provviste. A un certo punto dovettero cominciare a chiedere la carità. Francesco andò da una parte e fra Masseo da un’altra. Ma, come raccontano i Fioretti, Francesco era piccolo di statura e chi non lo conosceva lo riteneva un “barbone”; invece fra Masseo “era un uomo grande e bello”. Fu così che San Francesco riuscì a stento a raccogliere qualche pezzo di pane raffermo e duro, mentre fra Masseo raccolse dei bei pezzi di pane buono.

Quando i due si ritrovarono si sedettero per terra e su una pietra misero quanto avevano raccolto. Vedendo i pezzi di pane raccolti dal frate, Francesco disse: “Fra Masseo, noi non siamo degni di questo grande tesoro”. Il frate, meravigliato, rispose: “Padre Francesco, come si può parlare di tesoro dove c’è così tanta povertà e mancano anche le cose necessarie?”. Francesco rispose: “È proprio questo che io reputo un gran tesoro, perché non c’è nulla, ma quello che abbiamo è donato dalla Provvidenza che ci ha dato questo pane». Ecco l’insegnamento che ci dà San Francesco: saperci accontentare di quel poco che abbiamo e dividerlo con gli altri.

Siamo qui alla Porziuncola, una delle chiesette che San Francesco pensava di restaurare, dopo che Gesù che gli aveva chiesto di “riparare la sua casa”. Allora mai avrebbe pensato che il Signore gli chiedesse di dare la sua vita per rinnovare non la chiesa fatta di pietre, ma quella di persone, di uomini e donne che sono le pietre vive della Chiesa. E se noi siamo qui oggi è proprio per imparare da ciò che ha fatto San Francesco. A lui piaceva stare a lungo in questa chiesetta a pregare. Si raccoglieva qui in silenzio e si metteva in ascolto del Signore, di quello che Dio voleva da lui. Anche noi siamo venuti qui per questo: vogliamo chiedere al Signore che ascolti il nostro grido, che ascolti il nostro grido!, e venga in nostro aiuto. Non dimentichiamo che la prima emarginazione di cui i poveri soffrono è quella spirituale. Ad esempio, tante persone e tanti giovani trovano un po’ di tempo per aiutare i poveri e portano loro cibo e bevande calde. Questo è molto buono e ringrazio Dio della loro generosità. Ma soprattutto mi rallegra quando sento che questi volontari si fermano un po’ a parlare con le persone, e a volte pregano insieme a loro… Ecco, anche il nostro trovarci qui, alla Porziuncola, ci ricorda la compagnia del Signore, che Lui non ci lascia mai soli, ci accompagna sempre in ogni momento della nostra vita. Il Signore oggi è con noi. Ci accompagna, nell’ascolto, nella preghiera e nelle testimonianze date: è Lui, con noi.

C’è un altro fatto importante: qui alla Porziuncola San Francesco ha accolto Santa Chiara, i primi frati, e tanti poveri che venivano da lui. Con semplicità li riceveva come fratelli e sorelle, condividendo con loro ogni cosa. Ecco l’espressione più evangelica che siamo chiamati a fare nostra: l’accoglienza. Accogliere significa aprire la porta, la porta della casa e la porta del cuore, e permettere a chi bussa di entrare. E che possa sentirsi a suo agio, non in soggezione, no, a suo agio, libero. Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive anche l’esperienza sincera dell’accoglienza. Dove invece c’è la paura dell’altro, il disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto o, peggio, l’indifferenza: quel guardare da un’altra parte. L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al contrario chiude nel proprio egoismo. Madre Teresa, che aveva fatto della sua vita un servizio all’accoglienza, amava dire: “Qual è l’accoglienza migliore? Il sorriso”. Il sorriso. Condividere un sorriso con chi è nel bisogno fa bene a tutt’e due, a me e all’altro. Il sorriso come espressione di simpatia, di tenerezza. E poi il sorriso ti coinvolge, e tu non potrai allontanarti dalla persona alla quale hai fatto un sorriso.

