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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

SANTA MESSA NELLO STADIO MEINAU

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Strasburgo - Domenica, 9 ottobre 1988

 

1. “Insegnaci a contare i nostri giorni . . .” (Sal 90 [89], 12).

È così che prega il salmista nella liturgia di oggi. Noi entriamo nel ritmo della sua preghiera. Noi lo seguiamo qui, in questa città che ha alle spalle una storia così ricca. Sono trascorsi duemila anni dalla fondazione di Strasburgo, “Argentoratum” ai tempi dei Romani. E quanti giorni sono passati!

Questo calcolo di tempo umano, il decorso storico, noi lo ricordiamo tutti unendoci oggi in assemblea eucaristica, quali discepoli di nostro Signore Gesù Cristo.

Divenuta roccaforte sulla rotta del Reno, come dice il nome Strasburgo, la vostra città ha ricevuto il Battesimo dall’antichità cristiana. Intorno al suo Vescovo, essa ha trascorso l’alto Medioevo formando la sua personalità in questo centro europeo.

Il ritmo dei tempi è stato anche quello dei conflitti e delle prove. Strasburgo e l’Alsazia hanno sofferto, ma sono rimaste fedeli a questa terra feconda. Il suo popolo della provincia ha saputo forgiare la sua tradizione e costruire città e villaggi, con il tenace lavoro delle sue mani, con l’apertura del suo spirito alle civiltà dell’est e dell’ovest.

Noi ricordiamo questo lungo passato cristiano, segnato dalla fede delle famiglie e delle parrocchie, dalle rotture e dalle riconciliazioni, dagli slanci della santità e l’audacia missionaria.

Celebrando il bimillenario di Strasburgo, tutta l’arcidiocesi ha desiderato accogliere il successore di Pietro, apostolo del Vangelo. Vi saluto nel nome del Signore, Popolo di Dio, Chiesa che è in Alsazia! E saluto i vostri fratelli e sorelle dell’altra sponda del Reno.

Rivolgo il mio saluto fraterno al vostro pastore monsignor Charles-Amarin Brand, al suo Ausiliare, monsignor Léon Hégelé, monsignor Léon-Arthur Elchinger, al vostro Vescovo emerito, così come ai Vescovi di Francia, Germania e di altri Paesi che partecipano a questa Eucaristia.

Desidero salutare con deferenza le alte autorità regionali e locali che testimoniano con la loro presenza i fiduciosi rapporti che hanno con la Chiesa in Alsazia. Saluto i membri del Parlamento, i rappresentanti regionali e locali, i sindaci e i presidenti dei consigli parrocchiali.

Saluto infine tutti coloro che si uniscono alla nostra celebrazione attraverso la televisione e la radio, in Europa e, soprattutto, nei dipartimenti e territori francesi d’oltremare.

2. Cari fratelli e sorelle, ascoltiamo il salmista pregare Dio: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sal 90 [89], 12).

L’uomo è sottomesso alle leggi dei tempi; egli è sottomesso alle leggi di un passaggio transitorio nel mondo visibile della creazione. Ma al tempo stesso l’uomo va al di là di tale necessità. Egli la supera nella “sapienza del cuore”.

La saggezza è più grande di questa traversata del tempo. Essa costituisce anche un’altra dimensione dell’esistenza umana nel mondo. Un’altra scala di valori.

È ciò che mostra l’autore del libro della Sapienza, quando afferma: “La preferii a scettri e troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; . . . L’amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana. Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile” (Sap 7, 8. 10-11).

La sapienza è più grande di ciò che è effimero nel mondo. Grazie a lei ciò che accade assume un valore nuovo. Grazie alla sapienza, nella cultura che acquista nel corso dei tempi, l’uomo si scopre ad immagine e somiglianza di Dio stesso. L’esistenza dell’uomo è la misura di questa immagine.

