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 PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN
NIGERIA, BENIN, GABON E GUINEA EQUATORIALE

SANTA MESSA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Libreville (Gabon), 19 febbraio 1982


Cari fratelli e sorelle del Gabon.

Siete stati liberati dalla potenza del Male donando la vostra fede a Dio nostro buon Pastore: vivete fiduciosi nel suo amore!

Siete stati accolti dalla Chiesa come membri a parte intera: assumetevi le vostre responsabilità, per edificare in voi questa Casa spirituale!

Nella vostra vita familiare, siete stati associati al mistero dell’amore di Dio e al dono della sua vita: questo mistero è grande!

Il Cristo vi chiama, come san Pietro, a superare i vostri timori e le vostre debolezze, per seguirlo sul cammino esigente delle beatitudini: camminate nella speranza, con la forza dello Spirito Santo!

Ecco quattro aspetti della Buona Novella di Gesù Cristo, che vorrei meditare con voi.

1. Prima di tutto, questo apostolo Pietro, al quale Gesù risorto, sulle rive del lago di Galilea ha detto: “Sii il pastore delle mie pecore”, ha terminato, come sapete, la sua vita terrena a Roma, martire della sua fedeltà all’amore di Cristo. Ma, come sulla sua tomba è stata costruita una splendida Basilica, è sulla sua fede che l’immensa Chiesa di Gesù Cristo si è fondata da venti secoli. Da Cracovia, Dio mi ha chiamato a Roma, io, suo indegno servo per ereditare la responsabilità di Pietro, che è quella di mantenere riunite attorno a Cristo, vero Pastore, le pecore sperdute.

Nel compimento di questa missione, mi piace rileggervi qualche parola che proprio l’apostolo Pietro scriveva da Roma a dei cristiani dell’Asia minore, convertiti dal paganesimo: “Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce.

Un tempo voi non eravate il suo popolo, ora invece siete il popolo di Dio. Eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia” (1Pt 2,9-10).

Cari fratelli e sorelle, ecco un messaggio confortante, un messaggio di pace! È anche per voi che avete dato la vostra fede a Cristo. Certamente Dio non è mai stato lontano dai vostri avi, che d’altronde avevano le loro virtù naturali, ma non conoscevano, come voi, il suo volto di Salvatore.

Voi lo conoscete. Voi siete stati battezzati nel suo nome, liberati nel più profondo delle vostre anime dal dominio del Maligno che, fin dal peccato originale, tiene l’uomo nella sua schiavitù, nel maleficio, nella menzogna e nella paura. Voi avete ricevuto lo Spirito Santo che vi consente di rivolgervi a Dio chiamandolo come Gesù: “Abbà, Padre!” (Rm 8,15). Già il profeta Ezechiele ci annunciava un Dio che si preoccupava di tutte le sue pecore, che cercava quella sperduta, che fasciava quella ferita e curava quella malata (cf. Ez 34,16). E Gesù ci ha rivelato, meglio di qualunque altro, il volto di suo Padre, un volto di misericordia, sofferente per il peccato, ma pronto a perdonare al peccatore, a rialzarlo, a reintegrarlo nella casa paterna. Ciò che egli chiede prima di tutto, come Gesù disse a Pietro, è l’amore: “Mi ami tu veramente?”. Sì, Gesù ci permette di avvicinarci a questo Dio misericordioso, di pregarlo con fiducia perché continui a liberarci dal male, esercitando noi stessi la misericordia.

Certo, la nostra vita, come quella di tutti gli uomini, come quella di tutti i cristiani, rimane sottomessa a numerose prove. È perché, a causa del peccato originale, il genere umano ha ereditato una situazione storica di disordine, di rottura con Dio, come lo rivela la Bibbia, in un modo globale e misterioso; e le cause immediate e concrete di queste prove sono da ricercare nei limiti normali di questo mondo creato, a volte nelle difficili condizioni climatiche, nel nostro stato di creatura mortale, nelle nostre imprevidenze, nelle nostre negligenze e, a volte, anche nelle ingiustizie sociali sostenute da altri. Con il Cristo, l’“uomo dei dolori”, esse possono essere accolte, offerte, superate con coraggio; bisogna evitare di lasciarsi ossessionare dalla malevolenza degli altri, e più ancora di provare una morbosa paura di Dio “che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45).

