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SANTA MESSA PER GLI STUDENTI UNIVERSITARI
IN PREPARAZIONE AL NATALE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

17 dicembre 1981

 

1. Carissimi, a tutti il mio cordiale benvenuto! Saluto gli studenti e i professori delle Università e delle altre Scuole superiori di Roma, come anche gli ospiti venuti da fuori Roma, qui riuniti.

Ci incontriamo in questa assemblea liturgica ogni anno nel periodo di Avvento e di Quaresima, per mettere così in evidenza il carattere particolare di questi due periodi, che nel linguaggio liturgico vengono definiti “tempi forti”. Questa qualifica parla di una particolare intensità dei contenuti religiosi dell’Avvento (e, in seguito, della Quaresima), a cui da parte nostra dobbiamo rispondere con una particolare intensificazione dell’impegno religioso. Nell’uno e nell’altro caso il mistero centrale del tempo, ossia il mistero dell’Incarnazione, in Avvento, e il mistero della Redenzione, in Quaresima, costituiscono come una grande sfida per il cristiano, per la sua fede e per il suo comportamento.

E perciò esprimo viva gioia per la vostra presenza. Oggi, così come un anno fa, possiamo accogliere insieme la sfida della liturgia, cercandone una adeguata risposta nei nostri cuori e nelle nostre coscienze.

2. La liturgia di Avvento entra oggi nel suo ciclo ultimo e definitivo, collegato con l’immediata preparazione al mistero dell’Incarnazione: al Natale.

Ed è in questa luce che bisogna intendere ambedue le letture, le quali – ognuna a suo modo – mettono in rilievo la genealogia umana di Cristo, del Messia. Il Figlio di Dio che per opera dello Spirito Santo diventa uomo, nascendo dalla Vergine Maria la notte di Betlemme (nella liturgia ci separano da essa sette giorni), ha, come uomo, la sua umana ascendenza. Oggi la Chiesa rilegge questa genealogia secondo il Vangelo di Matteo. Ascoltiamo quindi tutta una serie di nomi che seguono l’uno dopo l’altro, componendosi nei tre cicli che si susseguono: da Abramo a Davide; da Davide alla deportazione in Babilonia, e dalla deportazione in Babilonia alla nascita di Gesù “chiamato Cristo”.

Dobbiamo soffermarci sul testo dell’odierno brano. Dobbiamo fare una riflessione su ciò che si trova sotto la superficie di questo elenco di nomi, che si susseguono nell’enumerazione di Matteo.

Vi si scorge l’Avvento. Sì, l’Avvento. Forse perfino questo “arido” testo, privo della forza poetica dei brani di Isaia o della drammatica espressione dei Vangeli che parlano della missione di Giovanni Battista al Giordano, parla ancora più pienamente e ancor più fortemente di ciò che è stato e di ciò che è l’Avvento. Ciascuno dei nomi che abbiamo letto oggi testimonia delle generazioni degli uomini, che con la fede hanno atteso il compimento della Promessa. Essi aspettavano la venuta del Messia, cioè dell’Unto: dell’Uomo mandato da Dio affinché liberasse il suo popolo. Questo Messia, mandato da Dio, doveva nascere da loro, doveva essere l’ultimo germoglio di tutte le generazioni del Popolo eletto e prima di tutto della Stirpe. Da questa Stirpe, della quale i singoli membri nascevano e morivano nella speranza del compiersi della Promessa, doveva nascere Lui.

Matteo mette il suo nome alla fine della sua genealogia.

3. La genealogia umana di Gesù “chiamato Cristo” è costituita dai nomi di uomini congiunti tra loro, dall’unione di un Popolo, e più ancora dalla Stirpe, ed è costituita dalla Promessa.

Questa Promessa, Abramo l’ha ricevuta per primo.

