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VIAGGIO PASTORALE IN BENIN, UGANDA E KHARTOUM

ORDINAZIONI SACERDOTALI NELLO STADIO DELL’AMICIZIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cotonou (Benin) - Mercoledì, 3 febbraio 1993

 

1. “Lo spirito del Signore Dio è su di me” (Is 61, 1). Ci troviamo a Nazaret. Queste parole del profeta Isaia sono state pronunciate all’inizio dell’attività messianica di Gesù di Nazaret. Gesù, Nazareno di trent’anni, le ha proclamate; e, dopo aver terminato la lettura, ha aggiunto: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi” (Lc 4, 21). Le parole del profeta: “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi” (Is 61, 1). Gesù di Nazaret ripete oggi le stesse parole in mezzo a noi, in mezzo a voi, in mezzo a voi che costituite la Chiesa del Dio vivente in terra africana, a Cotonou, in Benin. Voi tutti che avete accolto il Cristo, voi avete anche ricevuto lo Spirito Santo. L’espressione sacramentale è il segno di questo dono, è l’unzione compiuta al momento del Battesimo, della Confermazione e anche del Sacramento dei Malati.

2. L’unzione è particolarmente significativa nel Sacramento dell’Ordine, nel momento in cui viene conferita l’ordinazione sacerdotale ed episcopale. Mi è concesso oggi di venire in mezzo a voi per conferire il Sacramento dell’Ordine a dei figli della vostra terra. È un giorno di grande gioia per la Chiesa: voi figli, “scelti fra gli uomini” (cf. Eb 5, 1), siete chiamati “ministri del nostro Dio” (cf. Is 61, 6). Gioisco quindi con voi e, come il Profeta, dico a questi giovani: “e voi, voi sarete chiamati: “sacerdoti del Signore”, vi chiameremo: «ministri del nostro Dio»” (Is 61, 6). Attraverso di voi saluto tutta la Chiesa in Benin, la Chiesa che è il popolo di Dio e il sacerdozio reale. Voi che vi presentate oggi al Vescovo per essere ordinati, testimoniate questo nelle vostre persone: siete il frutto e l’espressione del sacerdozio reale del popolo di Dio che siete chiamati a servire. Che Dio benedica le vostre famiglie, che Dio benedica le vostre parrocchie e la vostra diocesi di Cotonou! Che Dio benedica il Benin, vostro Paese natale! Attraverso il ministero del Vescovo di Roma, Dio benedica tutti i fedeli qui riuniti, quelli delle altre diocesi del Benin, in particolare di Porto-Novo, di Abomey e di Lokossa! Saluto di tutto cuore i miei fratelli nell’Episcopato: Mons. Isidore de Souza, Arcivescovo di Cotonou, che ringrazio per il suo discorso di benvenuto, Mons. Lucien Monsi-Agboka, Presidente della Conferenza Episcopale del Benin, e gli altri Vescovi di questo Paese. Non dimentico i due già Arcivescovi di Cotonou, il Card. Bernardin Gantin, con cui ho tanti contatti e Mons. Christophe Adimou la cui saggezza vi è stata preziosa durante questi anni difficili. Sono lieto di unire a questo saluto i Vescovi venuti da Paesi vicini o lontani. Rivolgo un saluto cordiale ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli di Cotonou, del Benin, dei Paesi vicini, il Togo, il Ghana, la Nigeria. Alle autorità nazionali e regionali che hanno la cortesia di prender parte a questa celebrazione liturgica, esprimo i miei deferenti saluti. Vorrei anche porgere il benvenuto in questa assemblea ai nostri fratelli di altre confessioni cristiane e di altre tradizioni religiose che hanno desiderato assistere a questa festa dei loro amici cattolici.

3. Cari diaconi che state per ricevere l’ordinazione sacerdotale, l’Apostolo Paolo scriveva a Timoteo, a cui aveva imposto le mani, come oggi il Vescovo di Roma vi imporrà le mani: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù... annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna o non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tm 4, 1-2). E più avanti: “Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero” (2 Tm 4, 5). Ecco un programma apostolico che non ha perso la propria attualità. Ancora oggi esso traccia le linee direttive della vocazione e del ministero di tutti i Pastori della Chiesa. Questo sarà il vostro programma, voi che vi assumete oggi la vostra parte di servizio e di responsabilità divenendo sacerdoti: siate degli “ascoltatori fedeli” per annunziare la Parola, per riunire e guidare il Popolo di Dio, per celebrare quei doni di grazia che sono i sacramenti.

