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CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì, 26 gennaio 1989

 

“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9, 4).

1. Abbiamo riascoltato il racconto così vivo e drammatico della conversione dell’apostolo Paolo. Quello che si verificò in quel giorno sulla via di Damasco fu per il giovane ebreo, il quale stava fremendo “minaccia e strage contro i discepoli del Signore” (At 9, 1), l’evento che decise irreversibilmente della sua vita. Fu l’incontro col Risorto a fare del giudeo, “formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna” (At 22, 3), un ardente seguace della “nuova dottrina”, contro la quale aveva fino ad allora ostinatamente lottato. Il persecutore fu trasformato in apostolo!

Con quanta insistenza sarà tornata alla mente di Paolo la risposta data da Gesù alla domanda: “Chi sei, o Signore?” (At 9, 5). Erano state parole sorprendenti, ma inequivocabili: “Io sono Gesù, che tu perseguiti!” (At 9, 5). Dunque, il Risorto, pur salito al cielo, continuava a vivere sulla terra: egli era presente nella sua Chiesa, egli era la Chiesa!

L’insegnamento dell’apostolo Paolo sulla Chiesa “corpo di Cristo” ha la sua origine nell’esperienza da lui fatta lungo la via di Damasco. Era quello un insegnamento appreso dalla viva voce di Gesù! Ciò che egli spiegherà poi nelle sue grandi lettere è già tutto nell’intuizione abbagliante avuta nell’incontro immediato col Risorto: la Chiesa è un unico corpo, di cui Cristo è il capo e noi tutti siamo le membra. Ogni violenza, fatta al Corpo, è violenza che tocca Cristo, il quale s’identifica con le membra; ogni ferita, che lede questo Corpo, colpisce e lacera in qualche modo Cristo stesso.

2. Raccolti in questa patriarcale Basilica, che la pietà cristiana ha innalzato sulla “memoria” dell’Apostolo delle genti, vogliamo meditare proprio su questa fondamentale dottrina da lui trasmessaci. Lo facciamo nel giorno conclusivo della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, che ha avuto quest’anno come tema peculiare una sua espressione singolarmente attinente a tale argomento: “Noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno, per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12, 5).

“Noi siamo un solo corpo in Cristo”: non evidentemente un corpo fisico, nel quale le singole parti non conservino la loro individualità; e neppure soltanto un corpo morale, nel quale le membra siano unite fra loro da vincoli puramente esterni; ma un Corpo mistico, in cui le varie parti, pur conservando la loro individualità, sono unite strettamente fra loro da un unico principio di vita soprannaturale, che è lo Spirito Santo.

Ogni divisione, che s’insinua nella Chiesa, lacera quest’unico corpo, così da giustificare il grido indignato dell’Apostolo: “Cristo è forse diviso?” (1 Cor 1, 13). Come non ricordare il sofferto commento di san Clemente Romano di fronte alle prime manifestazioni di dissenso nella Chiesa di allora: “Perché strappiamo e laceriamo le membra di Cristo e insorgiamo contro il nostro corpo, giungendo a tanta pazzia da dimenticarci che siamo membra gli uni degli altri?” (Ep. ad Corintios, 46, 7).

3. Purtroppo la “pazzia” della divisione ha largamente infierito nella storia della Chiesa. Ed ai nostri giorni è certo da considerare una speciale grazia dello Spirito la rinnovata, più acuta preoccupazione per il valore dell’unità, che ha “toccato” il cuore di tutti i cristiani, spingendoli ad impegnarsi nell’impresa veramente storica di ricomporre antiche e recenti lacerazioni.

Dell’odierno movimento ecumenico - frutto di una diretta ed efficace mozione dello Spirito - s’è fatto interprete al più alto livello il Concilio Vaticano II, del quale proprio trent’anni fa, in questa medesima circostanza, da questa Basilica il mio venerato predecessore Giovanni XXIII dava al mondo il primo annuncio. Il Concilio pose tra i suoi principali intenti la unitatis redintegratio inter universos Christianos promovenda, “il ristabilimento dell’unità da promuovere fra tutti i cristiani” (Unitatis Redintegratio, 2). E, nel novembre di quest’anno, ricorrerà il venticinquesimo anniversario della pubblicazione di questo fondamentale decreto, che costituisce come la magna charta del vero ecumenismo. In esso sono enunciati i principi ed indicati gli orientamenti per il dialogo tanto con le Chiese d’Oriente quanto con le Chiese e comunità ecclesiali d’Occidente.

Il tempo trascorso è stato benedetto dal Signore e, tra i cristiani, si è creata una nuova situazione: di migliore, reciproca conoscenza; di consolidamento dello spirito di fraternità; di più stretta vicinanza dottrinale e spirituale; di accresciuto impegno nella ricerca dell’unità.

I venticinque anni intercorsi hanno confermato la validità di quel documento conciliare, che ha guidato i cattolici nell’attuazione del loro impegno con sicurezza dottrinale e lungimiranza di prospettive. I Vescovi che hanno preso parte al Sinodo straordinario del 1985, analizzando l’impatto del Concilio sulla vita della Chiesa, si sono sentiti in grado di affermare che “l’ecumenismo si è iscritto profondamente e indelebilmente nella coscienza della Chiesa” (Synodi Extr. Episcoporum 1985, Relatio Finalis I, C. 7).

