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RITO DI  BEATIFICAZIONE DEI GIOVANI LAICI MARCEL CALLO,
ANTONIA MESINA E PIERINA MOROSINI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 4 ottobre 1987

 

1. “La vigna del Signore è la casa d’Israele” (Is 5, 7). Noi siamo la vigna del Signore, cari fratelli e sorelle! Noi suo popolo, convocato alla mensa della Parola e del Pane di vita! Noi, suo popolo radunato nell’unità e varietà dei doni dello Spirito!

La vigna: ecco la parola centrale della liturgia di oggi, l’immagine che lega tra loro il brano di Isaia, il salmo responsoriale e il Vangelo di Matteo.

Oggi risuona ancora una volta nei nostri orecchi il canto della vigna, cantico di amore e parabola di giudizio. Isaia canta l’amore di Dio, padrone ed agricoltore, per la “sua piantagione preferita”: “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?” (Is 5, 4). Ma è lo stesso profeta che manifesta la delusione di Dio di fronte all’uva selvatica, di fronte alla violenza fisica e morale che abita nella casa di Israele (cf. Is 5, 7 e 3, 14). Ed allora, ecco il giudizio: Dio è pronto ad abbandonare questo terreno che ha coltivato: senza la sua protezione esso tornerà ad essere un deserto inospitale.

2. Ma proprio qui si leva un grido di smarrimento e insieme di fiducia: “Perché hai abbattuto la sua cinta e ogni viandante ne fa vendemmia?” (Sal 80, 13). È il Salmista che richiama con insistenza l’attenzione di Dio, ne invoca la presenza: “Volgiti, guarda dal cielo, vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato” (Sal 80, 15-16). In questo grido ed in questo crescendo di invocazioni, si realizza il passaggio da Isaia al Vangelo.

3. Nella parabola di Matteo la vigna è ormai solo lo sfondo del dramma. Balzano in primo piano coloro che la coltivano. Il centro dell’attenzione si sposta su una nuova ingiustizia: non più il rifiuto del lavoro, ma il rifiuto di consegnarne i frutti al Padrone della vigna.

Il rapporto di alleanza viene misconosciuto dai vignaioli, i quali, nel “tempo dei frutti” (Mt 21, 34), non riconoscono altro padrone che se stessi.

C’è di più. I vignaioli si spingono fino al punto di bastonare gli inviati del Padrone, i suoi servi fedeli, i profeti. E quando Egli manda loro il suo Figlio, come definitiva parola di convincimento e di mediazione, essi “lo prendono, lo buttano fuori dalla vigna e lo uccidono” (Mt 21, 39). Al Figlio, cui doveva andare tutto il rispetto (Mt 21, 37), viene riservato il trattamento in uso per i bestemmiatori presso Israele.

A questo punto la parabola diventa preannuncio degli avvenimenti pasquali. Inizia il dramma del Figlio di Dio, dell’Alleanza nel sangue di Lui (Mt 26, 28). Gesù dice di se stesso: “La pietra che i costruttori hanno scartato”, proprio quella pietra “è diventata testata d’angolo” (Mt 21, 24).

La vigna del Signore è la casa d’Israele . . .”. Mediante il mistero pasquale diventa chiaro che il Dio dell’Alleanza costruisce la sua casa, nella storia dell’uomo, su Cristo: la pietra rifiutata diventa sul Calvario la pietra angolare della costruzione divina nella storia del mondo. Da quel momento la croce diventa l’inizio della risurrezione nella potenza dello Spirito Santo.

4. Fratelli e sorelle, nell’Eucaristia che celebriamo, l’ora del Figlio di Dio si fa ora della Chiesa, di un popolo nuovo che ha in Cristo la sua pietra angolare.

A questo popolo appartengono i tre giovani che la Chiesa eleva oggi alla gloria dei Beati: Marcel Callo, Pierina Morosini e Antonia Mesina.

Tutti e tre sono laici, sono giovani, sono martiri!

Figli di questo nostro secolo, difficile ma appassionante, hanno condiviso l’ora del Figlio di Dio, rimanendo intimamente uniti a Lui nel mondo. Con trepidazione e gioia li presentiamo al popolo cristiano e a tutti gli uomini di buona volontà come “germogli scelti” che il divino Agricoltore ha coltivato nel nostro tempo attraverso le loro famiglie, le loro associazioni, specialmente l’Azione Cattolica e la JOC, attraverso il lavoro in casa e in fabbrica, attraverso il martirio.