Nell’odierna liturgia, la promessa data ad Abramo rivive nelle parole del testamento di Giacobbe, nipote di Abramo. Giacobbe, cioè Israele, raduna i suoi dodici figli: “Radunatevi ed ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre...” (Gen 49,2). Illuminato dall’ispirazione profetica, si rivolge a tutti, ma soprattutto ad uno di loro, a Giuda, distinguendolo tra i fratelli. E lo distingue non per la sua prodezza o per altri pregi, ma a motivo della Promessa: “Non sarà tolto lo scettro da Giuda / ne il bastone del comando tra i suoi piedi, / finché verrà colui al quale esso appartiene / e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Gen 49,10).

Come sentiamo nella genealogia di Matteo, tra i discendenti di Giuda – proprio di Giuda si è trovato Davide che, come re, ha impugnato lo scettro, regnando sulla tribù di Giuda e su tutto Israele. Da Davide, quindi, incominciano a contarsi le generazioni regali. Dalla stirpe regale doveva nascere Colui del quale parlava la Promessa.

4. Lo saluta come re anche l’odierna liturgia con le parole del salmo responsoriale.

Questo Re è l’Unto di Dio, cioè il Messia. L’immagine, a cui si riferiscono le parole del Salmo, s’avvicina a quella che conosciamo dalla profezia di Isaia; anche se l’immagine di Isaia sembra essere ancora più vicina alla verità su Cristo, e perciò alle parole di questo Profeta si richiama Gesù durante la sua prima comparsa pubblica a Nazaret, sui paese, sia anche più tardi rispondendo alla domanda dei discepoli di Giovanni: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha consacrato con l’unzione, / e mi ha mandato per annunciare ai poveri il lieto messaggio, / per proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / per rimettere in libertà gli oppressi, / e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19; cf. Lc 7,22).

L’immagine del Messia-Re dell’odierno salmo s’avvicina in molti punti a quella di Isaia. Il Messia-Re deve reggere “con giustizia il... popolo e i... poveri con rettitudine” (Sal 72,2). Anzi “ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri” (Sal 72,4). Questi tratti sono anzitutto vicini ad Isaia. Tuttavia il salmo mette l’accento soprattutto sulla giustizia e universalità del Messia-Re: “Nei suoi giorni fiorirà la giustizia / e abbonderà la pace... / dominerà da mare a mare, / dal fiume sino ai confini della terra” (Sal 72,7-8).

5. Attraverso la serie dei nomi che leggiamo nella genealogia di Gesù “chiamato Cristo”, scritta da Matteo, traspare tutto l’avvento storico: l’attesa della discendenza di Abramo e di Giacobbe, le speranze legate alla dinastia di Davide...

E tuttavia Giacobbe disse: “Non sarà tolto lo scettro da Giuda / né il bastone del comando tra i suoi piedi, / finché verrà colui al quale esso appartiene / e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli”.

Il che vuol dire che, quando Lui verrà, lo scettro sarà preso da un altro Re, come segno di un altro Regno! E lo scettro del sovrano terreno, pastore del popolo, verrà sostituito dal vincastro del Buon Pastore.

Le parole del Patriarca sembrano preannunciare ciò che nei calcoli umani è stato smarrito o offuscato...

Ma appunto in questo evento “storico” non si tratta di calcoli umani, ma della Promessa stessa nella sua eterna Verità divina: e Dio è sempre più grande!

È più grande dei calcoli umani e delle umane aspettative. La Promessa del Dio vivente cresce al di sopra di ciò che ne hanno inteso gli uomini e che anche ora ne intendono... Proprio in questo consiste il significato particolare dell’Avvento, sia di quello “storico” sia di quello che ogni anno ritorna nella liturgia della Chiesa.

Dio e sempre più grande!

La promessa, che si compirà la notte di Betlemme, “umanamente” deluderà coloro che hanno atteso la venuta di un re, la salvifica incarnazione di un discendente sul seggio terrestre di Davide.

Poiché infatti nella notte di Betlemme nascerà un bambino, al cui capo Giuseppe e Maria non saranno in grado di assicurare un tetto.