Pregare per la “sapienza del cuore”, con la liturgia di oggi, è anche pregare affinché si compia ciò che è fondamentalmente umano nella storia, ciò che è degno dell’uomo. “Si manifesti ai tuoi servi la tua opera e la tua gloria ai loro figli . . . Rafforza per noi l’opera delle nostre mani!” (Sal 90 [89], 16-17).

3. L’opera di Dio si è manifestata al pensiero degli uomini. La sapienza eterna è venuta all’uomo grazie alla stessa Parola di Dio.

La Parola di Dio è venuta incontro alle opere umane. Essa è entrata nel “lavoro” dell’uomo. Essa ha penetrato il corso della sua storia umana. Essa si è manifestata nella cultura dell’uomo.

Qui, in questa città, al centro del continente europeo, noi non cessiamo di essere testimoni di questo incontro: dell’incontro del Verbo eterno, in cui Dio si manifesta come sapienza e amore, con la parola umana, con il lavoro umano, con la cultura dei popoli, con la storia dell’uomo.

L’autore della lettera agli Ebrei annuncia la trascendenza della Parola divina: la sapienza e l’amore che sono Dio stesso. Egli scrive: “Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto” (Eb 4, 13).

L’uomo vive nella prospettiva del giudizio del Dio vivente. I popoli, le nazioni, l’umanità passano sulla terra e si dirigono verso questa verità per loro definitiva che sarà rivelata nel Verbo di Dio. È quella, al tempo stesso, la dimensione definitiva della storia, del definitivo compimento in ogni cultura in cui la storia dell’uomo sulla terra cerca di esprimersi.

Infatti: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture . . .; scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12).

4. La Parola di Dio penetra . . . Essa non resta al di fuori dell’uomo, né al di fuori delle sue opere, e delle sue azioni, né al di fuori della cultura e della storia.

Dopo essersi rivelata, dopo essersi pronunciata nella nostra storia, essa continua a parlare. Essa continua ad operare. Essa crea la più profonda dimensione delle azioni umane. Non cessa di sfidare l’uomo. Tali sfide appartengono all’autenticità dell’immagine e della somiglianza di Dio, che l’uomo incarna. Dio stesso come Creatore e Redentore le presenta all’uomo. Al tempo stesso le sfide di Dio sono tali che l’uomo deve rivolgerle a se stesso. La coscienza dell’uomo deve considerarle come proprie, se è retta e fedele alla verità.

Il messaggio della liturgia di oggi, è denso e al tempo stesso molto ricco. Essa ci fa comprendere chiaramente i problemi essenziali, proprio quelli di cui in questa città europea dobbiamo prendere coscienza e con i quali ogni uomo di questo continente e di questo Paese deve confrontarsi.

5. Ogni uomo . . . L’uomo . . . di questo Paese, di questo continente . . . a chi somiglia?
Non somiglia al giovane uomo ricco di cui parla oggi il Vangelo?

Quando noi sentiamo che questo giovane uomo “è accorso verso lui” (verso Cristo), che si è messo in ginocchio e gli ha domandato “cosa devo fare per avere la vita eterna?” (Mc 10, 17), allora in questo atteggiamento e in questa domanda si manifesta tutta la giovinezza degli uomini, dei popoli, delle nazioni e della società nel nostro continente.

Essi sono corsi incontro a Cristo con la stessa domanda del giovane del Vangelo. Essi l’hanno chiamato “Maestro buono” e Cristo ha risposto: “Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10, 18). In tal modo, egli li ha guidati verso il Padre che lo ha mandato. E gli uomini, i popoli, le nazioni del nostro vecchio continente hanno accolto, nel loro passato storico, la verità su Dio che è buono, che è amore.

Allora Cristo, attraverso gli apostoli Paolo e Pietro, maestri ed educatori, ha ricordato ai nostri antenati e ai nostri padri i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre” (Mc 10, 19). Principi immutabili della sapienza divina senza i quali la vita umana non è più veramente umana.

6. Questi stessi principi, Cristo ce li ricorda alla fine del secondo millennio. Possiamo rispondere come il giovane del Vangelo: “Ho osservato tutti questi comandamenti”? (Mc 10, 20). Tutti questi comandamenti, li osservo?