Nella prima domenica del Sinodo, che s’è raccolto per riflettere sul tema “Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent’anni dal Concilio”, acquista una singolare eloquenza il fatto che tre laici ottengano la gloria dei Beati. Li presentiamo a tutti come “fedeli laici”, come giovani e coraggiosi “cittadini della Chiesa e del mondo”, fratelli di un’umanità nuova, costruttori liberi e non-violenti di una civiltà pienamente umana, segno profetico della Chiesa del terzo millennio, resa “sale” del mondo grazie anche alla presenza di laici santi.

5. Sì, nella sua misericordia, il Signore ha sempre dato alla sua “vigna”, al suo Popolo, una “corte” di santi che proclamano la grandezza dell’uomo quando si lascia cogliere e condurre dallo Spirito di Dio.

Marcel Callo, che ho la gioia di proclamare Beato, in mezzo alla sua famiglia, alla sua diocesi di Rennes e ai numerosi rappresentanti della JOC e degli scouts, non è arrivato da solo alla perfezione evangelica. Una famiglia modesta, profondamente cristiana, ve l’ha condotto. Gli scouts e poi la JOC hanno proseguito l’opera. Nutrito dalla preghiera, dai sacramenti e da un’azione apostolica pensata secondo la pedagogia di questi movimenti, Marcel ha costruito la Chiesa con i suoi fratelli, i giovani lavoratori cristiani. È nella Chiesa che si diventa cristiani, ed è con la Chiesa che si costruisce un’umanità nuova.

Marcel non è arrivato subito alla perfezione evangelica. Ricco di qualità e di buona volontà, ha a lungo lottato contro la tentazione del mondo, contro se stesso, contro il peso delle cose e della gente. Ma, pienamente disponibile alla grazia, si è lasciato progressivamente condurre dal Signore, fino al martirio.

Le difficoltà hanno maturato il suo amore personale per Cristo. Dalla sua prigione scrisse al fratello, recentemente ordinato sacerdote: “fortunatamente, c’è un amico che non mi lascia un solo istante e che sa sostenermi e consolarmi. Con Lui si superano anche i momenti più dolorosi e sconvolgenti. Non ringrazierò mai abbastanza Cristo di avermi indicato il cammino che ora percorro”.

Sì, Marcel ha incontrato la Croce. In Francia prima. Poi - strappato all’affetto della sua famiglia e di una fidanzata che amava teneramente e castamente - in Germania, dove rifondò la JOC con alcuni amici, molti dei quali morti per essere testimoni del Signore Gesù. Inseguito dalla Gestapo, Marcel è andato fino in fondo. Come il Signore, ha amato i suoi fino all’estremo e la sua vita è diventata eucarestia.

Raggiunta la gioia eterna di Dio, testimonia come la fede cristiana non separi la terra dal cielo. Il cielo si prepara sulla terra nell’amore e nella giustizia. Quando si ama si è già “beati”. Il Colonnello Tiboldo, che aveva visto morire migliaia di prigionieri, l’assisteva all’alba del 19 marzo 1945; testimonia con insistenza e con emozione: Marcel aveva lo sguardo di un santo.

Il messaggio vivente rilasciato da Marcel Callo ci riguarda tutti.

Ai giovani lavoratori cristiani mostra lo straordinario splendore di quelli che si lasciano abitare da Cristo e si dedicano alla liberazione totale dei fratelli.

Ai cristiani della diocesi di Rennes, e sulla scia dei vescovi fondatori Armand e Melaine, del beato Yves Mahyeuc, del beato Julien Maunoir, di San Louis-Marie Grignion de Montfort, della beata Jeanne Jugan, Marcel Callo ricorda la fecondità spirituale della Bretagna quando essa sa vivere nella fede dei suoi padri.

A noi tutti, laici, religiosi, sacerdoti o vescovi, rilancia l’universale appello alla santità: una santità e una gioventù spirituale di cui il nostro vecchio mondo occidentale ha tanto bisogno per continuare ad annunciare il Vangelo.

6. Rallegratevi con me e con tutta la Chiesa, voi fratelli e sorelle della diocesi di Bergamo, abitanti di Fiobbio e di Albino, che siete venuti a Roma per la beatificazione di Pierina Morosini.

Sono in mezzo a voi le radici della sua religiosità. Cresciuta in un ambiente di alta vita spirituale incarnata nella famiglia, la Beata Morosini ha seguito Cristo povero ed umile nella cura quotidiana dei numerosi fratelli. Avendo scoperto che “poteva farsi santa anche senza andare in convento”, si è aperta con amore alla vita parrocchiale, all’Azione Cattolica ed all’apostolato vocazionale. La preghiera personale, la partecipazione quotidiana alla santa Messa e la direzione spirituale l’hanno portata a capire la volontà di Dio e le attese dei fratelli, a maturare la decisione di consacrarsi privatamente al Signore nel mondo.

