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 VISITA PASTORALE A GINEVRA

SANTA MESSA NEL PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Ginevra, 15 giugno 1982

 

1. Cari fratelli e sorelle.

Dopo i molteplici e significativi incontri, che questa troppo breve giornata a Ginevra mi ha permesso di avere, dopo vari discorsi che ci siamo scambiati, dopo i voti di ogni genere che abbiamo formulato secondo le finalità delle istanze esaminate, era giusto, nel momento in cui la pace della sera avvolge la città, radunarci fra credenti, in questo incontro con Cristo. Ascoltare le parole pronunciate nel nome di Dio dal profeta Isaia e dai figli di Dio. Entrare noi stessi nell’alleanza che ci impegna più di qualsiasi voto, condividendo il Corpo e il Sangue del Signore offerti per il rinnovamento del mondo intero.

Come ogni celebrazione Eucaristica, questa che ho la gioia e la grazia di presiedere fra voi, è in realtà la realizzazione del sacrificio unico del Signore Gesù attraverso il tempo e lo spazio: celebrazione che si compie in un punto del globo, ma che si ripete sempre a beneficio dell’umanità intera. Cristiani, venuti soprattutto da Ginevra, ma anche da altre regioni della Svizzera e dai paesi vicini, prendiamo insieme coscienza degli effetti straordinari e misteriosi di questa Eucaristia. Del resto il fatto di celebrarla in questo luogo del mondo ci può aiutare a comprendere qualcosa del diffondersi invisibile dell’offerta sacramentale della vita, morte e resurrezione del Signore. Ginevra, nel contempo ricca di lunghissima storia e limitata in questa posizione geografica, ha una vocazione universale, per il fatto che vi risiedono in permanenza organizzazioni internazionali che hanno lo scopo di aiutare a risolvere i grandi problemi di cui si discute nella nostra epoca.

Oggi il Signore - come ieri, come sempre - è luce e vita per i credenti.

2. La prima luce che scaturisce da questa liturgia della parola è che non c’è religione autentica senza ricerca di giustizia fra gli uomini. Isaia esorta i suoi compatrioti alla conversione, alla ripresa seria degli accordi che costituiscono l’alleanza fra Dio e il suo popolo. La penitenza e il digiuno, certo, esprimono questa conversione, ma per essere veri, per “giustificare” l’uomo, per raggiungere il Dio invisibile, bisogna che essi includano un impegno di giustizia verso il prossimo visibile: “far cadere le catene ingiuste”, “bandire le azioni minacciose”, “spezzare i gioghi”, “liberare gli oppressi, soccorrere colui che non ha pane, né tetto, né vestiti. Allora per te che sei alla ricerca di un’alba di speranza in questo mondo difficile, “la tua luce scaturirà come l’aurora, le tue forze rapidamente ritorneranno, la giustizia marcerà davanti a te”.

3. Isaia, e ancor di più Gesù, ci permettono di aggiungere: non c’è giustizia senza amore, senza carità. Spesso noi stessi non ci rendiamo conto di aver imposto al nostro prossimo catene ingiuste, gioghi pesanti, oppressioni, parole crudeli, se non nel momento in cui noi stessi siamo partecipi di una situazione ingiusta. Ma ciò che ci viene chiesto continuamente è: hai mai sfuggito un tuo simile?

Hai considerato come fratelli coloro che, vicini o lontani dalla tua casa - poiché oggi le distanze sono presto abolite -, appartengono a popolazioni affamate, sono ammalati o mancanti di igiene, considerati come stranieri o di parte avversa, in prigione o ammassati in un campo? Ciò presuppone il vedere nell’altro, qualsiasi sia la sua infelicità, un essere la cui dignità umana è simile alla propria, una dignità di figli di Dio. Ciò presuppone che ci si metta in qualche modo al suo posto; per desiderare con lui un gesto di conforto, di aiuto, di partecipazione, di fiducia. L’amore è questo: desiderare per l’altro quello che si vorrebbe per se stessi (cf. Mt 7, 12).

La carità sottintende chiaramente la giustizia, ma si può dire anche che essa salva la giustizia e le permette di raggiungere la pienezza. E, dice Gesù, soltanto colui che manifesta un tale amore è suo discepolo, egli ama lo stesso Cristo che si identifica in questo mondo con l’uomo che è infelice e non ha niente da temere dal suo giudizio.