Voi, cari fratelli e sorelle, pur rinunciando al peccato – la sola cosa che si deve temere! – bandite ogni fatalismo, ogni inutile paura. Pur operando ardentemente per allontanare le sofferenze e le difficoltà naturali della vita, con tutti i mezzi che Dio vi ha dati, mettete sempre la vostra fiducia nel Salvatore, in lui solo, ricorrendo a lui con tutta semplicità. Cercate appoggio nella vita comunitaria del vostro prossimo e in particolare dei cristiani che Dio ha chiamati a vivere come fratelli.

Ecco il primo aspetto della Buona Novella: la pace in Dio.

2. Ora, dedicatevi a edificare la Chiesa nel Gabon, “nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica”, come in ogni Chiesa particolare (Christus Dominus, 11).

L’unica Chiesa di Cristo vi ha preceduti. Istituita da lui, si è manifestata pubblicamente nella prima Pentecoste cristiana a Gerusalemme. Essa “ha per fondamenta gli Apostoli e i profeti, e la pietra angolare è lo stesso Cristo”, come ci ricorda san Paolo. Essa è unica, anche se purtroppo i cristiani sono a volte divisi. È la Chiesa che invia alcuni suoi membri in missione, per fondare nuove comunità, come i missionari l’hanno fatto qui da voi circa centoquaranta anni fa. “Voi siete stati integrati nella costruzione... per diventare anche voi, per mezzo dello Spirito Santo, dimora di Dio”.

“Voi non siete più stranieri, né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19-22).

Coloro che sono venuti a portarvi il Vangelo, come l’avevano essi stessi ricevuto, l’hanno fatto per amore vostro. Nella fede, voi non eravate stranieri per essi. Felicemente, voi continuate a beneficiare dell’aiuto fraterno di questi missionari venuti da un’altra patria, ma questa Chiesa, edificata dai figli di questo Paese e per essi, deve anche contare sempre di più sulla vostra responsabilità: sui vostri Vescovi – la Santa Sede ha fatto in modo che ora siano tutti gabonesi – e sui vostri sacerdoti, sui religiosi e religiose di questo paese, sui laici, catechisti o responsabili a qualsiasi titolo, insomma, su tutti gli operatori apostolici ai quali ho parlato l’altro giorno in Cattedrale, ma anche su tutti gli altri battezzati e cresimati, che assumono le loro responsabilità con spirito cristiano nella loro famiglia, nella loro scuola, nella loro professione, nella società civile.

Perché ciascuno possa entrare, a modo suo, nella costruzione della Chiesa nel Gabon. Ne va del suo radicamento duraturo. Ne va della sua vitalità. Ne va della sua autenticità, perché possa toccare profondamente l’anima gabonese e produca dei frutti che abbiano il sapore di questo paese. Il tema di questa Messa è proprio quello della Chiesa locale. Ogni Chiesa locale, soprattutto quando è riunita in preghiera attorno al suo Vescovo, successore degli Apostoli e rappresentante di Cristo in mezzo ad essa, è la principale manifestazione del mistero della Chiesa (cf. Sacrosanctum Concilium, 41). Nella persona di monsignor Fernand Anguillé, Arcivescovo di Libreville, di monsignor Félicien Makouaka, Vescovo di Franceville, di monsignor Cyriaque Obamba, Vescovo di Mouila, di monsignor Francois Ndong, Vescovo di Oyem e del suo coadiutore, monsignor Basile Mvé Engone, saluto affettuosamente ciascuna delle vostre Chiese locali che insieme formano la Chiesa del Gabon.

Queste Chiese locali dovranno certamente evitare sempre il ripiegamento su se stesse. Voi comprendete molto bene – e me ne rallegro – la necessità della vostra comunione con le altre comunità ecclesiali del mondo intero, e con colui che presiede il collegio dei Vescovi, il successore di Pietro. Questa comunione significa anche, in pratica, la condivisione della stessa fede, della stessa etica cristiana, degli stessi sacramenti, della disciplina essenziale comune a tutta la Chiesa.

Questi legami saranno d’altronde sempre, per voi stessi, una condizione della vostra fedeltà al Vangelo, dell’autenticità della vostra appartenenza alla Chiesa cattolica. Ma, all’interno di questi legami, si deve sviluppare la vostra personalità gabonese.

