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ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE
UNA SPERANZA NUOVA PER IL LIBANO

DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
AI PATRIARCHI, AI VESCOVI, AL CLERO,
ALLE PERSONE CONSACRATE E A TUTTI I FEDELI LAICI
DEL LIBANO CIRCA LA LORO MISSIONE
IN PREPARAZIONE DELL’ANNO 2000

 

 

INTRODUZIONE

I. Un Sinodo per la speranza

UNA SPERANZA NUOVA PER IL LIBANO è nata nel corso dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi. I cattolici di questa terra santa vi sono invitati da Cristo stesso. «E la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm 5, 5). Così, rinnovati da Dio, i fedeli di Cristo diverranno per tutti i loro fratelli dei testimoni del suo amore. La Chiesa cattolica ha ritenuto di associare al proprio cammino rappresentanti delle diverse comunità libanesi, manifestando così, nel dialogo rispettoso e nella condivisione fraterna, che l’edificazione della società è impegno comune a tutti i Libanesi.

Il Libano è un paese verso il quale gli sguardi si volgono di sovente. Non possiamo dimenticare che esso è la culla di una cultura antica e uno dei fari del Mediterraneo. Nessuno può ignorare il nome di Byblos, che richiama le origini della scrittura. E in questa regione del Medio Oriente che Dio ha inviato il suo Figlio per compiere il disegno di salvezza per tutti gli uomini; in tale regione, per la prima volta, i discepoli di Cristo ricevettero il nome di cristiani (cfr At 11, 19-26). Così il cristianesimo divenne rapidamente un elemento essenziale della cultura di quest’area geografica e, in particolare, della terra libanese, ricca oggi di molteplici tradizioni religiose. Vi abitano cattolici membri di Chiese patriarcali differenti, come pure del Vicariato apostolico latino. Da questo fatto, sin dall’uso di ragione, il giovane cattolico libanese battezzato si riconosce maronita, o greco-melkita, o armeno cattolico, o siriaco cattolico, o caldeo, oppure latino. È pertanto attraverso questa via che egli si apre alla vita cristiana e che è chiamato a scoprire l’universalità della Chiesa. Vivono in Libano anche cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali. L’altra parte importante della popolazione è costituita da musulmani e da drusi. Per il Paese, tali diverse comunità costituiscono al tempo stesso una ricchezza, un’originalità ed una difficoltà. Ma far vivere il Libano è un compito comune di tutti i suoi abitanti.

In occasione della Celebrazione eucaristica conclusiva dell’Assemblea sinodale, ho detto: «Tutti hanno bisogno di quella dimensione sociale della carità che permette agli uomini di costruire insieme. E sappiamo bene quanto il Libano abbia bisogno di costruire e di ricostruire, specialmente in seguito alle dolorose esperienze di molti anni di guerra, nella ricerca di una giusta pace e di sicurezza nei rapporti con i Paesi limitrofi». Ho sottolineato anche che l’impegno dei cristiani è importante per il Libano, «le cui radici storiche sono di natura religiosa. Ed è proprio in forza di tali radici religiose dell’identità nazionale e politica libanese che, dopo il doloroso periodo della guerra, si è voluto e potuto avviare l’iniziativa di un’Assemblea sinodale in cui cercare insieme la via per il rinnovamento della fede, una miglior collaborazione ed una più efficace testimonianza comune, senza dimenticare la ricostruzione della società » (1). Collaborando con tutti i loro compatrioti, i cattolici sono in modo particolare chiamati a servire il bene comune della città terrena traendo dalla fede la loro ispirazione e i principi fondamentali per la vita sociale.

2. Quando convocai una Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi, il 12 giugno 1991, la situazione del Paese era drammatica. Il Libano era stato profondamente scosso in tutte le sue componenti. Ho invitato i cattolici presenti in quella terra ad intraprendere un itinerario di preghiera, di penitenza e di conversione, che permettesse loro di interrogarsi, davanti al Signore, sulla loro fedeltà al Vangelo e sul loro effettivo impegno nella sequela di Cristo. Era necessario che i Pastori e i fedeli, mediante una lucida presa di coscienza compiuta nella fede, discernessero e precisassero meglio le priorità spirituali, pastorali e apostoliche da promuovere nel contesto attuale del Paese.

Fin dall’inizio, ho chiesto alle altre Chiese e Comunità ecclesiali di volersi associare a questo sforzo, manifestando l’intenzione ecumenica dell’Assemblea sinodale, poiché la speranza per l’avvenire del Libano è legata pure a quella dell’unità dei cristiani. Ugualmente ho invitato le comunità musulmane e drusa a partecipare al progetto, giacché, pur trattandosi innanzitutto di un rinnovamento della Chiesa cattolica, era in questione anche la ricostruzione materiale e spirituale del Paese, preoccupazione fondamentale di tutti; e ciò non era possibile che con la partecipazione attiva di tutti gli abitanti.

Tali appelli sono stati accolti e di questo rendo grazie al Signore che agisce nei cuori degli uomini di buona volontà. È stata operata una larga consultazione dei cattolici. Più della metà delle risposte a tale consultazione provenivano da cristiani laici, che volevano così manifestare il loro interesse, non di rado critico, per lo sforzo di rinnovamento ecclesiale opportuno e possibile in quel contesto.

Il Comitato preparatorio analizzò le risposte ricevute e propose come tema del Sinodo: «Cristo è la nostra speranza. Rinnovati dal suo Spirito, solidali, testimoniamo il suo amore». Molto volentieri ho fatto mio questo tema e l’ho annunciato e commentato in un messaggio rivolto a tutti i Libanesi, nel giugno 1992.

Partendo dalle risposte pervenute, il Comitato preparatorio, che si avvalse di numerose collaborazioni, redasse un primo importante documento, i Lineamenta. Scopo di questo documento era di stimolare la preghiera e la riflessione di tutti i destinatari, ponendo una serie di domande su ogni argomento. La riflessione critica, in tal modo avviata, era già molto promettente. La conversione comincia quando ciascuno accetta di interrogarsi a proposito dei propri modi di essere e di agire, confrontandoli sinceramente col messaggio evangelico. Questo lungo lavoro di maturazione sfociò in numerose risposte di qualità. Furono organizzati simposi sui vari temi e i loro lavori furono resi pubblici. Molte parrocchie riunirono gruppi di riflessione, in cui si lavorò sui Lineamenta, capitolo per capitolo. Gruppi di persone, specializzate in questo o quel settore, inviarono articolati contributi.

La Commissione preparatoria si rimise all’opera per redigere un testo che tenesse conto dell’insieme delle risposte ricevute. Il documento, l’Instrumentum laboris, doveva fornire il programma di lavoro dell’Assemblea sinodale.

3. Dopo questo lavoro preparatorio, l’Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi si riunì a Roma, domenica 26 novembre 1995. Essa si aprì con una Concelebrazione eucaristica nella Patriarcale Basilica di San Pietro. Questa liturgia mostrò in modo eloquente ciò che è un Sinodo: un evento di Chiesa.

L’unità nella diversità, tema così spesso ripreso nel corso dei dibattiti, era anzitutto espressa dalla solenne Eucaristia nella Basilica di San Pietro, alla quale erano presenti tutti i partecipanti all’Assemblea sinodale. Durante i lavori del Sinodo, continuammo a pregare in comune secondo le diverse tradizioni dell’Oriente e dell’Occidente, domandando al Signore di restare fra noi e di inviarci il suo Spirito per poter essere insieme la sua Chiesa e fare la sua volontà. L’unità nella diversità apparve dalla qualità stessa dei partecipanti. I Padri sinodali comprendevano tutti i Patriarchi cattolici d’Oriente, gli Arcivescovi e i Vescovi delle diverse Diocesi cattoliche del Libano, i Cardinali dei Dicasteri della Santa Sede interessati ai problemi della Chiesa in Libano, alcuni Vescovi libanesi della diaspora, Superiori generali, sacerdoti di Ordini fondati in Libano e ivi presenti, rappresentanti di Superiori maggiori e Vescovi rappresentanti degli altri Patriarcati cattolici del Medio Oriente, come pure alcune personalità ecclesiastiche particolarmente interessate agli obiettivi del Sinodo.

Erano ugualmente presenti delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità cristiane in Libano. Sono stato lieto di accogliere anche i rappresentanti delle comunità sunnita, sciita e drusa. Vi erano infine uditori, sacerdoti, religiosi, religiose e laici. Tutti parteciparono ai lavori e poterono esprimersi con libertà, competenza ed entusiasmo nelle riunioni plenarie ed in quelle ristrette dei gruppi. Anche gli esperti da me designati apportarono un contributo valido al buon svolgimento dei lavori del Sinodo.

4. Nonostante il numero forzatamente limitato degli invitati a simile Assemblea, c’erano membri di tutti i gruppi cristiani e delle componenti della società libanese, accompagnati da rappresentanti della Chiesa cattolica, venuti da altre regioni del mondo. In tal modo le Chiese locali e tutti gli abitanti del Libano erano come portati dalla sollecitudine dell’intero mondo cattolico nei confronti di questo Paese.

5. La conclusione dei lavori dell’Assemblea ha aperto una nuova tappa del cammino sinodale. È stato formulato e votato dai Padri sinodali un insieme di proposizioni. Sulla base di tali proposizioni e degli altri documenti sinodali, i Padri mi hanno domandato di redigere una Esortazione apostolica che avesse come destinatari, in primo luogo, i cattolici libanesi, ma rivolta anche all’insieme dei Libanesi e a tutti coloro che hanno a cuore la situazione del Paese (2). Un Consiglio post-sinodale, da me nominato ed assistito dalla Segreteria generale del Sinodo, ha contribuito alla preparazione del presente documento.

6. Ecco le grandi linee di questa Esortazione: dopo aver rivolto uno sguardo nel primo capitolo alla situazione attuale della Chiesa cattolica nel Libano, il secondo capitolo delinea la riflessione teologica che è alla base degli orientamenti in seguito più concretamente illustrati. Il terzo capitolo raccoglie tutto ciò che riguarda il rinnovamento interno della Chiesa cattolica in Libano. Il quarto capitolo concerne la comunione tra le diverse Chiese patriarcali in Libano e nei territori circostanti. Un quinto capitolo tratta del ruolo della Chiesa in Libano oggi. Il sesto capitolo evoca la dimensione sociale e nazionale. In realtà, il Sinodo non ha rivolto la sua attenzione esclusivamente alle questioni interne alla Chiesa cattolica in Libano, ma ha tenuto presente l’intero Paese, perché il destino dei cattolici è profondamente legato al destino del Libano ed alla sua peculiare vocazione.

7. Cari Fratelli e Sorelle del Libano, il presente documento offre principi di riflessione, orientamenti per il rinnovamento e suggerimenti concreti. Esso potrà esservi utile nei prossimi anni per guidarvi in un costante rinnovamento. A voi spetta di cercare i mezzi per realizzare quanto qui è spesso esposto sotto forma di auspicio. A voi tocca di completare le riflessioni proposte, poiché, in molti casi, l’Assemblea sinodale si è limitata ad aprire prospettive d’insieme.

Sarà necessario che sia portato avanti e riaffermato senza indugi lo slancio suscitato dalla preparazione e dallo svolgimento di questa Assemblea speciale. Il Sinodo ha inaugurato un metodo di lavoro basato sull’ascolto attento di tutte le componenti della popolazione libanese in generale e delle diverse categorie ed istituzioni cattoliche in particolare. Proseguite questo lavoro e soprattutto non considerate chiuso il Sinodo con la pubblicazione di questa Esortazione apostolica. Vi raccomando vivamente di cercare in ogni modo di rendere fraterna ed effettiva la ricezione del presente documento e di mettere in atto ciò che qui vi propongo, avendo costante cura dell’unità tra i cattolici e del bene di tutto il popolo. Continuate il vostro discernimento critico, siate disponibili all’azione dello Spirito Santo e lasciatevi ispirare dal Vangelo di nostro Signore. Così, Cristo sarà veramente la vostra speranza e lo Spirito vi rinnoverà. Allora, solidali, continuerete a testimoniare il suo amore.

 

CAPITOLO I

Situazione attuale della Chiesa cattolica nel Libano

Unità e diversità

8. Una delle caratteristiche più evidenti della Chiesa cattolica nel Libano è di essere, al tempo stesso, una e molteplice. Essa consiste non in una giustapposizione territoriale di diocesi, bensì in una sovrapposizione di Chiese patriarcali sui iuris tutte unite, insieme con un Vicariato apostolico latino, dalla medesima fede, dai medesimi Sacramenti e da una totale comunione di fede e di carità col Vescovo di Roma, Successore dell’apostolo Pietro.

Voi conoscete i legami d’affetto che mi uniscono a questa «terra amatissima», come ho avuto modo di ricordare in molteplici circostanze e in particolare fin dall’inizio del mio Pontificato (3). Tutti i fedeli cattolici provano un solido attaccamento verso i loro fratelli di questo Paese, caro al loro cuore di discepoli del Signore, e verso la terra che nostro Signore ha percorso e resa santa.

La diversità della Chiesa cattolica nel Libano è ben lungi dall’essere solo giuridica. Essa è il risultato della lunga storia propria di ciascuna delle sue tradizioni culturali. Così, le Chiese patriarcali, molte delle quali si rifanno alla Chiesa di Antiochia, conservano ciascuna un proprio patrimonio culturale e specifiche tradizioni ecclesiali, liturgiche, teologiche, spirituali e disciiplinari (4).

È vero che le Chiese orientali cattoliche continuano a svilupparsi secondo prospettive diverse, legate sia all’attuale situazione socio-politica dei Paesi dove sono presenti, sia all’importanza numerica ed alla vitalità dei fedeli nei Paesi di emigrazione. Ma al tempo stesso, in Libano, le differenti Chiese sui iuris e il Vicariato apostolico latino formano una sola Chiesa e fanno parte dell’unica e medesima Chiesa cattolica unita intorno al Successore di Pietro, in una comunione di vita e di destino che alcune di esse condividono da lungo tempo in questa regione dell’Oriente ed in questo Paese, il Libano. Esse si trovano di fronte alle medesime esigenze nazionali ed ai medesimi pericoli; hanno le stesse speranze e soprattutto la stessa missione affidata da Cristo.

9. Il modo di vivere la diversità del patrimonio ecclesiale non sempre è colto come un elemento positivo. Questo ha persino suscitato tra le Chiese locali sentimenti di diffidenza, fino a diventare un vero e proprio ostacolo per l’intesa e la collaborazione. L’intreccio delle giurisdizioni ha talvolta provocato reali conflitti di potere (5), che hanno paralizzato l’attività pastorale comune ed hanno dato così una contro- testimonianza. Simili difficoltà non possono essere sormontate che nella fede e grazie ad un reciproco, sincero rispetto.

Oggi, le Chiese patriarcali desiderano superare ogni visione ristretta ed aprirsi ad una collaborazione sempre più intensa tra di loro, per essere fedeli alla parola del Signore: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35).

Non stupisce, pertanto, che l’Assemblea speciale abbia considerato come prioritario per il rinnovamento della Chiesa cattolica nel Libano questo appello: «Convertiamoci e viviamo l’unità della Chiesa» (6). Il Messaggio del Sinodo insisteva nel sottolineare che più che una nuova organizzazione, ciò che occorre promuovere è una nuova mentalità, che deve segnare decisamente ciascuna Chiesa patriarcale: «non più la continua preoccupazione di affermare le differenze, ma la preoccupazione costante di sottolineare l’unità, pur nel rispetto della diversità » (7).

Tale impegno implica al tempo stesso una confessione, sentimenti di pentimento ed un grido di speranza; la confessione di aver mancato di spirito di comunione nella Chiesa; il pentimento sincero per aver contristato lo Spirito Santo (cfr Ef 4, 30), fermento divino di unità; un grido di speranza in Cristo morto e risorto, vivente con noi, tra noi e per noi. È impegnandosi con franchezza in tal senso che i membri delle diverse Chiese locali sono chiamati a rinnovarsi interiormente, per aprire le loro anime alle dimensioni della carità di Cristo, in una santa emulazione con i loro fratelli delle altre tradizioni spirituali.

La Chiesa cattolica nel Libano in seguito ai recenti avvenimenti

10. La Chiesa cattolica nel Libano ha molto sofferto per la divisione dei suoi figli, specialmente durante i recenti anni di guerra. Essa ne è stata lacerata persino dall’interno. Nel 1993, coloro che hanno preparato l’Assemblea speciale scrivevano nei Lineamenta: «La Chiesa nel Libano [...] fu, come le altre componenti del Paese, ferita nella sua carne. Ma è soprattutto nella sua coscienza che fu profondamente provata. Essa ha visto i suoi figli essere uccisi, uccidere ed uccidersi tra loro. Essa continua a soffrire per i loro litigi sempre vivaci; la segna gravemente il profondo fossato che questi anni sconvolti hanno scavato tra tanti suoi fedeli e tra questi e l’autorità ecclesiastica» (8).

Da allora vanno delineandosi segni di riavvicinamento tra i membri delle Chiese sui iuris, sia negli animi che nelle strutture. Il Sinodo dei Vescovi di ciascuna Chiesa patriarcale (9) è chiamato a trattare i problemi del momento e a vegliare sull’unità del Patriarcato, con la preoccupazione di una unione sempre più forte con gli altri Patriarcati (10).

D’altra parte, le Chiese orientali cattoliche nel Libano si sentono più che mai attaccate alla loro struttura patriarcale, in virtù della quale il Patriarca presiede il Sinodo dei Vescovi del suo Patriarcato. Le loro concertazioni contribuiscono a rendere visibile il mistero della Chiesa comunione (11), sia all’interno di ogni Patriarcato che nella relazione di questo con le altre Chiese patriarcali nel Paese e nella Chiesa universale.

La collaborazione si fa più intensa tra i membri di una medesima Chiesa patriarcale: il Patriarca, i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, le religiose e i laici. I laici, in particolare, danno prova di una generosa disponibilità e sono pronti a rispondere ai richiami della gerarchia, alle sue richieste di collaborazione all’interno dei vari consigli diocesani o parrocchiali, nell’amministrazione dei waqfs o in altri servizi della Chiesa. Per quanto riguarda il clero, la volontà di coordinamento e di collaborazione deve manifestarsi nel quadro delle numerose strutture, quali le riunioni di sacerdoti, di sacerdoti con laici, per settori geografici o per centri d’interesse, in vista di fini pastorali o spirituali. Tale volontà è sostenuta dalla grazia dello Spirito Santo che assiste e sostiene la Chiesa. Essa merita di essere vivamente incoraggiata; è un richiamo al dialogo e a modi sani ed efficaci di lavoro comune; essa richiede altresì che tutti abbiano una buona conoscenza della natura autentica della Chiesa e del vero senso del servizio cristiano. Nell’Esortazione sulla vita consacrata, la dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni, permette «la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale. Ciò contribuisce a dare un’immagine più articolata e completa della Chiesa» (12).

11. Del resto, le Chiese orientali cattoliche del Libano hanno già creato tra loro strutture di concertazione, di coordinamento e di cooperazione. Modello di riferimento è l’«Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici nel Libano » (APECL) (13). Questa Assemblea viene convocata regolarmente per animare la riflessione e guidare l’azione comune in funzione delle necessità pastorali. Secondo i desideri dell’Assemblea sinodale, essa si è riorganizzata, per una maggiore efficacia pastorale, con la preoccupazione di far partecipare in modo più efficace i sacerdoti e i laici al lavoro comune e alle decisioni ecclesiali. L’esperienza vissuta dai partecipanti all’Assemblea speciale per il Libano ha mostrato quanto i Pastori e i fedeli cattolici si sappiano e si vogliano quali Chiesa, e fino a qual punto essi si promuovano e si stimino reciprocamente nella loro diversità. Questo tempo di grazia rimarrà una sorgente inesauribile di energia, sia per lo slancio verso il rafforzamento della loro unità che per il dispiegamento sempre più autentico delle loro specificità.

Con le altre Chiese e Comunità cristiane in Libano

12. Al termine dell’Assemblea speciale, i Padri, dopo aver dichiarato che non bastava l’unità all’interno della Chiesa cattolica, hanno manifestato la loro determinazione in favore del «dialogo con le altre Chiese cristiane per rispondere alla volontà del Signore espressa nella sua preghiera al Padre: “Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. [...] Siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo sappia che tu mi hai mandato” (Gv 17, 11.21)» (14).

Questo impegno dei Padri del Sinodo riflette la presa di coscienza della gravità che riveste la divisione dei cristiani. Esprime anche il dolore concreto di fronte all’infedeltà alla volontà del Signore. La divisione dei cristiani, infatti, separa spesso persone che vivono fianco a fianco tutti i giorni e che si vogliono bene, che condividono la medesima fede in Cristo e nel Battesimo. Per quanto riguarda gli ortodossi e i cattolici, essi aderiscono a concezioni convergenti su punti essenziali concernenti la Chiesa e i Sacramenti. Molti cristiani, uniti dai legami del Matrimonio soffrono, personalmente e con i figli, di essere stiracchiati tra dottrine differenti sulla Chiesa e sui propri doveri nei suoi confronti. La divisione tra i cristiani non è senza conseguenze talvolta penose per la vita sociale e costituisce una contro-testimonianza agli occhi di molti compatrioti.

Ma, anche se tale situazione costituisce uno scandalo dal punto di vista sia della stessa natura della Chiesa indivisa che della sua missione nel mondo, essa sembra, nel nostro tempo, poter divenire un’occasione di grazia: può servire da stimolo ed incitare di fatto i cristiani a porre tutta la loro convinzione ed energia nell’impegno in favore della comunione della Chiesa e nel compimento di gesti di reciproco perdono. Di fatto, gli ortodossi e i cattolici riprendono coscienza delle antiche tradizioni ecclesiali e sociali che li uniscono e della loro fraternità in Cristo, anche se talvolta, in passato, la loro coabitazione ha assunto un carattere tempestoso. È tuttavia «apparso chiaramente che il metodo da seguire verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e sostenuto dal dialogo della carità» (15). Tale processo dovrà essere perseguito con grande prudenza e atteggiamento di fede, sotto l’impulso dello Spirito Santo (16). Le Comunità ecclesiali uscite dalla Riforma, benché più recenti nel Libano, si ritrovano anch’esse incluse a pieno titolo in questo movimento di riavvicinamento. Tutti i cristiani del Paese desiderano ardentemente che si realizzi la loro piena unità. Insieme con essi, ed in comunione con tutti i nostri fratelli di fede in ogni parte del mondo, noi ci sentiamo invitati a raddoppiare il fervore nella preghiera, affinché si compia tale desiderio, così caro al cuore del Signore. Del resto, fin dal primo momento del cammino sinodale, i Padri hanno dispiegato ogni sforzo per far sì che, nel loro Paese, tutti i credenti in Cristo, Verbo di Dio incarnato, partecipino, almeno con la preghiera, al rinnovamento nella Chiesa (17).

Relazioni con i fedeli delle religioni monoteiste e in particolare con i musulmani

13. Preoccupazione della Chiesa è di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini e i popoli. In realtà, «non possiamo invocare Dio Padre di tutti, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio» (18). Noi formiamo una sola e medesima comunità umana, che Dio ha fatto abitare «su tutta la faccia della terra » (At 17, 26; cfr Gn 1, 26-30); il Signore vuole condurre gli uomini «alla conoscenza della verità » (1 Tm 2, 4) e realizzare la loro sete di felicità eterna (cfr Sal 63 [62], 2).

La Chiesa cattolica considera attentamente la ricerca spirituale degli uomini e volentieri riconosce la parte di verità che entra nell’itinerario religioso delle persone e dei popoli, affermando contemporaneamente che la piena verità si trova in Cristo, inizio e termine della storia, la quale in Lui giunge alla sua pienezza. D’altro canto, mediante la propria ragione, l’uomo conosce il bene e, spinto dalla voce della propria coscienza, è tenuto a compiere il bene e a fuggire il male. «L’esercizio della vita morale attesta la dignità della persona» (19). La Chiesa manifesta grande rispetto verso quanti, quotidianamente, si sforzano di vivere rettamente secondo i valori spirituali, morali e socio-culturali fondamentali, avendo in stima la loro vita morale. L’Islam ed il Cristianesimo hanno in comune un certo numero di valori umani e spirituali incontestabili. Il Concilio Vaticano II ne ha riassunto l’essenziale: «La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano anche di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti nascosti di Dio, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano però come profeta; onorano la sua madre vergine Maria e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio quando Dio ricompenserà tutti gli uomini risuscitati. Così pure essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno » (20).

14. In Libano, le relazioni tra cattolici e con i musulmani sono state difficili in diverse occasioni; per alcuni cittadini libanesi, esse potrebbero risentire ancora oggi della diffidenza causata da diverse incomprensioni alimentate da dolorosi ricordi. Pregiudizi fortemente radicati nei modi di pensare contribuiscono al permanere di una mancanza di fiducia reciproca. Il risveglio di varie forme di estremismo è inoltre profondamente inquietante e non potrebbe non recar danno all’unità del Paese, frenando lo slancio nuovo di cui ha bisogno e ostacolando la convivenza fra tutte le componenti della società.

Per il dialogo costruttivo e il riconoscimento reciproco, al di là delle divergenze importanti tra le religioni, è necessario discernere prima di tutto ciò che unisce i libanesi in un unico popolo, in una medesima fraternità che, in Libano, si manifesta ogni giorno specialmente nella convivenza. Inoltre, cristiani e musulmani del Libano si considerano gli uni e gli altri partecipi della costruzione del Paese; e si fa sempre più vivo negli animi il desiderio di rafforzare l’intesa e la collaborazione vicendevole. Effettivamente, si costituiscono strutture di incontro per conoscersi reciprocamente in maniera sempre più approfondita e per servire insieme il Paese.

Secolarizzazione e mondo moderno

15. Il Libano, tradizionalmente aperto a tutte le culture che lo attraversano, è aperto, per ciò stesso, alle idee che si sviluppano nel mondo moderno. La Chiesa è naturalmente chiamata ad essere attenta alle culture di oggi, per distinguere il buon grano dalla zizzania. Tuttavia, è importante che il Paese e la regione non si lascino prendere dal fenomeno della secolarizzazione. Alcuni ritengono che per il momento vi sia addirittura un «ritorno del religioso », di fronte al quale occorre vigilare e operare un attento discernimento circa gli atteggiamenti religiosi. Se essi attingono alle sorgenti della fede e della speranza, possono costituire occasione di una «nuova evangelizzazione» al popolo e per mezzo del popolo (21); diversamente, simili movimenti rischiano di rimanere superficiali e ambigui.

Ciononostante, uno stile di vita permissivo sembra progressivamente contaminare i costumi, in particolare attraverso i mezzi della comunicazione sociale e mediante persone che, essendo rimaste per lungo tempo lontane dai loro riferimenti culturali, hanno modificato il loro senso morale e spirituale. Molte personalità, sia cristiane che musulmane, sono preoccupate per tale evoluzione.

16. Questi aspetti della situazione, in cui si trova attualmente la Chiesa nel Libano, non sono stati qui richiamati che per invitare i fedeli a riprendere coscienza più chiara dei fondamenti della fede ed a comprendere davanti a Dio la missione ricevuta dal Signore. In funzione delle concrete condizioni nelle quali si trovano attualmente, i cattolici libanesi devono distinguere in se stessi e nelle loro Chiese locali ciò che va conservato e ciò che deve essere «potato» (cfr Gv 15, 2). Questo è il senso dell’appello che ho lanciato fin dalla convocazione dell’Assemblea speciale: «La Chiesa in Libano ascolterà attentamente “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 3, 22), e scruterà con cura i segni dei tempi per discernere gli attuali progetti di Dio sul mondo» (22) e su di essa.

I cristiani nella società civile

17. È evidente che i cristiani del Libano, come tutti i loro concittadini, sperano di godere delle condizioni necessarie allo sviluppo della persona, della famiglia, nel rispetto delle proprie tradizioni culturali e spirituali. In particolare, aspirano alla tranquillità, alla prosperità, ad un reale riconoscimento delle libertà fondamentali, quelle che tutelano ogni dignità umana e che permettono la pratica della fede; aspirano ad un sincero rispetto dei loro diritti e di quelli altrui; infine contano su di una giustizia che consacra l’uguaglianza di tutti davanti alla legge e permette a ciascuno di assumere la propria parte di responsabilità nella vita sociale. Essi sanno bene che tale progetto è per buona parte condizionato dagli anni passati in guerra e dalla grave situazione che incombe su questa regione del Medio Oriente. Sono cosciente delle attuali maggiori difficoltà: la minacciosa occupazione del sud del Libano, la congiuntura economica del Paese, la presenza di forze armate non libanesi sul territorio, il fatto che non sia ancora totalmente risolto il problema dei profughi, come pure il pericolo dell’estremismo e l’impressione di alcuni di essere frustrati nei loro diritti. Tutto ciò alimenta le passioni, così come il timore che i valori di democrazia e di civiltà rappresentati da questo Paese possano essere compromessi. Da ciò, la tentazione di lasciarlo si insinua sempre più nei Libanesi, specialmente nei giovani (23). Perché si possa concretizzare un avvenire più sereno, so che sono necessari molti sacrifici, un’ascesi personale costante in forza della quale ciascuno è esigente con se stesso prima che con gli altri, una presenza attiva, coraggiosa e perseverante nelle questioni della società; ma bisogna confidare anche sulla grazia dell’Altissimo, che trasforma i cuori e le volontà orientandoli verso il bene. L’esperienza passata e presente che i fedeli di Cristo hanno di se stessi e degli altri, attorno a loro e dovunque, è sufficiente per convincerli della potenza delle forze del male, sempre attuale e capace di oscurare le intelligenze, di indurire i sentimenti e di costituire una minaccia per l’avvenire.

Ma, malgrado tutto, in loro la speranza rimane viva. Non hanno perso la fiducia in se stessi né l’attaccamento al Paese ed alla sua tradizione democratica. Il gusto di vivere che li caratterizza e quella fraternità tra tutti che si manifesta soprattutto nei momenti duri, che devono così spesso attraversare, ravvivano senza sosta la loro volontà di collaborare attivamente all’edificazione del loro Paese sulla base dei valori umani che formano la ricchezza del loro patrimonio nazionale.