In Europa, continente “cristiano”, il senso morale si indebolisce, la stessa parola “comandamento” è spesso rifiutata. In nome della libertà, le norme sono rifiutate, l’insegnamento morale della Chiesa è ignorato.

Quando Cristo ricorda al giovane i comandamenti è una parola di sapienza che egli pronuncia. Come potremmo essere veramente liberi senza basare il nostro comportamento su questa parola di verità? Come potremmo dare la sua pienezza di significato alla nostra vita, senza legare i nostri atti alla sapienza e fare la scelta del bene?

Una libertà che rifiutasse i principi della Parola di Dio e le linee di condotta stabilite dalla Chiesa sarebbe incapace di fondare la sua azione su dei valori morali incontestabili.

La verità dell’amore, della giustizia, del]a dignità della vita è in Dio creatore, rivelato dal suo Figlio venuto a portare all’uomo la Parola del Padre suo, che solo è buono (cf. Mc 10, 18).

I discepoli di Cristo oggi non possono ignorare i comandamenti, quando si tratta di esigenze essenziali della purezza e della fedeltà dell’amore coniugale, del rispetto della vita, della giustizia e della fraterna condivisione, dell’accoglienza dello straniero, del rifiuto dell’odio e della menzogna, della concreta solidarietà con i poveri e coloro che soffrono.

7. Quando il giovane del Vangelo ha detto a Cristo: “Ho osservato tutti questi comandamenti fin dalla mia giovinezza”, allora Gesù ha rivolto a lui il suo sguardo e ha iniziato ad amarlo.
Quante volte questo sguardo di Cristo, pieno d’amore, si è posato e si posa ancora sull’uomo, sull’uomo di questo Paese, sull’uomo europeo!
Questo sguardo pieno d’amore è una chiamata: “Vieni e seguimi”. “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo” (Mc 10, 21).
Cristo chiama in nome dell’amore.

Egli chiama ogni uomo e ogni donna a essere suo discepolo, a testimoniare il suo amore salvifico laddove lo porta la sua vocazione.
Cristo chiama, in nome dell’amore, gli uomini e le donne che rinunceranno ad ogni altro attaccamento per essere al servizio di Dio e dei loro fratelli nella vita consacrata.
Cristo chiama oggi i giovani uomini che accetteranno di donare la loro vita al servizio sacerdotale.

I sacerdoti sono fra voi e capiscono per voi i doni di Dio, vi riuniscono, vi trasmettono la Parola di vita, celebrano nella comunità il sacrificio di Cristo e condividono il pane della vita. A nome di voi tutti, li saluto, li ringrazio di aver risposto alla chiamata di Cristo e di compiere fedelmente un ministero divenuto più pesante a causa della diminuzione del loro numero.

Cristiani d’Alsazia, il vostro Vescovo vi invita a muovervi affinché la chiamata al servizio sacerdotale sia ascoltata. In gran parte, ciò dipende da voi, sacerdoti e fedeli; ciò dipende dalla vostra preghiera, dalla vostra comunione fraterna, dal vostro senso apostolico, dalla vostra fede condivisa e celebrata con fervore. Lo sguardo pieno d’amore di Cristo si posa su tutte le comunità. La vostra comune risposta all’amore di Cristo è necessaria per suscitare e sostenere i giovani chiamati personalmente al sacerdozio.

Alcuni fra loro si metteranno al servizio della diocesi. Altri, speriamo, continueranno la grande tradizione missionaria dell’Alsazia: seguiranno, sui cammini di tutti i continenti, il mirabile esempio di tanti missionari alsaziani, i religiosi e anche le religiose, partiti per portare la buona novella di Cristo.

Le vocazioni sacerdotali e religiose, per le missioni della Chiesa locale o per le missioni lontane, nascono da un Popolo di Dio vivo. È dunque a voi tutti che affido la chiamata di Cristo, nella speranza di vedere numerosi giovani divenire sacerdoti dell’Alsazia, sacerdoti del mondo.