4. Sacerdoti, voi date la vostra vita perché l’evangelizzazione progredisca sulla vostra terra. Che l’amore salvifico di Cristo vi animi in tutte le vostre azioni, perché non si può essere un vero testimone di Cristo se non si amano i propri fratelli con un amore generoso e disinteressato! La fonte di questo amore la troverete nei vostri cuori uniti al Cuore di Cristo, nell’intimità della preghiera. La forza e la fedeltà di questo amore, la attingerete dall’Eucaristia e dal Sacramento della Riconciliazione. Il coraggio di annunziare la parola, di moltiplicare le iniziative pastorali, di suscitare la speranza, di operare affinché l’Evangelizzazione sia sempre nuova, questo coraggio vi sarà dato se vi lascerete prendere da Cristo Gesù lui che “dopo aver amato i suoi... li amò sino alla fine” (Gv 13, 1) per tutti questi doni che vi sono stati trasmessi dalla Chiesa sulla vostra terra, rendo grazie a Dio insieme a voi.

5. Ciò che dico qui agli ordinandi, cari fratelli e sorelle, è rivolto anche a tutti voi, a voi che desiderate condividere la Buona Novella con i vostri fratelli e le vostre sorelle. Se accoglierete Gesù il Salvatore a cuore aperto, Egli abiterà nella vostra casa e la vostra famiglia sarà illuminata dal suo amore. Si, la famiglia è la prima culla dell’Evangelizzazione: l’amore che viene da Dio arricchisce e purifica l’amore degli sposi e dei genitori. Esso rende generosi per accogliere la nascita dei figli, per garantire loro l’educazione e per risvegliare in essi la fede. Esso è fonte di fiducia e di rispetto reciproco. E la grazia di Dio che ama tutti gli uomini permette di santificare i grandi momenti della vita, la nascita, il matrimonio sino alle ultime tappe del nostro pellegrinaggio. L’amore fraterno, arricchito dall’amore di Dio, esorta a riconoscere la dignità di ciascun membro della famiglia anche se le prove della vita lo hanno indebolito o isolato. L’amore, dice S. Paolo, “non si adira, non tiene conto del male ricevuto”; il discepolo di Gesù non può accettare nulla che ferisca o distrugga il prossimo. Al contrario, prosegue S. Paolo, l’amore “si compiace della verità... tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 5-7). Non abbiate paura di rifiutare il male, abbiate il coraggio di amare: Mi kpan kon! (Abbiate coraggio!). La Chiesa può essere viva e aperta solo se le famiglie sono le prime ad accogliere il Vangelo. L’amore verso il prossimo matura nella cellula familiare, per diffondersi poi in tutta la comunità della Chiesa, unita per condividere i doni di Dio e proseguire sulle vie dell’“Alleanza eterna”, annunciata dal profeta Isaia (cf. 61, 8). I cristiani hanno la gioia di essere guidati da un messaggio di verità luminoso, fonte di speranza. E la legge che regola il loro modo di vivere si riassume interamente nel supremo messaggio d’amore di Gesù ai suoi amici. La comunione fra i figli della Chiesa, membri dello stesso Corpo di Cristo, risponde al desiderio del Salvatore: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).

6. Fratelli e sorelle, la Nuova Evangelizzazione è la missione della Chiesa in Benin, così come in tutta l’Africa e nel mondo intero. Essa costituirà il frutto dell’amore che vi è dato vivere nei vostri cuori, nelle vostre case, nelle vostre comunità parrocchiali, nei vostri movimenti, nelle vostre diocesi. E questo amore deve illuminare la vostra collaborazione con i vostri compatrioti per il bene del vostro Paese, che ha bisogno oggi della generosità attiva di tutti i suoi abitanti. Nella società, il cristiano che ama il suo prossimo difende i diritti della persona e adempie al suo dovere per il bene comune. Bisogna allo stesso tempo cercare la giustizia e praticare la solidarietà. Voi avete molti bei compiti da svolgere per la prosperità della vostra nazione, affrontate il vostro futuro con il coraggio dell’amore: Mi Kpan Kon! (Abbiate coraggio!) Hêsi ma di mi ô! (Non abbiate paura!) Il Vangelo di questa Messa ci ha fatto ascoltare alcune parole di Gesù che mostrano bene l’importanza dell’amore fraterno e il suo profondo significato: i poveri, i malati, gli stranieri e i detenuti sono quel prossimo che bisogna aiutare in modo semplice e concreto: si inizia a farlo dando da mangiare e da bere, vestendo, curando, visitando. E, come quegli uomini a cui parla il Signore noi siamo sempre sorpresi: Gesù si identifica “con questi suoi fratelli più piccoli” (cf. Mt 25, 40). Allora, come possiamo lasciare sul bordo della strada i fratelli e le sorelle in cui Cristo è presente? Come potremmo essere testimoni del Vangelo senza vivere una solidarietà aperta a ognuno dei nostri fratelli? Come potremmo formare un solo corpo senza riunire tutti i nostri fratelli in un unico amore?