CAPITOLO II

Nella Chiesa fondare la propria speranza su Cristo

Invito alla speranza

18. I Padri del Sinodo, partendo da un attento esame della situazione attuale della Chiesa nel loro Paese, sono incessantemente tornati su due aspetti principali del mistero cristiano, che sembrava loro necessario approfondire. Si tratta per tutti i fedeli di vivere intensamente il mistero della Chiesa, comunione degli uomini con Dio e tra di loro, e di fondare la loro speranza su Cristo. In linea con le riflessioni dell’Assemblea speciale, invito i membri della Chiesa a riflettere su tali argomenti per rispondere sempre meglio, nella loro vita ecclesiale, alla volontà del Signore. Potranno così cogliere più compiutamente la portata del tema che ha guidato tutto l’itinerario sinodale: «Cristo è nostra speranza: rinnovati dal suo Spirito, solidali, testimoniamo il suo Amore».

1. La Chiesa, mistero di comunione

Dimensioni di tale mistero

19. La Chiesa non si riduce alla sua dimensione visibile, che la potrebbe far apparire unicamente come una comunità confessionale organizzata; nel suo mistero, essa è in comunione con la comunità celeste invisibile: «La Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due realtà, ma formano una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino» (24) strettamente legati tra di loro. Il Concilio Vaticano II dichiara ancora che la Chiesa è un’istituzione «fornita di mezzi adatti per l’unione visibile e sociale» (25), espressione della comunione degli uomini con Dio e tra di loro. Essa «è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (26). Il destino di tutti si gioca nella Chiesa, poiché essa è «mistero dell’unione personale di ogni uomo con la Trinità divina e con gli altri uomini, iniziata dalla fede, e orientata alla pienezza escatologica nella Chiesa celeste, per quanto già incoativamente realtà nella Chiesa sulla terra» (27).

Il concetto di comunione è importante per avere una giusta coscienza della natura della Chiesa. Esso implica sempre una duplice dimensione: verticale (comunione con Dio) e orizzontale (comunione con tutti gli uomini), e un duplice aspetto: visibile (condizione corporale e sociale dell’uomo) e invisibile (unione di grazia con Dio e, in Lui, con tutti gli uomini). (28).

20. La Chiesa, ad immagine del suo Signore, è una realtà «divina e umana che vive nel tempo e nello spazio, con tutto ciò che questo comporta come condizionamento storico, geografico, sociale e culturale. Essa si radica in questa realtà tangibile alla quale deve i tratti del volto che le è proprio e del suo carattere particolare» (29). La figura del «corpo» sta a significare sia che la Chiesa è «radunata attorno a [Cristo]; è unificata in lui, nel suo Corpo» (30), sia che tale «unità del corpo non elimina la diversità delle membra. “Nell’edificazione del Corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi” (cfr 1 Cor 12, 1-11)» (31). La Chiesa si presenta nella sua interezza, come a livello di ogni comunità parrocchiale, «con una grande diversità, che proviene sia dalla varietà dei doni di Dio sia dalla molteplicità delle persone che li ricevono. Nell’unità del popolo di Dio si radunano le diversità dei popoli e delle culture. Tra i membri della Chiesa esiste una diversità di doni, di funzioni, di condizioni e modi di vita» (32).

Il mistero della Chiesa si manifesta nelle Chiese particolari, poiché «nella comunione ecclesiastica, vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni» (33). La «Chiesa particolare», chiamata anche «diocesi» o «eparchia», designa in modo preciso «una porzione del popolo di Dio, che è affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio» (34). E il Vescovo, quale successore degli Apostoli, è principio e fondamento visibile dell’unità della sua Chiesa (35), della quale assicura la crescita e la solidità, insegnando fedelmente la Parola di Dio, presiedendo, personalmente o attraverso un delegato, il culto sacro, in particolare l’Eucaristia, e governando saggiamente e in tutta carità i fedeli del gregge affidatogli (36).

21. In Libano, come in tutto l’Oriente, le Chiese particolari, ad eccezione del Vicariato apostolico latino, sono tradizionalmente riunite in Patriarcati. «Da tempi antichissimi vige nella Chiesa l’istituzione patriarcale, già riconosciuta dai primi concili ecumenici» (37). «Come padre e capo» (38) spetta al Patriarca «la giurisdizione su tutti i Vescovi, compresi i Metropoliti, il clero e il popolo del proprio territorio o rito, a norma del diritto e salvo restando il primato del Romano Pontefice» (39). Egli è il simbolo dell’unità della sua Chiesa patriarcale; garantisce la fedeltà alla tradizione liturgica, teologica, spirituale e disciplinare dell’insieme del suo Patriarcato, così come la comunione con il Successore di Pietro. «I Patriarchi coi loro sinodi costituiscono la superiore istanza per qualsiasi pratica del Patriarcato» (40).

Queste antiche Chiese patriarcali conservano un patrimonio venerabile di cui conviene non soltanto rispettare e custodire, ma ancora più promuovere e incoraggiare «la vitalità, la crescita e il vigore [...] nel compimento della missione loro affidata (cfr Orientalium ecclesiarum, 1)» (41). Il Concilio Vaticano II ha chiaramente riconosciuto la loro legittimità: «Per divina Provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi fondate dagli Apostoli e dai loro successori, durante i secoli si sono costituite in molti gruppi, organicamente uniti, i quali, salva restando l’unità della fede e l’unica divina costituzione della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre che sono come loro figlie, con le quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri. Questa varietà di Chiese locali, fra loro concordi, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa» (42).

In tale quadro, le Chiese patriarcali cattoliche in Libano possono «avere un volto profetico » (43) se ciascuna di esse riuscirà a sviluppare, in armonia con le altre e nell’assoluta fedeltà all’unità della Chiesa universale — ed anzi grazie a questa medesima unità — la propria identità e le ricchezze che la contraddistinguono. L’unità non deve essere ricercata nell’uniformità, quanto piuttosto nell’amore reciproco, nel dono di sé e delle proprie ricchezze, nella carità che unisce tutte le Chiese. È quanto le Chiese sui iuris e il Vicariato apostolico latino si sforzano di vivere in Libano, in particolare grazie all’attività dell’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici del Libano (APECL), creata «affinché la vita della Chiesa in Libano divenga sorgente di armonia e di ricchezza per i suoi figli, come pure testimonianza permanente di intesa e di fruttuosa cooperazione tra tutti i libanesi» (44).

Comunione nello Spirito Santo, divino soffio di unità nella diversità

22. Per comprendere la realtà profonda della vita nella Chiesa, è opportuno meditare sulla presenza in lei dello Spirito Santo che la vivifica: «I santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio vitale, cioè l’anima nel corpo umano» (45).

Lo Spirito è il grande dono del Padre (cfr At 2, 1-4) e del Figlio suo Gesù Cristo (cfr Gv 20, 22) alla Chiesa. Questo dono gratuito è il frutto della glorificazione del Signore, nella sua morte sulla Croce e nella sua Risurrezione (cfr Gv 12, 16; 13, 31-32). Cristo aveva promesso ai suoi discepoli alla vigilia della sua morte: «È bene per voi  che  io  me  ne  vada,  perché  se  non  me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò» (Gv 16, 7).

L’effusione dello Spirito nella Pentecoste suggerisce una nuova creazione. La sera della Risurrezione, Gesù alitò sui discepoli, dicendo loro: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 22). Donò loro un cuore solo e infuse in essi uno spirito nuovo (cfr Ez 11, 19). Questo gesto richiamava la prima creazione dell’uomo: «Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn 2, 7); nella Pentecoste, tale gesto manifesta la creazione nuova.

Il dono dello Spirito trasformò i discepoli in inviati, ad immagine del loro Maestro: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20, 21). Essi si videro affidata una missione di perdono e di riconciliazione (cfr Gv 20, 23), missione che ristabilisce l’unità perduta sin dai tempi antichi. Nella Pentecoste il Signore radunò l’umanità attorno agli Apostoli che cantavano le sue lodi, e «ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. [...] Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia [...] Cretesi e Arabi» (At 2, 6.9.11).

23. La comunione degli uomini tra di loro e con Dio è essenzialmente opera dello Spirito Santo che ci fa essere ad immagine di Dio. È lui che offre il dono di credere in Cristo Signore (cfr 1 Cor 12, 3). Mediante il Battesimo, lo Spirito è conferito ai credenti, nei quali abita come in un tempio (cfr At 2, 38; Rm 8, 9; 1 Cor 3, 16; 6, 19) e permette loro di diventare «figli adottivi» di Dio e pertanto «eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8, 17; cfr Gal 4, 1- 7). Questa adozione non è semplicemente accesso legale all’eredità, ma dono della vita divina nel quale le Tre Persone sono associate: «E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4, 6) e ci configura a Cristo. «Possiamo adorare il Padre perché egli ci ha fatti rinascere alla sua vita adottandoci come suoi figli nel suo Figlio unigenito: per mezzo del Battesimo, ci incorpora al Corpo del suo Cristo e, per mezzo dell’Unzione dello Spirito che scende dal Capo nelle membra, fa di noi dei “cristi” (unti)» (46).

24. Nel giorno dell’Ascensione, Cristo affidò ai discepoli la missione: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20). In altre parole, la Chiesa è inviata sulle strade del mondo ad «annunciare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio» (47). «Così la Chiesa universale si presenta come “un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”» (48), sotto un solo Capo, che è Cristo, mediante il quale e per il quale Dio ha compiuto la riconciliazione, «rappacificando con il sangue della sua croce» tutte le cose (Col 1, 20; cfr Ef 1, 10). In relazione al dono dello Spirito Santo, la Chiesa non cessa di proclamare nel Credo la propria fede nella remissione dei peccati, remissione che è un potere conferito dal Signore ai suoi ministri (49). Mediante «la comunione con Lui, lo Spirito Santo rende spirituali, [...] riconduce al Regno dei Cieli e all’adozione filiale, dona la fiducia di chiamare Dio Padre e di partecipare alla grazia di Cristo, di essere chiamati figli della luce e di aver parte alla gloria eterna» (50).

L’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi è stata l’occasione per un esame di coscienza destinato anzitutto a preparare la Chiesa in Libano a ricevere una più grande effusione dello Spirito. Solo lo Spirito può condurre alla metanoia, alla conversione che porterà questa Chiesa a percepire meglio la sua vocazione e a riprendere la propria strada con rinnovata vitalità, in uno spirito di riconciliazione tra cristiani e tra questi e i loro compatrioti (51).

25. Su alcuni punti importanti, relativi alla fede nel mistero della Chiesa, con le Chiese ortodosse abbiamo delle posizioni comuni. Le teologie e le spiritualità delle Chiese d’Oriente si sono sviluppate, nel corso dei secoli, essenzialmente attorno al tema della divinizzazione dell’uomo, che è già cominciata quaggiù. Questo soffio è il medesimo che ha animato l’Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi: «Noi ci impegniamo a rispondere fedelmente all’opera di deificazione che Dio opera in noi, e al diffondersi del Regno di Dio sulla terra» (52). Le Chiese patriarcali cattoliche in Libano sono pertanto ben radicate nella Tradizione (53).

26. La meditazione sulla Chiesa, mistero di comunione, è dunque inseparabile da quella sul mistero della Trinità, nel quale essa ha la sua origine ed insieme la meta verso cui è incamminata. Mediante la comunione dello Spirito Santo (cfr 2 Cor 13, 13), la Chiesa partecipa alla vita intima di Dio, la cui essenza è ineffabile comunicazione d’amore tra le Tre Persone. Essa è inoltre chiamata a comunicare questa vita divina al mondo e a prolungarvi la missione del Figlio e dello Spirito. In lei si compie l’opera della Trinità. Nello Spirito Santo, essa è pertanto inseparabilmente comunione, comunicazione e missione: si tratta di caratteri che si sviluppano in costante concatenamento. È questo che fonda gli aspetti pastorali della missione della Chiesa, e più precisamente della presente Esortazione post-sinodale, poiché è l’unità trinitaria che apre all’azione ecclesiale nel mondo.

In effetti, il Dio di Gesù Cristo non è rinchiuso in una eterna solitudine ma è relazione nell’unità dell’essenza tra le Tre Persone divine e, per grazia, dono di sé al mondo. Quanto conosciamo del mistero di Gesù Cristo ci insegna che la vita interna di Dio è dono totale e reciproco della natura divina tra il Padre, il Figlio e lo Spirito: il Padre, fonte eterna della divinità che riversa se stesso senza limiti sul Figlio da lui generato, il Figlio che si offre eternamente al Padre in cantico di azione di grazie, nello Spirito Santo, ipostasi sussistente di tale scambio d’amore, perfetto ed eterno.

Alla luce del mistero della vita intima di Dio Trinità, noi comprendiamo meglio il mistero della Chiesa, mistero attuato con l’invio del Figlio all’umanità e reso perfetto col dono dello Spirito, grazie al quale la Chiesa cammina sulla terra in attesa della glorificazione del Padre nel compimento del Regno nei cieli.

II. Cristo è la speranza dei cristiani

Cristo, Buon Pastore del suo Popolo

27. È in Cristo, Verbo di Dio incarnato, morto e risuscitato, misteriosamente presente in mezzo a loro e con loro sulle strade del mondo, che fondamentalmente si radica la speranza dei fedeli di tutta la Chiesa. Su queste strade, è il loro Buon Pastore, la loro vera Luce e la potenza di Dio in mezzo ad essi. La figura del Buon Pastore, che si ritrova nelle più antiche tradizioni, è stata anche uno dei temi tra i più costanti del Cristianesimo. Il Signore stesso si è così descritto (cfr Gv 10, 11). I cristiani riconoscono in essa una immagine notevolmente espressiva della persona di Gesù Cristo. Egli è Colui che li ha amati fino all’estremo dell’amore (cfr Gv 13, 1). «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Egli ha donato la sua vita per amore, liberamente e volontariamente (cfr Gv 10, 18).

Gesù è interamente penetrato dal suo amore infinito di Figlio verso il Padre. Non è per fare la propria volontà che è disceso dal cielo, ma per compiere la volontà di Colui che l’ha inviato (cfr Gv 6, 38). Gesù stesso ha detto: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16) e: «Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (Gv 6, 40). Meditiamo instancabilmente l’inno antico che ci riporta san Paolo: «Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 6-8). La Lettera agli Ebrei mostra in termini vigorosi il senso del sacrificio del Signore: «Ed è appunto per quella volontà [del Padre] che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (10, 10).

28. La speranza cristiana si fonda sulla fede in Gesù Cristo e sul dono del suo amore. Per «la fede (che) è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11, 1), noi tendiamo verso il compimento delle promesse del Signore. Questa speranza «risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall’egoismo e conduce alla gioia della carità» (54).

Ed è l’amore che dona tutto il suo dinamismo alla speranza. Non si tratta tanto di ricercare una felicità individuale, quanto di ricercare la felicità di coloro che si amano, di tutta la comunità umana nella quale si vive. L’amore, in effetti, è all’origine dell’Incarnazione del Verbo di Dio, della venuta dello Spirito Santo e della fondazione della Chiesa, comunione degli uomini con Dio e tra di loro. Noi riponiamo la nostra speranza nella persona stessa di Gesù, Emanuele, Dio-con-noi.

Il desiderio di essere uniti al Signore e di essere in comunione con i propri fratelli è l’espressione più alta della speranza e dell’amore cristiani. Siamo generalmente lontani dal vivere pienamente questo desiderio, la cui sorgente è in Colui che ci ha salvati con il suo sangue e rivivificati con la sua Risurrezione. Egli è, in effetti, il capo del corpo del quale noi diveniamo le membra mediante il Battesimo e al quale noi ci conformiamo sempre maggiormente attraverso l’Eucaristia; Egli è la vite della quale noi siamo i tralci e la sua vita divina scorre in noi. È lo Spirito che ha ispirato alla Chiesa di lasciarsi conquistare da questa «speranza [che ci] spinge costantemente alla rinascita [...] al fine di configurarci a Cristo» (55). Nella speranza del compimento finale del disegno di Dio, lo Spirito e la Chiesa dicono: ««Vieni!». Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita. [...] Amen. Vieni, Signore Gesù» (Ap 22, 17.20).

Il Verbo Incarnato è Buon Pastore del suo popolo per sempre. È venuto a ritrovare la pecora smarrita ed a ricondurla presso il Padre (cfr Lc 15, 4-7). Dall’alto del cielo, dove è andato a prepararci un posto (cfr Gv 14, 2), intercede per noi presso il Padre (cfr Rm 8, 34; 1 Gv 2, 1; Eb 2, 17). Ha affidato a Pietro (cfr Gv 21, 15-17), agli altri Apostoli e, dopo di essi, ai loro successori di vegliare fedelmente sul suo gregge nell’attesa del suo ritorno alla fine dei tempi. Egli ha inviato lo Spirito Santo alla sua Chiesa e, sottraendosi ai loro occhi (cfr At 1, 9) il giorno dell’Ascensione, ha assicurato la sua presenza: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).

Cristo, luce vera del mondo

29. Le molteplici difficoltà che i fedeli del Libano hanno dovuto affrontare lungo i secoli e che continuano a conoscere sotto diverse forme — dovute alla loro debolezza o alle circostanze esteriori — costituiscono sovente un ostacolo serio alla loro speranza (56). Auguro che tutti possano ascoltare l’appello dei Padri sinodali, a conclusione del loro Messaggio. Loro punto di partenza era la meditazione di una grande pagina dei Vangeli del Signore risuscitato (cfr Lc 24, 13-35): «Noi siamo questi discepoli di Emmaus [...]. Anche noi abbiamo dubitato della presenza tra noi di Cristo Risorto. Egli però si è unito a noi lungo il cammino [...]. Anche noi lo abbiamo pregato: “Resta con noi perché si fa sera”. Poi lo abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane, poiché Egli è colui che spezza il pane e lo fa condividere. Ritorneremo quindi tra di voi per dire: Fratelli e sorelle non abbiate paura, Cristo è risorto; l’abbiamo ritrovato; non lo lasceremo più» (57). Sì, è Gesù che apre gli occhi degli uomini, perché essi riconoscano la sua presenza. Nella sua luce, i discepoli comprendono che Egli domanda loro di vivere una speranza esigente: «Sperare è impegnarsi» alla condivisione e alla comunione, così come lo domanda l’Assemblea speciale (58).

30. Cristo è luce vera che, attraverso la sua Persona, la sua opera e il suo insegnamento, ravviva in noi la speranza in tutte le sue dimensioni. Nella sua Persona noi scopriamo il senso del nostro essere e della nostra missione. Perché Egli è «un solo e medesimo Figlio, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità» (59), apprendiamo che la sete d’assoluto, che caratterizza la nostra natura umana, non è vana. Con Lui ed in Lui, il Regno dei cieli, nome biblico dell’intimo incontro dell’umanità con il suo Signore e della sua unione a Lui, è già in mezzo a noi (cfr Mt 12, 28). Nella storia, attraverso i piccoli e grandi avvenimenti, comincia già l’incontro con Dio e sono vissuti impegni costruttivi, che hanno un vero valore d’eternità. Il Concilio Vaticano II ha insegnato che «la speranza escatologica non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno della attuazione di essi» (60).

31. Il Regno di Dio, preparato nell’Antico Testamento, inaugurato nel Nuovo, raggiungerà la sua pienezza alla fine dei secoli. Fin da ora «con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo, al quale è stato dato ogni potere, in cielo e in terra, agisce nel cuore degli uomini in virtù del suo Spirito» (61). Certo, alla fine dei tempi, quando Cristo avrà ricapitolato tutte le cose in se stesso (cfr Ef 1, 10), affinché «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15, 28), la realizzazione definitiva del disegno divino ci sorprenderà. Tuttavia, come nell’uomo Gesù la divinità non ha dissolto l’umanità, ma l’ha elevata alla sua più alta perfezione, nello stesso modo, la nostra incorporazione a Cristo e la ricapitolazione dei tempi e della storia in Lui non aboliranno il valore di questo mondo, ma lo perfezioneranno: «Infatti, i valori, quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati [...]. Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione » (62). Nel «nuovo cielo» e nella «nuova terra », che allora prenderanno il posto degli attuali, riconosceremo con gioia le tracce di ciò che c’era di più bello in questo mondo e di ciò che di migliore vi abbiamo compiuto.

32. L’appello del Sinodo, «Sperare è impegnarsi», significa che i cristiani hanno una responsabilità effettiva per affrettare la realizzazione dei disegni di Dio; possono e devono contare sulla presenza attuale del Risorto in mezzo ad essi e sull’azione silenziosa dello Spirito nel mondo, ma, guidati e sostenuti dalla Parola di Dio e dalla grazia, devono essi stessi agire. Dio persegue l’economia della salvezza con la collaborazione, liberamente offerta, dei giusti. È il «sì» di Maria che ci ha procurato l’Incarnazione del Figlio ed è grazie alla risposta volontaria degli Apostoli all’appello del Signore che la sua Parola divina ci è pervenuta. Chi annuncia il Vangelo è «cooperatore di Dio» (1 Cor 3, 9). Attraverso la mediazione della Chiesa e aiutati dalla testimonianza dei nostri fratelli, noi continuiamo, secondo la volontà espressa di Gesù (cfr Mt 28, 18-20; Gv 20, 21- 23), a ricevere la vita divina, ad essere uniti al Corpo di Cristo e ad essere riconciliati con Dio. Oggi ancora, è volontà di Cristo che i cristiani del Libano facciano conoscere ed amare il suo Nome.

In questa prospettiva, i Padri del Sinodo non hanno trascurato alcun aspetto della vita personale e pubblica, religiosa e politica, dei loro fedeli: «Nelle nostre preghiere e nelle nostre riflessioni, nessuna questione essenziale è stata esclusa, nessuna categoria di persone è stata dimenticata, nessuna difficoltà è stata attenuata » (63). Essi sintetizzano così gli sforzi dispiegati con tutti i loro fedeli, clero e laici, durante il cammino sinodale per discernere i «segni dei tempi» inscritti nella vita delle persone e delle Chiese locali, alla luce della vita e dell’insegnamento del loro Maestro e Signore, nostro riferimento ultimo: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68-69). Nella chiarezza del Vangelo, proclamavano che la speranza doveva stimolare i fedeli nei loro impegni, senza esitazione, in spirito e verità, in comunione con Dio e con i membri della Chiesa, per rendere ogni giorno la vita sociale e nazionale più fraterna e più giusta.

33. La speranza dei cristiani del Libano è dunque essenzialmente di rispondere alle esigenze di Cristo, là dove sono posti, così come scrive la Lettera a Diogneto: «Essi sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo» (64) e si sentono impegnati a rendere percepibile l’amore del Signore. Ricorderò qui le sagge parole del Consiglio dei Patriarchi cattolici d’Oriente, indirizzate ai fedeli del Libano: «Le situazioni difficili con le quali ci dobbiamo confrontare non ci devono portare a fuggire, a porci lontano dal nostro universo, o a disgregarci in esso. Devono ricondurci piuttosto alle radici della nostra fede per trovare in esse la forza, la costanza, la fiducia e la speranza » (65). In questa perturbata regione del mondo, i cristiani devono prendere coscienza della gravità della loro missione: «La nostra presenza cristiana — hanno detto ancora i Patriarchi — non vuole essere una presenza per noi stessi. Perché Cristo non ha fondato la sua Chiesa perché sia al servizio di se stessa, ma perché sia una Chiesa confessante e portatrice di una missione, la missione stessa del suo Fondatore e Maestro. L’insuccesso della testimonianza e della missione nella nostra vita cristiana e nel nostro cammino ecclesiale si tradurrebbe nella smentita di noi stessi e della missione per la quale il nostro Salvatore ci ha chiamati» (66).

I cristiani sono chiamati senza sosta a superare le loro inquietudini per la propria sorte, per provare il vero timore dei saggi di Dio (cfr Pro 1, 7; Sal 111 [110], 10; At 10, 34-35), quello di non esserGli fedeli e di venir meno alla sua giustizia: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (Mt 10, 28). Avere fiducia in Dio significa innanzi tutto essenzialmente consacrarsi senza indugio al servizio del Regno di Cristo: «Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete [...]. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta » (Mt 6, 25.33).

34. Ogni persona umana, lungo la sua strada, incontra la sofferenza. Il discepolo non è più grande del Maestro; come Lui, deve accettare la Croce. Il cristiano non ricerca la sofferenza, deve lottare contro di essa, per se stesso e per gli altri (67), perché sa che è un male, una conseguenza del peccato degli uomini fin dalle origini (cfr Gn 3, 16-19). Ma quando essa è ineluttabile, la sopporta nella fede, in risposta alla richiesta del Signore: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).

Questa croce comprende inevitabili dolori nella vita degli uomini, ma comprende anche per il credente la sofferenza d’essere lui stesso un ostacolo all’amore di Cristo, un riflesso sfigurato del suo volto. Per la grazia di Colui che ha vinto la morte ed il peccato, un’altra logica deve ormai guidare il cristiano: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova» (2 Cor 5, 17), che obbedisce alla «Legge di Cristo» (Gal 6, 2), quella delle Beatitudini e della carità che non conosce limiti. Questa «Legge di Cristo» è frutto dello Spirito Santo, è «carità, gioia, pace, longanimità, benevolenza, bontà, fiducia negli altri, dolcezza, dominio di sé» (Gal 5, 22-23). Essa è l’opposto della legge del mondo, sottomesso alla forza del peccato che produce «fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gal 5, 19-21). Come ricorda san Paolo, ogni persona fa l’esperienza nella sua carne e nel suo spirito di questa tensione caratteristica della condizione delle creature peccatrici: «Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra» (Rm 7, 22-23). E le conseguenze dell’influenza del peccato possono compromettere gravemente la pace sociale ed alimentare scontri che distruggono.

In ogni croce che egli accetta di portare per amore di Cristo, il credente sa di partecipare con Lui alla salvezza del mondo: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24). Sa inoltre che l’ultima parola di questo confronto con il male, quando esso è condotto in Cristo, è il trionfo della risurrezione: «Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione» (Rm 6, 5; cfr Fil 3, 10-11).

Alla luce della Persona, della vita e dell’insegnamento del Salvatore, la Chiesa cattolica in Libano è chiamata a rinnovarsi, con il dinamismo della speranza e la generosità dell’amore, se necessario anche a prezzo di reali sacrifici (68), in assoluta fedeltà al Signore, alla missione che Egli le ha affidata e allo Spirito nel quale vuole che essa si compia.

Cristo, Potenza di Dio

35. Il dramma vissuto durante questi ultimi anni dalla Chiesa cattolica in Libano è stato per essa una dolorosa occasione per sperimentare la necessità della conversione al fine di vivere il Vangelo, per rimanere nell’unità, per dialogare sinceramente con le altre Chiese e Comunità cristiane tendendo verso la piena unità, per così costruire, con gli altri cittadini, una società capace di aperto dialogo, di convivialità e di attenzione verso gli altri, soprattutto verso i fratelli più bisognosi.

È evidente che tale rinnovamento supera assolutamente le forze umane. Questo, i cristiani lo sanno e ci tengono a proclamarlo, affinché Dio ne sia glorificato. Essi tuttavia sanno porre la loro fiducia in Dio «ricco di grazia e di fedeltà » (Es 34, 6), e del quale «i doni e la chiamata sono irrevocabili» (Rm 11, 29), lui che conosce la profondità della nostra debolezza. Ripongono la loro fiducia in Gesù Cristo, giacché «tutte le promesse di Dio hanno il loro sì in lui» (2 Cor 1, 20), e «se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2 Tm 2, 13). Pongono la loro fiducia nello Spirito Santo che ricorda loro tutto quello che Gesù ha insegnato (cfr Gv 14, 26), che dà loro di rigenerarsi (cfr Rm 7, 6), di formare un solo corpo (cfr 1 Cor 12, 13) e di crescere nella comunione e nell’unica speranza (cfr Ef 4, 3-4).

La Chiesa in Libano deve poggiarsi su Cristo, cuore della sua speranza, Lui, il Verbo incarnato che ha vinto il peccato e la morte. È vero che il male e la morte non sono eliminati e che tutti risentono le conseguenze del peccato, sia a livello individuale che nelle relazioni interpersonali ed intercomunitarie. Ma per mezzo di Cristo gli uomini possono essere in comunione di vita con Dio, e gli uni con gli altri.

Per vincere la paura, per convertirsi all’umiltà, per essere capaci di disinteresse, per superare l’egoismo, per comprendere che «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20, 35), e che è più fecondo occuparsi degli altri che chiudersi in se stessi, nessuno può contare sulle sole sue forze. Cristo d’altronde ci ha avvertiti: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15, 5). Egli ha anche confortato san Paolo: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9); ed ha dichiarato ai discepoli: «Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16, 33).

36. È per questo, cari figli e figlie della Chiesa cattolica libanese, che l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi vi esorta a lasciarvi afferrare da Cristo, per progredire nella comunione che Lui solo può rendere perfetta. Potrete allora proseguire con coraggio un dialogo sincero e costruttivo con i vostri concittadini. Tale dialogo suppone tutta un’ascesi dell’ascolto e della parola: volere e sapere comprendere il senso profondo del discorso e del comportamento dell’interlocutore, afferrare la sorgente della sua esperienza e le prospettive umane nelle quali si trova, esprimersi in modo che la parola possa essere compresa realmente dall’altro e comportarsi secondo il Vangelo così che la testimonianza della vita renda credibile la parola. Così sarete fedeli alla missione evangelizzatrice affidata dal Signore alla sua Chiesa: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20).

Dal punto di vista della fede e della carità, andare verso l’altro non può limitarsi a comunicargli ciò che noi abbiamo compreso del Signore, ma consiste anche nel ricevere da lui il bene e il vero che gli è stato dato di scoprire. Progrediamo così in una conoscenza sempre più grande dell’unico vero Dio e di Colui che Egli ha inviato, il Figlio Gesù Cristo (cfr Gv 17, 3). Perché se «la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1, 17), lo Spirito di Dio che soffia nella Chiesa, soffia anche in tutta la comunità umana. Come insegna il Concilio Vaticano II, «dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (69). Nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà lavora invisibilmente la grazia (70).

Tutto questo la Chiesa lo ha appreso da Cristo, Buon Pastore; da Lui essa riceve la forza di viverlo, affinché gli uomini credano in Lui ed entrino nella nuova vita. Come Giovanni Battista, essa vive per «rendere testimonianza alla luce» (Gv 1, 7), perché lo Spirito le ha rivelato che il Verbo è «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9), e che Egli è l’unica «Potenza di Dio e Sapienza di Dio» (1 Cor 1, 24). In lui e per lui l’uomo conosce se stesso, scopre il senso della vita e acquisisce la capacità di impegnarsi nella vera vita e di trascinarvi anche gli altri.

