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VIAGGIO APOSTOLICO NEGLI STATI UNITI E IN CANADA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Stadio «Silverdome» di Pontiac (Detroit)
 Sabato
, 19 settembre 1987

 

“Comportatevi da cittadini degni del Vangelo” (Fil 1, 27).

Cari fratelli e sorelle in Cristo.

1. L’apostolo Paolo rivolge questo appello ai cristiani di Filippi. E oggi la liturgia della Chiesa rinnova quest’appello a tutti coloro che credono in Cristo. Poiché sta per concludersi la mia visita nel vostro Paese, questa sera è per me una particolare gioia riflettere su quelle parole con voi, popolo della Chiesa di Detroit, e anche visitatori provenienti da ogni parte dei Michigan, dal vicino Canada e da altri luoghi.

Dalle umili origini della fondazione di Detroit nell’anno 1701, la proclamazione della parola di Dio in questa regione è continuata ininterrottamente, malgrado le difficoltà gli ostacoli, e ha raggiunto un livello di maturità e fertilità incredibile per i primi missionari. Molti anni ci separano dalla prima celebrazione dell’Eucaristia da parte dei sacerdoti che accompagnavano Cadillac, il fondatore di Detroit, e sappiamo tuttavia che la nostra comunione questa sera nel corpo e nel sangue di Cristo ci lega a loro e a tutti coloro che ci hanno preceduto nella fede.

Con voi rendo grazie a Dio per il coraggio, la dedizione e la perseveranza dei numerosi sacerdoti, religiosi e laici che hanno lavorato così duramente in tutti questi anni, dapprima per condividere la loro fede con i nativi americani di questa regione, e poi per preservare e diffondere la fede tra persone di quasi tutte le razze e nazioni che si sono stabilite qui. Con voi rendo anche grazie per l’intrepida fede cattolica di tanti vostri genitori e nonni venuti nel Michigan in cerca di libertà e per costruire una vita migliore per se stessi e specialmente per voi loro figli e nipoti. Qualunque sia il sentiero attraverso il quale avete ricevuto il dono della vostra fede cattolica, lo si deve in qualche misura a coloro che vi hanno preceduto qui. Le loro voci si uniscono a quella di san Paolo quando ci dice: “Comportatevi da cittadini degni del Vangelo”.

2. Leggiamo questa esortazione stasera alla luce della parabola evangelica degli operai mandati dal padrone di una tenuta nella sua vigna dopo aver concordato con loro la paga giornaliera. Nostro Signore spesso insegnava servendosi di parabole come questa. Usando immagini della vita quotidiana, guidava i suoi ascoltatori a comprendere il regno di Dio. Usando parabole egli era capace di innalzare le loro menti e i loro cuori da ciò che è visibile a ciò che è invisibile. Quando ricordiamo che le cose di questo mondo già recano l’impronta del regno di Dio, non dobbiamo sorprenderci del fatto che l’immagine delle parabole si addica così bene al messaggio evangelico.

Da una parte, la vigna di cui Gesù parla è una realtà terrena, così come lo è il lavoro da farvi. Dall’altra, la vigna è un’immagine del regno di Dio. Questo regno è descritto nei Vangeli come “la vigna del Signore”

3. Riflettiamo per un momento sulla prima di queste realtà - la vigna terrena - come luogo di lavoro, come il luogo in cui voi e io dobbiamo guadagnare il nostro pane quotidiano. Come dissi nella enciclica Laborem Exercens (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens, n. 16): “L’uomo deve lavorare sia per il fatto che il Creatore gliel’ha ordinato, sia per il fatto della sua stessa umanità, il cui mantenimento e sviluppo esigono il lavoro. L’uomo deve lavorare per riguardo al prossimo, specialmente per riguardo alla propria famiglia, ma anche alla società, alla quale appartiene, alla nazione, della quale è figlio o figlia, all’intera famiglia umana di cui è membro, essendo erede del lavoro di generazioni e insieme coartefice del futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia”. Di conseguenza, la Chiesa considera suo compito concentrare l’attenzione sulla dignità e i diritti dei lavoratori, condannare le violazioni della dignità e di quei diritti, e fornire la guida per un autentico progresso umano (cf. Ivi, 1). Il fine della Chiesa è innalzare sempre più la famiglia umana alla luce della parola di Cristo e della sua potenza.