4. Questa ha manifestato il suo impegno ecumenico operando, contemporaneamente e in modo coordinato, in due direzioni. Da una parte ha riallacciato e reso più intensi i rapporti con le altre Chiese e comunità ecclesiali e, dall’altra, ha promosso lo spirito e l’azione ecumenica al proprio interno. I due aspetti sono intimamente connessi.

La creazione di un contesto di fiducia reciproca e di stima sincera con gli altri cristiani è il presupposto necessario affinché il dialogo sia fecondo. In questo campo, la precisa raccomandazione dell’apostolo Paolo nel passo della lettera ai Romani, scelto per questa Settimana di preghiere, ci dà particolare luce e forza: “La carità non abbia finzioni . . . Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12, 9-10).

Questa dimensione, che giustamente è stata chiamata “dialogo della carità”, ha posto le premesse per la serena discussione delle tradizionali divergenze, esistenti tra i cristiani. Tutti hanno sentito in modo più vivo l’esigenza dell’unità, per la quale Cristo stesso ha pregato alla vigilia della sua Passione: “Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, affinché siano una cosa sola come noi” (Gv 17, 11).

5. Ma l’unità non può realizzarsi al di fuori della verità. È Gesù stesso a sottolinearlo nella preghiera che, in quella sera, ha rivolto al Padre per i suoi discepoli: “Santificali nella verità” (Gv 17, 17).

I diversi “dialoghi teologici” intrecciati con gli altri cristiani mirano - e devono sempre mirare - a raggiungere un pieno accordo nella fede. Ringraziamo Iddio per i frutti che questi incontri hanno già prodotto: com’è noto, sono stati emanati alcuni documenti, che chiariscono antichi dissidi dottrinali e delineano importanti convergenze. Con l’aiuto del Signore speriamo che il cammino felicemente avviato conduca fino al raggiungimento della piena unità nella verità. Lo Spirito Santo non mancherà di guidare i cristiani di buona volontà “alla verità tutta intera” (Gv 16, 13).

6. Ma l’impegno ecumenico non si esaurisce nel rapporto con gli altri cristiani. Esso comporta un compito specifico all’interno della Chiesa cattolica.

Il Concilio lo ha richiamato con forza ammonendo: “Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo” (Unitatis Redintegratio, 7). In questa prospettiva il decreto ha ricordato alcune dimensioni essenziali di questo ecumenismo spirituale, quali la conversione del cuore (Unitatis Redintegratio, 7), la riforma e il rinnovamento della Chiesa “come accresciuta fedeltà alla sua vocazione” Unitatis Redintegratio, 6), la preghiera perseverante (Unitatis Redintegratio, 8).

L’esperienza di questi venticinque anni ha mostrato a sufficienza l’intima connessione esistente fra queste dimensioni e la ricerca dell’unità. Il Concilio aveva colto nel giusto quando indicava che “questo rinnovamento ha quindi un’importanza ecumenica singolare” Unitatis Redintegratio, 6).

Un tale profondo impegno spirituale non potrà essere promosso nell’intera comunità cristiana se non mediante una fedele predicazione, una continua catechesi ed una approfondita formazione teologica, le quali siano compenetrate da una autentica ispirazione ecumenica.

Sulla linea poi seguita dal Sinodo dei Vescovi, ho a suo tempo segnalato la necessità di una particolare attenzione a questo delicato tema che coinvolge tutti. Infatti “la catechesi non può essere estranea a questa dimensione ecumenica, allorché tutti i fedeli, secondo le loro proprie capacità e posizioni nella Chiesa, sono chiamati a partecipare al movimento verso l’unità” (Catechesi Tradendae, 32).

7. Noi siamo, però, consapevoli che “questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane” Unitatis Redintegratio, 24). Per questo ci rivolgiamo, perseveranti e fiduciosi, al Signore, per implorare insieme la grazia dell’unità.

La Settimana di preghiere, che ogni anno si svolge nel mondo intero fra tutti i cristiani, ha lo scopo di creare questa coralità d’invocazione, che è già pegno della piena unità per la quale operiamo, e verso la quale, con la grazia di Dio, avanziamo.

Voglia il Signore ascoltare l’accorata invocazione che, anche quest’anno, gli rivolgiamo, affidandola all’intercessione dell’apostolo Paolo da questa Basilica che ne custodisce i resti gloriosi. Noi confidiamo che “Il Signore Dio . . . farà scomparire da tutto il paese la condizione disonorevole del suo popolo” (Is 25, 8). Disonorevole è la rottura dell’unità; disonorevole è la divisione. Venga presto il giorno in cui, insieme riconciliati tutti noi che crediamo in Cristo, possiamo esclamare nella gioia: “Questi è il Signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza!” (Is 25, 9).

Venga presto quel giorno! Amen.

 

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