 

CAPITOLO III

Sinodo per il rinnovamento della Chiesa

Convocazione e lavori del Sinodo

37. L’Assemblea Speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi è stata convocata anzitutto perché la Chiesa cattolica in Libano sia rinnovata in Cristo nostra speranza, mediante lo Spirito Santo, affinché sia cioè fedele alla sua vocazione, alla sua missione ed alla sua ragion d’essere nel disegno d’amore del Padre per la salvezza di tutti gli uomini. In risposta all’invito che avevo fatto nella mia Lettera ai Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi cattolici del Libano (71), i Lineamenta proponevano a tutti i cattolici libanesi una seria ricerca sulla fedeltà nel passato alla missione voluta dal Signore. «Nella situazione attuale [...] la Chiesa in Libano si interroga se è stata fedele, se è ancora fedele a ciò che il Signore le ha riservato, in se stessa e per la sua missione» (72).

Le riflessioni a partire dai Lineamenta sono state sintetizzate nell’Instrumentum laboris e, su questa base, i Padri Sinodali hanno indicato a grandi linee gli ambiti nei quali il rinnovamento è necessario, come pure sono necessarie profonde conversioni; ciò esige prima di tutto un itinerario continuo di preghiera, di sacrificio e di riflessione, per porsi sotto l’azione dello Spirito e per fare la volontà di Dio, poiché è Lui che fa crescere e noi siamo suoi cooperatori (cfr 1 Cor 3, 5-9).

In un primo tempo, i Padri hanno specificato cosa significhi «essere rinnovati nello Spirito da Cristo». Poi, sotto lo sguardo di Cristo, si sono chiesti con tutta sincerità a quale rinnovamento sono chiamati i cattolici libanesi, ciascuno secondo il proprio carisma in seno alla propria Chiesa particolare, come pure nell’insieme della Chiesa cattolica. In seguito, hanno indagato sulle trasformazioni da operare nelle principali strutture e istituzioni ecclesiali. Infine, con grande sollecitudine pastorale, hanno delineato come dare inizio a tale rinnovamento e come formarvi i fedeli.

Lo Spirito Santo, agente di rinnovamento

38. «La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Il Cristo non ci lascia orfani nelle nostre tribolazioni; viene in soccorso alla nostra debolezza, per far di noi dei discepoli secondo il suo cuore. Ci ha dato il suo Spirito come Consolatore e sorgente di verità: «Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza» (Gv 15, 26). «Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera [...] e vi annunzierà le cose future» (Gv 16, 13). Per rafforzare la fede, la speranza e la carità dei fedeli e per ravvivare il loro ardore missionario, è verso tali «cose future» che occorrerà puntare lo sguardo, poiché è in funzione del senso della storia, della quale il Cristo è l’alfa e l’omega, e in funzione della felicità alla quale egli ci invita, che i cattolici libanesi sono chiamati a convertirsi e a cambiare la propria vita sotto l’azione dello Spirito; così, a poco a poco, apparirà su questa terra, un mondo nuovo con l’aiuto dello Spirito Santo, che ci comunica la vita nuova che viene da Dio (73).

Ecco perché il rinnovamento che il Sinodo deve favorire sarà, in primo luogo, opera dello Spirito Santo. Tutti i membri della Chiesa si devono porre al suo ascolto, riconoscendo di aver peccato quando hanno fatto la propria volontà piuttosto che quella divina (cfr 1 Sam 7, 1-17), e quando hanno voluto realizzare i propri progetti personali piuttosto che costruire il Corpo di Cristo, seguendo umilmente Colui che ne è il Capo e solo può condurre la Chiesa al suo compimento (74). La collaborazione di tutti all’azione dello Spirito Santo è la risposta costante al grande dono del rinnovamento: «Camminate secondo lo Spirito. [...] Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5, 16.25). A tale scopo, l’Assemblea sinodale invita insistentemente i battezzati in un solo Spirito ad abbeverarsi alla sua fonte (cfr 1 Cor 12, 13) per portare frutti nella propria vita personale, e per il rinnovamento di tutta la Chiesa (cfr Gal 5, 22-24) (75).

I. Le sorgenti e i frutti del rinnovamento

La Parola di Dio

39. Lungo il suo pellegrinaggio verso il Regno, del quale costituisce sulla terra il germe e l’inizio (76), la Chiesa è nutrita dalla Parola vivente di Dio mediante lo Spirito, che è stato anche l’ispiratore degli Autori sacri, offrendo così ogni giorno al Popolo di Dio la possibilità di accedere alla pienezza del senso di tale Parola e di contemplare il Verbo di Dio che «si è vestito della carne affinché noi potessimo vestirci dello Spirito» (77). «Nei Libri Sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro; nella Parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale» (78). Sulla scia dei Padri Sinodali, invito dunque tutti i fedeli ad un ascolto rinnovato di Dio che, nel Verbo fatto carne, ha dato tutto al mondo, e «del quale la Sacra Scrittura è testimone privilegiato, fedele e veritiero» (79). Riprendendo l’orientamento di san Girolamo, il Concilio Vaticano II non ha mancato di attirare l’attenzione dei cristiani sul posto che bisogna accordare alla Parola di Dio, poiché «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (80). Lungo la loro storia, le Chiese d’Oriente hanno sviluppato la lettura della Parola di Dio, perché «ciascuno, secondo i propri bisogni, impara dalla Scrittura ispirata» (81), specialmente mediante la lectio divina che permette di scoprire che «esiste nelle Sacre Scritture una specie di forza che è sufficiente, anche senza spiegazioni, a colui che le legge» (82). Sull’esempio dei Padri, l’Oriente cristiano ha fatto una lettura mirabile della Scrittura, mediante un’esegesi sapienziale che unisce strettamente la teologia e la vita spirituale.

L’Assemblea sinodale ha evidenziato in modo particolare il legame vitale che unisce la Parola di Dio e la Chiesa nel mistero di Cristo, morto e risorto, Pane di vita per quanti credono in lui (cfr Gv 6). È il Cristo, Verbo di Dio, che viene proclamato nella Chiesa ed è lui che la nutre alle due mense della Parola e del suo Corpo e che, in tale maniera, la edifica (83). «Noi abbiamo il cibo datoci dagli Apostoli [la Parola di Dio]; nutritevene e non sentirete debolezza alcuna. Mangiate anzitutto questo alimento, così da poter poi giungere al nutrimento di Cristo, al cibo del Corpo del Signore» (84). Per tale ragione la Chiesa in Libano è spinta oggi dallo Spirito Santo ad accogliere la Parola di Dio, ad annunciarla e a metterla in pratica. Così, nel ministero dei sacerdoti, l’insegnamento del mistero cristiano deve occupare un posto preminente e divenire oggetto di una preparazione minuziosa. In effetti, a confronto con culture e scienze che pongono delle domande importanti alla fede, i nostri contemporanei hanno bisogno di una formazione organica, di una seria cultura religiosa e di una vita spirituale forte, se vogliono seguire il Cristo. Desidero attirare particolarmente l’attenzione dei Pastori sulle omelie domenicali, che devono essere preparate con molta cura, attraverso la preghiera e lo studio. A tale proposito, incoraggio vivamente l’iniziativa di offrire ai sacerdoti dei sussidi contenenti analisi esegetiche che possono aiutare la meditazione personale e che permettono di preparare più intensamente le omelie. Esse hanno quale principale funzione quella di aiutare i fedeli a vivere la fede nella loro esistenza quotidiana e ad entrare in dialogo con i loro fratelli. Allo stesso modo, la diffusione della Bibbia stampata e l’opportunità offerta ai laici di prendere parte a sessioni formative di esegesi permettono ad «un numero più grande di leggere la Parola di Dio, di meditarla, di pregarla e di viverla» (85).

La Tradizione apostolica

40. È mediante l’indefettibile assistenza dello Spirito Santo che viene trasmessa nella Chiesa la Tradizione ricevuta dagli Apostoli, la quale è «memoria viva del Risorto» (86). Sotto forme diverse, la Tradizione apostolica ha evangelizzato le culture presenti in Libano, avendo cura di valorizzare le ricche sensibilità spirituali e le lingue locali. Accanto alla tradizione armena che nella sua originalità è legata ai Padri cappadoci e siriaci, vi è l’antichissima tradizione antiochena, d’origine sia ellenistica che aramaica. Tutte queste radici sono comuni alle Chiese orientali cattoliche e alle Chiese ortodosse. Tale santa e vivente Tradizione pluriforme è stata trasmessa dai Padri della Chiesa e dagli autori spirituali, dalla divina Liturgia, dall’esempio dei martiri, dei santi e delle sante. La fedeltà alla Tradizione permette un vero «ritorno alle fonti» mediante il quale lo Spirito Santo vuole rinnovare ogni Chiesa particolare, e sviluppare la comunione tra tutte (87). Docile a Dio Trinità, il fiume della grande Tradizione vivente anima la Chiesa, affinché essa annunci in ogni cultura e ad ogni epoca il mistero cristiano. «Nella misura in cui la Chiesa si è sviluppata nel tempo e nello spazio, la comprensione della Tradizione, della quale è portatrice, ha conosciuto anch’essa le tappe di uno sviluppo, la cui investigazione costituisce, per il dialogo ecumenico e per ogni autentica riflessione teologica, un percorso obbligatorio» (88).

41. Durante l’Assemblea sinodale, molti interventi hanno deplorato che i fedeli ignorino la propria tradizione ecclesiale e quelle dei loro fratelli. Altri hanno affermato che il radicamento delle Chiese di Antiochia nella loro comune tradizione è un’esigenza vitale per il proprio rinnovamento, per la comunione tra le Chiese patriarcali cattoliche che da essa dipendono, per il dialogo ecumenico e per la missione (89). Per tale ragione, è importante insistere sul recupero del valore delle tradizioni patristiche, liturgiche e iconografiche della Chiesa cattolica in Libano, tradizioni che offrono al popolo libanese dei percorsi spirituali per incontrare il Dio vivo e vero, e per divenire l’icona vivente di Cristo (90). Occorrerà anche proseguire la valorizzazione degli scritti arabi cristiani nel campo della teologia, della spiritualità, della liturgia e della cultura generale; si tratta di altrettanti tesori che hanno arricchito la tradizione antiochena a partire dal VII secolo. Infine, a livello dei mezzi, molte iniziative sono da promuovere o da incoraggiare: ricerche scientifiche, traduzioni, programmi rinnovati negli organismi di formazione teologica e catechetica, proposte di formazione per adulti e giovani, come pure biografie dei testimoni della fede di tutti i tempi, la conoscenza dei santuari della tradizione e la preoccupazione di far conoscere le tradizioni delle Chiese orientali nelle comunità cattoliche della diaspora (91).

La liturgia

42. È soprattutto nella Celebrazione eucaristica che lo Spirito Santo rinnova la Chiesa, conformandola sempre più al suo Signore. L’Eucaristia è il pane quotidiano che ci unisce a Cristo, che fa di noi membra vive del suo Corpo e che ci mantiene nell’unità (92). In tal modo, noi diveniamo ciò che riceviamo, per «riflettere come uno specchio la gloria di Dio, con viso scoperto e una coscienza pura» (93). La Liturgia, fonte e culmine della vita e dell’azione della Chiesa, è la celebrazione del mistero pasquale, specialmente nell’Eucaristia, ma anche negli altri Sacramenti e nell’ufficio divino, chiamato pure «Liturgia delle ore». Nel corso dell’anno, in particolare nelle chiese parrocchiali dove si raduna la comunità cristiana è nella celebrazione dei «Santi Misteri» che la Parola di Dio è in maniera efficace «spirito e vita» (Gv 6, 63) e che la Tradizione santa manifesta maggiormente la sua forza vivificante. La conoscenza intima della Santa Trinità si realizza particolarmente nella costante preghiera della Chiesa, mediante Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini, e mediante lo Spirito che ci sospinge a ripetere incessantemente Abbà, Padre (94). Lungo i secoli si è sviluppata «la ricchissima innografia liturgica [...]: quegli inni sono in gran parte delle sublimi parafrasi del testo biblico» (95), che i fedeli assimilano per nutrire la loro preghiera.

Partecipazione alla liturgia celeste e anticipazione del «mondo che verrà», la Divina Liturgia è il dono grazie al quale le Chiese orientali hanno potuto mantenersi salde nella speranza attraverso secoli di tribolazioni. Sorgente perenne che ha nutrito e animato la fede, essa necessita oggi di un approccio pastorale nuovo, conforme agli orientamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, nella fedeltà alle tradizioni spirituali specifiche. Tale attenzione rinnovata è essenziale affinché si sviluppi la pastorale liturgica e sacramentale, e tutti i fedeli possano partecipare più attivamente alla vita liturgica; così, le celebrazioni diverranno sempre più vere e più significative (96). Raccomando ai Pastori di vigilare a che le riforme liturgiche intraprese conservino la bellezza e la dignità delle celebrazioni, che formano un patrimonio comune alle Chiese orientali; è indispensabile che tali riforme non snaturino il senso teologico dei Santi Misteri, così che, secondo le norme della Chiesa cattolica e nel rispetto delle tradizioni ecclesiali proprie, le diverse Chiese particolari abbiano coscienza di essere in comunione e in armonia con tutta la Chiesa (97). Perché le riforme riescano, sarà opportuno seguire i criteri offerti dall’Istruzione per l’applicazione delle regole liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, pubblicata dalla Congregazione per le Chiese Orientali (98). Perché sia messo in atto tale rinnovamento, il Padri Sinodali hanno insistito su talune condizioni indispensabili, quali il lavoro di commissioni liturgiche al livello dei Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali, delle Eparchie o delle parrocchie, la formazione iniziale e permanente dei sacerdoti, dei diaconi e dei responsabili laici, la conoscenza delle tradizioni e della pastorale liturgica. Lungi da ogni ricerca di prestigio, tutti avranno a cuore di far emergere la verità profonda e la bellezza del mistero della fede che viene celebrata (99).

La preghiera personale e comunitaria

43. Al termine degli interventi in sessione plenaria, la Relazione di sintesi dell’Assemblea sinodale ha ricordato con coraggio come le trasformazioni nella vita personale e sociale necessitano di una liberazione profonda nel seno stesso della Chiesa cattolica in Libano, la liberazione interiore che ci viene da Cristo attraverso la vita spirituale. Prima dunque di trasformare le proprie strutture, è urgente che la Chiesa in Libano si lasci trasformare da Cristo e compia pienamente in ogni fedele l’opera della «deificazione», tema così caro alla teologia orientale (100). «Per la potenza dello Spirito che dimora nell’uomo la deificazione comincia già sulla terra, la creatura è trasfigurata e il Regno di Dio è inaugurato» (101). È pertanto importante che tutto sia posto in opera affinché i fedeli siano guidati nell’iniziazione alla preghiera personale e comunitaria e possano ravvivare la loro vita spirituale nel loro ambiente di ogni giorno e in luoghi di silenzio e di accoglienza e nei monasteri. È motivo di consolazione inoltre che si stiano sviluppando gruppi di preghiera, chiamati ad essere autentiche comunità ecclesiali e testimoni della forza ottenuta mediante la preghiera.

II. Il rinnovamento delle persone

L’unità nella diversità

44. Uno dei temi principali dell’Assemblea sinodale dedicata al Libano è quello dell’unità nella diversità. I Padri hanno voluto sottolineare a più riprese il necessario rispetto dell’identità di ogni gruppo e di ogni persona, come pure l’urgente bisogno di superare le barriere che la storia ha innalzato tra le comunità cristiane libanesi, affinché tutti insieme divengano «le pietre di costruzione di una torre [...] costruita sulla roccia della fede» (102). Tale desiderio di collaborazione e di apertura non si è manifestato soltanto al livello delle diverse Chiese locali nel loro insieme, ma anche al livello delle differenti categorie che compongono il Popolo di Dio. Ognuno ha il diritto di essere rispettato nel proprio cammino spirituale, ma tutti devono impegnarsi sulla via del dialogo con i propri fratelli. I carismi e i doni affidati agli uni vanno messi al servizio di tutti, mediante una ricerca comune di verità nell’amore.

I fedeli laici

45. Durante il Sinodo, i laici presenti hanno largamente espresso il desiderio che i fedeli possano partecipare attivamente e responsabilmente alla vita ecclesiale, all’interno delle diverse strutture e dei differenti consigli pastorali (103) secondo le rispettive competenze. Essi dovrebbero impegnarsi nella vita della Chiesa, a tutti i livelli, ma spesso attendono che essa li chiami e testimoni loro la sua fiducia. I compiti dei laici sono vasti. «Per loro vocazione, è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. [...] Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico e, in questo modo, a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità» (104), che li uniscono al Signore. La gestione degli affari pubblici e il governo della polis costituiscono quella scientia civilis (105), che consente di unire tra loro gli uomini mediante legami di amicizia, con la preoccupazione di costruire insieme una comunità di destini e di interessi, la cui vocazione è il bene delle persone e il servizio della verità (106), e di suscitare in ogni cittadino l’amore per la propria patria.

«Oltre a questo apostolato, che spetta assolutamente a tutti i fedeli, i laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato della gerarchia, alla maniera di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano l’apostolo Paolo nel vangelo, faticando molto per il Signore (cfr Fil 4, 3; Rm 16, 3 ss.)» (107). È altresì importante che certi fedeli laici si impegnino più direttamente nella ricerca intellettuale e nello studio, perché si sviluppi una vera cultura cristiana nel mondo arabo, con il sostegno dei Pastori. Per esercitare le loro responsabilità, essi devono poter trovare nelle parrocchie e nei movimenti delle proposte di formazione catechetica, teologica e spirituale, atte ad aiutarli a collaborare con i sacerdoti nelle attività parrocchiali, con la preoccupazione della corresponsabilità (108).

In tale prospettiva, dovranno essere creati dei centri di formazione per adulti, ai quali i fedeli abbiano facile accesso. L’animazione e l’amministrazione potranno essere assunti in comune dall’insieme dei Patriarcati, nelle loro varie istanze, o potranno anche essere il frutto della stretta collaborazione di diversi organismi, in uno spirito di concertazione con gli altri centri esistenti. Simili strutture permetteranno inoltre di realizzare degli strumenti tecnici e pedagogici adattati alle conoscenze dei fedeli. Rifacendosi al Catechismo della Chiesa Cattolica, i Vescovi del Libano sono invitati a perseguire la pubblicazione di opere che presentino la fede cattolica nel suo insieme, prendendo in considerazione la loro diversità culturale. Mi rallegro degli sforzi già compiuti, insieme con altri cattolici del Medio Oriente, per pubblicare in lingua araba testi del Magistero pontificio e di alcuni Dicasteri della Curia romana. Inoltre, una maggiore presenza nei mezzi di comunicazione sociale permetterà di diffondere l’insegnamento della Chiesa sia mediante giornali, radio e televisione, sia preparando trasmissioni per quei mezzi di comunicazione che non hanno un carattere propriamente ecclesiale, ma sono disposti a fare spazio a programmi religiosi nell’ambito delle loro emissioni (109).

La famiglia

46. Il Messaggio del Sinodo ha chiaramente indicato le minacce che incombono sulla famiglia libanese: «Smembrata dall’emigrazione del padre o dei figli alla ricerca di un impiego o di una migliore formazione; una vita familiare compromessa dalle crescenti difficoltà materiali; una vita familiare minata da una concezione sbagliata dell’autonomia individuale dei coniugi e da una mentalità contraccettiva» (110). Di fronte a ciò, il sostegno spirituale, morale e materiale delle future coppie e delle famiglie è uno dei compiti più urgenti.

È anzitutto a partire dalla famiglia che il tessuto sociale si costruisce, si realizza l’educazione della gioventù, responsabile domani della nazione, e la fede cristiana si trasmette di generazione in generazione. La Chiesa ha fiducia nelle famiglie e conta sui genitori, specialmente nella prospettiva del terzo millennio, affinché i giovani possano conoscere il Cristo e seguirlo generosamente nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata. «Il sacerdozio battesimale dei fedeli, vissuto nel matrimonio-sacramento, costituisce per gli sposi e per la famiglia il fondamento di una vocazione e di una missione sacerdotale» (111). Le famiglie sono apportatrici di un ricco dinamismo spirituale e sono i primi ambienti dove maturano le vocazioni. Mediante il loro modo di vivere, i genitori testimoniano la bellezza del matrimonio e del dono di sé. Il quotidiano esempio di coppie unite nutre nel cuore dei giovani il desiderio di imitarle. «Piccola chiesa», la famiglia è una scuola dell’amore (112) e il primo luogo di una testimonianza cristiana e missionaria, attraverso l’esempio e la parola. Il mistero d’amore che lega l’uomo e la donna è il riflesso dell’unione tra Cristo e la Chiesa (cfr Ef 5, 32). È nella famiglia che, fin dall’infanzia, i figli sono iniziati alla presenza di Dio e alla fiducia nella sua bontà di Padre. Una pedagogia semplice della preghiera cristiana suppone che gli adulti diano l’esempio della preghiera personale e della meditazione della Parola di Dio. È pertanto per sostenere, aiutare e preservare tale istituzione primordiale che i partecipanti all’Assemblea sinodale hanno espresso l’augurio che la pastorale familiare sia sviluppata.

47. In tale spirito, la preparazione al matrimonio è estremamente importante. Per esercitare le loro future responsabilità, i fidanzati devono poter trovare l’appoggio della Chiesa locale. In ogni parrocchia, in collegamento con il clero, coppie che hanno già esperienza potranno aiutare i giovani nella preparazione al matrimonio; persone già sposate saranno utili consigliere, e quanti si trovano in difficoltà potranno trovare l’ascolto attento e l’aiuto fraterno di cui hanno bisogno. Per animare i centri di preparazione al matrimonio e di consulenza, è auspicabile che sia creato un Istituto di studi sul matrimonio e la famiglia, per la formazione dei sacerdoti e di persone competenti. Un simile Istituto fornirà inoltre una documentazione al servizio dei diversi centri, presentando l’insegnamento della Chiesa che, negli ultimi anni, ha proposto numerosi testi alla riflessione dei cristiani (113).

Sarà opportuno creare un gruppo di coppie capaci di accompagnare quanti si trovano in difficoltà, di aiutarle a vedere con un altro sguardo i problemi incontrati e a ristabilire tra loro un dialogo sereno (114). Saranno così possibili all’interno delle coppie riconciliazioni prima di giungere troppo rapidamente a soluzioni giudiziali (115).

48. Di fronte alle crescenti difficoltà delle coppie conviene che i tribunali ecclesiastici lavorino in coordinamento con i centri d’aiuto, in vista di tentare il possibile per riconciliare gli sposi (116). Poiché ogni Chiesa patriarcale ha i propri tribunali, è indispensabile una stretta collaborazione tra questi, al fine di garantire una uguale giustizia per tutti, attraverso la diversità dei poteri giudiziari, e di evitare che quanti si rivolgono ai tribunali possano manipolare il corso della giustizia giocando sulle divergenze tra giurisdizioni. Ciò suppone da parte dei giudici uno spirito pastorale e una integrità perfetta che dovranno essere garantiti attraverso la permanente vigilanza della gerarchia ecclesiastica (117) Conviene inoltre che il diritto alla difesa delle persone bisognose sia ben assicurato, specialmente sostenendo la loro assistenza legale mediante l’esenzione dalle spese e mettendo a loro disposizione avvocati volontari (118).

49. Le famiglie devono essere altresì aiutate nelle difficoltà economiche che incontrano. In questo campo, confido che le diverse istituzioni cattoliche locali siano creative e s’associno tra loro costituendo reti di assistenza, collegate con le istituzioni nazionali deputate a promuovere una politica familiare, che tuteli ogni membro e promuova l’educazione della gioventù.

Le donne

50. Le donne meritano un’attenzione speciale, perché vengano riconosciuti la loro dignità e i loro diritti nei diversi settori della vita sociale e nazionale. Nella sua antropologia e nella sua dottrina, la Chiesa afferma l’uguaglianza dei diritti tra l’uomo e la donna, fondata sulla creazione di ogni essere umano ad immagine di Dio. «La Chiesa è fiera, voi lo sapete, d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua uguaglianza fondamentale con l’uomo» (119). A partire da Cristo e dal mistero dell’Incarnazione, il ruolo della donna è espresso in modo mirabile dalla Vergine Maria, della quale la tradizione orientale ha sovente messo in luce il ruolo unico, poiché ella è colei mediante la quale «ci è dato l’albero dell’immortalità » (120). A giusto titolo e in verità, chiamiamo Maria Santissima Madre di Dio, poiché questo nome contiene l’intero mistero della salvezza (121).

«La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano. Naturalmente, Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno. Tuttavia, questo affidamento riguarda in modo speciale la donna — proprio a motivo della sua femminilità — ed esso decide in particolare della sua vocazione» (122). Le donne hanno un’acuta consapevolezza di quanto è loro affidato ed hanno la capacità di manifestare il loro «genio» nelle circostanze più diverse della vita umana.

Occorre tuttavia riconoscere che, in seno alla società e nelle istituzioni cattoliche locali, spesso il posto delle donne non è proporzionato al loro impegno e ai loro sforzi. Dobbiamo anzitutto ricordare che la tradizione orientale pone una donna, Maria Maddalena, ad un rango importante a fianco degli Apostoli, poiché, dopo aver seguito Gesù, lei fu la prima a recarsi alla tomba, la prima ad accogliere la Buona Novella della Risurrezione e la prima ad annunciarla ai discepoli (123). Conviene pertanto offrire alle donne di partecipare maggiormente e con responsabilità alla vita e alle decisioni ecclesiali, offrendo loro la possibilità effettiva di acquisire la necessaria formazione. Il loro ruolo nell’educazione della gioventù, in particolare nell’ambito catechetico, spirituale, morale e affettivo (124), è di grande rilevanza, poiché «l’anima del fanciullo è come una città, una città fondata e organizzata da poco» (125), che richiede una pazienza e un’attenzione costante. Esse inoltre hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo determinante nella vita ecclesiale e nella società libanese, manifestando che il dono di sé per amore appartiene alla vera natura della persona umana. Durante gli anni della guerra, si sono dedicate in modo speciale alla difesa della vita e a sostenere la speranza della pace. Come ho recentemente ricordato, esse hanno come vocazione quella di essere educatrici alla pace, «nei rapporti tra le persone e le generazioni, nella famiglia, nella vita culturale, sociale e politica delle nazioni» (126) Sono particolarmente attive nei servizi sanitari, nei servizi sociali e nell’educazione. Mi rallegro che i Padri del Sinodo abbiano voluto dare loro la possibilità di essere più attive all’interno delle varie strutture ecclesiali delle parrocchie, delle eparchie e delle istanze patriarcali e inter-patriarcali, nei campi spirituale, intellettuale, educativo, umanitario, sociale, amministrativo. Esse possono offrire notevoli servizi grazie alle qualità personali specifiche.

I giovani

51. I giovani libanesi sono «delusi dalla generazione che li ha preceduti e che non ha permesso loro di fare esperienza della pace, ma della guerra e dell’odio» (127). Nel corso dell’Assemblea sinodale, hanno esposto ai Padri le loro critiche e le loro esigenze, con franchezza e coraggio, manifestando così che attendevano cambiamenti decisivi nella Chiesa. Hanno reclamato azioni concertate in nome del Vangelo ed hanno espresso le loro sofferenze davanti alle divisioni ecclesiali che ostacolano la missione. Essi auspicano una Chiesa che mostri la propria unità nella diversità, che sia un autentico luogo di vita fraterna, di condivisione, di arricchimento e di speranza.

Nella coscienza della nazione libanese e in seno alla Chiesa in Libano, i giovani devono avere un posto importante ed essere una forza di rinnovamento nazionale ed ecclesiale, con la partecipazione nelle varie strutture della vita sociale e nelle istanze decisionali. Occorre aiutarli a vincere le tentazioni dell’estremismo o del lassismo che possono essere in agguato, come pure a rifiutare le diverse forme di vita che sono opposte ad una sana moralità. D’altro canto, conviene illuminarli sui principi e sui valori della vita personale e sociale. Potranno così divenire degli interlocutori a pieno titolo, preoccupati di perseguire instancabilmente il dialogo con quei fratelli che sono desiderosi di giungere a concessioni che rendano possibile la convivenza, senza tuttavia che ciò sfoci in compromessi sui principi e sui valori.

La Chiesa conta sui giovani per imprimere nuovo slancio alla vita ecclesiale e sociale. Le comunità cristiane sono pertanto invitate ad integrarli maggiormente in tutte le loro attività, perché siano soggetti della «nuova evangelizzazione », seminatori della Parola tra gli altri giovani, offrendo il loro peculiare dinamismo finalizzato al rinnovamento ecclesiale (128). Allo stesso modo, essi sono chiamati ad essere collaboratori responsabili nell’edificazione della società. Per questo è importante offrire loro una solida formazione intellettuale e spirituale, che risponda alla loro sete di assoluto e di verità. Là dove si impegnano, essi devono poter trovare l’accompagnamento spirituale di cui hanno bisogno. Il ruolo degli assistenti spirituali, nei movimenti e nei campus universitari, che si tratti di sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose o laici, è di grande importanza per la loro crescita e maturazione umana e spirituale, al fine di aiutarli a discernere la loro vocazione ed a trovare il loro posto nella società (129).

I religiosi e le religiose

52. Oggi, i religiosi e le religiose sono presenti in ogni campo della Chiesa e della società. Essi si trovano dunque in una buona posizione per continuare ad essere un punto di riferimento per i loro fratelli, configurando strettamente la loro vita a Cristo ed approfondendo il loro carisma specifico, per il bene di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo (130). Per tale ragione viene chiesto alle persone che si impegnano nella vita consacrata di ricercare una profonda esperienza di Dio (131), per manifestare che il Signore è il fine della storia ed ama il mondo. In effetti, «con la professione dei consigli evangelici i tratti caratteristici di Gesù — vergine, povero e obbediente — acquistano una tipica e permanente «visibilità» in mezzo al mondo, e lo sguardo dei fedeli è richiamato verso quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli» (132).

I religiosi e le religiose che sono in Libano e in tutto il Medio Oriente sono invitati ad analizzare in modo spassionato i loro modi di vivere, di testimoniare il Vangelo e di compiere le missioni loro affidate. Potranno così essere sicuri di rimanere fedeli alle intuizioni originarie dei loro fondatori e di stare tra gli uomini del loro tempo come testimoni di Cristo ed esempi di vita cristiana, mediante la vita comunitaria e la pratica dei consigli evangelici di povertà, castità ed obbedienza. Il Signore ci ordina, infatti, di aver cura dei vacillanti e di badare prima al bene del prossimo che non al nostro tornaconto (cfr Tit 2, 12) (133). D’altra parte, la loro missione esige grande fedeltà all’ideale di ogni vita consacrata ed all’orientamento proprio dei fondatori, come pure spirito creativo per rispondere alle attese degli uomini e far fronte ai bisogni specifici della Chiesa.

