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VISITA ALLA CHIESA DEL PRESIDIO DI ROMA
NELLA CITTÀ MILITARE DELLA CECCHIGNOLA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 2 aprile 1989

 

1. “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20, 28).

Abbiamo ascoltato queste ardenti ed impegnative parole che l’apostolo Tommaso rivolge a Cristo, allorché, otto giorni dopo la domenica di Risurrezione, appare a lui e agli altri discepoli riuniti nel Cenacolo. È la proclamazione di quella fede che, sbocciata dal cuore e dalla mente di uno che aveva visto con i propri occhi e toccato con le proprie mani le piaghe gloriose del Risorto, diventerà il nucleo primordiale, il dinamismo di aggregazione, l’anima e la forza della comunità nascente.

Tommaso è beato perché ha creduto, dopo aver toccato; perché davanti alla prova dei fatti ha testimoniato la verità storica; ma il Signore, guardando al futuro, proclama ancora più “beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20, 29); quelli cioè che appoggeranno la loro fede sulla sua Parola, sul suo Vangelo, non basandosi sulla prova dei sensi.

In questa apparizione, come pure nelle altre, Gesù tocca il culmine della sua autorivelazione perché si presenta in modo inequivocabile come vero Dio e vero uomo, Signore della vita e della morte.

2. Come è stato proclamato nella seconda lettura dal libro dell’Apocalisse, Gesù può dire di sé: “Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1, 17-18). In lui la morte e la vita si sono affrontate come in un grandioso duello ed ha vinto la vita; lui che è la vita stessa. Il mistero pasquale è appunto un mistero di morte e di vita; un passaggio dall’una all’altra. In Cristo anche noi siamo chiamati a compiere questo passaggio, che richiede costante impegno di sforzo o di lotta: passaggio dalla morte spirituale per il peccato alla grazia divina, che ci fa vivere nella luce, come risorti a vita nuova; passaggio dal dubbio e dalle incertezze alla solidità e alla fermezza della fede e della verità rivelata, che fa di noi testimoni affidabili e coraggiosi, pietre solidamente poggiate su Cristo, che è la “testata d’angolo” secondo l’espressione del Salmo responsoriale, cioè la chiave di volta della Chiesa; passaggio dalla incredulità alla fede, che si esige da tutti coloro che vogliono essere cristiani. Quella fede che riflette in certo senso la vita di ogni uomo, come dell’umanità intera confrontata sempre col mistero del bene e del male, col desiderio dell’assoluto e le difficoltà del provvisorio. Quella fede che non nega le realtà umane, ma le accetta e le ordina, alla luce del più grande avvenimento della storia qual è la Pasqua.

Sì, la Pasqua, come la liturgia ha ripetuto per tutta questa settimana, è il centro della vita dell’umanità: “Questo è il giorno, che ha fatto il Signore!”. Nel celebrarlo in questa ottava, noi ricordiamo la “sollemnitas summa” - la più grande solennità di tutte le altre, - perché in essa Cristo ci ha riconciliati col Padre, ci ha donato la stessa vita di Dio, e ci ha costituiti comunità di fratelli, che si amano, che pensano agli altri, che lavorano insieme per il Regno di Dio. In Cristo risorto l’umanità disgregata diventa comunità: come quella di Gerusalemme, che gli Atti degli Apostoli ci hanno descritto nella prima lettura di questa Messa (At 5, 12-16), come il Cenacolo dei primi cristiani, riuniti intorno a Pietro e agli apostoli. Quindi anche della vostra, carissimi, che ho la gioia di visitare in questa ottava di Pasqua. Saluto di cuore voi, che vivete qui; saluto i vostri ufficiali e responsabili, e monsignor Gaetano Bonicelli, ordinario militare, che, insieme con i cappellani militari, segue la vostra maturazione spirituale e la vostra crescita nell’autenticità della fede.

Saluto in particolare l’onorevole Mauro Bubbico, sottosegretario del ministero della difesa, e le altre personalità civili, che qui rappresentano le alte cariche dello Stato italiano.

3. Cari amici militari! Voi siete qui con i vostri familiari, che condividono i rischi della professione, scelta o almeno accettata, che si qualifica nel compito di difendere la giustizia e la libertà della vostra Patria e, di conseguenza nell’impegno di contribuire alla serenità e alla pace del mondo intero. Anche voi come cristiani volete confrontarvi col messaggio della Pasqua. Non c’è nulla di più esaltante, ma anche di più serio. Sono venuto in mezzo a voi per aiutarvi nella crescita di questa fede, nella consapevolezza dei gravi interrogativi che spesso oggi si pongono coloro che vogliono essere fedeli al Vangelo nella vita militare. Non si tratta solo delle difficoltà che tutti provano ad essere cristiani coerenti, in un mondo che spesso confonde libertà e libertinismo, dignità personale e egoismo; ma di una scelta radicale che dà senso e significato a tutta la vita.