Può darsi che qualcuno dica: come potremo trovare i mezzi per assumerci la responsabilità della nostra Chiesa, finché non disporremo sufficientemente, da noi stessi, di pastori, di religiose, di mezzi pedagogici, di risorse finanziarie? Senza dubbio il passaggio non potrà che essere progressivo. Ma non è tanto questione di un aumento di mezzi: molte Chiese oggi hanno dovuto accontentarsi di poveri mezzi, come all’origine, come ad ogni crisi storica sperimentata dalla Chiesa e seguita da un rinnovamento. È molto più di una questione di vigore interiore, di linfa spirituale, come la linfa generosa dei vostri magnifici alberi, che fa spuntare il loro fogliame. E, con questa, avete già i mezzi spirituali. Bisogna che regni anche un clima di fiducia e di corresponsabilità, che permetta di associare alle iniziative apostoliche quelli che si accontenterebbero di ricevere, spesso dall’estero, un’assistenza. Non è il cammino che, grazie a Dio, un certo numero di laici sta per cominciare da voi, o sperano di poterlo fare presto? Dio voglia che essi trovino il sostegno spirituale di cui hanno bisogno e che tra essi fioriscano molte vocazioni sacerdotali e religiose! Sì, lo Spirito di Dio saprà suscitare questa maturità a misura della vostra fede.

3. Dopo la pace ricevuta da Dio e la vitalità della Chiesa locale, affronto il terzo aspetto della Buona Novella. In effetti, è un luogo dove la Chiesa deve trovare la sua espressione privilegiata: la famiglia. Il Concilio Vaticano II non ha esitato a chiamare la famiglia cristiana la “Chiesa domestica”, una Chiesa in miniatura.

I costumi ancestrali, nel Gabon come in parecchi paesi africani, segnano ancora profondamente molte famiglie. Esse hanno inculcato a queste un certo numero di valori che possono essere molto preziosi per gli sposi cristiani; in particolare, permettono di evitare alla coppia di limitarsi a una prospettiva troppo individualista, mantenendola per esempio solidale con le famiglie degli sposi: queste possono apportare il loro contributo alla fondazione della nuova famiglia e sono suscettibili di manifestare anche il loro aiuto nell’educazione dei bambini o di fronte alle prove che sopravvengono. Nella misura in cui tali pratiche favoriscono la stabilità e l’unità delle coppie, pur lasciando ai fidanzati la libertà del loro consenso e del loro impegno personale, la Chiesa non può che rallegrarsene.

Ciò che la Chiesa chiede ai cristiani di capire bene, è l’incomparabile dignità dell’unione dell’uomo e della donna nel piano originale di Dio, e il senso del sacramento del matrimonio cristiano: questo ha lo scopo di elevare l’unione degli sposi similmente all’alleanza d’amore tra Cristo e la sua Chiesa, di associarli al dinamismo del mistero pasquale del Salvatore e di apportare così a tutta la loro vita di coniugi, una santificazione e un irradiamento che si diffondono sulle loro persone, sui loro figli, sulla vita della Chiesa e della società.

Mi manca il tempo di riprendere qui quello che esponevo lungamente, appena due anni fa, alle famiglie cristiane di Kinshasa, quello che i Vescovi del mondo intero hanno testimoniato al Sinodo dell’autunno del 1980, e quello che io stesso ho scritto per tutta la Chiesa nella mia recente esortazione apostolica. Lascio ai vostri Pastori di offrirvi i mezzi concreti per familiarizzarvi con la natura del matrimonio cristiano, e permettervi di viverlo fin d’ora.

Pensate, per esempio, al vero amore coniugale, sorgente e forza di una comunione indissolubile, la cui fedeltà ricorda l’incrollabile fedeltà di Dio alla sua alleanza con gli uomini. Pensate alla cura che ha la Chiesa di fare in modo che la persona – in particolare la donna – non sia mai trattata come “oggetto” di piacere, né come un semplice mezzo di fecondità, ma che meriti di essere amata per se stessa da parte del coniuge, anche se sfortunatamente è sottomessa alla prova della sterilità.

Pensate anche ai valori di rispetto, di delicatezza, di perdono, di misericordia, di cui la visione cristiana arricchisce il matrimonio. Pensate alla dignità del compito di padre e di madre, in cui i coniugi diventano cooperatori del Dio creatore dando la vita, e alla loro comune responsabilità per allevare fino alla maturità affettiva e spirituale i figli che hanno messo al mondo.

Per proteggere tutto questo, la Chiesa ricorda delle esigenze, delle esigenze gravi, certo, che hanno il loro fondamento nel Vangelo e che necessitano di sforzi e della conversione del cuore. Ma essa vorrebbe che i cristiani percepiscano anzitutto il sacramento del matrimonio come una “grazia”.

