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SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEL CARDINALE BENELLI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 30 ottobre 1982

 

1. “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese” (Lc 12,35).

Ascoltando queste parole di Cristo, che ammoniscono circa la precarietà della vita ed invitano alla vigilanza operosa, il nostro pensiero si volge spontaneamente alla compianta figura del nostro venerato fratello, il Cardinale Giovanni Benelli, rapito martedì scorso da morte immatura all’affetto dei suoi Cari e di quanti lo conoscevano e lo stimavano. Cristo, quando gli si è fatto incontro, ha veramente trovato in lui il servo vigilante “con la cintura ai fianchi e la lucerna accesa”.

Raccolti in preghiera in questa Cappella, sotto l’incombente visione del capolavoro michelangiolesco, noi offriamo a Dio questa Celebrazione eucaristica di suffragio per l’anima di lui, soffermandoci pensosi a riflettere sulla sua vicenda terrena alla luce delle parole evangeliche ora ascoltate: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (Lc 12,37). È beatitudine, questa, che ci pare si applichi perfettamente alla vita ed alla morte dell’Arcivescovo di Firenze.

È nota l’intensa attività che egli ha svolto fino a pochi giorni fa, superando con la forza della volontà le resistenze di una salute che da qualche mese s’era fatta meno robusta. A considerare oggi, in visione retrospettiva, il ritmo di lavoro al quale per anni egli sottopose se stesso, si sarebbe indotti a pensare che presentisse in qualche modo la fine precoce e volesse ad ogni costo guadagnare tempo prezioso.

2. Entrato molto giovane al servizio della Santa Sede con funzioni di Segretario dell’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Monsignor Giovanni Battista Montini, egli, dando fin dall’inizio quasi una prefigurazione di se stesso, non si limitò al lavoro d’ufficio, ma volle affiancare agli impegni di Segreteria quelli di Assistente ecclesiastico della Gioventù Aclista Romana e del Movimento “Rinascita Cristiana”. Fu inviato successivamente in varie Rappresentanze Pontificie per svolgervi il delicato lavoro che è proprio di tale settore della vita della Chiesa.

Ovunque Monsignor Benelli portò l’entusiasmo del suo temperamento generoso e intraprendente, impegnandosi con ogni mezzo a sua disposizione per il riconoscimento non solo dei diritti di Dio, ma anche di quelli dell’uomo. La sua azione intelligente ed incisiva gli valse il particolare apprezzamento del mio predecessore, Papa Paolo VI, il quale, nel giugno 1967, lo volle accanto a sé nell’importante incarico di Sostituto della Segreteria di Stato. Erano gli anni difficili dell’immediato post-Concilio. La Santa Sede, sotto la guida lungimirante e saggia di Papa Paolo VI, stava operando un grande sforzo per dare attuazione alle direttive maturate nell’Assise ecumenica. Monsignor Benelli mise tutto il dinamismo della sua tempra di realizzatore a disposizione di quel Papa, al quale si sentì sempre – come ha voluto ricordare anche nel Testamento – “in modo speciale obbligato e legato”, riconoscendo in lui il suo vero “Padre e Maestro”. Fu un decennio di attività intensissima, durante il quale il giovane Sostituto si spese fino all’estremo delle sue energie, per far fronte in ogni circostanza e senza ritardi alle molteplici incombenze dell’Ufficio. I frutti di quel periodo di lavoro al centro della Chiesa sono sotto il giudizio di Dio e della storia.

Ed ecco, infine, la nomina ad Arcivescovo di Firenze: un capitolo nuovo di impegno pastorale diretto, che veniva opportunamente a completare con l’esperienza del governo di una diocesi la poliedrica personalità di questo non comune uomo di Chiesa. Ed è stato nel pieno fervore di quest’ultima forma di servizio che lo ha colto la morte. Lo ha colto “con la cintura ai fianchi e la lucerna accesa”.