Per dieci anni ha vissuto le difficoltà e le gioie di lavoratrice in un cotonificio della zona, facendo i turni e spostandosi sempre a piedi. Le colleghe testimoniano la sua fedeltà al lavoro, la sua affabilità unita al riserbo, la stima che godeva come donna e come credente. Proprio nel tragitto verso casa, trent’anni fa, si è consumato il suo martirio, estrema conseguenza della sua coerenza cristiana. I suoi passi però non si sono fermati, ma continuano a segnare un sentiero luminoso per quanti avvertono il fascino delle sfide evangeliche.

7. E rallegratevi con me anche voi della diocesi di Nuoto, voi cittadini di Orgosolo e dell’intera Sardegna, per la giovane Antonia Mesina, che oggi proclamiamo beata.

Il suo martirio è anzitutto il punto di arrivo di una dedizione umile e gioiosa alla vita della sua numerosa famiglia: è stato il suo sì costante al servizio nascosto in casa che l’ha preparata ad un sì totale.

Sin da piccola - erano gli anni del primo dopoguerra - Antonia ha sperimentato la durezza della sua terra e la generosità della sua gente; guidata dai genitori, dalla maestra e dal parroco si è aperta con coraggio ai valori della vita e della fede; in particolare alla scuola della Gioventù Femminile di Azione Cattolica ha posto in profondità le radici umane e cristiane del suo desiderio di purezza e di donazione.

E a solo sedici primavere si è trovata a vivere il suo sì eroico alla beatitudine della purezza, difesa fino al sacrificio supremo.

Il fascio di legna raccolto per fare il pane nel forno di casa, quel giorno di maggio del 1935, rimane sui monti accanto al suo corpo straziato da decine e decine di colpi di pietra. Quel giorno si accende un altro fuoco e si prepara un altro pane per una famiglia molto più grande.

Beati perché “puri di cuore”, Marcel, Pierina e Antonia sono consegnati a voi, laici, a voi giovani, come testimoni di un amore in cammino, capace di vedere oltre l’umano, di “vedere Dio” (Mt 5, 8); sono consegnati a voi come esempi di fede matura, libera da compromessi, consapevole della dignità umana e cristiana della persona; come canto di speranza per le nuove generazioni che lo Spirito continua a chiamare alla radicalità del Vangelo.

8. La vigna del Signore oggi è in festa. In questi nuovi Beati si adempiono le parole di Cristo: “Io vi ho scelto e vi ho costituiti, perché andiate e portiate frutto” (Gv 15, 16). Essi sono andati. Ed hanno portato il frutto della santità. La santità è la vocazione principale dell’intero popolo di Dio: questi Beati, questi laici, ne sono conferma e realizzazione.

Nella santità di ogni battezzato si rivela la potenza della pietra su cui poggia la divina costruzione. Il mistero pasquale - annunziato nel Vangelo di oggi - opera incessantemente con la potenza dello Spirito di santità, genera sempre nuovi santi e nuovi beati.

Resi pietre vive dallo Spirito, i beati Marcel, Pierina e Antonia sono stati trovati fedeli, in posizione di difesa dei valori umani e cristiani; oggi vengono collocati in posizione di annuncio, annuncio della gioia che scaturisce dal glorificare Cristo nel proprio corpo (cf. Fil 1, 20). “Tenendo alta la parola di vita” (Fil 2, 16) gridano il loro messaggio con la forza silenziosa del martirio, scrivendo nel loro giovanile sangue un inno a Cristo, re e signore dei martiri, di ieri, di oggi, di sempre.

9. Sulle orme di san Paolo, evangelizzatore e martire, i nuovi Beati ci sollecitano ad unire le nostre fatiche a quelle di tutti i credenti per far fruttificare la vigna di Dio: “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4, 8). Con San Paolo ci ricordano il dovere di assumere tutto il positivo che vi è in ogni cultura, in ogni situazione storica, in ogni persona. E con San Paolo aggiungono: “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare” (Fil 4, 9).

L’invito dei tre giovani martiri acquista un’eloquenza particolare per noi che prendiamo parte al Sinodo. La loro testimonianza ci stimola a pensare con attenzione rinnovata al ruolo dei laici nella Chiesa, al lavoro che essi sono chiamati a svolgere nel Popolo di Dio per la salvezza del mondo. La loro vicenda ci ricorda in particolare che, al di là della vocazione specifica di ciascuno, c’è una vocazione che è comune a tutti, la vocazione alla santità. Ed è la vocazione che ha il primato su tutte, perché dalla generosità della risposta a tale vocazione dipende l’autenticità e l’abbondanza dei frutti che ciascuno è chiamato a portare nella “Vigna del Signore”.

Non dimenticate: la vigna! / la vigna del Signore! / Non dimenticate: la pietra angolare!

“E la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4, 7).

 

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