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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN LORENZO IN LUCINA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 17 gennaio 1988

 

1. “Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto.
Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.
Allora ho detto: ecco io vengo” (cf. Sal 40 [39], 7-8). “Ecco io vengo” . . .

Queste parole del salmo acquistano un’eloquenza particolare alla luce del recente periodo liturgico del Natale, in cui abbiamo vissuto la venuta di Cristo. È venuto il Figlio eterno nella forma umana di un bambino, nato dalla Vergine a Betlemme.

Il salmo responsoriale usa il linguaggio dell’antica alleanza. È il linguaggio dei sacrifici dei frutti della terra che vengono presentati a Dio, ed anche dei sacrifici cruenti. È il linguaggio dell’attesa e dell’avvento. E, allo stesso tempo, è il linguaggio che esprime la certezza della venuta del Messia.

2. Ecco io vengo . . .

Colui che è venuto dando inizio con la sua nascita alla nuova alleanza, porta in sé il compimento delle speranze e delle attese. Dio “si è chinato e ha dato ascolto al grido” (cf. Sal 40 [39], 2).

Colui che è venuto porta sulle sue labbra “un canto nuovo”. Le sue orecchie sono aperte. Il suo cuore manifesta una tale sensibilità verso Dio, quale nessuno ha mai saputo manifestare. E il canto, il nuovo “canto al nostro Dio” (cf. Sal 40 [39], 4) che risuona sulle sue labbra, esprime la perfetta letizia della volontà del Figlio unita con la volontà del Padre.

Il salmista ripete ciò che è stato scritto circa il Messia “sul rotolo del libro”: “È gioia per me che io faccia la tua volontà” (cf. Sal 40 [39], 9). E questa letizia della volontà significa, allo stesso tempo, che, in Cristo, la pienezza della legge divina ha preso dimora nel cuore dell’uomo. Tutto l’ordine divino, corrotto dal peccato, viene sostituito dalla pienezza della giustizia.

Insieme a Cristo, nato a Betlemme, si prepara la rivelazione di questa pienezza: il suo annuncio “nella grande assemblea” (cf. Sal 40 [39], 10). È giunto il tempo in cui “infine”, nella storia dell’uomo, parla il Figlio di Dio e “non tiene chiuse le labbra” (cf. Sal 40 [39], 10) prima di pronunciare la parola definitiva del suo messaggio salvifico: la parola della croce e della risurrezione.

“Ecco io vengo, Signore, per fare la tua volontà” (cf. Sal 40 [39], 8-9).

3. La Chiesa desidera dirci tutto questo con l’odierna liturgia della Parola. Desidera, al principio del nuovo anno 1988, annunziare la missione di colui che è nato nella notte di Betlemme. Di colui che è venuto nel nome del Signore.

E allo stesso tempo la Chiesa desidera insegnarci che Gesù Cristo è la fonte della nostra vocazione nel Regno di Dio: nella Chiesa e nel mondo.

Questa vocazione è insieme una grande scoperta, come lo provano le parole aggiunte al canto dell’Alleluia. “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo), la grazia e la verità vennero per mezzo di lui” (cf. Gv 1, 41.17).

Ai nostri tempi, è il Concilio Vaticano II che ci aiuta efficacemente a scoprire la vocazione cristiana. Ed insieme ci aiutano tutti i suoi orientamenti e tutte le sue forme, che hanno la loro comune fonte nella riscoperta di quella “verità” e “grazia”, le quali sono divenute la nostra parte in Gesù Cristo.

Come non ricordare, poi, che l’ultimo Sinodo dei Vescovi è stato dedicato in modo particolare alla vocazione dei laici nella Chiesa e nel mondo? Cerchiamo pertanto di leggere il messaggio dell’odierna liturgia alla luce dell’insegnamento del Concilio e dei suggerimenti dell’ultimo Sinodo, ad esso unito.

4. Il brano del Vangelo di Giovanni risale in un certo senso all’inizio di quelle vocazioni che ebbero carattere decisivo. Riguardavano quei discepoli di Cristo, che più tardi si sono trovati nel gruppo dei Dodici e sono diventati i suoi apostoli.

Gesù chiama personalmente. Egli stesso pronuncia parole - semplici ed insieme molto profonde - che permettono a quegli uomini di scoprire “la verità e la grazia”.

“Venite e vedete” dice Gesù ai due discepoli di Giovanni Battista quando gli domandavano: “Rabbi, dove abiti?” (cf. Gv 1, 38-39). E questo invito è sufficiente.

Non solo essi stessi si sentono chiamati, ma uno di loro, Andrea, trasmette questa chiamata a suo fratello. Quei fratello era Simone. Quando Andrea lo ebbe condotto al Maestro, Gesù lo fissò e gli disse: “Tu sei Simone . . . ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1, 42).

Sotto il velo di fatti apparentemente ordinari si compiono cose straordinarie. Lo confermerà il successivo sviluppo degli eventi.

Andrea è venerato dalla Chiesa come il “proto-kletos” (= il primo dei chiamati), Pietro come il “koruphaios” (= colui che è a capo dei chiamati). Così nella tradizione bizantina.

5. Della vocazione parla anche la prima lettura, tratta dal libro di Samuele. In essa vi è una magnifica descrizione della chiamata che viene da Dio stesso. E l’uomo chiamato per nome - proprio come nel caso di Samuele - all’inizio non sempre è in grado di comprendere chi è che lo chiama: chi chiama nel mezzo della notte: “Samuele”. Poi finalmente comprende (con l’aiuto del suo superiore) e risponde: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3, 9).