Il punto centrale dell’insegnamento della Chiesa è la convinzione che le persone sono più importanti delle cose; che il lavoro è “per l’uomo” e non l’uomo “per il lavoro”; che la persona è sia il soggetto che il fine di tutto il lavoro e non può ridursi a un puro strumento di produzione; che la persona deve essere valutata per ciò che lui o lei è piuttosto che per ciò che possiede (cf. Ivi, 6.12; Gaudium et Spes, 35). Quest’ultima verità, in particolare, ci ricorda che l’unico dono che possiamo offrire a Dio, veramente degno di lui, è il dono di noi stessi, come scopriamo nel messaggio della parabola evangelica di oggi.

4. Quel messaggio, come ho detto, ha a che fare con una realtà spirituale, il regno di Dio, verso il quale Gesù cerca di innalzare le menti e i cuori dei suoi ascoltatori. Egli inizia la parabola odierna con queste parole: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna” (Mt 20, 1). Il fatto che nostro Signore parli di questo più che del giusto lavoro e della giusta paga dovrebbe essere chiaro dal comportamento del padrone dell’uomo e dal nascente conflitto che sorge tra lui e alcuni operai. Non è che il padrone si rifiuti di rispettare l’accordo relativo alla paga. La disputa sorge perché dà a tutti la stessa paga, sia che la persona abbia lavorato l’intera giornata o metà. Ciascuno riceve la somma precedentemente concordata. Così il padrone della vigna mostra generosità verso i ritardatari, con indignazione di coloro che hanno lavorato tutto il giorno. A loro questa generosità sembra essere un’ingiustizia. Quale risposta dà il padrone? “Non posso fare”, lui dice, “delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (Mt 20, 15).

In questa parabola troviamo una di quelle apparenti contraddizioni, di quei paradossi, che compaiono nel Vangelo. Nasce dal fatto che la parabola descrive due diversi modelli. Uno è il modello in cui la giustizia è misurata con le cose. L’altro modello appartiene al regno di Dio, in cui il metro di misura non è la giusta distribuzione delle cose ma l’offrire un dono, in definitiva, il dono più grande di tutti, il dono di se stessi.

5. Il padrone della vigna paga i lavoratori secondo il valore del loro lavoro, cioè l’importo di un denaro. Ma nel regno di Dio la paga è Dio stesso. È ciò che Gesù sta cercando di insegnare. Quando si giunge alla salvezza nel regno di Dio, non si tratta soltanto di paga ma della generosità gratuita di Dio, che dà se stesso come dono supremo, a ciascuno di coloro che condividono la vita divina attraverso la grazia santificante.

Tale ricompensa o remunerazione non può misurarsi in termini materiali. Quando una persona dà il dono di sé, anche nei rapporti umani, il dono non può misurarsi in quantità. Il dono è unico e indivisibile perché il donatore è unico e indivisibile.

Come possiamo ricevere un simile dono? Guardiamo a san Paolo per una risposta. Sono affascinanti le sue parole nella Lettera ai Filippesi (Fil 1, 20-21): “Secondo la mia ardente attesa e speranza che in nulla rimarrò confuso.. Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno”.

Con queste parole di san Paolo ci troviamo nel cuore di questa unità di misura che appartiene al regno dei cieli. Quando riceviamo un dono dobbiamo rispondere con un dono. Possiamo rispondere al dono di Dio in Gesù Cristo - la sua croce e risurrezione - nel modo in cui Paolo rispose - col dono di noi stessi. Tutto ciò che Paolo è, è contenuto in questo dono di sé: sia la sua vita che la sua morte. Il dono della vita di una persona non può valutarsi solo in base al numero d’ore trascorso nella vigna terrena.

San Paolo, e tutti quelli come lui, si accorge che non si può mai paragonare o eguagliare il valore del dono di Dio, che dona se stesso a voi. L’unica, valida unità di misura è la misura dell’amore. E la misura dell’amore, come dice san Bernardo, è l’amore infinito (S. Bernardi, De diligendo Deo, I, 1). Ciò fa sì che gli ultimi diventino i primi, e i primi gli ultimi (cf. Mt 20, 16).