Così dunque la Promessa si compie “al di sotto”, delle aspettative umane, e contemporaneamente il compimento della Promessa supera tutte le aspettative umane dei discendenti di Abramo, di Giacobbe, di Davide; nella notte di Betlemme Dio stesso verrà a salvarci (cf. Is 35,4).

Noi saremo testimoni non della incarnazione salvifica di un re della stirpe di Davide, ma testimoni dell’Incarnazione salvifica di Dio nella stirpe di Davide.

Così dunque Matteo, che ha scritto la genealogia umana di Gesù “chiamato Cristo”, ha ricostruito in questa sua registrazione l’umana genealogia del Verbo Incarnato: “Dio da Dio. Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre”, che “per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.

6. Così Dio è più grande, nella sua Promessa, di ogni umana aspettativa. Cristo, che è nato nella notte di Betlemme, fino alla fine dei suoi giorni quaggiù sarà una delusione per le aspettative terrene.

Già dopo la sua crocifissione – e non sapendo ancora della sua risurrezione – due discepoli sulla strada per Emmaus diranno ad un casuale Passante (non sapendo che parlavano a Cristo): “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele...” (Lc 24,21). Non è questo un “divino paradosso”?

La notte di Betlemme porterà già con sé l’inizio di questo divino “Paradosso”: il Figlio di Dio, e nello stesso tempo il discendente regale di Davide, nascerà in condizioni degne dell’ultimo povero.

La notte di Betlemme porta in sé già il primo preannunzio della notte pasquale: “Dio si rivela nella sua potenza salvifica mediante la debolezza, mediante l’umiliazione e la spogliazione.

Egli dimostra che è sempre “più grande” mediante il fatto che diventa “più piccolo”.

L’Avvento ci prepara a questo Paradosso dell’Emmanuele. Emmanuele vuol dire “Dio con noi”.

In un certo modo ci siamo abituati al fatto che egli “è con noi”. Dobbiamo continuamente riscoprire ciò di nuovo. Dobbiamo di nuovo stupirci con questo stupore della notte di Betlemme, che ogni anno ci permette di ritrovare Dio “con noi”. Dobbiamo entrare in questo spazio. Dobbiamo ritrovare il sapore di Dio.

Di questo Dio che continuamente “viene” e sempre “è con noi”.

Di questo Dio che sempre “è più grande”, proprio mediante ciò che è “più piccolo”: ugualmente come Bambino senza tetto nella notte di Betlemme, e come Condannato spogliato di tutto sulla croce del Golgota.

Dobbiamo ritrovare il sapore di questo Dio: del Dio Vivente. Del Dio dei nostri padri: Abramo, Isacco, Giacobbe. Di Dio che si rivela fino alla fine in Gesù Cristo.

Dobbiamo ritrovare il sapore semplice e meraviglioso di questo Dio. A ciò soprattutto serve l’Avvento.

7. Nel giorno del 17 dicembre, primo degli ultimi sette giorni dell’Avvento liturgico, la Chiesa prega così: “O Sapienza che esci dall’Altissimo, / e tutto disponi con forza e dolcezza: / vieni a insegnarci la via della vita” (Canto al Vangelo).

Al termine della genealogia umana di Gesù “chiamato Cristo” si trova il mistero dell’Incarnazione.

Davanti a tale mistero sempre vien fatto di porre la domanda, che con parole lapidarie ha formulato uno dei più illustri pensatori del medioevo, san Anselmo: “Cur Deus homo”.

Perché Dio si è fatto uomo?

Perché è entrato nella storia dell’umanità, venendo al mondo attraverso la continuità delle generazioni del Popolo eletto di Dio?

Bisogna che noi ci poniamo questa domanda “Cur Deus homo”, che in un certo qual modo non ci separiamo da essa.

Questa domanda è importante – è centrale, è la più importante – per riguardo all’uomo.