3. Ora la sua anima è “nelle mani di Dio”, là dove sono “le anime dei giusti”, come ci ha ricordato il libro della Sapienza. Anch’egli, infatti, pur con le debolezze inerenti alla fragilità umana, è stato un uomo giusto. Un uomo che ha avuto vivo il senso del dovere, per il cui adempimento non si è mai risparmiato. Un uomo che ha sempre ispirato la sua azione ad un criterio lineare e fermo di rettitudine, fino a rischiare di passare per intransigente presso chi non riusciva ad afferrare questo suo assillo di personale rigore. È stato un uomo leale, che non ha fatto mai mistero delle sue scelte di fondo, dichiarate con franchezza ed attuate con coraggio, senza cedimenti nei confronti degli umori e delle mode del momento: chiarezza e coraggio sono state sue note caratteristiche nel quotidiano prodigarsi a servizio di Cristo e dei fratelli. Egli è stato, altresì, un uomo fedele, che ha posto sempre in cima alle sue preoccupazioni quella di non deludere la fiducia in lui riposta. È stato un uomo di vita semplice ed austera, aliena da indulgenze ad ogni forma di sfarzo e capace, anzi, di distacchi esemplari, come quando, per sostenere l’impegno dell’arcidiocesi in favore dei drogati e dei profughi della Cambogia, si privò dei suoi beni personali, offrendoli in una vendita di beneficenza.

È stato un uomo – per dirla con una parola in cui ogni altra si riassume – che ha servito la Chiesa, senza mai servirsi di essa.

Per questo noi confidiamo che la sua anima sia ora, con quelle dei giusti, “nelle mani di Dio”. Ed è pensiero, questo, che addolcisce l’amarezza del distacco. Avremmo desiderato che egli restasse ancora con noi, per continuare a mettere a servizio della Chiesa le sue doti di mente e di cuore: conservava tanto entusiasmo nell’animo ed aveva numerose iniziative in progetto, accanto a quelle in via di attuazione, tra cui, preminente, la “visita pastorale” dell’arcidiocesi.

I giudizi di Dio sono stati diversi e noi non intendiamo contestarli: rischieremmo di trovarci fra quegli “stolti” per i quali – come rilevava il libro della Sapienza – la morte dei giusti è “una sciagura e la loro dipartita da noi una rovina” (Sap 3,2-3). Sappiamo, invece, nella luce della fede che, molti o pochi che siano gli anni di vita quaggiù, al confronto con l’eternità essi appaiono sempre come “una breve pena”, dopo la quale Dio riserva “grandi benefici” per quelli che “ha trovati degni di sé” (Sap 3,5).

Chiniamo perciò il capo davanti agli imperscrutabili disegni di Dio, come lo ha chinato lui, il Cardinale Benelli, quando, avvertito dai Sanitari, fu conscio dell’imminenza della fine.

4. In quel momento affiorarono certamente nel suo animo sentimenti simili a quelli espressi nel Salmo che abbiamo recitato poco fa:
“Il Signore è mia luce e mia salvezza, / di chi avrò paura? / Il Signore è difesa della mia vita, / di chi avrò timore? (...) / Una cosa ho chiesto al Signore, / questa sola io cerco: / abitare nella casa del Signore / tutti i giorni della mia vita, / per gustare la dolcezza del Signore (...) / Sono certo di contemplare la bontà del Signore / nella terra dei viventi” (Sal 26 [27],1.4.13).

In quella “terra” noi confidiamo che egli sia giunto. E se qualche residuo di umana debolezza ancora impedisse quella piena “contemplazione della bontà del Signore” che è stata l’aspirazione di tutta la sua vita, noi oggi eleviamo la nostra preghiera di suffragio perché il momento del definitivo e beatificante incontro con Dio gli sia affrettato.

Possa egli assidersi a quella mensa presso la quale, secondo la suggestiva immagine della pagina evangelica, lo stesso “Padrone di casa”, “cintesi le vesti... passerà a servire” gli invitati (cf. Lc 12,37): la mensa cioè in cui cibo dell’anima sarà la visione di Dio stesso, che con la ricchezza del suo amore sarà la fonte inesauribile di una gioia senza ombre ed eterna. Così sia!

       

 

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