Essa comprende con misericordia coloro che incontrano delle difficoltà a corrispondervi in pienezza, e non vuole allontanare nessuno da “un cammino pedagogico di crescita” che deve condurli più lontano, “giungendo a una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo mistero nella loro vita” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 9). Alle famiglie del Gabon, come l’ho già scritto nell’esortazione, dico: “Famiglia, diventa ciò che sei!” (Ivi, 17). Mi felicito con le famiglie cristiane che già danno questa bella testimonianza: ve n’è un certo numero in questo paese. E le invito a condurre le altre famiglie nel loro solco, mediante un apostolato da coppia a coppia, come invito tutta la Chiesa del Gabon a promuovere un’adeguata pastorale della famiglia.

4. Concludendo, cari fratelli e sorelle – ed è il culmine della Buona Novella che vi annunciavo – chiedo per voi al Signore una viva speranza, sul cammino della santità delle beatitudini.

Abbiamo appena ricordato alcune esigenze della vita cristiana. In questi ultimi giorni ne ho ricordate altre, ad ogni categoria del popolo di Dio, ma sempre con fiducia e su un tono positivo. Tutte queste esigenze concretizzano il duplice comandamento fondamentale: amare Dio con tutte le forze, amare il prossimo come noi stessi, o, piuttosto, come Gesù ci ha amati. Va da sé che la preghiera, la partecipazione ai sacramenti e specialmente alla celebrazione eucaristica della domenica, ne sono l’espressione e gli alimenti essenziali.

Alcuni hanno tentato di chiedere alla Chiesa di mitigare le sue esigenze, sia, per esempio, per il matrimonio cristiano o per il sacerdozio. In realtà, voi tutti l’intuite, la Chiesa allora cesserebbe di essere il sale e il lievito di cui parlava Gesù; essa sarebbe ancor meno credibile, il suo messaggio sarebbe insipido, ambiguo, e la sua testimonianza molto meno vigorosa. Cristo non ha proposto un cammino facile, ma un sentiero scosceso, la porta stretta delle beatitudini, che è follia agli occhi di certi uomini, ma che è sapienza di Dio e forza di Dio: lo spirito di povertà, la purezza, la sete di giustizia, la mitezza, la misericordia, la ricerca della pace, la pazienza nella prova, la perseveranza nella persecuzione a causa di Gesù e, in sovrappiù, la gioia, sì, la gioia più profonda: “Beati!”. Ecco che cosa è capace di rinnovare il mondo attuale, malato delle sue incertezze o dei suoi surrogati di felicità. Non è quindi sul denaro, il potere e la seduzione della facilità, che la Chiesa può veramente contare per risolvere i suoi problemi, ma sulla pratica dei mezzi spirituali che corrispondono alle beatitudini. E quando ha l’audacia di crederlo e di rischiare il suo impegno, allora un nuovo orizzonte, una nuova Pentecoste si apre davanti ad essa. Il cammino che sembrava condurla al fatalismo, allo scoraggiamento, che avrebbe potuto ripiegarla sulla sua “crisi”, cambia senso. Tutto è possibile, anche se il peccato è ancora vicino, anche se le tentazioni rimangono, anche se ci si sente ancora deboli, quando si è umili e pieni di fiducia.

Ed ecco che la scena evangelica che abbiamo appena contemplata ce lo conferma. L’apostolo Pietro è appena tornato dalla sua umiliazione durante la Passione. Una conversazione profonda s’intreccia con Gesù risorto, una specie di contrattazione che sfocia in un contratto in tre tempi.

Gesù conosce la sua debolezza. Ma di fronte alla triplice dichiarazione d’amore, gli dice: “Sii il pastore dei miei agnelli, sii il pastore delle mie pecore”. E gli affida il cammino di tutto il gregge, di tutta la Chiesa. Il Signore vi affida oggi, cari Pastori del Gabon, il cammino della vostra Chiesa.

Quanto a me, sono qui per confermarvi nella vostra fede, nel vostro cammino, e tessere dei legami di comunione ancor più solidi tra voi e la Chiesa universale che è solidale con voi. Un’ultima parola vi spiegherà il senso della mia missione. Quando l’apostolo Pietro si fermò davanti allo storpio della Porta Bella di Gerusalemme, gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina” (At 3,6). Oggi, in senso spirituale, vedendo la vostra buona volontà, il successore di Pietro dice a tutta la Chiesa del Gabon: non sono venuto a portarti né oro né argento. Ma non temere. Abbi fiducia. Nel nome di Gesù Cristo, alzati e cammina!

 

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