Per vocazione, le persone consacrate proclamano il Vangelo e testimoniano il primato dell’Assoluto su tutte le realtà umane, mediante la parola e la loro vita esemplare, poiché appartengono al Signore. Per questo, la loro relazione con Dio si accompagna ad un comportamento morale in linea con l’impegno preso, poiché è «vivendo nella virtù che noi siamo uniti a Dio» (134), e camminiamo sulla via della filiazione divina (135). Ogni persona virtuosa, in particolare quella consacrata, dà una dimensione oblativa alla propria vita, riflette la gloria di Dio e fa trionfare il senso profondo e vero dell’esistenza (136). In un mondo che si volge sempre più al materialismo e a numerosi idoli, tale compito è tanto più urgente. La testimonianza delle persone consacrate sia credibile, poiché «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri» (137), perché mediante il loro modo di essere e la fedeltà alle promesse essi indicano la via della felicità e sono riconosciuti come vere guide spirituali di cui il popolo ha bisogno, sul modello di sant’Antonio, il padre del monachesimo (138).

53. La vita religiosa è basata sulla duplice fedeltà a Cristo ed alla sua Chiesa (139). Il suo rinnovamento presuppone l’attenzione al Vangelo, l’amore alla Chiesa e lo sviluppo del carisma proprio di ciascun Istituto. Vi sono dei giovani che s’interrogano sul come rispondere alla chiamata del Signore. Agli Istituti ed ai Pastori spetta di portare insieme, in stretta collaborazione, la cura della promozione e del discernimento delle vocazioni (140). Essi devono cercare di orientare i giovani là dove realmente Dio li chiama, senza volerli distogliere dal loro libero impegno in una particolare spiritualità. Essi anzi cercheranno di assicurare loro la necessaria formazione, tenendo conto del contesto socioculturale libanese.

È molto importante, per ragioni teologiche e pastorali, che i religiosi e le religiose siano effettivamente ben integrati nella vita ecclesiale. Daranno così esempio a tutti i fratelli dell’unità necessaria tra la vita spirituale e la vita caritativa (141). Pur godendo di una giusta autonomia per quanto concerne le questioni interne ai loro Istituti, essi fanno parte integrante della Chiesa particolare e la loro azione non può essere condotta che in stretta armonia e collaborazione con l’insieme della Chiesa (142), in una comunione ed obbedienza sempre più fiduciose verso il «Romano Pontefice come loro supremo Superiore» (143) e verso i Vescovi (144); una simile necessità è ancor più imperativa quando si tratta di un’attività legata in un modo o nell’altro alla vita pastorale (145). Infatti, la missione della Chiesa, Corpo di Cristo, poggia sui successori degli Apostoli, per esplicita volontà del Signore.

In diversi casi, prendendo rinnovata coscienza della concezione della vita religiosa come è qui presentata, i consacrati e le consacrate del Libano sentiranno il bisogno di una riforma, talvolta profonda, dei loro modi di vivere e di esprimere la sequela Christi, conformemente al decreto del Concilio Vaticano II Perfectae caritatis sul rinnovamento e l’adattamento della vita religiosa. Tale riforma dovrà riguardare particolarmente i nuovi membri degli Istituti, ai quali sarà proposta, insieme con l’esempio autentico dei loro formatori, una concezione della vita consacrata che li impegni a rispondere alla chiamata del Signore nella Chiesa in modo coerente e credibile. Per la loro formazione, converrà fare appello a religiosi e a religiose che diano testimonianza di santità personale, di profondità della vita interiore, di fedeltà gioiosa ai loro voti (146). Cominciando dai membri più giovani, una simile riforma potrà trasformare progressivamente la vita dell’intera comunità religiosa e offrirà un notevole contributo alla trasformazione della vita sociale; poiché, come scriveva con affetto san Basilio ai suoi monaci che invitava alla perfezione nella pratica dei consigli evangelici, è una vita morale ed ascetica conforme all’impegno preso che stimola alla riconciliazione tra le persone (147).

La vita religiosa apostolica

54. Le comunità religiose costituiscono una grande ricchezza ed una fonte di grazia e di dinamismo per le diocesi. Con le loro varie attività apostoliche, esse partecipano al cammino pastorale voluto dai Vescovi e, perciò, sono inserite nelle differenti realtà diocesane (148). Ringrazio il Signore per quanto esse hanno compiuto, durante gli anni dolorosi della guerra, nei servizi sanitari, educativi e sociali, talvolta a rischio della vita dei loro membri. Ringrazio il Signore per quanto continuano a fare con dedizione e disinteresse, nonostante i loro gravosi impegni e il personale ridotto. Nello spirito di unità nella diversità, che è stata una delle linee direttrici dell’Assemblea speciale, i religiosi e le religiose sono invitati ad operare sempre in stretta collaborazione, mostrando così la complementarità dei carismi. In tale spirito, dovranno essere attenti a ben ripartire le persone e le istituzioni in funzione delle priorità pastorali, con totale disponibilità a servire sia il popolo libanese che la missione universale della Chiesa, al di là delle frontiere del Paese. Tale apertura imprimerà nuovo slancio alla vita religiosa apostolica nel Libano e susciterà nuove vocazioni (149). È opportuno che quanti sono impegnati nella vita apostolica trovino «il giusto e fecondo equilibrio tra azione e contemplazione, tra preghiera e carità, tra impegno nella storia e tensione escatologica» (150).

55. In particolare, la presenza visibile della Chiesa è richiesta tra quanti sono nel bisogno. I religiosi e le religiose sono chiamati ad essere i testimoni dell’amore preferenziale di Cristo per i poveri attraverso i loro molteplici servizi e con la loro vita di povertà e di comunione fraterna. È altresì auspicabile che gli istituti religiosi rafforzino la loro presenza e la loro missione nelle regioni provate e periferiche del Paese, aiutando ciascuno a rimanere nella terra dei suoi avi per prenderne cura e viverci dignitosamente.

Nelle istituzioni di cui i religiosi o le religiose hanno la responsabilità, dei laici svolgono spesso una parte notevole del lavoro. Si deve riconoscere pienamente il loro ruolo, anche affidando loro posti di responsabilità in funzione delle loro competenze.

La vita monastica

56. Il monachesimo «non è stato visto in Oriente soltanto come una condizione a parte, propria di una categoria di cristiani, ma particolarmente come punto di riferimento per tutti i battezzati, nella misura dei doni offerti a ciascuno dal Signore, proponendosi come una sintesi emblematica del cristianesimo» (151). Paradossalmente, in Oriente la vita religiosa apostolica è oggi molto più sviluppata della vita monastica nelle sue varie espressioni, dal cenobitismo stretto, come lo concepivano Pacomio o Basilio, all’eremitismo più rigoroso di Antonio o di Macario l’Egiziano (152), pur intimamente legate alle tradizioni proprie dell’Oriente cristiano. Nella sua forma tradizionale, «il monachesimo orientale privilegia la conversione, la rinuncia a se stessi e la compunzione del cuore, la ricerca dell’esichia, cioè della pace interiore, e la preghiera incessante, il digiuno e le veglie, il combattimento spirituale e il silenzio, la gioia pasquale per la presenza del Signore e per l’attesa della sua venuta definitiva, l’offerta di sé e dei propri averi, vissuta nella santa comunione del cenobio o nella solitudine eremitica » (153).

Insieme con i Padri sinodali, auspico che la vita monastica ritrovi il posto che le spetta (154); sono lieto di constatare che c’è oggi in alcuni Ordini religiosi un desiderio sincero di riprendere tali originarie tradizioni e di ritornare ai valori monastici tradizionali, richiamando così a tutti l’importanza della preghiera, della liturgia, della lectio divina, dell’ascesi, del servizio e della vita comunitaria. Tali elementi sono spesso chiamati dai Padri dell’Oriente «le armi spirituali» potenti (155), indispensabili nel combattimento per la perfezione. La vita monastica è sia un cammino di santificazione personale, sia, sull’esempio dell’Apostolo, un contributo alla santificazione del Popolo di Dio e dell’intera umanità, completando nella sua «carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24). In tal modo, con la sua vita orante, la Chiesa distribuisce i germi di perfezione e sostiene quanti operano nel campo del mondo, poiché la vicinanza di Dio fa scoprire la verità e la bellezza dei divini misteri e rende solidali con i fratelli (156).

57. Invito le Chiese orientali ad attingere alle sorgenti del monachesimo antico per ritrovare il fervore spirituale delle origini, che è una parte importante del loro tesoro e delle loro tradizioni. Tali sorgenti proporranno nuovamente a uomini e donne la vita monastica come una delle forme eminenti della vita cristiana, per vigilare sulla propria anima e formare il proprio essere interiore (157). Ciò andrà a beneficio dell’intero popolo, per incoraggiare i loro fratelli cristiani ad «impegnarsi con ardore nel combattimento interiore» (158) e per testimoniare in modo esemplare la grandezza della vita fraterna, invitando i cristiani e gli uomini di buona volontà a vivere forme nuove di relazioni umane, fondate sulla carità e sull’amore.

I monasteri potranno diventare luoghi profetici nei quali «il creato diventa lode di Dio e il precetto della carità concretamente vissuta diventa ideale di convivenza umana, e dove l’essere umano cerca Dio senza barriere e impedimenti, diventando riferimento per tutti, portandoli nel cuore ed aiutandoli a cercare Dio» (159). Manifesteranno che la preghiera è una delle maggiori responsabilità dei monaci e di tutti i cristiani. Mediante la rinuncia totale a se stessi, saranno i testimoni dell’invisibile e di ciò che è essenziale nell’esistenza. «Rinunciare a se stessi: considera ciò che questo significa: abbandonarsi in tutto alla fraternità, non seguire in nulla la propria volontà, non possedere altro che il solo vestito, per dedicare con gioia, libero di tutto, soltanto a ciò che è stato ordinato, considerando tutti come fratelli» (160).

È auspicabile che le comunità monastiche abbiano il loro posto nella Chiesa in Libano, per far risplendere la gloriosa tradizione dei Padri, per condividere i tesori di grazia che sono stati comuni alle Chiese antiche, per donare nuovamente a tutta la Chiesa di oggi una testimonianza profondamente radicata nell’Oriente cristiano, in qualche modo il luogo elevato da cui esso può essere contemplato in tutta la sua bellezza.

Nella misura in cui la vita comunitaria, che rende visibile la comunione ecclesiale, diventerà prospera e profetica, si spera di vedere anche un nuovo sviluppo della vita ascetica e in particolare dell’esperienza eremitica (161). I monaci saranno, come lo erano in passato, guide e maestri spirituali, e i loro monasteri luoghi di incontri ecumenici ed inter-religiosi (162).

I ministeri ordinati

58. «A servizio del sacerdozio universale della Nuova Alleanza, Gesù [...] chiama e costituisce i Dodici, affinché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare, e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 14- 15)» (163). «A loro volta, gli apostoli costituiti dal Signore assolveranno via via alla loro missione chiamando, in forme diverse ma alla fine convergenti, altri uomini, come Vescovi, come presbiteri e come diaconi, per adempiere al mandato di Gesù risorto che li ha inviati a tutti gli uomini di tutti i tempi. [...] I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l’Eucaristia [...] fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell’unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito » (164).

«In quanto rappresenta Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa, il sacerdote si pone non soltanto nella Chiesa ma anche di fronte alla Chiesa. Il sacerdozio, unitamente alla Parola di Dio e ai segni sacramentali di cui è al servizio, appartiene agli elementi costitutivi della Chiesa. Il ministero del presbitero è totalmente a favore della Chiesa; è per la promozione dell’esercizio del sacerdozio comune di tutto il popolo di Dio; è ordinato non solo alla Chiesa particolare, ma anche alla Chiesa universale (cfr Presbyterorum ordinis, 10), in comunione con il Vescovo, con Pietro e sotto Pietro» (165).

59. Questi testi del Magistero sul ministero ordinato devono illuminare tutti i pastori nella loro missione episcopale, presbiterale o diaconale. I Patriarchi, i Vescovi con i sacerdoti e i diaconi loro collaboratori, tutti partecipano all’unica missione di Cristo. Affinché la diversità ecclesiale in Libano possa essere colta dai fedeli come un’autentica ricchezza, l’unità della missione affidata a tutti i Pastori deve diventare visibile. Nessun ministro può ignorare gli altri ministri operanti nel medesimo territorio, sia che appartengano alla sua Chiesa patriarcale che ad un’altra. La testimonianza di unità e di fraternità, mediante la collaborazione stretta dei Pastori di diverse Chiese particolari, è nel Libano una necessità urgente. Molto già viene compiuto, ma vorrei domandare a ciascuno di raddoppiare gli sforzi con particolare attenzione a quest’ambito, le cui implicanze per l’avvenire sono evidenti, come i Padri del Sinodo hanno da parte loro chiaramente espresso.

I ministeri ordinati, nella loro varietà, esistono per l’edificazione della Chiesa e per mantenere la sua unità sia all’interno del clero che tra questo e l’insieme del popolo cristiano, formando così un solo corpo (166). La Chiesa è un corpo organico e, nella misura in cui ognuno svolge il suo ruolo in armonia con gli altri, tutto il corpo sarà sano.

L’episcopato

60. Il Patriarca è il capo e il padre della sua Chiesa patriarcale; egli è, col Sinodo dei Vescovi, il responsabile della sua vita e del suo rinnovamento. Come successore degli Apostoli, il Vescovo esercita «la funzione di insegnare, di santificare e di governare» (167); col suo clero, conduce il popolo affidatogli sulla strada di Dio. Mi unisco ai membri dell’Assemblea sinodale per esortare i Patriarchi e i Vescovi del Libano ad un sincero esame di coscienza e ad un impegno rinnovato sulla via della conversione personale necessaria per una testimonianza più fruttuosa e per la santificazione dei fedeli: anzitutto con la vita di preghiera, di abnegazione, di sacrificio e di ascolto; poi con la vita esemplare di apostoli e di pastori, fatta di semplicità, di povertà e di umiltà; infine con la costante preoccupazione di difendere la verità, la giustizia, i buoni costumi e la causa dei deboli (168).

61. Nel loro ministero, i Vescovi hanno cura anzitutto dei loro collaboratori immediati, i sacerdoti. Devono discernere la vocazione dei candidati al sacerdozio, accompagnarli, spiritualmente e materialmente, e, infine, vigilare sulla loro formazione umana, teologica e pastorale, che dovrà essere sempre più curata, per rispondere alle attese dei fedeli e alla complessità dei problemi del nostro tempo. Se i candidati al sacerdozio già sposati o che intendono sposarsi non appartengono ad un seminario, è essenziale assicurare loro un ambiente umano e spirituale appropriato durante il periodo di formazione, che dovrà essere di livello elevato e simile a quello degli altri candidati, affinché possano davvero compiere il loro ministero nelle attuali circostanze spirituali e culturali. I Padri del Sinodo hanno auspicato tempi comuni di formazione per i candidati al sacerdozio, per i religiosi, le religiose e i laici, come pure la possibilità per i seminaristi delle diverse tradizioni liturgiche di vivere in comune almeno una parte del loro periodo di formazione, allo scopo di creare relazioni di amicizia e di avviare ulteriori collaborazioni pastorali.

Inoltre, per quanto riguarda i sacerdoti, celibi o sposati, il Vescovo deve stare loro vicino (169), preoccuparsi di sviluppare con essi una collaborazione fraterna e fiduciosa (170), prevedendo una seria formazione permanente per il loro arricchimento spirituale e per la loro attività pastorale. Deve inoltre garantire la loro sicurezza materiale nel quadro di una solidarietà ecclesiale istituzionalizzata, che risponda ai loro bisogni personali e pastorali. Ciò è particolarmente importante per i sacerdoti sposati, che hanno una famiglia a carico. Si richiede ugualmente ai Vescovi di preoccuparsi in modo speciale dei preti malati, anziani o in difficoltà. Riguardo ai sacerdoti sposati (171), occorre prevedere un’idonea formazione religiosa e pastorale per le mogli (172). Infine, una collaborazione fraterna tra i Vescovi di varie Eparchie è necessaria per una ripartizione dei sacerdoti che corrisponda ai bisogni dei fedeli, evitando un’eccessiva concentrazione nelle città e nelle periferie (173).

Il presbiterato

62. Mediante la frequenza personale ai Sacramenti, la preghiera regolare e la lectio divina, i sacerdoti consolideranno la loro vita spirituale, che porterà frutti nel loro ministero al servizio del Popolo di Dio. È opportuno che pongano attenzione al ruolo di maestri, in particolare nelle omelie durante le quali la Parola di Dio dev’essere spiegata e attualizzata, per aiutare i fedeli ad accostare il mistero cristiano e a vivere ogni giorno i valori evangelici.

Frequentemente, data la sovrapposizione territoriale delle diverse eparchie, i sacerdoti che fanno riferimento a giurisdizioni differenti esercitano il ministero su un medesimo territorio. La collaborazione ed il coordinamento del loro apostolato richiedono incontri regolari ed effettive cooperazioni. Essi devono sviluppare anche lo spirito di collaborazione con i fedeli. «I sacri pastori, infatti, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti cooperino, nella loro misura, all’opera comune » (174).

Vi sono sacerdoti che si prendono cura della propria formazione permanente mediante incontri e letture. Li incoraggio in tale direzione; invito pure i Vescovi, in collaborazione con persone preparate a tale scopo, ad organizzare e a sviluppare programmi di insegnamento teologico e pastorale che arricchiscano i sacerdoti nel loro servizio pastorale.

Per quanto riguarda il dialogo ecumenico, i sacerdoti rivestono un ruolo privilegiato, perché hanno frequenti relazioni con i pastori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. La loro apertura ecumenica e la loro disponibilità alla collaborazione ed al dialogo, senza confusione e nel rispetto delle persone, aiuteranno i fedeli ad instaurare a loro volta con i fratelli relazioni calorose, che faranno avanzare la causa dell’unità tra le Chiese.

Quando la parrocchia si trova in una zona in cui vivono anche dei musulmani, l’atteggiamento fraterno di apertura e di collaborazione dei sacerdoti indicherà ai fedeli la via di una efficace convivialità, secondo la vocazione propria del Libano (175).

Queste preoccupazioni, importanti in una vita sacerdotale, mostrano chiaramente che i candidati al sacerdozio devono ricevere non soltanto una buona formazione intellettuale, teologica, biblica e spirituale, ma ugualmente una formazione umana che li aiuti ad acquisire una maturità personale e che li renda attenti alla complessità culturale nella quale saranno chiamati a svolgere il ministero (176).

Il diaconato

63. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha rimesso in vigore il ministero diaconale permanente, che la tradizione orientale ha sempre conservato. I diaconi rappresentano Cristo in quanto Servo, più in particolare nel servizio dei poveri, della Parola di Dio e della liturgia. Di conseguenza, questo ministero ordinato va valorizzato. Converrà assicurare ai candidati una formazione appropriata e dei mezzi di sussistenza adeguati alla loro situazione personale (177).

III. Il Rinnovamento delle strutture di comunione

Edificare insieme il Corpo di Cristo

64. Il rinnovamento voluto con coraggio dai Padri sinodali richiederà da parte di ciascuno un’autentica apertura di spirito e di cuore, per sviluppare il coordinamento e la collaborazione tra tutti i cattolici. Nessuno può dirsi detentore esclusivo della missione, ma tutti devono lasciare che Cristo agisca per mezzo loro, affinché non vi siano ostacoli ai doni ed ai carismi dei vari membri della Chiesa cattolica. Per questo occorre, tra tutte le realtà ecclesiali, una rete di comunicazione tanto più indispensabile per il fatto che il Libano è crocevia di diverse Eparchie e pertanto di molteplici giurisdizioni. Tale difficoltà può rivelarsi una grazia: essa spinge i responsabili ad accordarsi, nel rispetto della diversità e delle giurisdizioni specifiche; inoltre, li invita a edificare insieme il Corpo di Cristo con vero spirito ecclesiale (178), senza attribuire a se stessi o alla propria comunità confessionale il privilegio della missione in un determinato territorio, rimanendo sottomessi a Cristo, il Sommo Sacerdote. Ogni persona od ogni organismo ecclesiale che non cerca la collaborazione si impoverisce e diventa come un ramo secco, che impedisce alla vita dello Spirito di circolare attraverso l’intera Chiesa cattolica nel Libano.

Le parrocchie

65. Non è infrequente che dei fedeli cattolici non abbiano il senso di appartenenza alla comunità parrocchiale del loro luogo di residenza. Alcuni restano legati alla parrocchia del luogo di nascita, anche se non hanno più alcun contatto. Anche gli spostamenti forzati, durante la guerra, hanno creato situazioni ambigue: i fedeli si sentono contesi tra il luogo in cui hanno trovato rifugio ed il loro luogo di origine. Nelle città, il senso della comunità parrocchiale si fa sempre più debole. I fedeli si accontentano di andare a Messa nella Chiesa più vicina, senza rendersi conto che partecipare ai Santi Misteri significa appartenere ad un Corpo, perché l’Eucaristia edifica la Chiesa, unisce la Chiesa del cielo e quella della terra, è il segno dell’unità e della carità (179). I vincoli spirituali generati dall’ascolto della Parola e dalla comunione al medesimo Pane recano frutti di pace e di solidarietà nelle relazioni umane. Tuttavia, molti fedeli si sono fatti una concezione individualista della fede cristiana, senza una partecipazione attiva alla vita della Chiesa locale. Il sacerdote rischia allora di diventare colui che assicura la celebrazione dei Sacramenti e adempie le formalità necessarie al momento del Battesimo, del Matrimonio o delle esequie, mentre egli è anzitutto colui che anima la comunità cristiana, in collaborazione con i diaconi e i laici competenti. Il pastore deve aver cura di tutto il gregge, senza trascurare i membri più deboli, quelli che sovente non si recano in chiesa, quanti sono messi al margine della società e quanti, essendo malati, hanno bisogno di essere visitati a casa. Esorto cordialmente i pastori a visitare i fedeli loro affidati per essere loro vicini, rinsaldando così i legami tra tutti i membri della comunità parrocchiale, per accompagnarli nella loro vita spirituale e sostenerli nelle prove.

66. Le parrocchie sono le cellule di base del corpo ecclesiale. Sono porzioni del Popolo di Dio che «rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra» (180); sono luoghi privilegiati di apostolato comunitario, poiché riuniscono in sé molteplici e varie categorie di persone, senza distinzione d’età né di ceto sociale, per integrarle nella Chiesa universale. Mediante la pratica sacramentale, specialmente mediante l’Eucaristia e la Penitenza (181), i fedeli sono fortificati per la missione loro affidata nel mondo, in particolare per l’educazione religiosa dei giovani e per la testimonianza. In tale spirito, si renderà opportuno aiutare i cristiani ad approfondire il Catechismo della Chiesa Cattolica (182), che presenta «con fedeltà e in modo organico l’insegnamento della sacra Scrittura, della Tradizione vivente nella Chiesa e del Magistero autentico, come pure l’eredità spirituale dei Padri, dei Santi e delle Sante della Chiesa, per permettere di conoscere meglio il mistero cristiano e di ravvivare la fede del popolo di Dio» (183). Tale insegnamento deve essere accompagnato da uno sforzo permanente e cosciente di tradurre il dogma cristiano e le direttive del Magistero in funzione di determinate situazioni, in una cultura specifica, «con l’applicazione concreta e fedele, a livello di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa. Occorre incessantemente rifarsi a tale sorgente» (184) e a quel referente pastorale che è il Concilio, associandolo alle proprie fonti spirituali e liturgiche, affinché la liturgia sia veramente confessione della fede ricevuta dagli Apostoli (185).

Ecco perché, insieme con i loro pastori, incoraggio i fedeli cattolici ad approfondire la loro adesione a Cristo, mediante lo studio, la lettura della Bibbia in famiglia, la partecipazione a gruppi biblici, ad incontri e veglie sul Vangelo nelle parrocchie, nelle scuole, nelle università e nei movimenti ecclesiali. Chiedo che siano proposti per giovani e adulti ritiri spirituali, basati sulla Parola di Dio e sul dogma cristiano (186). In effetti, la maggior parte dei fedeli riceve, in ambiti tecnici e scientifici, conoscenze sempre maggiori. La loro conoscenza del mistero cristiano deve poter crescere di pari passo, perché la loro vita spirituale illumini la vita quotidiana. Nel Libano moderno, è importante che la cultura sia anzitutto nutrita dalla Parola di Dio e da una fede approfondita, così da ispirare una riflessione cristiana sui problemi fondamentali che interpellano l’uomo e la società (187). In tal modo, i fedeli laici scopriranno che la loro partecipazione alla vita della Chiesa è essenziale, a livello delle parrocchie, dei movimenti o dell’eparchia, in particolare nelle istanze di decisione quali il consiglio pastorale dell’eparchia e i consigli parrocchiali (188).

67. Quando più parrocchie coesistono in un medesimo territorio, pur conservando la loro identità e la loro indipendenza, sono chiamate a collaborare strettamente, e questo sarà un segno eloquente dell’unità della Chiesa in una comunione ricca di inventiva e nel rispetto delle legittime diversità, in particolare in seno ai consigli parrocchiali inter-rituali (189). D’altra parte, non vi è sempre la possibilità di avere dei parroci residenti per ogni parrocchia di ciascuna Chiesa patriarcale. In base ai concreti bisogni pastorali, può essere chiesto ad un sacerdote di celebrare i sacramenti in una tradizione liturgica diversa dalla sua, a condizione che sia adeguatamente preparato e che abbia ricevuto il permesso dell’autorità competente.

Piccole comunità parrocchiali possono trovare grandi difficoltà nel costruire la loro chiesa, mentre nella zona ne esiste già una o talvolta più d’una di un’altra eparchia. Durante la guerra, quando le necessità l’imponevano, certe chiese sono state messe a disposizione dei fedeli di diverse tradizioni liturgiche. Una tale ospitalità potrebbe oggi estendersi ovunque ciò sia auspicabile, donando così la testimonianza di un amore «coi fatti e nella verità» (1 Gv 3, 18).

Per favorire la condivisione delle ricchezze umane e spirituali tra le diverse comunità parrocchiali e perché i fedeli non si sentano contesi tra la loro appartenenza parrocchiale e il loro impegno verso i fratelli del quartiere, è anche auspicabile prevedere, là dov’è possibile, delle associazioni inter-parrocchiali. Esse favorirebbero il dialogo, la concertazione, la collaborazione, il reciproco aiuto materiale, spirituale e pastorale. Così si svilupperebbe, tra i fedeli delle differenti tradizioni, uno spirito di comunione dal quale trarrebbe vantaggio, in conseguenza, lo spirito comunitario, che fa parte dell’anima libanese.

68. In seno ad una medesima eparchia, è ugualmente importante promuovere la collaborazione tra parrocchie, facendo sì che i laici siano attenti ai differenti aspetti della vita ecclesiale diocesana ed universale, attraverso l’informazione e l’invito a un impegno cristiano concreto. Questo avverrà nella misura in cui i sacerdoti stessi si conosceranno e s’incontreranno. Si auspica pertanto che i pastori vivano nelle loro parrocchie in stretto legame con i loro confratelli dello stesso settore ed in buona relazione con i diaconi e gli altri agenti pastorali (religiosi, religiose o laici), rispettando la loro fedeltà alla rispettiva appartenenza ecclesiale. Queste relazioni fraterne potranno anche estendersi ai pastori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, in spirito d’apertura ecumenica. Così, saranno davvero dati dei segni visibili d’unità tra le diverse comunità ecclesiali, unità alla quale legittimamente aspirano i giovani cristiani libanesi (190).

Le eparchie

69. «L’eparchia è una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo Pastore e da lui riunita nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dell’Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica» (191). Si compone d’un insieme di parrocchie ed è dunque logico che le questioni incontrate a livello delle parrocchie siano analoghe a quelle che si ritrovano a questo livello. Più Vescovi di diverse Chiese sui iuris hanno giurisdizione su uno stesso territorio; il che rende necessario uno spirito di concertazione, di coordinamento e di cooperazione (192). Per il bene pastorale del Popolo di Dio, converrà pensare alla riorganizzazione della ripartizione geografica delle eparchie, in funzione dei bisogni e, per quanto possibile, in armonia con le ripartizioni amministrative, preoccupandosi d’un efficace e migliore coordinamento del servizio pastorale.

In campo pratico, faccio mio l’auspicio dei Padri sinodali che le curie delle eparchie e dei patriarcati siano ben organizzate ed attrezzate. Coloro che sono chiamati a lavorare in esse, sacerdoti, diaconi o laici, dovranno ricordarsi che il loro incarico è una missione ecclesiale ed un servizio al popolo cristiano, e che, da buoni servitori, dovranno essere attenti a non deviare dalla rettitudine spirituale e morale, mai utilizzando l’incarico per fini politici o di promozione personale o familiare. Le curie troveranno anche i mezzi per collaborare, al fine di meglio servire la Chiesa in Libano (193). In tale spirito, sarà opportuno che i presbiteri, e in particolar modo quelli diocesani, siano strettamente associati al loro Vescovo, poiché essi sono «provvidenziali cooperatori dell’ordine episcopale » e i loro rapporti poggiano sui «vincoli della carità soprannaturale» (194). Questa carità fraterna e tale collaborazione saranno particolarmente visibili ed effettive in seno al consiglio presbiterale che ogni eparchia dovrà avere (195).

I Patriarcati

70. Le Chiese patriarcali rappresentano per la Chiesa universale e per la Chiesa in Libano un’innegabile ricchezza, in ragione di tradizioni specifiche — liturgiche, teologiche e spirituali — molto antiche già presenti dai primi Concili ecumenici e durante il primo millennio del cristianesimo (196). Queste tradizioni sono in grande parte condivise dalle Chiese ortodosse. La Chiesa voluta da Cristo è mistero d’unità nella diversità, sacramento di comunione (koinonia) del quale la Santa Trinità è la sorgente, il modello e il fine. A livello di una Chiesa patriarcale, questa comunione si manifesta prima di tutto nella collegialità episcopale, implicante la corresponsabilità effettivamente realizzata nel Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale (197). Essa è visibile anche grazie ad una collaborazione franca tra tutti i membri della Chiesa patriarcale. Affinché questa collaborazione nel servizio pastorale sia effettiva, chiedo ai Patriarchi e al Sinodo dei Vescovi di ogni Patriarcato di studiare la possibilità di creare un consiglio pastorale a livello di curia patriarcale e di prevedere la riorganizzazione delle curie in ogni Patriarcato e in ogni eparchia (198). La comunione si esprime anche attraverso i legami tra le Chiese patriarcali e l’insieme della Chiesa, legami che sono oggi regolati dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, poiché tutte «sono state ugualmente affidate al governo pastorale del Sovrano Pontefice» (199).