Vi ringrazio, perché siete venuti qui da tanti Paesi diversi per vivere questa esperienza di incontro e di fede. Vorrei ringraziare Dio che ha dato questa idea della Giornata dei Poveri. Un’idea nata in modo un po’ strano, in una sagrestia. Io stavo per celebrare la Messa e uno di voi – si chiama Étienne – lo conoscete? È un enfant terrible – Étienne mi ha dato il suggerimento: “Facciamo la Giornata dei poveri”. Io sono uscito e sentivo che lo Spirito Santo, dentro, mi diceva di farla. Così è incominciato: dal coraggio di uno di voi che ha il coraggio di portare avanti le cose. Lo ringrazio per il suo lavoro in questi anni e il lavoro di tanti che lo accompagnano. E vorrei ringraziare, mi scusi, Eminenza, per la sua presenza il Cardinale [Barbarin]: lui è fra i poveri, anche lui ha subito con dignità l’esperienza della povertà, dell’abbandono, della sfiducia. E lui si è difeso con il silenzio e la preghiera. Grazie, Cardinale Barbarin, per la Sua testimonianza che edifica la Chiesa. Dicevo che siamo venuti per incontrarci: questa è la prima cosa, cioè andare uno verso l’altro con il cuore aperto e la mano tesa. Sappiamo che ognuno di noi ha bisogno dell’altro, e che anche la debolezza, se vissuta insieme, può diventare una forza che migliora il mondo. Spesso la presenza dei poveri è vista con fastidio e sopportata; a volte si sente dire che i responsabili della povertà sono i poveri: un insulto in più! Pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, un esame di coscienza sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, si getta la colpa sulle spalle dei più deboli.

È tempo invece che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo che si aprano gli occhi per vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo. È tempo di incontrarsi. È il momento dell’incontro. Se l’umanità, se noi uomini e donne non impariamo a incontrarci, andiamo verso una fine molto triste.

Ho ascoltato con attenzione le vostre testimonianze, e vi dico grazie per tutto quello che avete manifestato con coraggio e sincerità. Coraggio, perché le avete volute condividere con tutti noi, nonostante siano parte della vostra vita personale; sincerità, perché vi mostrate così come siete e aprite il vostro cuore con il desiderio di essere capiti. Ci sono alcune cose che mi sono piaciute particolarmente e che vorrei in qualche modo riprendere, per farle diventare ancora più mie e lasciarle depositare nel mio cuore. Ho colto, anzitutto, un grande senso di speranza. La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi, spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi hanno permesso di resistere.

Resistere. Questa è la seconda impressione che ho ricevuto e che deriva proprio dalla speranza. Cosa vuol dire resistere? Avere la forza di andare avanti nonostante tutto, andare controcorrente. Resistere non è un’azione passiva, al contrario, richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che porterà frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere nella solitudine e nella tristezza. Resistere, aggrappandosi alla piccola o poca ricchezza che possiamo avere. Penso alla ragazza dell’Afghanistan, con la sua frase lapidaria: il mio corpo è qui, la mia anima è là. Resistere con la memoria, oggi. Penso alla mamma romena che ha parlato alla fine: dolori, speranza e non si vede l’uscita, ma la speranza forte nei figli che l’accompagnano e le ridanno la tenerezza che hanno ricevuto da lei.

Chiediamo al Signore che ci aiuti sempre a trovare la serenità e la gioia. Qui alla Porziuncola, San Francesco ci insegna la gioia che viene dal guardare a chi ci sta vicino come a un compagno di viaggio che ci capisce e ci sostiene, così come noi lo siamo per lui o per lei. Questo incontro apra il cuore di tutti noi a metterci a disposizione gli uni degli altri; aprire il cuore per rendere la nostra debolezza una forza che aiuta a continuare il cammino della vita, per trasformare la nostra povertà in ricchezza da condividere, e così migliorare il mondo.

La Giornata dei Poveri. Grazie ai poveri che aprono il cuore per darci la loro ricchezza e guarire il nostro cuore ferito. Grazie per questo coraggio. Grazie, Étienne, per essere stato docile all’ispirazione dello Spirito Santo. Grazie per questi anni di lavoro; e anche per la “testardaggine” di portare il Papa ad Assisi! Grazie! Grazie, Eminenza, per il Suo appoggio, per il Suo aiuto a questo movimento di Chiesa – diciamo “movimento” perché si muovono – e per la Sua testimonianza. E grazie a tutti. Vi porto nel mio cuore. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché io ho le mie povertà, e tante! Grazie.



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