L’ultimo Concilio risponde: Dio si è fatto uomo per rivelare all’uomo, fino in fondo, chi è l’uomo, manifestandogli la grandezza della sua più alta vocazione.

Al termine dell’umana genealogia di Cristo si trova il mistero dell’Incarnazione. Nel mistero dell’Incarnazione l’uomo ritrova non soltanto Dio, che è “più grande” perché diventato “più piccolo”, che è “altro” ed e diventato simile a noi, che è “illimitato” ed è diventato “vicino”...

Nel mistero dell’Incarnazione l’uomo ritrova contemporaneamente se stesso. La verità sull’uomo è inscritta nel mistero dell’Incarnazione non meno che la verità su Dio.

L’Avvento dice a ciascuno di noi che dobbiamo imparare la nostra umanità alla luce del mistero dell’Incarnazione di Dio.

L’uomo non è stato creato fin dall’inizio ad immagine e somiglianza di Dio?

8. Di qui è l’odierno appello, indirizzato alla stessa eterna Sapienza. La Chiesa si rivolge ad essa e dice: “vieni”.

“Vieni ad insegnarci la via della vita”.

L’uomo odierno sa molto di più su se stesso e sul mondo che l’uomo delle generazioni passate.

Conosce molto meglio le strutture e i meccanismi che condizionano i processi della sua vita e della sua attività. La somma della scienza specifica sull’uomo – così come su tutta la natura morta e viva – è colossale.

Contemporaneamente l’uomo – con tutta l’enormità di questa scienza specifica su di sé – non conosce se stesso fino in fondo. Rimane per se stesso un incomprensibile enigma. O piuttosto un mistero inscrutabile. E sempre di nuovo lo travaglia la domanda sul senso: sul senso di tutto, e soprattutto della sua umanità. Cur homo? (Perché l’uomo?).

L’appello dell’Avvento, indirizzato alla Sapienza, è sempre attuale. Infatti all’uomo non basta la scienza, che con penetrante esattezza descrive le strutture ed i meccanismi, che condizionano la sua esistenza e le sue azioni. All’uomo è necessaria la Sapienza che – unica – gli permette di comprendere il senso di questa esistenza umana e di orientare adeguatamente le proprie azioni.

Il mondo che ci circonda fornisce prove spaventose di ciò verso cui può essere orientata l’attività di questo piccolo uomo, quando non trova in se stesso la risposta alla domanda sul senso: cur homo? / perché l’uomo?

9. La Chiesa dell’Avvento invoca oggi, una settimana prima del Natale del Signore, l’eterna Sapienza.

Si devono incontrare nella nostra coscienza queste due domande: cur homo? e: cur Deus-homo?, se noi dobbiamo imparare le “vie della vita”, cioè le vie della vita veramente degna dell’uomo.

Forse nessuna epoca, più della nostra, ha sentito il bisogno di sottolineare la dignità dell’uomo e, nello stesso tempo, forse nessuna è caduta in tante collisioni con questa dignità.

Che il nostro odierno incontro, la nostra comune (veglia) di Avvento ci aiuti a superare questa antinomia.

Il Verbo che si è fatto Carne insegni a ciascuno di noi “la via della vita”, ed incessantemente ci indichi questa via nei sacramenti della fede: nel sacramento della penitenza e della riconciliazione, nell’Eucaristia.

Cerchiamo di partecipare ad essi. Cerchiamo di rendere questa partecipazione sempre più matura: alla grata del confessionale, alla mensa eucaristica, rivivono queste due domande: cur homo? e: cur Deus homo? E l’una ci permette di trovare la risposta alla seconda.

...“vieni ad insegnarci la via della vita”.

Cari Amici! Accettate questi pensieri del vostro Vescovo, nati dalla meditazione della liturgia dell’Avvento, e nello stesso tempo dall’amore per ciascuno di voi. Dall’amore per l’uomo che così come voi, cerca “la via della vita”.

 

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