4. Precisiamo inoltre: la giustizia e la carità non sono che vento se non si accompagnano ad azioni concrete verso uomini concreti.

Indubbiamente né Isaia né Gesù hanno elencato tutte le ingiustizie e le infelicità che richiedono amore. Queste hanno mille sfaccettature e le nostre società moderne ne creano sempre di nuove.

Nei riguardi dei disoccupati, dei rifugiati, dei torturati, degli innocenti sequestrati, di coloro che sono oppressi ideologicamente ecc. Ma sarebbe insufficiente parlare di problemi. È necessario giungere ad esempi precisi e trovare un’applicazione precisa. Gesù parla di chi ha fame, di chi ha sete. Il prossimo ha un volto umano.

5. Infine questa Eucaristia ci illumina sulla origine dell’amore e della giustizia per noi credenti.

L’amore deriva non solo dall’esempio di Cristo, ma dalla carità - “agapê” - che procede dal Padre, che si manifesta nel Figlio, che si diffonde per mezzo dello Spirito Santo. Dio è Amore. Tale è la nostra fede. Ma perché gli uomini abbiano accesso a questa giustizia, cioè a questa santità che viene da Dio, e al suo amore, è stato necessario che il peccato, il muro di orgoglio, di egoismo, di odio, fosse abbattuto dal Sacrificio del Giusto, dall’amore del Figlio. La Messa ci fa partecipare, sul piano sacramentale, a questa liberazione. Bisogna che noi ci giriamo verso la Fonte. Dobbiamo convertirci. Non c’è religione cristiana autentica, non c’è giustizia né carità cristiana senza questa conversione, che è rottura con il peccato, adesione al suo sacrificio, comunione col suo Corpo donato, col suo Sangue versato.

E a questo prezzo possano i cristiani acquisire il dinamismo del Vangelo per costruire un mondo nuovo, possano diventare come degli ostensori di Dio, del suo amore trinitario attraverso lotte non violente per il regno della giustizia.

6. Ma, voi mi direte, come può la spiritualità di questa omelia riallacciarsi alla problematica moderna, quella che incontriamo nella vita, nel lavoro, specialmente a Ginevra dove hanno sede tante organizzazioni internazionali? Voi avete senza dubbio l’impressione di essere immersi in problemi estremamente difficili da risolvere. Sono così numerosi, man mano che i mezzi di comunicazione e la accresciuta solidarietà vi ci coinvolgono. Sono così vasti su scala mondiale; sono così complessi, ingarbugliati, dipendenti da tanti fattori sui quali avete ben poca autorità, senza contare a volte la cattiva volontà e gli ostacoli che pongono coloro che hanno interessi divergenti!

Quanta lucidità, quanta pazienza e quanta speranza è necessario avere!

Coloro, per esempio, che lavorano nelle istituzioni internazionali, che elaborano senza sosta provvedimenti giuridici, convenzioni, petizioni, iniziative destinate a risanare il clima mondiale forse si rendono conto che il loro contributo personale alla giustizia e alla pace resta ancora molto limitato, ancora molto fragile, indiretto e lontano, a meno che non intervengano efficacemente su individui o gruppi precisi di rifugiati o altri infelici.

Il mio pensiero va a tutti quelli che operano per la pace, il disarmo e i diritti dell’uomo all’ONU, per la giustizia sociale all’OIT, per la salute all’OMS, per i rifugiati all’Alto Commissariato, per le vittime della guerra alla Croce Rossa, ecc.

I cristiani fanno la loro parte con tutti gli uomini di buona volontà, e rinnovo ad essi il mio incoraggiamento, soprattutto a quelli che oggi non ho potuto visitare. Che essi abbiano coscienza di partecipare all’opera di giustizia richiesta da Cristo preparandone la via a livello mondiale. Essi tessono, attraverso tanti ostacoli, la trama di un mondo nuovo che la nostra fede spera, e che è l’inizio, qui in terra, della salvezza completamente realizzata nell’al di là.