La fede si esprime nella pace interiore; per questo il Signore ripete ai suoi discepoli: “Pace a voi!” (Gv 20, 19; 20, 21).

La pace va costruita giorno per giorno, nelle coscienze e nei rapporti interpersonali: la pace va anche difesa perché nella visione cristiana, la vita trova la sua giustificazione ultima nel precetto evangelico dell’amore. È per amore del prossimo, dei propri cari, dei più deboli e indifesi, come delle tradizioni e dei valori spirituali di un popolo, che bisogna accettare di sacrificarsi, di lottare, di dare anche la propria vita, se fosse necessario.

Per superare i rischi di possibili travolgimenti a favore di egoismi nazionali o di gruppi, come la storia ampiamente insegna, il Concilio Vaticano II ha auspicato e propugnato un’autorità mondiale, fondata sul consenso dei popoli e dotata di mezzi efficaci per fare rispettare la giustizia e la verità. È ovvia in questa prospettiva ideale eppur realistica, l’esigenza di una conseguente trasformazione delle forze armate nazionali in un supporto a quella solidarietà internazionale, che la Chiesa auspica. Le desiderate trasformazioni nell’ordine della progressiva riduzione degli armamenti e di conseguenza degli eserciti, non si favoriscono negando equilibri interni e internazionali. Se vogliamo essere efficaci non dimentichiamo mai che il peccato personale e sociale è presente e continuerà a pesare nella vita, ma che la forza della Risurrezione consente al cristiano di sperare e operare attivamente in direzione della pace, che sarà totale e definitiva solo nel Regno di Dio.

4. Non esistono formule meccaniche per migliorare la vita. La fede è una luce accesa dentro per vedere le cose come le vede e le vuole Dio. Ma proprio per questo ha bisogno di essere coltivata come il seme della parabola evangelica. Ne deriva il dovere primario di ogni uomo di buona volontà, e in particolare di chi si onora del nome cristiano, di essere attento ad ogni movimento dello Spirito e ad ogni possibilità di rinnovamento. Il primato dell’attenzione e dell’azione pastorale, a tutti i livelli, resta sempre l’uomo. Sono lieto di sapere che la vostra Chiesa è impegnata in questi anni in un piano pastorale centrato sul riconoscimento e sulla valorizzazione dei laici. È un grande obiettivo, che sulla scia del Concilio, ha rilanciato l’ultimo Sinodo dei Vescovi e che ho proposto nella recente esortazione Christifideles Laici. La Chiesa ha bisogno di persone che partecipano pienamente alla sua missione di evangelizzare la pace. Il mondo ha bisogno di cristiani convinti, leali, fieri della propria fede e capaci di impegnarsi nelle loro famiglie e negli ambienti di vita a mostrare con le opere che Cristo non è morto invano per noi, e che la forza della sua Risurrezione purifica e trasforma la nostra vita. Anche il vostro ambiente attende da tutti un impegno speciale.

A voi, cari giovani in servizio di leva, tocca valorizzare l’obbedienza, ma anche occupare gli innumerevoli spazi dove la comprensione, l’esempio, la testimonianza diventano una reale e preziosa collaborazione a vantaggio di tutti i vostri commilitoni in uno scambio reciproco di solidarietà e di amicizia. Vorrei chiamare a raccolta innanzitutto i giovani che hanno esperienza di vita ecclesiale nelle parrocchie e nei vari movimenti, o gruppi e associazioni perché non trascurino questo settore, ove centinaia di migliaia di coetanei passano ogni anno un momento delicato e prezioso della loro esistenza. Pregate insieme e non vergognatevi di essere e di dirvi cristiani. Riflettete insieme sulle grandi responsabilità che vi incombono in questo scorcio del secondo millennio cristiano.

5. Fate comunità col vostro Vescovo, con i vostri cappellani militari, con quanti recano una loro esperienza e sono pronti a confrontarla ed arricchirla con voi. Siate lieti e disponibili: siate Chiesa nel vostro mondo. Fate sì che gli altri possano vedere in voi il Cristo risorto, che l’apostolo Tommaso ebbe la fortuna di toccare con le sue mani. Siate con la vostra vita e con la vostra condotta esemplare segni credibili del Risorto. Per credere occorrono dei segni: siate voi questi segni viventi.

Signore mio e Dio mio! Il grido di umiltà e di adorazione dell’apostolo san Tommaso diventi anche per voi un richiamo vivo e un ricordo stimolante in questo incontro pasquale. Con il Signore possiamo camminare sicuri, perché anche se la valle ci sembra oscura, lui è la nostra luce, la nostra guida e la nostra gioia.

 

© Copyright 1989 - Libreria Editrice Vaticana

 



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