Nel 1990 è stato promulgato il menzionato nuovo Codice, che manifesta la sollecitudine della Santa Sede nei confronti delle Chiese patriarcali e la sua preoccupazione di valorizzare le tradizioni cattoliche d’Oriente, nella tranquillitas ordinis, «assegnando il primato all’amore, alla grazia e ai carismi» e rendendo più agevole «il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono» (200). È importante perciò che tale Codice sia applicato con serenità, con uno spirito di equità e di giustizia nei confronti di tutti i fedeli posti sotto le diverse giurisdizioni patriarcali. È compito anzitutto dei Patriarchi, dell’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici in Libano, dei Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali e di ogni Vescovo vigilare sulla buona amministrazione della giustizia (201). Chiedo inoltre a quanti operano nei tribunali di accingersi ad esercitare la loro missione ecclesiale nel rispetto dei valori morali propri alle loro funzioni e con integrità perfetta, avendo cura di servire la Chiesa. Sarà questa una testimonianza dell’amore che la Chiesa ha verso i suoi membri e un importante elemento di credibilità delle Chiese locali, poiché la giustizia e la carità vanno di pari passo (202).

IV. Invito al rinnovamento pastorale

La catechesi

71. Riprendendo le urgenze pastorali sottolineate dai Padri sinodali, incoraggio in primo luogo i Pastori e i fedeli a porre ogni cura nella promozione della catechesi. «Lo scopo specifico della catechesi (è) di sviluppare, con l’aiuto di Dio, una fede iniziale, di promuovere in pienezza e di nutrire quotidianamente la vita cristiana dei fedeli di tutte le età» (203). Così vi è una catechesi adatta a ciascuna età della vita, ad ogni categoria sociale di fedeli, a quanti si sono allontanati dalla Chiesa e dalla fede e desiderano ritornare, perché ciascuno possa ascoltare e proclamare pubblicamente le meraviglie di Dio nella sua lingua ed esserne il testimone nella propria cultura (cfr At 2, 11). Pur trasmettendo un sapere, la catechesi ha essenzialmente come scopo di «mettere qualcuno non solamente in contatto ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo: Lui solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e farci partecipare alla vita della Santa Trinità» (204).

Si tratta di una delle responsabilità fondamentali della Chiesa, che richiede il coinvolgimento dell’insieme dei fedeli, ciascuno con i doni che gli sono propri. La responsabilità è di ogni Chiesa patriarcale e delle sue istanze gerarchiche in cooperazione stretta le une con le altre. S’impone dunque il coordinamento e l’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici in Libano (APECL), organismo di collaborazione, può giocare un ruolo di primissimo piano.

La catechesi deve in primo luogo essere concretamente assicurata dai genitori, nel seno della famiglia, poiché essi sono i primi educatori dei figli (205). Anche la scuola occupa un posto importante, quantunque limitato; in effetti, non può assicurare l’integrazione del giovane nella comunità della sua tradizione liturgica propria, perché gli alunni che frequentano le scuole appartengono spesso a diverse Chiese particolari. La parrocchia avrà dunque l’incarico di aiutare e di assecondare i genitori nell’insegnamento religioso, di favorire l’integrazione dei giovani nella Chiesa locale e di assicurare agli adulti un’adatta catechesi. Invito i genitori e i Pastori ad adempiere a questa missione di insegnamento della fede con grande cura, poiché ciò che viene seminato durante l’infanzia porta frutto lungo l’intera esistenza. È in questo spirito che la gerarchia cattolica in Libano ha auspicato che la comunione solenne ancora praticata in diverse scuole cattoliche, sia celebrata piuttosto nelle parrocchie. Anche i movimenti cristiani di giovani e d’adulti, e i centri di formazione cristiana possono apportare una preziosa collaborazione all’itinerario della catechesi.

72. In ragione della loro vocazione coniugale e familiare, i genitori devono esercitare la loro responsabilità di educatori della fede, della preghiera e delle virtù umane, morali e sociali presso i loro figli (206). Questa educazione inizia dalla più tenera età e già si compie per il fatto stesso che i membri di una famiglia si aiutano gli uni gli altri a crescere nella fede e nel rispetto dei valori umani essenziali, mediante la testimonianza umile, silenziosa e perseverante di vita cristiana, quotidianamente vissuta secondo il Vangelo. Di più, i genitori avranno a cuore di proseguire nell’ambito familiare, impregnato di amore e di rispetto, la formazione più metodica ricevuta altrove. Questo inciderà in modo decisivo sui bambini. I genitori ne ricaveranno essi stessi frutti evidenti per la loro vita personale e per l’approfondimento dei loro legami di fiducia con i figli (207). Ma per poter rispondere alla loro vocazione di genitori, essi hanno il diritto di essere aiutati da istituzioni parrocchiali o eparchiali, che diano loro la formazione necessaria in un contesto appropriato.

73. Nelle scuole cattoliche, la catechesi ha bisogno di programmi ben articolati, ispirati al Catechismo della Chiesa Cattolica, radicati nelle tradizioni particolari delle Chiese orientali, aperti alla dimensione ecumenica e rispondenti ai bisogni specifici dei giovani. Le persone che sono incaricate di assicurare la catechesi ricevono una missione importante da parte della Chiesa. Saranno dunque scelte con cura e formate in maniera appropriata, per accompagnare i giovani nella loro crescita umana e spirituale, con pazienza, pedagogia e preoccupazione di trasmettere il messaggio cristiano e di aiutarli a trovare delle risposte ai loro interrogativi fondamentali riguardanti il senso stesso della loro esistenza. Il catechista è più che un insegnante: è un testimone della fede della Chiesa e un esempio di vita morale. Conduce ciascun giovane a scoprire il Cristo e l’orienta verso la parrocchia di appartenenza, affinché si radichi nella Chiesa locale (208).

Durante gli anni di formazione, anche la scuola costituisce una comunità credente, che permette ai giovani ed agli educatori di fare un’esperienza di comunione tra le diverse Chiese patriarcali, donando così a ciascuno il desiderio di partecipare ad una comunità cristiana nell’arco della propria esistenza. I legami tra le parrocchie e le scuole favoriranno l’integrazione dei giovani nella vita parrocchiale, senza per questo nuocere al dinamismo cristiano nelle scuole, perché vi è un’evidente complementarità tra i due luoghi ecclesiali. I responsabili delle scuole cattoliche avranno cura di sviluppare nella comunità educativa del loro istituto un clima di fede e il senso dei valori umani e morali nel rispetto di quanti non condividono le loro convinzioni e la loro cultura cristiana, senza che questo significhi tacere i valori cristiani che fondano il sistema educativo. Veglieranno pertanto a che siano messi a disposizione della catechesi un tempo sufficiente per gli allievi cattolici e dei mezzi adeguati. Allo stesso modo, ci si adopererà perché possa essere assicurata la catechesi nelle scuole pubbliche e nelle scuole non cattoliche.

Le parrocchie, per parte loro, si dedicheranno a sviluppare l’accoglienza dei giovani, dando loro la possibilità di partecipare attivamente alla liturgia, ai sacramenti ed alle attività parrocchiali, ed assicurando loro i mezzi ed i locali necessari nei centri parrocchiali. Perché, i giovani hanno bisogno di incontrarsi e di allacciare legami sia tra loro che con sacerdoti e adulti responsabili (209). I sacerdoti hanno una responsabilità molto grande nel campo della catechesi degli adulti, in primo luogo mediante l’omelia domenicale.

74. I movimenti cristiani costituiscono un bene prezioso per la Chiesa cattolica in Libano. I membri vi fanno l’esperienza di autentica vita fraterna e cristiana. Pur conservando il carattere proprio e specifico dei movimenti a cui appartengono, i responsabili dovranno verificare costantemente che siano rispettati i criteri di ecclesialità delle associazioni laiche (210). Veglieranno a che i membri ricevano una formazione umana e religiosa approfondita e permanente, affinché crescano nell’amore per Cristo e per la Chiesa (211) e restino legati alle rispettive comunità parrocchiali (212), dando così testimonianza di una solida comunione nelle rispettive convinzioni, e di «mutua stima di tutte le forme apostoliche nella Chiesa» (213). In spirito di obbedienza ai Patriarchi e ai Vescovi, i movimenti dovranno vigilare affinché le loro attività siano in armonia con il patrimonio specifico delle Chiese al servizio delle quali essi operano. Il riconoscimento di un movimento da parte della Santa Sede è un invito a partecipare alla vita e alla missione della Chiesa, impegnandosi nella società umana e nella vita pastorale locale, nel rispetto, tuttavia, dell’autorità dei Pastori e in armonia con le Chiese particolari e le tradizioni liturgiche specifiche, in una vera comunione missionaria (214).

Istituti d’insegnamento superiore (215)

75. Le università e gli istituti cattolici devono vigilare sulla propria identità specifica, che è di garantire una presenza cristiana nel mondo universitario (216), promuovendo, alla luce della fede cattolica, una riflessione di alto livello accademico, nelle diverse discipline del sapere umano, e una forma di insegnamento poggiante sulla cultura cristiana e su una visione integrale dell’uomo conforme al patrimonio antropologico, morale e teologico della Chiesa. Tali istituzioni dovranno prestare incessante attenzione alle caratteristiche essenziali della propria cattolicità: l’ispirazione cristiana della comunità universitaria, una riflessione continua sui tesori della conoscenza umana alla luce della fede cattolica, la fedeltà al Magistero e l’impegno dell’istituzione nel servizio al Popolo di Dio e a tutti gli uomini (217). Gli Istituti religiosi hanno svolto e tuttora svolgono un lavoro di qualità, affinché si sviluppi una cultura in armonia con la fede e l’università cattolica adempia al suo ruolo nella Chiesa e nei confronti della società, favorendo anche il dialogo tra culture.

Diversi istituti superiori di scienze religiose e di filosofia propongono ai fedeli una formazione esegetica, teologica, filosofica e spirituale, secondo l’insegnamento del Magistero della Chiesa. Essi pongono alla portata di un grande numero di cristiani le discipline che permettono loro di crescere nella vita spirituale, di offrire una testimonianza più profonda nella vita quotidiana e di possedere un livello di studi religiosi che possa essere in armonia con gli studi profani. I cristiani sono così invitati ad una vera intelligenza della fede, ad una seria scoperta della Parola di Dio, delle verità dogmatiche e delle molteplici tradizioni liturgiche e spirituali, come pure al riconoscimento dei principi etici fondamentali (218).

76. La Chiesa ha sempre avuto la preoccupazione di partecipare alla formazione umana e professionale dei giovani, attraverso un insegnamento universitario e tecnico di qualità, per prepararli ad esercitare una professione, dato che il lavoro è una delle dimensioni fondamentali dell’esistenza umana (219). Allo stesso tempo, l’insegnamento contribuisce ad edificare la personalità dei giovani e ad aumentare la loro cultura, a far loro scoprire un modo cristiano di vivere nel mondo, nel lavoro, nello svago e nella vita quotidiana, cioè a sviluppare in essi una vera spiritualità del lavoro. Ciò li preparerà in modo benefico ad essere testimoni di Cristo mediante l’esempio che daranno e mediante i valori che sapranno trasmettere a quanti li circondano.

Attraverso l’insegnamento delle discipline scientifiche e tecniche, si tratta di coltivare e di promuovere una formazione scientifica approfondita e il gusto della ricerca, che rendano i giovani persone competenti nel loro campo; un tale impegno permette inoltre di proporre una cultura e una vera antropologia cristiana, come pure un’arte di vivere cristianamente fondata sui valori essenziali e sui principi della dottrina sociale della Chiesa. La formazione professionale e il lavoro umano incidono sui diversi ambiti dell’esistenza, nella vita personale dei lavoratori, in quella familiare e sociale. «Tutto questo fa sì che l’uomo unisca la sua più profonda identità umana con l’appartenenza alla nazione, ed intenda il suo lavoro anche come incremento del bene comune elaborato insieme con i suoi compatrioti, rendendosi così conto che per questa via il lavoro serve a moltiplicare il patrimonio di tutta la famiglia umana, di tutti gli uomini viventi nel mondo» (220). Secondo la natura, lo statuto e gli obiettivi particolari che sono loro propri, le istituzioni cattoliche di insegnamento superiore «offrono un proprio contributo alla Chiesa e alla società sia mediante la ricerca, sia mediante l’educazione o la preparazione professionale» (221).

Facoltà ecclesiastica di teologia

77. Perché cresca e si consolidi, la Chiesa deve inoltre prestare attenzione al rinnovamento dell’insegnamento della teologia, della filosofia e del diritto canonico, preparando i formatori e gli insegnanti — sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, laici — che devono far fronte alle necessità della vita pastorale. Senza trascurare il patrimonio della Chiesa universale deve essere approfondito senza sosta il tesoro della teologia e delle tradizioni spirituali d’Oriente. Le ricerche non mancheranno di avere un’incidenza sul dialogo ecumenico, particolarmente con l’insieme delle Chiese di tradizione antiochena, e nelle relazioni con le comunità islamiche, il cui patrimonio spirituale s’è pure arricchito nel corso della storia. La facoltà di teologia che il Libano possiede ha pertanto un posto incomparabile per la formazione del livello universitario nelle discipline sacre, come pure per i membri del clero, delle persone consacrate e dei laici.

Per rispondere alle esigenze dei tempi, i programmi di studio devono essere aggiornati così da dare un posto privilegiato allo studio della Sacra Scrittura, del dogma e delle tradizioni orientali, senza tuttavia trascurare le altre tradizioni. In particolare, la facoltà di teologia si sforzerà di elaborare un approccio globale della teologia e un metodo di lavoro che tengano conto del patrimonio proprio delle Chiese orientali, cercando specialmente di porre in luce gli scambi e i rapporti stretti tra la dottrina, la liturgia e la spiritualità che caratterizzano il cristianesimo dell’Oriente (222). Tali programmi si sforzeranno anzitutto di offrire agli studenti una conoscenza viva, nella preghiera, del modo di esprimere la fede che appartiene alla loro identità ecclesiale. Saldamente fondati su tale patrimonio, saranno poi arricchiti dalla conoscenza del patrimonio del cristianesimo d’Occidente. In tal senso, mi rallegro che dei sacerdoti libanesi siano formati anche nelle Facoltà ecclesiastiche fuori dal Libano, in modo tale che si intreccino le differenti tradizioni occidentali ed orientali. È il confronto tra ciò che hanno acquisito altrove ed il proprio patrimonio che farà di essi dei preziosi pastori per i Patriarcati ai quali essi appartengono, atti a fornire seri studi e pubblicazioni scientifiche (223). In uno spirito di servizio e d’apertura, tenendo conto delle realtà complesse del Medio Oriente, la facoltà di teologia ha la missione di offrire un insegnamento dogmatico ed esegetico di qualità, nella fedeltà alle diverse tradizioni e al Magistero della Chiesa. Da questo punto di vista, un compito particolare compete ai «docenti, che hanno una maggiore responsabilità, in quanto esercitano lo speciale ministero della Parola di Dio e sono per gli studenti maestri della fede, devono essere per loro e per tutti i cristiani testimoni viventi della verità evangelica e modelli di fedeltà alla Chiesa» (224). La funzione del teologo viene esercitata in vista dell’edificazione della comunione ecclesiale ed è un servizio eminente nei confronti del Popolo di Dio. Inoltre, gli insegnanti non devono trascurare di preparare dei ricercatori che continueranno domani lo studio della teologia, restando fermamente attaccati al dato rivelato ed esercitando le loro ricerche all’interno della fede della Chiesa; senza alterare nulla della dottrina, dovranno continuamente tenere conto dell’evoluzione delle culture e delle mentalità per insegnare la fede, trasmettere le verità evangeliche in linguaggio attuale, e partecipare così alla incessante edificazione della Chiesa. D’altra parte, non si deve mai dimenticare che le facoltà ecclesiastiche contribuiscono a stabilire dei punti di dialogo tra l’insondabile ricchezza del messaggio salvifico del Vangelo e la pluralità delle conoscenze e delle culture (225), creando così le condizioni per degli scambi fecondi (226). Questo contribuirà all’apertura missionaria necessaria e salutare, perché ogni Chiesa particolare che si ripiega su se stessa non è più in grado di adempiere la sua missione.

La pastorale delle vocazioni

78. Con i Padri del Sinodo, vorrei qui sottolineare la necessità di una pastorale comune delle vocazioni, per mettere gli strumenti di ciascuna Chiesa patriarcale al servizio dell’insieme della Chiesa cattolica in Libano. In questo campo, ciò che venisse realizzato in opposizione o concorrenza tra i differenti riti, sarebbe a scapito del dinamismo dell’intero Corpo ecclesiale. Il lavoro di discernimento suppone da parte degli accompagnatori e dei formatori una grande libertà interiore che permetta di aiutare i giovani a scoprire in quale direzione lo Spirito li spinga. Tutti gli interlocutori della vita pastorale devono unire le forze per aiutare i giovani a discernere liberamente la chiamata che sentono in vista di servire la Chiesa nel sacerdozio o nella vita consacrata maschile e femminile. Dovranno avere a cuore d’offrire ai giovani modelli di vita che suscitino la gioia e il desiderio di rispondere alla loro vocazione nel sacerdozio, nella vita consacrata o nell’impegno apostolico laicale.

Invito pertanto tutti i fedeli a rivolgere al Signore ferventi preghiere per le vocazioni, in particolare nel contesto della settimana mondiale di preghiera per le vocazioni, affinché il Signore invii numerosi operai alla sua messe (cfr Mt 9, 8). È inoltre un eccellente modo di sensibilizzare i giovani al tema vocazionale far loro intendere gli appelli della Chiesa, e dare loro le informazioni necessarie sulle differenti forme di impegno, con le relative condizioni e tappe di formazione (227).

 

CAPITOLO IV

La Comunione

La Chiesa, Corpo di Cristo

79. Al termine di quattro anni di preghiera e di preparazione, durante i quali la Chiesa cattolica in Libano ha coraggiosamente riflettuto sulla sua vocazione e la sua missione, l’Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi le ha ricordato il cammino da seguire, invitando tutti i cattolici alla conversione, per «ritrovare, tradotte nel loro linguaggio, le parole stesse con cui il nostro Salvatore e Maestro Gesù Cristo volle inaugurare la sua predicazione: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15), accogliete, cioè, la lieta novella dell’amore, dell’adozione a figli di Dio e, quindi, della fratellanza » (228). È in Cristo, loro unica speranza, che i fedeli ed i sacerdoti formano insieme la Chiesa attorno ai Vescovi; primo dovere dei Pastori è di mantenere l’unità della Chiesa (229). Ogni Chiesa locale manifesta tale unità secondo la propria tradizione. È da Cristo crocifisso e risorto che essa riceve anche la comunione dello Spirito Santo (cfr 2 Cor 13, 13), nel quale viene incessantemente rinnovata. «Ciascuno ha la propria funzione, ma tutti vivono di una stessa vita. Ora, ciò che l’anima è nel corpo dell’uomo, lo Spirito Santo lo è nel corpo di Cristo che è la Chiesa; e lo Spirito Santo opera in tutta la Chiesa ciò che l’anima opera in tutti i membri di un solo corpo» (230). Ma i frutti del rinnovamento non riguardano solamente i fedeli; essi devono anche apparire in ogni Chiesa patriarcale come istituzione e nella comunione tra le diverse Chiese patriarcali.

Nella terza fase dei lavori, l’Assemblea sinodale ha riflettuto anche su questo aspetto del suo tema: «Solidali, testimoniamo il suo amore ». Nel corso delle sessioni, ho potuto costatare di persona la solidarietà che vi era tra i Padri sinodali, «secondo la verità nella carità» (Ef 4, 15); chiedo al Signore che questa esperienza di comunione, frutto del Sinodo, si estenda a tutto il popolo, perché la Chiesa cattolica in Libano testimoni l’amore che unisce tutti i membri come fratelli, amore al quale tutti gli uomini aspirano. Testimoniare che Dio è amore, significa anzitutto mostrarlo «coi fatti e nella verità » (1 Gv 3, 18), poiché «mediante la fede in lui, Cristo ha aumentato il nostro amore per Dio e per il prossimo» (231). La testimonianza dell’amore tra i cattolici è una delle prime esigenze che derivano dall’amore di Dio manifestato nel suo Figlio. La testimonianza — il martirio —, che è la missione essenziale della Chiesa, «fa risplendere la potenza dello Spirito» (232), poiché è la manifestazione della potenza di Dio nel mondo, malgrado la debolezza dell’uomo. Nella effettiva comunione delle diverse Chiese particolari tra loro, essa avrà tutto il suo valore e la sua portata.

I. La comunione nella Chiesa cattolica in Libano

In Libano

80. Le Chiese patriarcali cattoliche nel Libano appartengono alla Chiesa cattolica e, poiché sono in comunione piena con il Successore di Pietro, sono anche in comunione le une con le altre come «parti dell’unica Chiesa di Cristo» (233) e «come realizzazioni particolari dell’una ed unica Chiesa di Gesù Cristo» (234), dalla quale traggono la loro ecclesialità. È opportuno ora domandarsi sinceramente se, in ogni luogo, esse vivono realmente questa piena comunione fiduciosa con la Sede Apostolica e tra di loro (235), in particolare nei campi in cui la collegialità episcopale fa appello, sul piano locale, ad una efficace corresponsabilità. I Vescovi, il clero, i religiosi, le religiose e i fedeli laici più impegnati nella missione sono consapevoli che rimane ancora molta strada da percorrere, come molti interventi e relazioni di gruppi hanno sottolineato con lucidità e coraggio. Ma il futuro ed il rinnovamento, voluti dall’Assemblea sinodale, dipendono in gran parte dagli sforzi di tutti i membri della Chiesa cattolica e dai loro gesti fraterni (236). Tuttavia, tutti devono costantemente ricordare che la più bella oblazione, «il più grande sacrificio che si possa offrire al Signore è la nostra pace, la nostra concordia fraterna, un popolo radunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (237).

A partire dall’Instrumentum laboris e nel loro dialogo con gli uditori laici e sacerdoti, i Padri sinodali hanno potuto individuare le principali cause del male profondo di cui soffrono i fedeli nel Libano: l’assenza del senso della Chiesa come mistero di comunione, mistero che esprime la sua natura sacramentale e l’unità dei fedeli in un solo Corpo (238). L’insieme delle istituzioni e la legislazione canonica manifestano tale mistero ed invitano tutti i membri del Popolo di Dio ad una reale fraternità. In questo spirito, è importante che il senso della Chiesa e della fede prevalgano sempre sulla mentalità di ripiegarsi sulla propria comunità confessionale che troppo spesso vien fuori. Questa situazione richiede una conversione evangelica [metanoia] costante, per passare «dalla mentalità confessionale ad un senso autentico di Chiesa» (239). È dunque richiesto un cambiamento radicale di prospettiva, come diceva già sant’Ignazio di Antiochia: «Fuggite le divisioni, come fossero il principio di tutti i mali » (240). Con l’aiuto dello Spirito Santo, pastori e fedeli avranno l’audacia spirituale di superare i limiti socio-culturali della loro comunità confessionale, per elevarsi al livello della Chiesa nel suo insieme ed agire in funzione della comunione ecclesiale (241). Le strutture esistono già, previste dai santi canoni, ma il loro dinamismo è frenato da varie forme di egoismo personale o comunitario, da difficoltà di comunicazione e di collaborazione, dal desiderio umano di occupare un posto più in vista. Si tratta di atteggiamenti contrari alla carità (cfr 1 Cor 13, 4-10). Sono stati già tracciati alcuni orientamenti per quanto riguarda le parrocchie, le eparchie e i sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali (242). Ma è importante prevedere anche trasformazioni a livello nazionale, per dare corresponsabilità effettiva ai Vescovi e maggiore comunione tra le diverse Chiese locali.

81. Nel 1967, all’indomani del Concilio Ecumenico Vaticano II, è stata creata l’Assemblea dei Patriarchi e Vescovi cattolici nel Libano (APECL). Questa struttura collegiale non si sostituisce ai Sinodi dei Vescovi delle diverse Chiese patriarcali; ogni Patriarcato conserva la propria autorità in ciò che concerne la vita e l’organizzazione interna. Tuttavia, l’APECL è una manifestazione evidente ed una singolare espressione dello spirito collegiale dei Vescovi desiderosi di restare fedeli alla loro vocazione di pastori, in piena e generosa collaborazione tra loro e col Successore di Pietro (243). Secondo i nuovi statuti, questa Assemblea ha la funzione di favorire ed intensificare la concertazione e la cooperazione in tutti i campi in cui ciò è possibile. Per questo, essa è chiamata a verificare costantemente l’efficacia del suo modo di operare. In questa prospettiva, avendo i membri dell’Assemblea sinodale presentato numerose proposte che faccio mie, invito la Chiesa cattolica in Libano a tener conto dei seguenti orientamenti generali (244).

Anzitutto, è compito di ciascun Patriarcato e dell’APECL sostenere lo slancio ed il dinamismo nati dall’Assemblea sinodale. Essi diffonderanno la presente Esortazione post-sinodale presso tutti i fedeli, affinché ne facciano oggetto di studi specifici e la attuino in ogni Chiesa patriarcale e in tutte le strutture comuni.

Come hanno auspicato i Padri sinodali, è urgente che l’APECL elabori una pastorale d’insieme (245) nei campi in cui le diverse Chiese patriarcali cattoliche possono esercitare congiuntamente le loro responsabilità e la loro azione pastorale. Tale concertazione, debitamente ponderata e preparata con cura, condurrà a prendere decisioni di interesse comune che porteranno i membri dell’APECL ad impegnarsi insieme nell’azione pastorale (246) fermo restando che tali decisioni non contrastino con tradizioni essenziali dell’una o dell’altra Chiesa patriarcale. Nello spirito delle innovazioni sopra proposte (247), sarà molto vantaggioso che collaborino alle attività dell’APECL sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e laici impegnati; in particolare, converrà studiare la possibilità di istituire un consiglio pastorale a livello dell’APECL, al fine di associare tutti i membri del popolo di Dio alla missione della Chiesa. Spetta infatti ai pastori «riconoscere e promuovere la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa », i quali «hanno il diritto, anzi anche il dovere di far conoscere il loro parere su ciò che riguarda il bene della Chiesa» (248).

Dal punto di vista operativo, è importante che le commissioni siano riorganizzate per diventare più funzionali e per essere veramente al servizio della missione della Chiesa. L’APECL è chiamata ad organizzarsi sempre meglio, per contribuire al bene comune dei membri delle diverse Chiese particolari.

Con l’insieme della Chiesa cattolica nel Medio Oriente

82. Nel corso dell’Assemblea sinodale, numerosi interventi hanno attirato l’attenzione sulla vocazione e la missione della Chiesa cattolica in Libano, e sulla necessità di stabilire e di rafforzare legami fraterni con i cristiani nel Vicino e nel Medio Oriente, specialmente con coloro che sono talvolta ignorati in Iran, nel Sudan e nell’Africa del Nord. Questo allargamento di prospettiva e questa preoccupazione di solidarietà mi hanno molto rallegrato: vi riconosco un segno promettente di rinnovamento in uno scambio di doni tra Chiese particolari. La Chiesa cattolica in Libano, così privilegiata malgrado le sofferenze, è invitata ad aprirsi ai fratelli e a rispondere con gioia alla vocazione propria di ogni Chiesa particolare, di creare legami fraterni, secondo l’esempio della prima comunità cristiana di Gerusalemme (cfr At 1, 42-46) (249). Numerosi Padri sinodali, sacerdoti, religiosi, religiose ed anche fedeli laici hanno sostenuto che una delle vie del rinnovamento della Chiesa nel Libano sarà la sua apertura alla missione ad gentes per cooperare con altre Chiese particolari sparse nel mondo. Lo slancio missionario non potrà che rinnovare la giovinezza ed il vigore della Chiesa al proprio interno.

In questo spirito, il Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente (CPCO) (250), chiamato a rafforzare le sue strutture, manifesterà in modo concreto la cattolicità della Chiesa nella regione e la sua missione di salvezza per tutti coloro che vi abitano. Il CPCO ha un ruolo di coordinamento regionale attuando nel modo proprio la testimonianza dello spirito collegiale dell’episcopato in vista di realizzazioni comuni negli ambiti apostolici e caritativi (251).

Con le comunità cattoliche della diaspora

83. Un appello urgente è stato lanciato da vari intervenuti, per mantenere ed intensificare le relazioni tra le comunità cattoliche della diaspora e i diversi Patriarcati in Libano. In effetti, una comunità locale non può vivere separata dal proprio centro di unità, senza correre il rischio di ergersi a totale indipendenza. Questa rifioritura di relazioni comporta dei doveri da una parte e dall’altra. Così, ciascun Patriarcato si prenderà cura di fornire ai propri fedeli sparsi nel mondo l’assistenza spirituale e morale di cui hanno bisogno, inviando presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, che avranno cura di lavorare congiuntamente con le altre Chiese locali, in particolare con la Chiesa di rito latino. Allo stesso tempo, i Vescovi faranno attenzione affinché i futuri presbiteri, formati nella diaspora, possano scoprire concretamente il patrimonio e la cultura della loro Chiesa patriarcale d’origine. Queste relazioni si concretizzeranno anche mediante una permanente condivisione materiale e spirituale, per sostenere l’intero Corpo ecclesiale (252).

Con la Chiesa cattolica nel suo insieme

84. L’Assemblea sinodale ha reso possibile una nuova Pentecoste, di cui dobbiamo rendere grazie al Signore. Le Chiese orientali cattoliche in piena comunione con la Chiesa di Roma sono una manifestazione tangibile della maturità della coscienza ecclesiale. In effetti, l’unità è una caratteristica primordiale della Chiesa ed è richiesta dalla sua natura profonda (253). Questa tensione all’unità non deve tuttavia indebolire il patrimonio specifico delle Chiese orientali cattoliche, alle quali i fedeli sono invitati ad accordare «stima e lode», perché è «patrimonio di tutta la Chiesa del Cristo» (254). Le tradizioni particolari costituiscono anch’esse un’occasione privilegiata per ravvivare il dinamismo e lo slancio missionario, al quale ciascun fedele deve partecipare. I pastori avranno cura di offrire a tutti i cattolici la formazione necessaria, affinché acquistino il senso missionario e vengano in aiuto ai loro fratelli cristiani ed a quanti si trovano nel bisogno (255).