6. C’è un altro episodio, nel Vangelo di Luca, in cui Gesù dice a uno dei farisei, scandalizzato per il comportamento di una nota peccatrice: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato” (Lc 7, 47). Riflettiamo bene sull’amore nel cuore di questa donna, che ha lavato i piedi del Signore con le sue lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Possiamo immaginare il profondo dolore che l’ha indotta a un gesto così insolito. Tuttavia, dandosi umilmente a Dio, ella scoprì quel dono ancor più grande e gratuito di cui abbiamo parlato, vale a dire il dono di Dio di se stesso a lei. Attraverso questo scambio di doni, la donna riscoprì se stessa, solo allora fu guarita e consolata. “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, Gesù dice a lei “. . . va’ in pace” (Lc 7, 48).

Anche per noi, peccatori, è troppo facile sprecare il nostro amore, usandolo nel modo sbagliato. E come i farisei noi non capiamo facilmente il potere dell’amore che trasforma. Solo nella vita, morte e risurrezione di Cristo comprendiamo che l’amore è l’unità di misura di tutte le cose nel regno di Dio, perché “Dio è amore” (1 Gv 4, 8). Possiamo sperimentare pienamente l’amore in questa vita solo attraverso la fede e il pentimento.

7. “Comportatevi da cittadini degni del Vangelo”. Come cristiani viviamo e operiamo in questo mondo simboleggiato dalla vigna, ma al contempo siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore. Viviamo questa vita terrena visibile e, al contempo, la vita del regno di Dio, che è il destino ultimo e la vocazione di ogni persona. Qual è, dunque, il comportamento degno riguardo a queste due realtà?

Nel Credo del popolo di Dio proclamato dal mio predecessore Paolo VI, troviamo una risposta a quella domanda, una risposta che riflette la fede della Chiesa alla luce del Concilio Vaticano II, particolarmente della costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno: “Noi confessiamo che il regno di Dio . . . non è di questo mondo . . . e che la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all’amore di Dio . . . Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi non hanno quaggiù stabile dimora, essa li spinge anche a contribuire - ciascuno secondo la propria vocazione e i propri mezzi - al bene della loro città terrena . . . a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L’intensa sollecitudine della Chiesa . . . per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro Salvatore” (Pauli VI, Credo del popolo di Dio, 30 giu. 1968: Insegnamenti di Paolo VI, VI [1968] 289ss.).

Cari fratelli e sorelle: queste parole ci dicono che cosa si intende per comportamento degno del Vangelo di Cristo: quel Vangelo che noi abbiamo ascoltato e in cui crediamo, e siamo chiamati a vivere ogni giorno. E oggi in questo sacrificio eucaristico offriamo il nostro lavoro, le nostre attività, le nostre intere vite al Padre attraverso suo Figlio Gesù Cristo. Noi imploriamo Dio di accettare il dono di noi stessi

8. “Giusto è il Signore in tutte le sue vie,
santo in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a quanti lo invocano, 
a quanti lo cercano con cuore sincero” (Sal 145, 17-18).

Nella prima lettura il profeta Isaia parla nel nome del Signore, che nella parabola evangelica è rappresentato dal padrone della vigna. Il Signore dice: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie . . . Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55, 8-9).

E dunque, miei fratelli e sorelle, “Comportatevi da cittadini degni del Vangelo”, vale a dire, misurate le cose di questo mondo con l’unità di misura del regno di Dio.

Non viceversa!
Non viceversa!

“Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino” (Is 55, 6).

Egli è vicino! Il Signore è vicino!
Il regno di Dio è dentro di noi. Amen.

Alla fine della Messa

Nel corso di almeno due secoli, tanti immigrati provenienti da differenti Paesi e Nazioni hanno trovato qui, a Detroit, nel Michigan, una grande accoglienza. Oggi, desidero esprimervi la mia gratitudine a nome di tutti costoro. E desidero anche esprimere la mia gratitudine per la vostra grande ospitalità nei miei confronti durante questa visita a Detroit. La vostra ospitalità nei confronti di tanti uomini e donne in questi due secoli vi ha portato una nuova unità. Siete un solo popolo, e il nome di questo popolo, di questa nazione, è Stati Uniti. La mia speranza e il mio desiderio è che questa ospitalità che avete riservato al successore di Pietro durante questi dieci giorni porti un’unità più profonda nella Chiesa, nel popolo cristiano, negli Stati Uniti. Possa quest’unità non rimanere limitata alle dimensioni della vostra sola Nazione, ma estendersi alla dimensione dell’universo. La mia speranza e il mio desiderio è che questa visita sia spiritualmente fruttifera. Molte grazie.

 

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