Questa è davvero una descrizione magnifica, in cui troviamo quasi il modello di tutte le vocazioni. Anzitutto delle vocazioni al servizio di Dio in quella forma particolare che distingue nella Chiesa la missione dei sacerdoti e delle persone religiose.

Ma anche di tutte le altre vocazioni, che compongono la ricchezza e la varietà della vita cristiana. Il Concilio infatti insegna: “la vocazione cristiana è per sua natura anche una chiamata all’apostolato” (cf. Apostolicam Actuositatem, 2). Ed esso spiega, in modo perspicuo e preciso, in che cosa consiste questo universale apostolato di tutti i cristiani, e in particolare dei laici, i quali - come e noto - costituiscono numericamente l’enorme maggioranza dei seguaci di Cristo.

Non si approfondisce mai abbastanza questo insegnamento del Concilio Vaticano II.

6. Nell’odierna liturgia le parole della lettera dell’Apostolo ai Corinzi in un certo senso ci pongono in mano una particolare chiave per comprendere questo importante problema.

Che cosa vuol dire essere chiamato? Che cosa significa scoprire la propria vocazione cristiana?

Significa - risponde san Paolo - comprendere nuovamente se stesso. La propria umanità. La propria anima e il proprio corpo.

“O non sapete - scrive l’Apostolo - che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?” (1 Cor 6, 19).

Spontaneamente nasce l’interrogativo: come, non apparteniamo a noi stessi? Risponde l’Apostolo: sì. Non appartenete a voi stessi . . . Infatti “siete stati comprati a caro prezzo” (1 Cor 6, 20).

Siete stati comprati . . . siete stati redenti! Portate in voi un valore nuovo. Una nuova vita. Una nuova dignità.

Questo valore - questa vita - questa dignità provengono dalla redenzione. Dovete comprenderlo. Dovete scoprire le radici stesse della vostra chiamata in Cristo. Nel suo amore redentore. Nel suo amore sponsale.

Allora comprenderete anche che la vostra vita non può essere vissuta nella “dissolutezza”, cioè in uno spensierato uso di tutto ciò con cui vi illude il mondo nella sua temporalità.

La vostra vita deve diventare una risposta all’amore di Cristo. All’amore redentore. All’amore sponsale.

In questo modo scoprirete la vostra vocazione cristiana. E la seguirete su ogni via della vita umana.

7. Cari fratelli e sorelle della parrocchia di san Lorenzo in Lucina, la chiamata di Cristo, la familiarità con lui e l’invio al mondo sono tre fasi di quel cammino di santità, che oggi vi è dato di compiere in modo del tutto particolare col vostro Vescovo.

Mentre con voi rendo grazie al Signore per il dono di questa Eucaristia, che celebriamo con fede in una Basilica tanto antica quanto illustre, sono lieto di manifestarvi la mia gioia per essere tra voi e di salutare in primo luogo il Cardinale Vicario insieme con il Cardinale Opilio Rossi, titolare di questa Chiesa, e monsignor Filippo Giannini, Vescovo responsabile del Settore.

Saluto, poi, monsignor Piero Pintus, che svolge tra voi il ministero di parroco, il vicario parrocchiale e gli altri sacerdoti, i quali prestano qui la loro preziosa opera, attenti alla crescita spirituale della comunità.

La mia parola di affettuoso saluto va pure ai rappresentanti delle congregazioni religiose, presenti ed operanti nel territorio della parrocchia, ai membri del Consiglio pastorale ed ai laici impegnati nelle molteplici attività pastorali.

Rivolgo il mio saluto pure alle autorità civili e militari, ed a quanti hanno preparato questa mia visita, favorendo un incontro solenne e, al tempo stesso, familiare.

A tutti, soprattutto ai giovani, desidero rivolgere il mio saluto insieme con l’invito ad accogliere senza esitazioni la bellezza della vocazione cristiana ed a collaborare alle iniziative parrocchiali, che riguardano la liturgia come la carità, la catechesi come la cultura.

8. La consolante certezza che Cristo nella sua eterna carità vi ha prediletti prima ancora che foste in grado di incontrarlo e di rispondere alla sua chiamata, vi induca a seguirlo con generosità.

In ciò vi sia di esempio il martire san Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, che imitò il Redentore sino a donare come lui la vita. Il vostro protettore ancor oggi insegna a dare testimonianza al Vangelo in tutte le circostanze dell’esistenza, con coraggio e dedizione a Dio.

In ciò vi sia di guida la Vergine Maria, la cui completa disponibilità nel porre se stessa al servizio di Dio la fece acconsentire senza indugio al compito grande che era chiamata a svolgere.

In ciò vi sia di sostegno soprattutto il Signore Gesù, che con il sacrificio della croce, compiuto con pienezza di amore, ci ha ottenuto i doni della grazia e del perdono divini, e ci unisce alla sua obbedienza salvifica: “Ecco, io vengo!”.

9. Nella luce che promana da Cristo redentore, ti saluto cordialmente, comunità cristiana! Parrocchia romana intitolata a san Lorenzo in Lucina!

Saluto tutte le famiglie che a volte da generazioni, a volte da secoli, formano questa comunità. E saluto tutti gli abitanti.

Alle soglie dell’anno del Signore 1988 ti auguro di essere luogo di vocazioni. Di essere quell’ambiente, in cui ognuno ode la voce di Cristo. La chiamata di Dio stesso, che risuona in Cristo . . .

Ode e risponde: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Si. Il servo!

Perché servire Dio vuol dire regnare. Proprio questo ci ha insegnato Cristo. E questo continua ad insegnarci: nel servire consiste la nostra vocazione cristiana, consiste anche la nostra cristiana dignità.  

 

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