Non dimentico neanche tutti i presenti a questa Messa, di Ginevra, della Svizzera o di altre parti, che lavorano nell’ambito della propria famiglia, delle loro imprese, della municipalità, della loro patria, della loro comunità cristiana. Molti qui vivono in condizioni confortevoli, favoriti dalle circostanze e dal loro lavoro. Con i loro pastori, possono agevolmente riflettere sul modo adeguato di partecipare, a casa o fra la gente, al progredire della giustizia, alla condivisione con gli altri, all’aiuto reciproco rispettoso della dignità altrui, all’ospitalità ampiamente aperta.

7. Come collocare quindi l’intervento della Chiesa, del suo Magistero, in questo contesto? Come Isaia, come Gesù, essa non ha intenzione di fare un discorso prettamente politico. Con la sua autorità religiosa ereditata dal Signore, la Chiesa non ha neanche la competenza per dare soluzioni tecniche ai vostri problemi. Ne lascia la responsabilità ai laici cristiani e alle organizzazioni cristiane dei laici, in grado di escogitare nella loro coscienza cristiana, solidamente formata, le decisioni corrispondenti ai vostri bisogni concreti.

Ma Gesù, dopo i profeti, ha recato un messaggio che non cessa di interrogare e di sconvolgere gli uomini e le donne di fronte all’ineguaglianza, alla povertà, alle ingiustizie, a tutte le conseguenze del peccato. Sì, questo messaggio, che trascende la politica e il sociale, pur avendo un impatto su di essi, contiene una forza di interrogazione di cui il mondo ha bisogno. Per suo tramite, è Dio che chiama tutti gli esseri umani credenti e uomini di buona volontà a ricreare con lui un’umanità a sua immagine e somiglianza, una umanità fraterna. Il suo messaggio non vuole scoraggiarli, ma incoraggiarli nelle loro buone intenzioni. È in questo senso che egli li invita anche a dare un’importanza relativa ai loro progetti provvisori, nonché alle strutture stabili che essi hanno sinceramente costruito per risolvere i loro problemi. Cioè, riprenderli in considerazione col metro della giustizia e dell’amore al fine di cancellare le ingiustizie e gli egoismi che rinascono di continuo e rispondere meglio alle nuove necessità.

8. Cari fratelli e sorelle, se la Chiesa, se la Sede Apostolica, il Papa, adoperano questo linguaggio forte, desiderano nello stesso tempo che esso sia recepito come un linguaggio umile. Innanzitutto essi non vogliono proporre altre leggi o altre esigenze morali se non quelle che provengono dal Vangelo, che essi stessi hanno ricevuto senza alcun merito da parte loro. Inoltre, ciò che la Chiesa vi reca non è un giudizio di condanna, alla maniera di Isaia, ma un soffio nuovo, sulle orme del Cristo, uno slancio in cui lo Spirito Santo ha la sua parte, una speranza, in breve, un contributo positivo. E d’altronde essa sa bene che porta questo messaggio in un vaso d’argilla (cf. 2 Cor 4, 7).

I suoi membri, tutti i suoi membri, compresi quelli della gerarchia, hanno coscienza di partecipare personalmente alla debolezza, ai limiti degli uomini, sempre peccatori e sempre salvati; e cercano di intraprendere un cammino sempre migliore malgrado la pesantezza e la viltà che la propria storia può comportare. Ma la loro debolezza personale non può offuscare il messaggio di giustizia e amore che viene da Dio.

Noi facciamo nostro l’atteggiamento della Vergine Maria, forte ed umile ad un tempo, manifestato il giorno della Visitazione nel Magnificat. Come ho ricordato di fronte agli operai a Saint-Denis, in Francia, i lavoratori - e tutti quelli che sono qui li considero lavoratori - “devono essere capaci di lottare nobilmente per ogni forma di giustizia . . . La disponibilità ad intraprendere una lotta così nobile, una lotta per il bene vero dell’uomo in tutte le sue dimensioni, deriva dalle parole che pronuncia Maria a proposito del Dio vivente: "Egli ha spiegato la potenza del suo braccio, / ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; / ha rovesciato i potenti dai troni, / ha innalzato gli umili"” (Giovanni Paolo II, Homilia in Missa celebrata in urbe Saint-Denis, die 31 maii 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1562ss).

Davanti a Maria, davanti a suo Figlio Gesù che ha proclamato questa beatitudine, noi tutti dobbiamo domandarci: “Abbiamo sufficientemente fame e sete della giustizia, della giustizia di Dio?”.

 

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