II. Il dialogo con le Chiese ortodosse

85. L’Assemblea Speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi è stata un tempo di grazia, un kairòs, anche a motivo della partecipazione attiva dei delegati fraterni delle Chiese ortodosse in Libano, provenienti dai Patriarcati grecoortodosso e siriaco-ortodosso d’Antiochia, dal Catholicossato armeno di Cilicia e dalla Chiesa Assira d’Oriente. I loro interventi in sessione plenaria e nei gruppi di studio, come pure gli incontri amichevoli, hanno contribuito a sviluppare un clima fraterno tra le diverse Chiese. Li ringrazio per la loro fraterna partecipazione e per il loro contributo al dialogo. In effetti, è ormai chiaro che studi attenti hanno permesso di dissipare numerosi malintesi sulla maggior parte delle controversie cristologiche sorte nel V secolo. La Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse in Libano sono dunque chiamate, in modo tutto speciale, a «conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali» (256).

Molti progressi sono stati compiuti dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II. Insieme con l’intera Chiesa cattolica, gioisco dell’impegno ecumenico di ciascuna Chiesa, dei dialoghi fruttuosi fra di loro e dei vari accordi teologici che è stato possibile firmare (257). Ciò ha senza dubbio permesso di riprendere in considerazione, con serenità e fiducia, i problemi che ancora ostacolano la piena comunione nella carità tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse e di valutare elementi di soluzione, nella preoccupazione per la verità.

86. Il primo orientamento proposto consiste nel riscoprire ed approfondire la tradizione antiochena comune ad un certo numero di Chiese patriarcali cattoliche e di Chiese ortodosse del Medio Oriente. Questo ritorno alle fonti richiede un rinnovamento nella formazione e nella riflessione teologica, nella vita spirituale e nell’azione pastorale, tenendo conto della Tradizione della Chiesa, in particolare dei Padri d’Oriente e d’Occidente, che hanno espresso il messaggio evangelico nelle loro diverse culture. Invito tutti i discepoli di Cristo ad una preghiera fervente affinché possiamo compiere la volontà del Signore, li esorto ad una vita di fede e di carità sempre più intensa, a una vera condivisione dei doni ed alla scoperta seria delle prospettive spirituali dei loro fratelli (258) È certamente in questa linea che gli organismi di formazione teologica e pastorale possono apportare un contributo importante al dialogo ecumenico.

Durante le discussioni, l’Assemblea sinodale ha evocato in maniera approfondita tre problemi pastorali, che sono sorgente di difficoltà nelle relazioni tra le Chiese patriarcali cattoliche e le Chiese ortodosse (259); essi devono ancora essere oggetto di studi seri, in comunione con la Santa Sede (260). Mi rallegro degli sforzi concreti intrapresi e delle collaborazioni realizzate in differenti ambiti; essi dovranno essere proseguiti e approfonditi, con la preoccupazione di far trionfare la verità e il dialogo della carità. Sono offerte possibilità apostoliche ai pastori della Chiesa cattolica, nel rispetto delle tradizioni e delle sensibilità, vigilando perché sia mantenuta una giusta esposizione della dottrina cattolica (261). Tali possibilità dovranno essere utilizzate avendo cura di proseguire in relazione e in armonia con i colloqui che la Santa Sede porta avanti con le diverse Chiese e dando ai fedeli la formazione necessaria (262).

III. I legami con le Comunità ecclesiali sorte dalla Riforma

87. La partecipazione del delegato fraterno delle comunità evangeliche in Libano è stata accolta con gioia ed è stata l’occasione per dissipare certi malintesi sulle comunità protestanti (263). Il legame primordiale fra la Chiesa cattolica e le comunità riformate è fondato sul Battesimo, che ci rende figli di Dio, come pure sull’ascolto della Parola di Dio. Allo stesso tempo, abbiamo coscienza di ciò che ci separa, in particolare per quel che concerne i ministeri e la sacramentalità della Chiesa. Mediante il dialogo fraterno e la preghiera, possiamo passare a poco a poco dalla diffidenza ad impegni concreti sulla via della riconciliazione e della piena unità, tradotti soprattutto in azioni sociali comuni che mettono in risalto il volto di Cristo, servitore di tutti gli uomini.

IV. Il Consiglio delle Chiese in Medio Oriente

88. In Libano, il Consiglio delle Chiese in Medio Oriente (CEMO) è divenuto uno dei contesti abituali del dialogo ecumenico. È in questo contesto che potrebbe essere avviata una riflessione comune su problemi come quello della data della celebrazione della Pasqua del Signore e quello dello studio di un testo arabo comune del Padre Nostro e del Credo, che sarà necessario poi sottoporre alle autorità competenti. Nell’ambito umanitario, si può offrire una testimonianza comune, per manifestare ai nostri contemporanei la tenerezza e la sollecitudine del Signore. Il servizio dell’unità cristiana esige una competenza ed una formazione specializzata, e non può essere realizzato senza la partecipazione al più alto livello dei Capi delle Chiese interessate. In effetti, le iniziative ecumeniche impegnano non soltanto la Chiesa locale, ma tutta la Chiesa e tutte le Chiese. Esorto dunque i pastori ed i fedeli a mantenere vivo il desiderio dell’unità, e ad adoperarsi con perseveranza, mediante un dialogo ecumenico ravvicinato, nel far evolvere le mentalità, pregando insieme ed agendo insieme ogni volta che ciò sia possibile (264).

In uno spirito di concordia e di fraternità, è opportuno ricordare le relazioni che il CEMO si sforza di sviluppare e di consolidare con le diverse comunità musulmane, per individuare le collaborazioni possibili, così da servire insieme la società libanese.

 

CAPITOLO V

La Chiesa cattolica in Libano impegnata nel dialogo inter-religioso

Un vero dialogo

89. Un vero dialogo fra i credenti delle grandi religioni monoteiste poggia sulla stima reciproca, al fine di proteggere e di promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà (265). Tale comune compito è particolarmente urgente per i Libanesi, chiamati coraggiosamente a perdonarsi l’un l’altro, a far tacere dissensi ed inimicizie e a cambiare mentalità, per sviluppare la fraternità e la solidarietà in vista della ricostruzione di una società sempre più accogliente (266).

Per partecipare alla trasformazione del mondo occorre anzitutto convertirsi interiormente e lottare per la giustizia, nella carità e nella fraternità. Per i cristiani si tratta di una dimensione costitutiva della predicazione evangelica, perché essi saranno riconosciuti dalle opere buone che compiranno. La Chiesa deve incessantemente contribuire alla difesa della dignità dell’uomo, «posto al centro della società», e la sua dottrina «rivela l’uomo a se stesso» (267). Specialmente nei momenti critici della loro storia, i popoli si rivolgono fiduciosi verso di lei per ottenere consigli, sostegno e soccorso.

«Coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone» (Tt 3, 8). Le comunità spirituali e le scuole di pensiero del Libano, che si riferiscono a Dio che tutti adorano e si sforzano di servire (268), devono ormai impegnarsi sulla via di una solidarietà più profonda; ciò si tradurrà in gesti effettivi d’amicizia e di mutua comprensione, nel rispetto della dignità inalienabile delle persone, della libertà di coscienza e di quella religiosa, elementi costitutivi del bene comune.

I. Il Dialogo Islamo-Cristiano

90. Avendo vissuto fianco a fianco per lunghi secoli talora in pace ed in collaborazione, talora nello scontro e nei conflitti, i cristiani ed i musulmani in Libano devono trovare nel dialogo, rispettoso delle sensibilità delle persone e delle diverse comunità, la strada indispensabile all’accoglienza ed all’edificazione della società (269).

I Libanesi non devono dimenticare tale lunga esperienza di relazioni, che essi sono chiamati a riprendere instancabilmente per il bene delle persone e dell’intera Nazione. Per uomini di buona volontà, è impensabile che dei membri di una medesima comunità umana, viventi nella stessa terra, giungano a diffidare gli uni degli altri, ad opporsi e ad escludersi in nome delle rispettive religioni. Ringrazio i delegati fraterni musulmani e druso per la loro presenza all’Assemblea sinodale e per la partecipazione attiva al dialogo.

91. Questo dialogo deve continuare a diversi livelli. Anzitutto, nella vita quotidiana, nel lavoro e nella vita della polis, le persone e le famiglie imparano a stimarsi. Le concrete esperienze di solidarietà sono una ricchezza per tutto il popolo ed un importante passo avanti sulla via di quella riconciliazione degli spiriti e dei cuori senza la quale nessuna opera comune può essere portata avanti per lungo tempo. La saggezza naturale conduce dunque coloro che vivono insieme ad una ricca comunicazione umana e ad un vicendevole aiuto attraverso il quale si consolida il tessuto sociale.

Il dialogo religioso non può venir trascurato. Esso deve aiutare a guardare gli altri con stima, a discernere e a riconoscere la grandezza delle ricerche spirituali dei propri fratelli, ricerche che portano a camminare sulla strada della divina volontà e che consentono di far progredire negli individui, come nella vita collettiva, i valori spirituali, morali e socioculturali.

II. La Convivialità

92. È particolarmente necessario intensificare la collaborazione tra i cristiani e i musulmani, nei campi nei quali sarà possibile, con spirito disinteressato, cioè per il bene comune e non per quello delle persone private o di una comunità particolare, o ancora nella speranza d’ottenere più prestigio o potere nella società. La considerazione comune rispetto alla vita morale e la loro aspirazione ad un avvenire migliore li renderanno insieme responsabili della edificazione della società presente e del mondo di domani, proteggendo e promovendo i valori morali, la giustizia sociale, la pace e la libertà, la difesa della vita e della famiglia (270). Tale opera comune non mancherà di ridare a tutti i Libanesi fiducia nei loro fratelli e nell’avvenire, aprendoli al meglio della modernità.

Il dialogo islamo-cristiano non è soltanto un dialogo di intellettuali. Esso mira, in primo luogo, a promuovere la convivenza tra cristiani e musulmani in spirito d’apertura e di collaborazione, indispensabile affinché ognuno possa realizzarsi, facendo liberamente le scelte dettate dalla sua retta coscienza. Apprendendo a meglio conoscersi e ad accettare pienamente il pluralismo, i Libanesi potranno darsi quelle condizioni che sono indispensabili al dialogo ed al rispetto delle persone, delle famiglie e delle comunità spirituali. Le scuole ed i vari istituti di formazione rivestono un ruolo essenziale in questo campo, perché, fin dalla giovinezza, l’apprendistato della vita comune rende i fanciulli attenti gli uni gli altri e li invita a gestire pacificamente i contrasti che possono presentarsi.

III. Solidarietà con il mondo arabo

93. Aperta al dialogo ed alla collaborazione con i musulmani del Libano, la Chiesa cattolica vuole essere aperta anche al dialogo ed alla collaborazione con i musulmani degli altri Paesi arabi, di cui il Libano è parte integrante. In effetti, un medesimo destino lega i cristiani e i musulmani in Libano e negli altri Paesi della regione; ogni cultura particolare è ancora segnata dagli apporti religiosi e civili propri delle differenti civilizzazioni che si sono succedute nella regione (271). I cristiani del Libano e dell’insieme del mondo arabo, fieri della loro eredità, contribuiscono attivamente al perfezionamento della cultura.

In tutti i paesi ed in tutte le culture ove essi sono sparsi, «i cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per il paese, né per la lingua, né per i costumi. [...] Essi si conformano ai costumi locali per i vestiti, il nutrimento e il resto dell’esistenza, pur manifestando le leggi straordinarie e veramente paradossali del loro modo di vivere» (272). Vorrei insistere sulla necessità per i cristiani del Libano di mantenere e di rinsaldare i loro legami di solidarietà con il mondo arabo. Li invito a considerare il loro inserimento nella cultura araba, alla quale tanto hanno contribuito, come un’opportunità privilegiata per condurre, in armonia con gli altri cristiani dei Paese arabi, un dialogo autentico e profondo con i credenti dell’Islam. Vivendo in una medesima regione, avendo conosciuto nella loro storia momenti di gloria e momenti di difficoltà, cristiani e musulmani del Medio Oriente sono chiamati a costruire insieme un avvenire di convivialità e di collaborazione, in vista dello sviluppo umano e morale dei loro popoli. Inoltre, il dialogo e la collaborazione tra cristiani e musulmani in Libano può contribuire a far sì che, in altri Paesi, si avvii lo stesso processo.

IV. L’edificazione della società

94. Vorrei nuovamente sostenere ed incoraggiare il popolo libanese nella sua vita sociale. Sussistono divergenze tra gli abitanti del paese. Ma esse non devono costituire un ostacolo per una vita comune ed una pace vera, cioè per una pace che sia più d’una semplice assenza di conflitto.

Come tutti i popoli, i Libanesi, amando in modo del tutto singolare la loro terra, sono chiamati a prendersi cura del loro Paese, a mantenere instancabilmente la fraternità e ad edificare un sistema politico e sociale giusto, equo e rispettoso delle persone e delle varie tendenze presenti, per costruire insieme la loro casa comune. Nessuno può sottrarsi al compito morale e civile che deve legittimamente esercitare in seno al suo popolo. Inoltre, ogni personalità pubblica, politica o religiosa, e «ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell’intera famiglia umana» (273). In effetti, l’attività nella vita pubblica è anzitutto un servizio responsabile dei fratelli — di tutti i fratelli — cercando con ogni mezzo di far sì che tutti lavorino in armonia; coloro che accettano di impegnarsi nel pubblico servizio, nella vita politica, economica e sociale hanno il dovere categorico di rispettare certi obblighi morali e di subordinare i loro interessi particolari o di gruppo al bene della nazione. Così vivendo, saranno esempi per i loro concittadini e si adopereranno a fare tutto il possibile per far concorrere le loro azioni al bene comune. Ciò suppone di superare in permanenza gli atteggiamenti egoistici (274), per vivere con un disinteresse che può giungere fino alla abnegazione, al fine di guidare tutto il popolo verso il benessere, attraverso il giusto esercizio della res publica.

95. Nella vita sociale, «non si possono impunemente disprezzare i diritti e i doveri» (275) delle persone, delle comunità culturali o spirituali e dei popoli. In tale ambito il progresso umano, personale e collettivo, suppone il senso della condivisione, della responsabilità e del sacrificio. Ignorarlo non può che condurre a un profondo scuotimento dell’ordine nelle relazioni pubbliche, abbandonando ciascuno ad arbitri di ogni sorta e portando la cittadinanza ad una inevitabile perdita di fiducia nelle istituzioni nazionali. Come ho già ribadito in diverse circostanze, «il diritto delle genti e le istituzioni, che ne sono la garanzia, costituiscono punti di riferimento insostituibili quando occorre difendere l’uguale dignità dei popoli e delle persone » (276). Vi è qui una delle espressioni autentiche di ciò che è il bene comune, fondamento della legittimità politica e morale dell’autorità e delle leggi alle quali le persone devono sottomettersi.

Invito pertanto tutti i Libanesi a coltivare e far crescere in sé, e soprattutto nelle giovani generazioni, «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti» (277). Allo stesso tempo, è auspicabile che si sviluppi una condivisione equa delle responsabilità in seno alla nazione, affinché tutti possano mettere i propri talenti e le proprie capacità al servizio dei fratelli e sentire di avere un contributo specifico da apportare al proprio Paese, secondo il principio di sussidiarietà (278), mediante la creatività personale e l’esercizio del loro spirito di iniziativa che costituiscono un diritto (279).

La vita fraterna e solidale in seno alla comunità nazionale comporta che non si consideri il proprio posto come ricerca di privilegi per se stessi o per la propria comunità, eventualmente scartando altre persone. Essa è fondata sull’assicurazione che ciascuno ha di diritto il proprio ruolo nella vita sociale, politica, economica, culturale e associativa nella fedeltà alle proprie tradizioni spirituali e culturali, nella misura in cui ciò non si oppone al bene comune e non mette a rischio la vita nazionale.

96. Invito tutti i Libanesi a prestare un’attenzione speciale ai giovani, che sono la più grande ricchezza del Paese, e che per questa ragione devono ricevere una formazione professionale ed una educazione umana, morale e spirituale qualificate. È necessario che essi abbiano un proprio ruolo nelle decisioni che impegnano la nazione, che si sentano accolti e sostenuti nel loro inserimento professionale e sociale e che possano beneficiare di una formazione che permetta loro di programmare serenamente il loro avvenire personale e la costruzione di una famiglia. Ma i cambiamenti di strutture sono legati ad un cambiamento dei cuori, affinché tutti abbiano cura di partecipare alla vita comune, nel rispetto della giustizia sociale (280). In tale spirito, tutti avranno cura di promuovere il valore della giustizia tra le persone e tra le generazioni, poiché il male genera violenza, sfiducia ed egoismo. Allo stesso tempo, occorre offrire lavoro al maggior numero di persone possibile, per evitare che alcuni Libanesi si ritrovino sempre al margine della società, vedano abbassarsi pericolosamente il tenore di vita o sperimentino situazioni di povertà estrema, mentre altri si disinteressino della vita del loro Paese e siano spinti ad «una forma di emigrazione“psicologica”» (281), perché hanno la sensazione di non poter partecipare alla vita della collettività non intravedendo alcun avvenire nella loro terra d’origine.

V. La pace e la riconciliazione

97. Negli anni passati, il Libano è stato segnato dalla prova della guerra. Oggi, tali sofferenze esigono una reale purificazione delle memorie e delle coscienze. A tal fine, occorre promuovere «una pace pazientemente edificata e duratura» (282), poiché essa sola può essere la sorgente vera dello sviluppo e della giustizia.

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi» (Gv 14, 27). Poiché hanno ricevuto da Cristo, Principe della Pace, tale dono che li trasforma interiormente, i cristiani hanno il dovere di esserne i primi testimoni ed artefici (283); il Vangelo della pace è un invito permanente al perdono e alla riconciliazione. La pace passa attraverso la pratica assidua della fraternità umana, esigenza fondamentale che viene dalla nostra comune somiglianza divina e discende pertanto da una esigenza legata alla creazione e alla redenzione. Dove la fraternità tra gli uomini è fondamentalmente misconosciuta, la pace va in rovina alla sua stessa base (284). Costruire la pace diviene un servizio della carità, segno profetico del Regno dei cieli.

Il messaggio di pace che Gesù ha profondamente espresso nelle Beatitudini, udite dalle moltitudini provenienti «da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone» (Lc 6, 17), deve essere trasmesso dai discepoli del Signore a tutti i fratelli. I fedeli di Cristo devono lasciarsi condurre dallo Spirito, che mette in luce il peccato, personale e del mondo, per convertirsi e ricevere la grazia che li dispone a preparare le vie del Signore. «Poiché la via della pace passa in definitiva attraverso l’amore e tende a creare la civiltà dell’amore, la Chiesa fissa lo sguardo in colui che è l’amore del Padre e del Figlio e, nonostante le crescenti minacce, non cessa di aver fiducia, non cessa di invocare e di servire la pace dell’uomo sulla terra. La sua fiducia si fonda su colui che, essendo lo Spirito-amore, è anche lo Spirito della pace e non cessa di essere presente nel nostro mondo umano, sull’orizzonte delle coscienze e dei cuori, per «riempire l’universo» di amore e di pace» (285).

98. Esorto dunque oggi tutti i cattolici ed invito al tempo stesso gli altri cristiani e gli uomini di buona volontà a porre gesti profetici e ad indossare le armi della pace e della giustizia. È urgente sviluppare e promuovere tra tutte le componenti della nazione libanese una vera educazione delle coscienze alla pace, alla riconciliazione e alla concordia. Nei rapporti ecumenici e inter-religiosi, il senso della pace è anche un elemento fondamentale del dialogo fraterno. Non bisogna mai dimenticare che un gesto di pace può disarmare l’avversario e spesso lo invita a rispondere positivamente con la mano tesa, poiché la pace, che è un bene per eccellenza, tende a comunicarsi. La storia religiosa ci presenta numerosi Santi che sono stati fonte di riconciliazione con il loro atteggiamento pacifico fondato sulla preghiera e l’imitazione di Gesù Cristo.

Così, alla soglia del terzo millennio cristiano, si aprirà un’era nuova per il Paese e per la regione, grazie a gesti di perdono e di collaborazione sempre più profondi tra tutte le componenti della società nazionale. Sono le condizioni primordiali affinché si edifichi e sopravviva «un Libano democratico, aperto agli altri, in dialogo con le culture e le religioni» (286), capace di assicurare a tutti i suoi membri un’esistenza degna e libera. Uno Stato di diritto non può fondarsi sulla forza per farsi rispettare. Esso viene riconosciuto nella misura in cui i dirigenti e il popolo intero hanno a cuore i diritti dell’uomo e sono capaci di instaurare tra loro relazioni umane e scambi nella fiducia e nella libertà (287).

La pace suppone da parte di tutti la ferma volontà di rispettare i propri fratelli, di compiere dei passi nei loro confronti; essa si ottiene essenzialmente salvaguardando il bene delle persone e delle comunità umane che costituiscono una medesima patria, nel contesto di quella che può essere chiamata un’economia della pace (288). In tale processo, la famiglia e la scuola sono chiamate a giocare un ruolo fondamentale (289). Sono luoghi dove le persone possono compiere un’esperienza privilegiata del «vivere insieme» in una medesima terra. «Chi fa opera per educare le nuove generazioni alla convinzione che ogni uomo è nostro fratello costruisce dalle fondamenta l’edificio della pace» (290).

L’impegno a favore della pace di tutti gli uomini di buona volontà condurrà ad una riconciliazione definitiva fra tutti i Libanesi e fra i diversi gruppi umani del Paese. La riconciliazione è il punto di partenza della speranza in un nuovo avvenire per il Libano. La guerra è terminata e la riconciliazione deve essere considerata come la via della pace profonda che deve instaurarsi fra tutti i Libanesi. Che la fine della guerra armata sia anche la fine della guerra fra diversi particolarismi, la fine dei conflitti d’interessi personali, che talvolta sono più terribili poiché possono sfociare in lotta di tutti contro tutti. Che ognuno si ricordi che con la guerra non si può ottenere nulla. Tutti ne escono feriti, poiché la ferita di un fratello è sempre anche quella di tutti i concittadini. Solo la pace e la riconciliazione offrono il quadro propizio per un posto vero e riconosciuto a ciascun Libanese nel suo Paese, e alla risoluzione dei problemi delle persone e dei gruppi all’interno della nazione.

99. La pace nel Paese potrebbe recare frutti in tutta la regione e permettere così a quanti hanno dovuto fuggire di ritornare nel loro luogo d’origine in condizioni convenienti, grazie all’aiuto dei compatrioti e della comunità internazionale. In realtà, nel corso degli ultimi decenni, a causa della guerra, famiglie libanesi sono fuggite dalla terra che assicurava il loro sostentamento, e a causa dei diversi focolai di conflitto nella regione, anche altre persone hanno dovuto abbandonarla. Tuttavia, in attesa che tale ritorno alla propria terra si possa realizzare, essi non devono essere lasciati senza assistenza e vivere in mezzo all’indifferenza della popolazione presso la quale vivono spesso in situazioni precarie e di povertà, né dell’eventuale indifferenza delle Organizzazioni d’aiuto umanitario o delle Autorità internazionali. I rifugiati sono in ogni circostanza esseri umani, con la loro dignità e i loro diritti inalienabili (291).

 

CAPITOLO VI

La Chiesa al servizio della società

Rilevanza sociale della missione della Chiesa

100. Dappertutto la Chiesa ha la missione di far conoscere il Cristo, il Figlio di Dio, e di annunciare la salvezza offerta a tutti gli uomini. Contemplando il suo Signore, l’uomo perfetto, essa ha anche la costante consapevolezza di rivestire un ruolo specifico nella società, per liberare le persone da tutto ciò che impedisce la crescita umana e spirituale, poiché «la gloria di Dio è l’uomo vivente» (292).

I. Il servizio sociale

101. Operando nella società, il cristiano deve ispirarsi alla Parola di Dio, che lo invita anzitutto a far propria la preoccupazione del Signore verso gli orfani ed i poveri, verso coloro che hanno assunto «l’aspetto di Cristo» e sono divenuti «i prediletti del Signore» (293). Fin dagli inizi, il popolo dell’Alleanza e la comunità cristiana hanno avuto sempre consapevolezza del diritto primordiale del povero, del debole e dell’emigrato (cfr Dt 24, 17-18). Soccorrendo i fratelli bisognosi, il cristiano partecipa al ristabilirsi della fraternità perduta a causa del peccato e chiede a Cristo di poter realizzare quella perfetta fraternità, di cui la Chiesa è primizia: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più morte, né lutto né lamento, né affanno, perché tutte le cose di prima sono passate» (Ap 21, 3-4). Faccio appello, dunque, alla coscienza dei fedeli, ricordando loro che tutti noi saremo giudicati sulla qualità della nostra accoglienza verso il povero, verso lo straniero e verso colui che si trova nella prova. Se li abbiamo amati ed aiutati, al tramonto della nostra vita sentiremo il Signore che ci dirà: «Venite benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno [...] avevo fame e mi avete dato da mangiare [...] ero straniero e mi avete ospitato» (Mt 25, 34-35).

Affinché questa forma di testimonianza dell’amore di Dio possa essere compresa come testimonianza di Chiesa, è indispensabile che tutti i cattolici lavorino in comunione con tutta la Chiesa e non solo individualmente. «Lo spirito di povertà e d’amore è infatti la gloria e la testimonianza della Chiesa e di Cristo» (294).

102. I postumi della guerra pesano fortemente sulla società libanese e generano una crisi socio-economica, che tocca gli individui e le famiglie. Il loro contraccolpo si fa sentire nel problema degli alloggi, della sanità, della educazione e del lavoro. Vorrei, a questo punto, ricordare l’impegno instancabile profuso da numerosi laici ed Istituti religiosi nei servizi inerenti all’educazione, nei servizi medici e sociali, nell’aiuto ai più poveri. Essi manifestano in tal modo la sollecitudine di Dio e l’amore del Cristo verso tutti i «piccoli», che sono suoi fratelli. Rallegrandomi per quanto già esiste nel Paese, invito tutti i Libanesi a continuare e ad incrementare iniziative concrete di solidarietà e di condivisione in tutti i campi della vita sociale, confermando, così, l’interdipendenza indispensabile tra cittadini di uno stesso Paese, il principio della destinazione universale dei beni della terra e l’opzione preferenziale per coloro che sono privi del necessario.

Nessuno deve essere escluso dalla rete delle relazioni economiche e sociali. I poveri, le persone emarginate, i portatori di handicap, fisici e mentali, tutti devono poter beneficiare di attenzione fraterna e di accurata solidarietà. Per quanto le riguarda, le Chiese patriarcali hanno il dovere di organizzarsi al fine di offrire aiuti efficaci, materiali, spirituali e morali a tutti coloro che ne hanno bisogno, avendo cura di gestire correttamente il loro patrimonio.

La solidarietà nazionale deve, altresì, svilupparsi nell’ambito della sanità. Ogni persona deve poter beneficiare degli aiuti e dell’assistenza medica necessaria, indipendentemente dalle proprie risorse. Invito la Chiesa a riflettere su ciò che è possibile realizzare in questo campo, come in quello della pastorale dei malati bisognosi di essere accompagnati nella loro malattia. Suggerisco alla gerarchia cattolica di compiere uno studio serio e profondo circa l’organizzazione dei servizi sanitari nelle loro istituzioni, con la preoccupazione di farne dei luoghi di testimonianza sempre più grande dell’amore verso gli uomini. In particolare, si dovrà essere attenti a rendere le istituzioni di cura accessibili ai meno abbienti.

103. L’aiuto che la Chiesa può apportare alla vita sociale è ben più ampio di quanto finora è stato sottolineato nei vari punti presi in considerazione. I problemi, spesso complessi, devono essere studiati con cura e divenire oggetto di azioni coordinate fra i Patriarcati. Durante il Sinodo si è spesso parlato della responsabilità dei laici, dei religiosi e delle religiose presenti nelle strutture ecclesiastiche incaricate di individuare e di attuare gli interventi in materia sociale. In quest’ambito come negli altri evocati nei capitoli precedenti, domando ai responsabili della Chiesa cattolica in Libano di associare più strettamente i laici alla missione della Chiesa universale. Ciò tornerà a vantaggio di tutti. Le Chiese patriarcali troveranno anche le modalità per una collaborazione fiduciosa con gli altri organismi della società operanti negli stessi settori di attività, nel rispetto delle responsabilità proprie e delle specifiche competenze. In particolare, i cattolici si impegneranno a garantire nelle loro istituzioni uno spirito veramente cristiano e svilupperanno una pastorale adattata ai bisogni delle persone che fanno ricorso al loro servizio (295).

II. La gestione dei beni della Chiesa

104. I beni della Chiesa sono mezzi per l’apostolato, per le opere sociali e per i servizi che i cristiani devono compiere, in prospettiva di sviluppo e di giustizia. In realtà, «l’essenziale sta nella fede e nella carità, alle quali nulla deve essere preferito» (296). Ascoltiamo su questo tema anche una esortazione di san Gregorio di Nissa: «Condividete i vostri beni con i poveri, che sono i preferiti da Dio. Tutto appartiene a Dio, nostro Padre comune. Noi tutti siamo fratelli di un’unica famiglia» (297). Nel contesto dell’amministrazione dei beni, in virtù della mia missione di «supremo amministratore dei beni temporali della Chiesa» (298), chiedo un impegno radicale di tutte le comunità cattoliche orientali, perché abbiano costantemente la preoccupazione di realizzare una amministrazione razionale, trasparente e chiaramente mirata verso le finalità per le quali i beni sono stati acquisiti. Secondo il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali spetta ai Vescovi il compito di vigilare affinché una gestione sana e moderna dei beni sia assicurata in uno spirito di totale disinteresse, da persone competenti, integre e particolarmente adatte per un servizio ecclesiale e sociale; esse dovranno rendere conto della loro gestione e delle loro decisioni (299). Resta chiaro che l’amministrazione del patrimonio della Chiesa è un servizio apostolico che non può avere come scopo un arricchimento personale, familiare o di gruppo.