7. “Ti giuro dinanzi a Dio e dinanzi a Gesù Cristo che deve giudicare i vivi e i morti”. Il Vangelo di Matteo ci mostra qual è questo giudizio. Noi leggiamo spesso queste parole e le ascoltiamo sempre con grande emozione. Esse ci parlano della parusia, cioè del ritorno definitivo del Redentore del mondo, che segnerà la fine dei tempi e la rivelazione del Regno di Dio stesso. “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). “Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25, 45). Gesù Cristo aveva dapprima rivelato la sua missione messianica a Nazaret. “Passò beneficando” (At 10, 38). Egli ha riscattato il mondo con il suo sacrificio sulla croce, con l’amore per il Padre e per tutti gli uomini. Alla fine del mondo, Egli “verrà a giudicare i vivi e i morti” (2 Tm 4, 1). Noi saremo allora giudicati sull’amore, ciascuno di noi, uomini e donne. Compiamo quindi le opere di carità! Voi che iniziate oggi il vostro ministero sacerdotale in terra africana, servite con amore Cristo e i vostri fratelli e le vostre sorelle. Mettetevi al servizio di tutti, come Cristo. Che la vostra ordinazione faccia di voi degli artefici di pace e di unità! Fifa ni no Kpo Ha mi! (La pace sia con voi!) Vi affido alla Madre di Cristo in modo speciale, così come Gesù le affidò il suo Apostolo sul Calvario. La benedizione del Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e vi protegga per sempre! Do To tamê. Do vi tamê. Dô Yêsinen Tamê. Amen. (In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo).

Al termine della celebrazione, prima di lasciare l’altare, Giovanni Paolo II rivolge parole di saluto e di ringraziamento ai fedeli. Eccone una nostra traduzione italiana.  

Cari fratelli e sorelle, Ringraziamo Dio Signore nostro per questo pomeriggio, per questa serata notevole. Ringraziamolo per i nuovi sacerdoti. Ringraziamo tutta l’assemblea. Ringraziamo il Signor Presidente della Repubblica del Benin. Ringraziamo i cori per i canti e la meravigliosa partecipazione. Preghiamo soprattutto per i nuovi sacerdoti, figli del vostro popolo, come lo è il Cardinal Gantin, figlio nella continuazione della stessa vocazione sacerdotale. Grazie al Cardinal Gantin per il suo lavoro nella Curia Romana accanto al Papa. Grazie a voi tutti per la vostra fedeltà, per il vostro attaccamento a Cristo e alla sua Chiesa. E che Dio vi benedica sempre e dovunque.

Prima di impartire la benedizione apostolica, Giovanni Paolo II si rivolge al folto gruppo di togolesi presenti nello “Stade de l’Amitié” con le seguenti parole.  

Al termine di questa celebrazione, vorrei rivolgere un saluto molto amichevole ai togolesi presenti fra noi, così come alle delegazioni venute dal Ghana, dalla Nigeria o da altri Paesi vicini, per unirsi alla Chiesa del Benin. Desidero esprimere tutta la mia simpatia e il mio affetto ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti e agli altri fedeli del Togo, e, attraverso coloro che si trovano qui, a tutti i togolesi. Già a Roma, pensavo spesso al vostro Paese. In questo momento affrontate grandi difficoltà, l’instabilità politica ed economica, l’insicurezza e la violenza. E questo porta migliaia di togolesi ad allontanarsi dal loro Paese. In questo momento di prova, continuo a pregare perché Dio doni la pace al vostro popolo. La violenza e il disprezzo delle aspirazioni legittime dei cittadini non hanno mai portato al progresso civile e sociale. Si può persino dire che essi sono espressione di un comportamento irresponsabile. Solo i valori che rafforzano l’ordine democratico e il consolidamento dello Stato di diritto permettono di preparare un futuro migliore. Figli e Figlie della Chiesa in Togo, in quest’anno del centenario dell’Evangelizzazione della vostra terra, prego perché voi restiate saldi nella fede, perché siate il lievito della pasta e perché con voi e grazie a voi, tutti i togolesi possano imparare a conoscere la libertà nella solidarietà. Queste sono le intenzioni che affido a Dio con l’intercessione materna di Nostra Signora. Dio benedica voi e tutti i popoli dell’Africa!

 

 



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