8. A chi somiglia dunque l’uomo della nostra epoca, del nostro secolo, qui, nel vostro Paese, in Europa?
Non è sempre più simile a quel giovane del Vangelo che, alla fine, “se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni” (Mc 10, 22)?

L’uomo di questo tempo, in Europa, ha anche lui, dei “grandi beni”. Ha dei beni materiali, ingiustamente divisi è vero, ma più abbondanti di molti suoi fratelli nel mondo; egli vi si attacca, impegna molte delle sue forze per aumentarli. Egli ha anche i beni della sua sensibilità; e, troppo spesso, si allontana da Dio e dal suo prossimo per soddisfare i desideri che fermentano in lui. Egli ha i beni del sapere, crede di possedere la verità; e rimane sordo di fronte alla sapienza di Dio che afferma la verità dell’uomo. Ha i beni del suo potere, domina o disprezza i suoi simili, invece di essere al loro servizio come Cristo, servitore.

L’uomo si chiude in se stesso, e non sa più donare.
Come il giovane del Vangelo, rimane triste, poiché in fondo è solo.

Gesù pronuncia allora queste parole: “come è difficile entrare nel Regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio” (Mc 10, 24-25).

L’immagine è forte. Bisogna capirne il messaggio. Se voi siete ricchi di voi stessi e dei vostri beni materiali, voi non potrete entrare nel Regno di Dio, poiché ne ignorate la gratuità e la pienezza. Se siete poveri, il cuore è aperto ai vostri fratelli, le mani pronte alla divisione, la volontà guidata dall’amore; se seguite Cristo che si offre per la salvezza della moltitudine - di ciascuno di noi -, allora potrete avanzare, entrare in quel Regno di Dio, nella comunione del suo amore, nella gioia perfetta!

9. “Essa è viva, la parola di Dio . . . più tagliente di una lama a doppio taglio”, leggiamo nella lettera agli Ebrei. Sì, è veramente così!
Tale è la Parola di Dio, la parola del Vangelo, quello che ascoltiamo oggi. Tale è la parola della sapienza divina. La parola della vita eterna. La parola della salvezza.

Coloro che hanno ascoltato Gesù hanno domandato: “E chi mai si può salvare?” (Mc 10, 27). Egli risponde: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio” (Mc 10, 27).

Colui che ascolta veramente la parola di Cristo deve interrogarsi sulla possibilità di salvezza.
La domanda angosciante della realtà umana continua a porsi all’uomo della nostra epoca. Ma la ricchezza materiale non ha forse oscurato l’orizzonte dell’eternità dell’uomo, la prospettiva del Regno di Dio?

10. I pastori della Chiesa in Europa - e non soltanto in Europa - pongono esplicitamente il problema della “nuova evangelizzazione” della nostra società, dei diversi luoghi, insomma, dell’evangelizzazione dell’uomo.

L’analisi dei testi della liturgia di oggi mostra che il problema non è soltanto di rispondere alla questione dell’uomo contemporaneo; ma il primo problema è quello delle stesse domande che l’uomo pone - o che non pone - che forse non vuole porre, di cui, forse, non comprende l’utilità, l’opportunità e l’attualità permanente.

Come fare per porre la domanda che il giovane del Vangelo ha posto a Cristo? Come fare in modo che l’uomo provi la “tristezza” quando non sa “corrispondere” alle esigenze morali, quando non sa rispondere all’amore di cui è eternamente amato?

Come fare perché non perda di vista la prospettiva di una vita degna dell’uomo sulla terra, perché non si cancelli in lui l’autentica gerarchia dei valori, perché dia alla vita il suo giusto senso, fino al compimento nell’incontro con Dio?

Come fare?
Noi poniamo questa domanda in nome della “nuova evangelizzazione”. Se ciò sembra umanamente impossibile, ascoltiamo la risposta di Cristo.
La risposta di Cristo è: “Per gli uomini, ciò è impossibile, ma non per Dio”!
“Poiché tutto è possibile a Dio”!

 

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