105. Il principio dei waqfs, del loro regime giuridico e del loro modo di gestione e di utilizzo deve essere riesaminato e rivalutato. Per rendere possibile la loro amministrazione, bisogna prima redigere un inventario dello stato attuale e delle finalità reali di ciascuna delle forme di waqfs, i loro diversi tipi di beni temporali (300), e verificarne il rendimento e l’uso. È ugualmente necessario stabilire una pianificazione d’insieme dei bisogni ed un uso corretto dei waqfs, corrispondente alle quattro finalità dei beni ecclesiastici: il culto, le opere di apostolato, le opere di carità e il giusto sostentamento dei pastori (301).

Nella linea fissata dai miei Predecessori, e in particolare dal Papa Paolo VI, ho confermato in modo esplicito che nessun bene ecclesiastico (302) in Medio Oriente sia acquistato o alienato, se non secondo le norme giuridiche del diritto comune (303) e quelle emanate in modo speciale dalla Santa Sede per il Medio Oriente (304). In questa materia, i Vescovi eserciteranno la loro vigilanza e si prenderanno cura di offrire a tutti i membri del Popolo di Dio, specialmente ai seminaristi, ai presbiteri e ai membri degli Istituti religiosi, la necessaria formazione (305).

Grazie ai waqfs, so che numerose realizzazioni sono già state fatte e me ne rallegro. Saluto in particolare le iniziative prese dai Patriarcati, dalle Eparchie e dagli Istituti religiosi, specialmente quella della costruzione di appartamenti per giovani coppie e per persone svantaggiate. Incoraggio le iniziative disinteressate prese in tale ambito da laici. È importante che i diversi progetti in favore delle famiglie che hanno meno mezzi finanziari per vivere siano continuati e intensificati.

III. Il servizio educativo

Le scuole e i centri accademici cattolici in Libano (306)

106. Nel campo educativo, la Chiesa ha una tradizione che è opportuno salvaguardare. Essa è chiamata ad essere educatrice delle persone e dei popoli. Le scuole cattoliche hanno la preoccupazione di partecipare efficacemente alla missione della Chiesa e di fornire un qualificato insegnamento. Per questo, tutti gli interessati devono essere strettamente uniti: insegnanti, alunni, genitori, personale tecnico e amministrativo, sacerdoti, religiosi e religiose, associazioni specifiche di genitori degli allievi, di insegnanti e di ex-allievi che offrono il loro sostegno alle istituzioni scolastiche, sotto la responsabilità dei Vescovi. Incoraggio le comunità educative a proseguire la loro azione al servizio dei giovani, che hanno bisogno di ricevere le basi culturali, spirituali e morali che li renderanno cristiani attivi, testimoni del Vangelo e cittadini responsabili nel loro Paese; ciò suppone che si intensifichino le collaborazioni e che si sviluppi il coordinamento tra i competenti servizi dei diversi Patriarcati cattolici. Le diverse istituzioni devono essere fedeli alla loro missione di enti cattolici, nel mettersi, anzitutto, a disposizione della comunità cristiana, ma anche più ampiamente dell’insieme del Paese, in uno spirito di dialogo con tutte le componenti della società, senza tuttavia perdere di vista la specificità di insegnamento cattolico che è loro propria. È necessario che la dimensione religiosa dell’insegnamento cattolico sia sempre più evidente; il modo di affrontare le materie profane, la proposta di una visione dell’uomo e della storia illuminata dalla fede, il legame con la Chiesa e lo stile di vita di insegnanti che siano esemplari per il loro comportamento, l’invito ad una vita morale retta, la proposta di una vita spirituale profonda, le conoscenze inculcate ai giovani: questi sono altrettanti punti di attenzione per un’educazione integrale della gioventù. Si ricordino tutti che «la scuola cattolica [...] ha l’ambizione di proporre contemporaneamente l’acquisizione di un sapere ampio e profondo quanto possibile, l’educazione esigente e perseverante alla vera libertà umana e la formazione dei bambini e degli adolescenti che le sono affidati verso l’ideale concreto e il più elevato che ci sia: Gesù Cristo e il suo messaggio evangelico» (307).

107. Come tutte le strutture scolastiche, gli istituti cattolici hanno coscienza di partecipare alla costruzione della società attraverso l’educazione che è l’arte di formare le persone e di proporre loro valori che meritano di essere difesi e che devono essere trasmessi. La comunità educativa partecipa all’approfondimento della cultura libanese, allo sviluppo delle relazioni tra le generazioni e dei rapporti dei giovani con i loro genitori. Non si dimentichi neppure che essa permette ai giovani di progettare seriamente il loro avvenire e di trovare delle ragioni di vivere e sperare.

Nella misura in cui le circostanze concrete lo permettono, la Chiesa in Libano si sforza di essere sempre presente a questa attività umana di fondamentale importanza; essa conosce la stima che nutre nei suoi confronti la grande maggioranza dei Libanesi ed è fiera di poter offrire un’educazione scolastica a numerosissimi bambini in tutto il Paese senza alcuna distinzione o discriminazione (308). Forte della fiducia che le è accordata, essa deve continuare nei propri compiti, prendendo misure atte a rendere i propri istituti di insegnamento accessibili a tutti coloro che possono essere educati, in particolare ai più poveri economicamente, così da permettere loro di accedere alla formazione di base necessaria alla vita nella società e alla cultura. In questo spirito, con i Padri del Sinodo, chiedo alle istituzioni educative cattoliche di riconsiderare, per quanto è possibile, la questione delle tasse scolastiche nei loro edifici, per non penalizzare le famiglie più povere. Un certo numero tra di esse già lo fanno. In realtà, accogliere giovani poveri nelle scuole costituisce una lunga tradizione della Chiesa cattolica. Incoraggio le comunità cattoliche a sviluppare una reale solidarietà tra di loro e con i giovani loro affidati, affinché nessun giovane interrompa la propria formazione per ragioni unicamente materiali o economiche. In tale ambito, viene apprezzata la generosità delle istituzioni caritative e dei fedeli e viene auspicato che continuino la condivisione, nel contesto della formazione sia scolastica che universitaria a favore di alunni e studenti bisognosi, di coloro che giungono dalle regioni rurali e che sovente hanno delle difficoltà a trovare alloggio e a far fronte ai loro bisogni primari (309). Nel realizzare ciò, le scuole cattoliche contribuiranno all’integrazione dei giovani in una società culturalmente ricca e li aiuteranno a progettare un futuro migliore.

Le università e gli istituti cattolici

108. Vi sono in Libano diversi centri accademici, alcuni dei quali assicurano pure un insegnamento in scienze religiose. Tali istituzioni hanno la loro storia e proprie tradizioni. Tuttavia, questa molteplicità può essere fonte di difficoltà in alcune circostanze, se non si sviluppa uno spirito di concertazione e di collaborazione. Sarebbe un vantaggio se non si cercasse di creare nuovi centri da parte della Chiesa patriarcale, ma piuttosto di raggruppare e di unificare queste istituzioni, per mettere insieme le forze vive e per permettere ad alcuni centri di specializzarsi maggiormente, per il bene dei fedeli (310). Incoraggio i Pastori a promuovere una formazione di qualità per tutti i fedeli. Essa avrà un’incidenza certa nella vita delle persone, in quella liturgica, pastorale e missionaria delle Chiese particolari e nelle relazioni con le altre Chiese e l’insieme del popolo libanese.

Come i Padri del Sinodo hanno costatato, le istituzioni di insegnamento superiore raccolgono un numero limitato di studenti se lo si confronta con quello delle Università statali. Per far fronte alle grandi sfide culturali, per un migliore insegnamento e per una più grande efficacia nella ricerca e nella formazione dei futuri professori, è importante che i differenti istituti universitari agiscano di concerto, al fine di presentare proposte comuni ed eventualmente raggruppandosi e affidando ad alcune istituzioni una specificità universitaria particolare. Invito i Vescovi a concentrare i loro sforzi sugli istituti già esistenti ed incoraggio la commissione dell’APECL incaricata delle questioni scolastiche e universitarie a favorire le collaborazioni tra le diverse istituzioni di insegnamento, così da evitare sperperi in personale, in energie e in mezzi materiali.

109. La libertà di educazione e di insegnamento è una delle componenti della vita di un Paese che è molto attento alle realtà culturali e che garantisce la libertà religiosa inerente alla dignità umana, perfettamente compatibile con i principi generali di insegnamento (311). È importante che i genitori possano scegliere la forma di educazione che preferiscono per i loro figli, in funzione delle loro convinzioni religiose e delle loro preferenze pedagogiche. Le autorità pubbliche hanno il dovere di rendere effettiva questa libertà di scelta e di vigilare affinché essa non sia occasione di discriminazione tra i figli e le famiglie e che non pesino ingiustamente sui genitori oneri troppo pesanti (312).

110. Nella vita scolastica e universitaria, conviene altresì essere attenti alla presenza ed alla qualità dell’animazione spirituale mediante cappellanie ben organizzate, perché i giovani trovino spazi di riflessione e di preghiera che li aiutino ad unificare la loro vita di uomini e di donne cristiani, tenendo conto delle conoscenze acquisite negli itinerari formativi. Gli assistenti spirituali dei giovani, i religiosi, le religiose e i laici che accettano questo incarico, riceveranno una formazione approfondita e saranno attenti agli sviluppi culturali del loro tempo. La pastorale universitaria riguarda tanto gli studenti quanto i docenti. Invito perciò tutti i Patriarcati e gli Istituti religiosi a fornire, nella misura delle loro possibilità, sacerdoti, diaconi, consacrati e laici per questa pastorale, destinandovi le persone più idonee in ragione della cultura, delle capacità intellettuali e delle qualità umane e spirituali (313).

IV. Servizio dell’informazione

111. I mezzi di comunicazione sociale sono diventati ormai elementi importanti dell’educazione e dell’universo quotidiano dei nostri contemporanei, come pure dell’evangelizzazione nelle diverse lingue e culture (314). La Chiesa ha in essi il suo posto, per promuovere la verità, condizione di ogni dignità umana, e i valori spirituali e morali che permettono ad ogni persona di comportarsi con rettitudine nella vita quotidiana e di sviluppare i vari aspetti della propria personalità. Incoraggio le iniziative prese nella Chiesa al fine di favorire trasmissioni religiose, programmi di informazione e di educazione, che aiutino a formare il senso critico degli adulti e dei giovani di fronte alla moltitudine di messaggi dei media, dai quali si trae talvolta l’impressione che tutti i comportamenti possano essere considerati in maniera equivalente. Parimenti, la Chiesa avrà cura di formare persone competenti per cogliere le opportunità offerte dai mezzi di comunicazione.

V. Impegno politico

112. «La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana» (315). La sua prioritaria missione è di condurre gli uomini a Cristo, Redentore e Salvatore. Non compete perciò ad essa impegnarsi direttamente nella vita politica; in effetti, «essa non ha soluzioni tecniche, [...] non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell’uomo sia debitamente rispettata e promossa e a lei stessa sia lasciato lo spazio necessario per esercitare il suo ministero nel mondo» (316). Tuttavia, ad essa incombe di richiamare instancabilmente i principi che soli possono assicurare una vita sociale armonica, sotto lo sguardo di Dio. Poiché la Chiesa vive nel mondo, «tutti i membri [...] sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro «propria e peculiare»: tale modalità viene designata con l’espressione “indole secolare”» (317).

Con la sua saggezza e la sua preoccupazione di servire l’uomo e l’umanità, la Chiesa desidera aiutare coloro che hanno il compito di esercitare un’attività pubblica a svolgerla pienamente, per il servizio dei fratelli. Come ha più volte sottolineato, essa riconosce che vi è una giusta autonomia delle realtà umane, nelle quali l’uomo è chiamato a fare buon uso della retta ragione (cfr Sir 15, 14), in armonia con la vita soprannaturale superiore a quella di questo mondo (318). Ad ogni coscienza s’impongono quei principi umani di fondo, che intimano a ciascuno ciò che deve fare o non fare (319).

È importante altresì ricordare che vi è una pratica cristiana della gestione degli affari temporali, poiché il messaggio evangelico illumina tutte le realtà umane che sono mezzi destinati a edificare la famiglia umana e al tempo stesso a condurre alla felicità eterna. I cristiani dunque non possono avere «due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta «spirituale», con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra la vita cosiddetta“secolare”» (320), che avrebbe valori differenti o opposti ai primi. Perciò, «per animare cristianamente l’ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente ed istituzionalmente il bene comune» (321).

113. I fedeli laici compiono in tal modo un autentico servizio all’uomo ed alla comunità nazionale, e questo in virtù del loro Battesimo, per il quale partecipano alla triplice funzione di Cristo: sacerdotale, profetica e regale. In particolare, mediante la partecipazione all’ufficio sacerdotale, essi fanno della loro azione una lode al Creatore, dando pieno senso alla creazione; mediante la partecipazione all’ufficio profetico, sono «chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad esprimere, con pazienza e coraggio, nelle contraddizioni dell’epoca presente la loro speranza nella gloria anche attraverso le strutture della vita secolare» (322). Per questo, faranno rinascere tra i loro compatrioti, in particolare tra i giovani, la speranza che un futuro è possibile ed il desiderio di contribuire attivamente ai cambiamenti che si impongono per giungere ad una migliore convivenza. La gestione degli affari pubblici è un cammino di speranza, perché è rivolta verso un mondo da costruire e lascia intravvedere che sono possibili trasformazioni per migliorare la condizione delle persone.

I fedeli partecipano anche all’ufficio regale del Signore impegnandosi nella via dell’ascesi spirituale per vincere il peccato e facendo dono di se stessi per servire Cristo, nella carità e nella giustizia. In tale prospettiva, è importante che tutto il Popolo di Dio conosca la dottrina sociale della Chiesa, che offre elementi di riflessione, punti di riferimento e criteri di giudizio e di decisione nell’azione, per orientarsi con rettitudine e integrità nei vari ambiti della vita personale e sociale.

Fin dalla più giovane età, è opportuno fornire a tutti i giovani, nelle varie istituzioni educative, un’appropriata educazione civica, per renderli consapevoli delle loro responsabilità di cittadini e per promuovere la verità e la libertà, la giustizia e la carità, fondamenti della pace e della fraternità sociali (323).

Mi rallegro che molti cristiani lavorino, insieme con i fratelli delle altre confessioni religiose e con tutti gli uomini di buona volontà, nei servizi statali, per partecipare alla edificazione di una società giusta e pacifica, con disinteresse e abnegazione.

VI. Diritti dell’uomo

114. Tra gli elementi fondamentali di uno Stato di diritto, figura la protezione dei diritti dell’uomo, cioè il rispetto di ogni persona e di ogni gruppo, perché l’uomo, che vive ad un tempo nella sfera dei valori materiali e in quella dei valori spirituali, supera ogni sistema sociale ed è il valore fondamentale. Come ho avuto l’occasione di dire nella sede dell’UNESCO, «ogni minaccia contro i diritti dell’uomo, sia sul piano dei beni spirituali che su quello dei beni materiali, fa violenza a tale dimensione fondamentale» (324). In ragione delle sue prerogative e delle sue funzioni, lo Stato è il primo garante delle libertà e dei diritti della persona umana.

Dopo gli anni di sofferenze e il lungo periodo di guerra che il Libano ha conosciuto, il suo popolo e le autorità che lo governano sono chiamati a gesti coraggiosi e profetici di perdono e di purificazione della memoria (325). Certo, bisogna mantenere vivo il ricordo di ciò che è accaduto, affinché mai più ciò si ripeta, mai più l’odio e l’ingiustizia si impossessino di intere nazioni e le spingano ad azioni legittimate e organizzate da ideologie che sull’odio e l’ingiustizia si fondano piuttosto che sulla verità dell’uomo (326). Una società non può ricostruirsi se ognuno dei suoi membri, se le sue famiglie o i differenti gruppi che la compongono, placando ogni desiderio di vendetta, non cercano di uscire dai rapporti conflittuali che hanno segnato i tempi della violenza. È a prezzo di sforzi, di gesti tangibili di riconciliazione e di superamento di sé, segni della grandezza d’animo delle persone e dei popoli, che un avvenire comune è possibile in seno ad una società troppo a lungo lacerata da conflitti e comportamenti di ostilità e di intolleranza. Per introdurre ad un avvenire nuovo, la Chiesa non dimentica mai che il Signore l’ha incaricata di un ministero di grazia e di perdono, al fine di riconciliare gli uomini con Dio e tra loro, perché l’amore è più forte dell’odio e dello spirito di vendetta. Essa si sforza di farsi interprete della sete di dignità e di giustizia dei suoi contemporanei e di condurre gli uomini sul cammino della pace; essa riconosce e saluta l’attenzione della comunità internazionale e le numerose azioni intraprese in tale ambito negli anni passati.

115. In una nazione le legittime autorità hanno il dovere di vigilare affinché tutte le comunità e tutti gli individui godano dei medesimi diritti e si sottomettano agli stessi doveri, secondo i principi dell’equità, della uguaglianza e della giustizia. Come cittadini aventi una carica pubblica, i dirigenti devono sforzarsi di condurre una vita retta, con l’umiltà richiesta per il servizio dei fratelli, al fine di offrire l’esempio della probità e dell’onestà. In effetti, la rettitudine morale è uno dei fattori essenziali della vita sociale (327). Nell’ambito politico, economico e sociale, i responsabili della vita pubblica sono chiamati ad essere particolarmente attenti alle persone che rischiano sempre di essere emarginate nella società, per far progredire le loro condizioni di vita e il lavoro. Perciò, in una società ove le realtà sono sempre più complesse, particolarmente in Libano e nell’intero Medio Oriente, bisogna formare delle persone di alto livello di qualificazione, le quali saranno atte a far entrare il loro Paese nell’intera rete della vita internazionale, perché costatiamo attualmente una sempre crescente mondializzazione di tutti i fenomeni sociali.

Per salvaguardare l’uomo, nel quale riconosce l’immagine di Dio, la Chiesa «fa sempre proprio il grido evangelico della difesa dei poveri del mondo, di coloro che sono minacciati, disprezzati e di coloro a cui sono negati i diritti umani» (328); perché Cristo è venuto ad annunciare la liberazione di tutti gli uomini (cfr Lc 4, 16-19; Dt 15, 15; Is 61, 1-2) e a rendere evidente la verità sull’uomo. Con il mistero dell’Incarnazione Dio si è fatto uomo. Ciò vuol dire che in Gesù Cristo si chiarifica il mistero dell’uomo (329) e che i diritti di Dio e i diritti dell’uomo sono collegati, e che violare i diritti dell’uomo è violare i diritti di Dio; al contrario, servire l’uomo è anche, in un certo senso, servire Dio, perché non vi è carità che non si accompagni nello stesso tempo con la giustizia. «Servire i poveri è andare a Dio; dovete riconoscere Dio nelle loro persone» (330).

116. Affinché la pace regni nel Libano e nella regione, e il progresso possa recare beneficio a tutti, esorto le Autorità e tutti i cittadini libanesi a fare tutto il possibile perché i diritti umani, elementi fondamentali del diritto positivo, che sono anteriori ad ogni costituzione e ad ogni legislazione statale, siano pienamente rispettati, specialmente nell’amministrazione della giustizia e nelle garanzie alle quali coloro che sono accusati e in detenzione hanno legittimamente diritto.

Tra i diritti fondamentali, vi è anche quello della libertà religiosa. Nessuno dev’essere sottoposto a costrizioni da parte sia di individui che di gruppi o di poteri sociali, né essere perseguitato o emarginato dalla vita sociale per le sue opinioni, né impedito di condurre la propria vita spirituale e cultuale, «così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata» (331) La salvaguardia dei diritti dell’uomo è urgente; è in gioco il futuro di una nazione, come pure quello dell’umanità intera: finché un essere umano è mortificato nei diritti più fondamentali, è tutta la comunità degli uomini ad essere ferita.

 

CONCLUSIONE

117. «Cristo è la nostra speranza». Lo avevano già sottolineato i documenti preparatori dell’Assemblea sinodale: «Non vi sarebbe stata indizione di un Sinodo se non ci fossero state delle ragioni di speranza» (332). Tra queste, occorre sottolineare l’amore di tutti i Libanesi per la loro patria e il loro dinamismo per far vivere questo Paese. Come l’incontro sulla via di Emmaus fu per i due discepoli un cammino con Gesù (cfr Lc 24, 13-35), il tempo della preparazione e l’Assemblea speciale sono stati un cammino insieme con Cristo. Nel riflettere sul passato, con i suoi periodi di sofferenza, le difficoltà, le incomprensioni, le gioie, le speranze e le esperienze di solidarietà fraterna, i Pastori e i fedeli hanno potuto riconoscere che il Signore è presente in mezzo a loro e li accompagna, e possono ripartire confermati e trasformati, per essere fermento di vita nuova nel cuore del mondo.

Nel corso dell’Assemblea stessa, i Padri del Sinodo hanno dato testimonianza della loro unione profonda in Cristo. Mediante lo Spirito Santo, hanno offerto l’immagine dell’unità della Chiesa dai molti volti, ad imitazione della prima comunità di Gerusalemme: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola» (At 4, 32). Nella sua missione, la Chiesa è conformata a Cristo, il quale «non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45), esercitando come lui il ministero del servizio. L’Assemblea sinodale, che ha espresso le speranze dei fedeli, non è dunque il termine del cammino che ho voluto per il Libano, ma una tappa. È ormai opportuno che le Chiese patriarcali cattoliche in Libano proseguano infaticabilmente il loro cammino sinodale nella comunione, affinché i progetti diventino realtà e la speranza recata da Cristo illumini la strada quotidiana di ogni fedele e l’aiuti nella sua partecipazione alla vita ecclesiale e sociale. In questo spirito, rinnovo il mio appello alla conversione, alla riconciliazione, a una più grande unità e alla corresponsabilità in seno alle comunità cattoliche. Questa sarà per tutti una testimonianza eloquente.

118. Figli e figlie della Chiesa cattolica in Libano, Pastori, persone consacrate e laici, ascoltate l’invito del Signore e non abbiate paura di rispondervi mediante un solido impegno per il bene di tutti. In questa nuova tappa del vostro cammino sinodale, la Chiesa cattolica nella sua totalità vi sostiene con la preghiera e i molteplici aiuti.

Figli e figlie della Chiesa, Dio accompagna i vostri sforzi. Che la presenza attiva dello Spirito Santo si manifesti mediante un costante accordo tra voi e con i vostri Pastori! Che l’amore di Cristo vi sospinga a realizzare un solo Corpo, a vivere fedeli al Vangelo e al Magistero e a esercitare la vostra missione nella vostra terra. Questa Esortazione vuole aiutarvi a camminare insieme sulla via. Abbiate a cuore di ravvivare in voi il senso della Chiesa, Corpo di Cristo e mistero di comunione. La missione ecclesiale in Libano presuppone l’impegno di tutti e la ferma volontà di valorizzare i carismi di ogni persona e le ricchezze spirituali di ogni comunità ecclesiale per un migliore servizio al nostro Maestro e Signore, Gesù Cristo, e alla sua Chiesa. Prendete coscienza della vostra missione comune: annunciare Cristo, Principe della Pace, la cui stella è sorta nella vostra regione, essere fermento di unità e di fraternità! Questo si realizzerà anche attraverso un permanente scambio di doni fra tutti, con particolare attenzione per i più poveri, cosa che costituisce un servizio costitutivo della Chiesa cattolica nei confronti di tutti.

119. Per il fatto di essere composto da diverse comunità umane, il Libano è visto dai nostri contemporanei come una terra esemplare (333). In realtà, oggi come ieri sono chiamati a vivere insieme, sullo stesso suolo, uomini differenti sul piano culturale e religioso, per edificare una nazione «di dialogo e di convivenza » (334), e per concorrere al bene comune. Comunità cristiane e musulmane si impegnano a rendere oggi più vive le loro tradizioni. Questo movimento è positivo e può far riscoprire ricchezze culturali comuni e complementari, che potranno rafforzare la convivenza nazionale.

L’esperienza sinodale deve essere un rinnovamento per la Chiesa cattolica in Libano, come pure una partecipazione effettiva al rinnovamento dell’intero Paese, per fargli ritrovare i valori morali e spirituali che lo caratterizzano e che ne assicurano la coesione. La presenza dei delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità cristiane, così come quella dei rappresentanti delle comunità musulmane e drusa, ha permesso di sottolineare l’importanza che tutti accordano ad una fraternità e ad un dialogo sempre più veri e più intensi. Tali gesti costituiscono una nuova tappa per approfondire nel Paese la concertazione e il dialogo fraterno.

120. Insieme con i Padri Sinodali, esorto voi Libanesi di tutte le confessioni ad affrontare con successo la sfida della riconciliazione e della fraternità, della libertà e della solidarietà, condizione essenziale per l’esistenza del Libano e cemento della vostra unità su questa terra che amate. Le differenze e i particolarismi in seno alla società, come pure le tentazioni ad aggrapparsi agli interessi personali o comunitari, devono passare in secondo piano. L’unità è una responsabilità di ciascuno di voi, di ciascuna comunità culturale e religiosa. Essa deve ispirare gli impegni di tutti nella vita sociale. Così, nessuno avrà paura dell’altro; al contrario, tutto sarà fatto affinché le diverse componenti siano rispettate e partecipino pienamente alla vita locale e nazionale. Ciò richiede sforzi pazienti e perseveranti, uniti alla preoccupazione di un dialogo fiducioso e permanente.

121. Nel corso del Sinodo, ho ascoltato i delegati musulmani affermare che il Libano senza i cristiani non sarebbe più il Libano. Per essere davvero se stesso, il Libano ha bisogno di tutti i suoi figli e figlie, e di tutte le componenti della propria popolazione. Ciascuno ha il suo posto nel Paese e deve trovare il gusto di viverci e di raccogliere le sfide per il proprio avvenire. Nessuna comunità spirituale può vivere se non è riconosciuta, se si trova in condizioni precarie e se non ha la possibilità di partecipare pienamente alla vita della nazione. I suoi membri sono allora tentati di andare a cercare in altri Paesi un clima più fraterno e ciò che possa assicurare il proprio sostentamento e quello delle loro famiglie. In tale spirito, invito pertanto tutti i fedeli della Chiesa cattolica a rimanere attaccati alla loro terra, con la cura di essere parte della comunità nazionale, di partecipare alla ricostruzione di quanto è necessario alle famiglie e alla collettività, e di mantenere la loro specificità cristiana e il loro senso missionario, sull’esempio dei loro antenati. Allo stesso modo, i membri delle altre comunità che compongono la Nazione devono sforzarsi di rimanere sulla terra dei loro avi. Evidentemente, ciò suppone che il Paese recuperi la sua totale indipendenza, una completa sovranità e una libertà senza ambiguità (335).

122. Con i Padri del Sinodo, affidiamo questo grande progetto all’intercessione di Nostra Signora del Libano, la Tutta Santa, che i cristiani libanesi venerano di tutto cuore. In molte circostanze, Ella ha ottenuto dal Figlio quanto aveva chiesto con discrezione. Se, nella sua delicatezza, Ella è intervenuta, quanto più interverrà affinché la Chiesa in Libano sappia testimoniare l’amore di Cristo. Anche a Pentecoste, Ella era là in preghiera con gli Apostoli, lodando Dio. Durante tutto il Sinodo, Ella ha accompagnato le preghiere e i lavori dei Padri e di tutti i fedeli.

Cari Fratelli e Sorelle che siete in Libano, «i vostri avi [...] si trovarono tra le folle che circondavano Gesù per ascoltare il suo insegnamento [...]. I piedi del Redentore del mondo hanno camminato sul vostro suolo, [...] i suoi occhi ne hanno ammirato la bellezza [...]. Vorrei che il [suo] sguardo pieno d’amore vi accompagni tutti» (336), sulla vostra terra resa santa dal passaggio del Salvatore. Siate forti in Cristo, vostra speranza. Lasciatevi condurre dallo Spirito, per compiere in ogni tempo la volontà di Dio, che porterà a compimento ciò che ha già cominciato. I cattolici libanesi sono dunque chiamati in Cristo, morto e risorto, a morire all’«uomo vecchio» (Col 3, 9), cioè al peccato, all’egoismo e all’individualismo. Sono chiamati inoltre a perdonare e a farsi perdonare, divenendo sorgente di pace, sia per l’unità del corpo ecclesiale che per quella della società libanese. Potranno così testimoniare la verità della Risurrezione aiutando le comunità a rinascere alla speranza (337).

123. Il Sinodo stesso è stato un momento provvidenziale che permetterà loro di rinsaldare e riaffermare la loro missione e di avere una visione più chiara della propria vocazione nella Chiesa universale e nel mondo. Oggi inizia l’ultima tappa dell’Assemblea sinodale, che richiede l’impegno di tutti i cattolici libanesi per la sua effettiva attuazione. La presente Esortazione post-sinodale deve guidarvi nella vita personale, nella missione di testimoni del Cristo risorto e nel servizio alla Chiesa e alla società. Chiedo ai Patriarchi e ai Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali di far sì che tutte le categorie di fedeli possano realmente partecipare all’attività della Chiesa, assumendo la loro parte di responsabilità, in funzione del loro stato di vita e delle loro attitudini. In particolare, occorre che i laici siano strettamente associati alla vita della Chiesa a tutti i livelli.

Nelle eparchie e nel Vicariato latino, il Vescovo, che ha l’incarico dell’unità fra tutte le componenti della comunità ecclesiale, si impegnerà a promuovere l’azione dei fedeli e la fiduciosa collaborazione di tutti i membri del popolo di Dio. Al contempo, nelle parrocchie, i presbiteri favoriranno la partecipazione di tutti i fedeli, ragazzi, giovani e adulti, alla vita quotidiana della loro comunità. Esorto i membri degli Ordini religiosi e tutte le persone consacrate a rinnovare gli impegni della loro professione, a condurre «una vita d’amore oblativo» (338), a manifestare ogni giorno una fedeltà sempre maggiore ai consigli evangelici e all’insegnamento del Magistero, un disinteresse accresciuto nell’uso dei beni degli Istituti, i quali devono essere anzitutto a servizio del popolo. Questo, per i loro fratelli libanesi, sarà un appello a praticare a loro volta la condivisione e la solidarietà. Le persone consacrate sono inoltre invitate ad approfondire il loro rapporto filiale con i Vescovi, in vista di una più grande unità pastorale. Il vostro Paese ha una lunga tradizione di organizzazioni laiche che arrecano il loro contributo alla vita ecclesiale. È proprio dei diversi organismi l’essere attenti ai bisogni dei fratelli e di consacrare ogni energia a servirli con umiltà.

124. Sono favorevole a che, come Pastori della Chiesa in Libano, l’Associazione dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici libanesi e l’insieme dei Vescovi, per quanto loro concerne, costituiscano una commissione speciale comprendente Vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e laici con coraggiosi programmi di azione, per favorire la ricezione e la applicazione della presente Esortazione post-sinodale. Allo stesso tempo, sarà opportuno che ogni Eparchia, ogni Istituto religioso, stabiliscano una simile commissione sia individualmente sia insieme. Inoltre, converrà che le differenti istituzioni della Chiesa cattolica in Libano, l’APECL e i Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali, le Eparchie, i membri del clero, gli Istituti di vita consacrata e i fedeli si dedichino allo studio di questo documento. Per parte mia, desidero assicurarvi della piena disponibilità della Santa Sede ad aiutare e a servire queste commissioni e la Chiesa in Libano, nel lavoro pastorale. Concretamente, incarico in modo speciale la Congregazione per le Chiese Orientali, di porsi a servizio della Chiesa in Libano e di offrire l’aiuto necessario alla vostra azione ecclesiale. La Segreteria di Stato e i vari Dicasteri della Curia Romana, in particolare la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per l’Educazione Cattolica, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso, sono vostri interlocutori desiderosi di facilitare ?la vostra missione e contribuire ad un rinnovato slancio delle vostre comunità cristiane.

125. Nel consegnarvi la presente Esortazione, cari figli e figlie del Libano, rinnovo la mia fiducia e, come Cristo, vi invio nel mondo per essere testimoni della fede, della speranza e della salvezza. Che la grazia di Cristo vi riempia di carità! Gli sforzi di ciascuno per amore del Signore e della sua Chiesa porteranno frutti abbondanti alla vita ecclesiale e all’intera società libanese. Allora, il Libano, la santa montagna, che ha visto sorgere la Luce delle Nazioni, il Principe della Pace, potrà rifiorire in pienezza; esso risponderà alla sua vocazione di essere luce per i popoli della regione e segno della pace che viene da Dio. In tal modo, la Chiesa in questo Paese farà la gioia del suo Signore (cfr Ct 4, 8).

Alle soglie del terzo millennio, faccio appello con forza a tutti i fedeli della Chiesa cattolica e delle altre Chiese e Comunità cristiane perché si preparino al Grande Giubileo dell’Anno 2000, per essere rinnovate da Cristo e per rinnovare la faccia della terra, affinché «tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 1, 4). Così, la Buona Novella della salvezza sarà per tutti gli uomini sorgente di forza, di gioia e di speranza; allora il popolo «fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano» (Sal 92 [91], 13).

Dato a Beirut, in occasione della mia Visita Pastorale in Libano, il 10 maggio dell’anno 1997, diciannovesimo di Pontificato.

 

IOANNES PAULUS PP. II

 


1) Giovanni Paolo II, Omelia nella S. Messa per la conclusione dell’Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi (14 dicembre 1995), 1: AAS 88 (1996), 715-716.

2) Cfr Propositio 1.

3) Cfr Giovanni Paolo II, Primo messaggio (17 ottobre 1978): AAS 70 (1978), 925; Discorso al Corpo diplomatico (12 gennaio 1979), 6: AAS 71 (1979), 355-357; Discorso alla 34ª Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979), 10: AAS 71 (1979), 1150-1151; Discorso al Sacro Collegio (22 dicembre 1981), 11: AAS 74 (1982), 304-305.

4) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 28.

5) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Lineamenta, 37.

6) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Messaggio, titolo del capitolo I: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 8.

7) Ibid., 15, l.c.

8) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale?per il Libano, Lineamenta, 4.

9) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 102-113.

10) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Lineamenta, 37.

11) Cfr Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente, Quarta lettera pastorale sul mistero della Chiesa (Natale 1996), nn. 17-22.

12) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1995), 54: AAS 88 (1996), 426- 427.

13) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 36-38; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 322.

14) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Messaggio (12 dicembre 1995), 18: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 8.

15) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), 60: AAS 87 (1995), 957-958.

16) Cfr ibid., 80, l.c., 969.

17) Cfr Giovanni Paolo II, Annuncio della convocazione dell’Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi (Udienza generale del 12 giugno 1991): Insegnamenti, XIV/1 (1991), 1664.

18) Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 5.

19) Catechismo della Chiesa Cattolica, 1706.

20) Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 3.

21) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio ante disceptationem (27 novembre 1995), 9: L’Osservatore Romano, 27- 28 novembre 1995, p. 10; Instrumentum laboris, 22.

22) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 33; cfr Giovanni Paolo II, Messaggio televisivo ai libanesi (11 luglio 1991): Insegnamenti, XIV/2 (1991), 91; Lettera ai Patriarchi, agli Arcivescovi ed ai Vescovi del Libano (8 luglio 1991): Insegnamenti, cit., 68-70.

23) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Lineamenta, 4 e soprattutto Instrumentum laboris, 19-20.

24) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.

25) Ibid., 9.

26) Ibid., 1.

27) Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 3: AAS 85 (1993), 839.

28) Cfr ibid., nn. 3-4, l.c., 839-840.

29) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Lineamenta, 16.

30) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 789.

31) Ibid., n. 791, che cita Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 7.

32) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 814.

33) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

34) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 11; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 177 § 1.

35) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

36) Cfr ibid., 25-27.

37) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium ecclesiarum, 7; cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

38) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium ecclesiarum, 9.

39) Ibid., 7.

40) Ibid., 9.

41) Giovanni Paolo II, Discorso ai Padri sinodali sul nuovo Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (25 ottobre 1990), 4: AAS 83 (1991), 488.

42) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

43) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio ante disceptationem (27 novembre 1995), 22: L’Osservatore Romano, 27-28 novembre 1995, p. 11.

44) Propositio 22.

45) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 7.

46) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2782 che cita s. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses mystagogicae, 3, 1: PG 33, 1088A: «In realtà, Dio che ci ha predestinati all’adozione di figli, ci ha resi conformi al Corpo glorioso di Cristo. Ormai divenuti partecipi di Cristo, siete naturalmente chiamati “cristi”». Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Messaggio (12 dicembre 1995), 7: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 8. «Su questa risurrezione si fondano la nostra fede e la nostra speranza: esso ci spinge costantemente verso la rinascita, tema principale del nostro Sinodo, al fine di configurarci a Cristo».

47) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 5.

48) Ibid., 4 che cita s. Cipriano, De oratione Dominica, 29: PL 4, 553.

49) Cfr S. Giovanni Crisostomo, De sacerdotio, 3, 5: PG 48, 643; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 976- 987.

50) S. Basilio di Cesarea, Liber de Spiritu Sancto, 15, 36; PG 32, 132.

51) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 32-34.

52) Propositio 2; cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 6: AAS 87 (1995), 750.

53) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 6: AAS 87 (1995), 749-751.

54) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1818.

55) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Messaggio (12 dicembre 1995), 7: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 8.

56) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 19-21.

57) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Messaggio (12 dicembre 1995), 63: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 9.

58) Ibid., 3, l.c., p. 8.

59) Conc. Ecum. Calcedonese, DS 301. Cfr ibid., 302: « Uno e medesimo Cristo Signore Unigenito; da riconoscersi in due nature (divina ed umana), senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi».

60) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 21.

61) Ibid., 38.

62) Ibid., 39.

63) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Messaggio (12 dicembre 1995), 2: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 8.

64) 3 V, 8-9: F.X. Funk, Patres Apostolici, 1901, p. 398.

65) Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente, Messaggio Un temps décisif pour les Èglises du Moyen-Orient (24 août 1991): La Documentation catholique 88 (1991), p. 938.

66) Consiglio dei Patriarchi Cattolici D’Oriente, Lettera pastorale La présence chrétienne en Orient. Témoignage et mission (Pasqua 1992), 18: La Documentation catholique 89 (1992), p. 599.

67) Cfr per es. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 8.

68) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 90-93: AAS 85 (1993), 1205- 1207.

69) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

70) Cfr ibid.

71) Cfr Insegnamenti XIV/2 (1991), 68-70.

72) Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Lineamenta, 29.

73) Cfr idem, Instrumentum laboris, 25.

74) Cfr idem, Lineamenta, 32.

75) Cfr idem, Relatio post disceptationem (1 dicembre 1995), I.

76) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, 5.

77) S. Atanasio di Alessandria, Sull’Incarnazione e contro gli ariani, 8: PG 26, 995-996.

78) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 21.

79) Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Lineamenta, 22.

80) S. Girolamo, Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 25.

81) S. Basilio, Regole brevi, 95: PG 31, 1059.

82) Origene, Omelie su Giosuè, 20, 2: SC 71, 417.

83) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Lineamenta, 24-26.

84) S. Ambrogio, Commento al Salmo CXVIII, 15, 28: PL 15, 1420.

85) Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), I, 1.

86) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 8: AAS 87 (1995), 752; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 8.

87) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Lineamenta, 28; Instrumentum laboris, 27.

88) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Duodecimum saeculum (4 dicembre 1987), 5: AAS 80 (1988), 245.

89) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), I.

90) Cfr Propositio 4.

91) Cfr Propositio 4. Tale è anche la proposta della Lettera apostolica Orientale lumen (2 maggio 1995): AAS 87 (1995), 745-774.

92) Cfr S. Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, 13, 1: SC 10, 69; Didachè, 9, 4: SC 248, 177; S. Giustino, Le Apologie, 65, 6: PG 6, 427.

93) S. Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi mistagogiche, 4, 9: SC 126 bis, 145.

94) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 26.

95) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 10: AAS 87 (1995), 755-756.

96) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1 dicembre 1995), I; Propositio 5.

97) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 40, 1; 667- 669.

98) Cfr in particolare i numeri 13- 21, che richiamano la ricchezza del patrimonio liturgico delle Chiese Orientali, l’importanza della tradizione in tale ambito, lo spirito con il quale di devono effettuare le riforme e il valore ecumenico del patrimonio liturgico.

99) Cfr Propositio 5.

100) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1 dicembre 1995), Introduzione.

101) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 6: AAS 87 (1995), 750.

102) Gerasimo, Traité sur la Trinité, Parigi 1996, p. 229.

103) 3 Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 408.

104) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31; cfr S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Tralliani, 8, 1: SC 10, 102.

105) Cfr S. Tommaso D’Aquino, Summa theol., I-II, q. 92, a. 2.

106) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1o maggio 1991), 50: AAS 83 (1991), 856; Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 42: AAS 81 (1989), 472-476; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 75.

107) Ibid., 33.

108) Cfr Propositio 8.

109) Cfr Propositio 24.

110) Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Messaggio (12 dicembre 1995), 27: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 9.

111) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 59: AAS 74 (1982), 151.

112) 3 Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 53.

113) Cfr Propositio 7.

114) Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), II, 7.

115) Cfr Propositio 7.

116) Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 1362; 1381.

117) Cfr ibid., can. 1062.

118) Cfr Propositio 21.

119) Conc. Ecum. Vat. II, Messaggi del Concilio: alle donne (8 dicembre 1965); cfr Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 29; Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), 3: AAS 87 (1995), 804-805; S. Basilio Magno, Omelia sul salmo 1, 3: PG 29, 214-218.

120) Isacco III Catholicos, Laudi e inni in onore della Santissima Vergine, dal Breviario armeno, Venezia 1877, p. 89.

121) Cfr S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, III, 2: PG 94, 983- 988; S. Gregorio di Narek, LXXX preghiera: SC 78, 428-431; Agatangelo, Preghiera del martire Gregorio l’Illuminatore, da: Storia di Agatangelo, Venezia 1843, pp. 38-39; Salmodia del mese di Kihak, 14-20, da: Il culto mariano in Egitto, Gerusalemme 1975, II, 291-292.

122) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 30: AAS 80 (1988), 1725.

123) Cfr Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo (25 marzo 1995), 6: AAS 87 (1995), 801-802.

124) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 37: AAS 74 (1982), 127-129.

125) S. Giovanni Crisostomo, Sull’educazione dei bambini, 25: SC 188, 113.

126) Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (8 dicembre 1994), 2: AAS 87 (1995), 360.

127) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1 dicembre 1995), 8.

128) Cfr Propositio 10.

129) Cfr ibid.

130) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 410; Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Lineamenta, 39.

131) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 73: AAS 88 (1996), 448-449.

132) Ibid., 1, l.c., p. 377.

133) Cfr S. Nilo L’Asceta, Discorso ascetico: PG 79, 719-747; S. Basilio, Le Regole più ampie, q. 7: PG 31, 927-934; q. 41: PG 31, 1021-1024.

134) S. Antonio Abate, Esortazioni, n. 150: La Philocalie I, Paris 1995, p. 62; cfr Lettera, n. 4: PG 40, 1008; S. Nilo L’Asceta, Sul Cantico dei Cantici, 1, 8, 2: SC 403, 179-181; S. Atanasio, Vita di Antonio, 20, 4: SC 400, 189.

135) Cfr S. Giovanni Crisostomo, Omelia sulla prima lettera di Timoteo, 8, 8: PG 52, 539-540.

136) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 90-94: AAS 85 (1993), 1205- 1208.

137) Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 41: AAS 68 (1976), 31; cfr Esort. ap. Evangelica testificatio (29 giugno 1971), 30-31. 52-53: AAS 63 (1971), 514.523-524; Discorso al Consiglio per i Laici (2 ottobre 1974): AAS 66 (1974), 568; S. Cirillo di Alessandria, IV Discorsi sulle feste, 2: SC 372, 245-253; S. Gregorio di Nissa, Omelie sull’Ecclesiaste, IV, 5: SC 416, 251-259; S. Nilo L’Asceta, Discorso ascetico, 25: PG 79, 719-810; Teolepto di Filadelfia, Sulla professione monastica: La Philocalie II, Parigi 1995, p. 349.

138) Cfr S. Atanasio, Vita di Antonio, 55, 1-13: SC 400, 281-287.

139) Cfr Sinodo dei Vescovi, IX Assemblea generale ordinaria, « La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo », Instrumentum laboris, 14.

140) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 195.329.

141) Cfr S. Efrem il Siro, Inno 6: PO 30, 42-143.

142) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 416.

143) Ibid., can. 412 § 1.

144) Cfr ibid., cann. 414-417.

145) Cfr ibid., can. 413-415.

146) Cfr?ibid.,?cann.457 § 1;524 § 1.

147) Cfr Lettera 22: PG 32, 287- 294.

148) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), II, 4.

149) Cfr Propositio 11.

150) Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della prima Giornata della Vita Consacrata (6 gennaio 1997), 6: L’Osservatore Romano, 19 gennaio 1997, p. 5; cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Propositio 11, 9.

151) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 9: AAS 87 (1995), 754.

152) Cfr ibid.

153) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 6: AAS 88 (1996), 381; cfr S. Basilio, Le Regole più ampie, 8- 9: PG 31, 934-945.

154) Cfr Propositio 12, 1.

155) Cfr S. Atanasio, Vita di Antonio, 30, 1: SC 400, 219; Teodoro di Edessa, Cento capitoli, 1: La Philocalie I, Parigi 1995, p. 342; Gerasimo, Dialogues æcuméniques de guérison, V: Parigi 1996, p. 207.

156) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1o dicembre 1995), V.

157) Cfr Teodoro di Edessa, Discorso sulla contemplazione: La Philocalie I, Parigi 1995, pp. 361-368.

158) Esichio di Batos, Sulla sobrietà e la vigilanza, 34: La Philocalie I, Parigi 1995, p. 198.

159) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 9: AAS 87 (1995), 754; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 471 § 1.

160) S. Macario, Sulla perfezione nello spirito, 8: PG 34, 847; cfr Teodoro Studita, Su sant’Arsenio anacoreta, 2: PG 99, 862-867.

161) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 570.

162) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 23-25: AAS 87 (1995), 770-772; Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1o dicembre 1995), V.

163) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 14: AAS 84 (1992), 678.

164) Ibid., 15: l.c., 679-680.

165) Ibid., 16: l.c., 681.

166) Cfr S. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Prima Lettera ai Corinzi, 18, 3: PG 61, 526.

167) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 11.

168) Cfr Propositio 13.

169) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus, 28; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 192 § 4-5; 278 § 2.

170) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 192 § 5; 278 § 3; 390.

171) Il ministero dei sacerdoti sposati viene esercitato nei territori storici del loro rito, secondo la disciplina in vigore, richiamata in diverse circostanze. Cfr Congregazione per le Chiese Orientali, Decr. Qua sollerti (23 dicembre 1929): AAS 22 (1930), 99-105; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 78 § 2; 146 § 2; 150 § 3; 758 § 3 concernenti le disposizioni speciali della Sede Apostolica.

172) Cfr Propositio 15.

173) Cfr Propositio 14.

174) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 30.

175) Cfr Propositio 14.

176) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 51

177) Cfr Propositio 16.

178) Cfr Consiglio dei Patriarchi Cattolici D’Oriente, Quarta lettera pastorale sul mistero della Chiesa (Natale 1996), nn. 51-53.

179) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 3, 11, 17, 26.

180) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 42.

181) Cfr Propositio 17.

182) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio Millennio adveniente (10 novembre 1994), 42: AAS 87 (1995), 32.

183) Giovanni Paolo II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992), 3: AAS 86 (1994), 116.

184) Giovanni Paolo II, Omelia per la conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (25 gennaio 1985): L’Osservatore Romano, 26 gennaio 1985, p. 4.

185) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86 (1994), 116.

186) Cfr Propositio 3.

187) Ibid.

188) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 272-275; Consiglio Dei Patriarchi Cattolici D’Oriente, Quarta lettera pastorale sul mistero della Chiesa (Natale 1996), n. 59.

189) Cfr Propositio 18; Consiglio dei Patriarchi Cattolici D’Oriente, Quarta lettera pastorale sul mistero della Chiesa (Natale 1996), n. 47.

190) Cfr ibid.

191) Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 177 § 1; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus, 11.

192) Cfr ibid., can. 202.

193) Cfr Propositio 19.

194) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus, 28.

195) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 264-270.

196) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium 23; Decr. sulle Chiese orientali cattoliche, Orientalium ecclesiarum, 7.

197) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 102-113.

198) Cfr Propositio 19.

199) Giovanni Paolo II, Discorso per la presentazione ai Padri del Sinodo del nuovo Codice dei Canoni delle Chiese orientali (25 ottobre 1990), 2: AAS 83 (1991), 487; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium ecclesiarum, 3.

200) Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sacrae disciplinae leges (25 gennaio 1983): AAS 75 (1983) parte II, XI, testo ripreso dalla Cost. ap. Sacri canones (18 ottobre 1990): AAS 82 (1990), 1042-1043.

201) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 1062.

202) Cfr S. Efrem il Siro, Inno 26: PO 30, 142-143.

203) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16 ottobre 1979), 20: AAS 71 (1979), 1293.

204) Ibid., 5: AAS 71 (1979), 1281.

205) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 627.

206) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 36-37; 60: AAS 74 (1982), 126-129; 152-153.

207) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16 ottobre 1979), 68: AAS 71 (1979), 1333-1334.

208) Cfr Propositio 23.

209) Cfr Propositio 17.

210) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 30: AAS 81 (1989), 446-448.

211) 3 Cfr Propositio 24.

212) Cfr Propositiones 14; 17; 18; 23.

213) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 23.

214) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’apostolato dei laici, Apostolicam actuositatem, 23; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 25.30-32: AAS 81 (1989), 436-437; 446-452.

215) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 640; 646-647.

216) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Ex corde Ecclesiae (15 agosto 1990), 12-37: AAS 82 (1990), 1482- 1496.

217) Cfr ibid., 12, l.c., p. 1482; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 641.

218) Cfr ibid., 15, l.c., p. 1484.

219) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens (14 settembre 1981), 4: AAS 73 (1981), 584-586.

220) Ibid., 10, l.c., 601-602.

221) Giovanni Paolo II, Cost. ap. Ex corde Ecclesiae (15 agosto 1990), 10: AAS 82 (1990), 1481.

222) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sapientia christiana (15 aprile 1979), preambolo III-V, artt. 38-45; 65-83: AAS 71 (1979), 472-476; 485- 487; 491-496; Discorso al Pontificio Istituto Orientale (12 dicembre 1993): Insegnamenti XVI/2, 1993, 1450-1455.

223) Cfr ibid.

224) Ibid., proemio, IV, l.c., 474- 475.

225) Cfr Congregazione per L’Educazione Cattolica, Pont. Consiglio per i Laici e Pont. Consiglio della Cultura, Istr. La presenza della Chiesa nell’università e nella cultura universitaria, II, 2: La Documentation Catholique 91 (1994), 607-608.

226) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Ex corde Ecclesiae (15 agosto 1990), 6: AAS 82 (1990), 1479.

227) Cfr Propositio 25.

228) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 1: AAS 77 (1985), 185.

229) Cfr Nerses IV Šnorhali, Inni sacri I, Venezia 1973, p. 95-99.

230) S. Agostino, Sermone per la Pentecoste, 267, 4: PL 38, 1231.

231) S. Ireneo, Dimostrazione della predicazione apostolica, 87: SC 62, 203.

232) S. Ireneo, Adv. haer. V, 9, 2: SC 153, p. 113.

233) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 6.

234) Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 9: AAS 85 (1993), 843.

235) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana (20 dicembre 1990), 9: AAS 83 (1991), 745.

236) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), III.

237) S. Cipriano, De oratione Dominica, 23: PL 4, 536.

238) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 1 e 7; Pio XII, Lett. enc. Mystici corporis (29 giugno 1943): AAS 35 (1943), 200-202.

239) Consiglio dei Patriarchi Cattolici D’Oriente, Quarta lettera pastorale sul mistero della Chiesa (Natale 1996), n. 50.

240) Lettera agli Smirnesi, VII, 2: SC 10, 139.

241) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 69; Relatio ante disceptationem (27 novembre 1995), 22: L’Osservatore Romano, 27-28 novembre 1995, p. 11.

242) Cfr supra, capitolo III.

243) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22-23; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus, 38, 6; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 322.

244) Cfr Propositio 22.

245) Cfr Propositio 22, 3.

246) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 322 §, 2.

247) Cfr supra, capitolo III.

248) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 37.

249) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 148.

250) Oltre ai quattro Patriarchi membri dell’APECL, il CPCO comprende il Patriarca caldeo, il Patriarca copto cattolico ed il Patriarca latino di Gerusalemme.

251) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), V.

252) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 315.

253) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 19: AAS 87 (1995), 765-767.

254) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese orientali Orientalium ecclesiarum, 5.

255) Cfr Propositio 29.

256) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, 14; cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), 55: AAS 87 (1995), 954.

257) Cfr Dichiarazione comune del Sommo Pontefice Paolo VI e di Sua Santità il Patriarca Atenagora I di Costantinopoli (7 dicembre 1965): AAS 58 (1966), 20-21; Dichiarazione comune del Sommo Pontefice Paolo VI e di Sua Santità Shenouda III, Papa di Alessandria e Patriarca della sede di s. Marco (10 maggio 1973): AAS 65 (1973), 299-301; Dichiarazione comune del Papa Giovanni Paolo II e di Sua Santità Moran Mar Ignazio Zakka I Iwas, Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente (23 giugno 1984): Insegnamenti VII, 1 (1984), 1902-1906; Dichiarazione cristologica comune della Chiesa Cattolica e della Chiesa Assira d’Oriente (11 novembre 1994): AAS 87 (1995), 685- 687; Dichiarazione comune di Sua Santità Giovanni Paolo II e di Sua Santità Karekin I, Catholicos-Patriarca supremo di tutti gli Armeni (13 dicembre 1996): L’Osservatore Romano, 14 dicembre 1996, pp. 1.5; Dichiarazione comune del Papa Giovanni Paolo II e del Catholicos Aram I, Patriarca di Cilicia degli Armeni (25 gennaio 1997): L’Osservatore Romano, 26 gennaio 1997, pp. 1.5; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), 50-52: AAS 87 (1995), 950-952 che ricorda le varie tappe del dialogo ecumenico con le Chiese d’Oriente, a seguito della ripresa dei contatti nel 1965.

258) Cfr Nerses IV norhali, Inni sacri, I, Venezia 1973, che richiama i principi dell’unità della Chiesa.

259) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), VI.

260) Spetta alla Santa Sede la firma di accordi con le Chiese non cattoliche: cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 904 §§ 1-2.

261) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 625; 907.

262) Cfr ibid., cann. 813-816.

263) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio post disceptationem (1° dicembre 1995), VI.

264) Cfr Propositio 33.

265) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 3.

266) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Libano, Lineamenta, 3.

267) Giovanni Paolo II, Lett enc. Centesimus annus (1o maggio 1991), 54: AAS 83 (1991), 860.

268) Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio a tutti i musulmani in favore del popolo libanese (7 settembre 1989): AAS 82 (1990), 82-83.

269) Cfr Propositio 39.

270) Cfr ibid.

271) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 99.

272) Lettera a Diogneto, 8, 5: SC 33, p. 70.

273) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 26; cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra (15 maggio 1961), II: AAS 53 (1961), 418.

274) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 30.

275) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Sulla situazione in Libano (7 settembre 1989), 4: AAS 82 (1990), 61.

276) Ibid.

277) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1988), 38: AAS 80 (1988), 565-566.

278) Cfr Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno (15 maggio 1931), I: AAS 23 (1931), 181-190; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1° maggio 1991), 48: AAS 83 (1991), 852-854.

279) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1988), 15: AAS 80 (1988), 528-530.

280) Cfr ibid., 44, l.c., 575-577.

281) Ibid., 15, l.c., p. 529.

282) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Sulla situazione in Libano (7 settembre 1989), 2: AAS 82 (1990), 60.

283) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. sulla situazione dei cristiani in Libano (1o maggio 1984): AAS 76 (1984), 704-706.

284) Cfr Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace (14 novembre 1970): AAS 63 (1971), 5-9.

285) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), 67: AAS 78 (1986), 900.

286) Giovanni Paolo II, Lett. ap. sulla situazione dei cristiani in Libano (1° maggio 1984): AAS 76 (1984), 705.

287) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 78.

288) Cfr Paolo VI, Messaggio al Segretario Generale delle Nazioni Unite «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace» (26 maggio 1966): AAS 58 (1966), 479-480.

289) Cfr Propositio 40, 1.

290) Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace (14 novembre 1970): AAS 63 (1971), 8.

291) Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (4 novembre 1963), III: AAS 55 (1963), 286.

292) S. Ireneo, Adv. haereses, 4, 20, 7: SC 100/2, 649.

293) S. Gregorio di Nissa, Sull’amore verso i poveri: PG 46, 460-465.

294) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 88.

295) Cfr Propositio 35, 4.

296) S. Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirnesi, VI, 1: SC 10, 137.

297) Sull’amore verso i poveri: PG 46, 466.

298) Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 1008.

299) Cfr ibid., cann. 1022; 1031.

300) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Instrumentum laboris, 81.

301) Cfr Propositio 36; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 1007.

302) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 1009 § 2; Codice di Diritto Canonico, can. 1257 § 1.

303) Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 1035 § 1, 1036, 1042; Codice di Diritto Canonico, cann. 1290-1298.

304) Si intende qui l’alienazione, la locazione, la vendita o la spoliazione di un qualsiasi bene senza autorizzazione della Sede Apostolica. Il non rispetto di tali norme rende di fatto nulli gli atti.

305) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis, 17; Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, 13; Decr. sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 10; Decr. sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 16.

306) Cfr Propositio 26; 28.

307) Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio dell’Unione Mondiale degli Insegnanti cattolici (18 aprile 1983): Insegnamenti VI/1, 1983, 1001.

308) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Messaggio (12 dicembre 1995), 33: L’Osservatore Romano, 15 dicembre 1995, p. 9.

309) Cfr Propositio 28.

310) Cfr Propositio 27; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 646-648.

311) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 6-7; Dich. sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, 3; 5.

312) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 5; Dich. sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, 6.

313) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Ex corde Ecclesiae (15 agosto 1990), art. 6: AAS 82 (1990), 1507.

314) Cfr Propositio 46.

315) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 76.

316) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 41: AAS 80 (1988), 570.

317) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 15: AAS 81 (1989), 414; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31.

318) Cfr Pio XI, Lett. enc. Mit brennender Sorge (14 marzo 1937): AAS 29 (1937), 152-155; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 40; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 14: AAS 71 (1979), 284-285.

319) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 59: AAS 85 (1993), 1180-1181.

320) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 59: AAS 81 (1989), 509.

321) Ibid., 42: l.c., 472; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31; Propositio 45, A. 1.

322) Ibid., 14: l.c., 411-412; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 35.

323) Cfr Propositio 45.

324) Discorso all’UNESCO (2 giugno 1980): AAS 72 (1980), 737.

325) Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per il 50° anniversario della fine della II guerra mondiale in Europa (8 maggio 1995), 2: L’Osservatore Romano, 17 maggio 1995, p. 1.

326) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1° maggio 1991), 17: AAS 83 (1991), 815; cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1980 (8 dicembre 1979): AAS 71 (1979), 1572-1580.

327) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 99-101: AAS 85 (1993), 1210- 1213.

328) Giovanni Paolo II, Lettera ai fratelli nell’Episcopato sul «Vangelo della vita» (19 maggio 1991): Insegnamenti XIV/1 (1991), 1294; cfr Lett. enc. Centesimus annus (1o maggio 1991), 54: AAS 83 (1991), 859-860.

329) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

330) S. Vincenzo De Paoli, Correspondence, entretiens, documents, IX (1920-1925), p. 5; cfr. S. Efrem Il Siro, Inno 26: PO 30, 142-143.

331) Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.

332) Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Lineamenta, 5.

333) Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica sulla situazione del Libano (7 settembre 1989), 6: AAS 82 (1990), 63.

334) Giovanni Paolo II, Messaggio televisivo ai Patriarchi, ai Vescovi e ai capi delle Chiese cristiane del Libano (25 maggio 1990), 4: AAS 83 (1991), 96.

335) Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (12 gennaio 1991), 7: Insegnamenti XIV, 1, 1991, 88-90.

336) Giovanni Paolo II, Omelia durante la Celebrazione eucaristica a conclusione dell’Assemblea speciale per il Libano (14 dicembre 1995), 2: AAS 88 (1996), 716.

337) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per il Libano, Relatio ante disceptationem (27 novembre 1995), 14: L’Osservatore Romano, 27- 28 novembre 1995, p. 10.

338) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 75: AAS 88 (1996), 451.



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