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SANTA MESSA PER GLI UNIVERSITARI ROMANI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì, 15 dicembre 1994

 

1. Ancora una volta, in questo giorno di Avvento, ci troviamo raccolti per la celebrazione dell’Eucaristia. Questi incontri, durante l’Avvento, del Vescovo di Roma con la famiglia universitaria costituiscono una tradizione che conta ormai quindici anni.

Sono contento di potere anche quest’anno riflettere con voi sulla parola di Dio all’avvicinarsi del Santo Natale. Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti coloro che qui rappresentano i vari ambienti accademici di Roma e d’Italia: a voi Rettori, Professori e Studenti, ed anche a Lei, Signor Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica.

Con gioia vivo questo incontro con il mondo accademico, convinto come sono della sua rilevanza per la crescita del Paese. In questo senso ritengo anche significativo il Convegno degli Studenti universitari, promosso dalla diocesi di Roma per il prossimo maggio, sul tema “Testimoni del Vangelo in Università”. Il messaggio cristiano ha orientato il cammino di civiltà percorso dall’Italia in questi venti secoli di storia. Esso potrà ancora illuminare e sostenere l’impegno di chi vuol recare il proprio contributo al progresso culturale e civile della Nazione in questo speciale Avvento che ci porta verso la soglia del terzo millennio.

2. L’Avvento è tempo di attesa. Tutta la vita è in verità tempo d’attesa. È colma di attese di vario genere: attese che a volte si compiono, altre volte rimangono deluse o si dimostrano ingannevoli. Tuttavia, l’attesa appartiene, in un certo senso, all’essenza stessa dell’uomo.

Il Creatore modellò questo essere “a sua immagine e somiglianza”, così che in esso si trovano inscritte la capacità e l’esigenza dell’attesa. Aristotele l’espresse con il concetto: perseguire uno scopo. Sì, l’uomo perseguendo uno scopo “attende” il proprio compimento e, allo stesso tempo, vi “tende”. In questo consiste l’interiore dinamismo della sua esistenza, un dinamismo che il tempo d’Avvento ci svela in modo singolare.

3. L’attesa, in Avvento, si accompagna con la certezza del compimento: sappiamo che, dopo un preciso numero di settimane e di giorni, verrà il Natale del Signore. Ogni giorno d’Avvento ci avvicina a quella data, quando la liturgia ci ricorderà: “Ecco, vi è nato il Salvatore del mondo” (cf. Lc 2, 10-11) e ci esorterà ad una grande gioia. Noi accoglieremo questa esortazione anche come risposta ad un intimo bisogno del cuore. Se, infatti, durante l’Avvento siamo in attesa, lo siamo proprio per esprimere, dopo, la gioia del Natale in tante e diverse forme legate alle usanze, alla tradizione e alla cultura di ogni singola Nazione. Sappiamo che la ricchezza di contenuti legati al Natale ha fecondato in gran parte la cultura della vita familiare e nazionale dei Paesi d’Europa e degli altri Continenti.

Si tratta di un patrimonio di grande valore, che aiuta l’uomo a vivere: lo aiuta, infatti, a comprendere il bisogno e il senso dell’attesa e lo convince che all’attesa corrisponde l’incontro. Dio stesso viene incontro all’uomo, perché l’uomo possa incontrarlo. Nella liturgia dell’Avvento questo incontro viene annunciato da san Giovanni Battista. A lui, come leggiamo nell’odierno testo evangelico, Cristo rende testimonianza con parole significative: “Io vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni” (Lc 7, 28).

4. Il Natale del Signore è la festa della famiglia. È così ogni anno. Tuttavia in quest’anno, che, come sappiamo, è l’Anno della Famiglia, il Natale acquista un particolare significato. Mentre lo dico a voi, stimati Professori degli Atenei Romani, ho davanti agli occhi le vostre famiglie ed auguro ad esse la grazia e la serenità delle feste del Natale del Signore.

Quando invece penso a voi, cari giovani, mi rendo conto che ognuno di voi non si prepara soltanto a completare gli studi, ma anche a fondare la propria famiglia. L’uomo e la donna abbandonano il padre e la madre e si uniscono alla propria moglie o al proprio marito per dare inizio ad una nuova famiglia (cf. Gen 2, 24). Il libro della Genesi con parole semplicissime ma molto suggestive presenta questa vocazione della creatura umana. Ad un certo momento della vita il giovane, ragazzo o ragazza, percepisce e prende consapevolezza di questa chiamata. Certo, è chiamata diversa dalla vocazione sacerdotale o religiosa, per la quale è decisivo uno speciale invito da parte di Cristo, un personale appello a seguirlo: “Seguimi!” (cf. Mt 4, 19). Tuttavia, anche la consapevolezza della via che porta alla fondazione di una famiglia è una vocazione, nei confronti della quale va operato un chiaro discernimento. Bisogna accoglierla consapevolmente e, a questo fine, occorre farla oggetto di prolungata preghiera.

Tutto ciò mette in evidenza un’attesa, che è anzitutto attesa di una persona: lui o lei; e contemporaneamente è attesa dell’amore. Soltanto l’amore, infatti, può realmente far capire a due giovani che sono chiamati a camminare insieme nella vita.

5. Vi devo confessare che, specialmente in anni lontani, mi è capitato spesso di essere non soltanto testimone di queste importanti vicende personali, ma qualcosa di più: di essere, cioè, colui al quale i giovani confidavano i segreti dei loro cuori, colui con il quale volentieri parlavano della loro vocazione al matrimonio e alla vita familiare. Appresi allora la grande verità sull’amore e sulla responsabilità, e ad essa dedicai anche un libro. Quel testo nacque nel clima di molteplici attese dell’amore ed anche di molteplici sforzi per conferire all’amore una forma matura, sì da poter poggiare su di esso l’intera esistenza nella comunità familiare.

Al contrario di quanto forse si vuol far credere e di quanto più volte e in vari modi viene perfino propagandato, l’amore è una particolare chiamata alla responsabilità. Prima di tutto, alla responsabilità verso un’altra persona, che mai va delusa. Ma chiamata anche alla responsabilità verso il “comune futuro dei coniugi” e non soltanto verso il loro personale futuro, bensì anche verso quello dei figli, ai quali daranno la vita: il futuro, cioè, di una famiglia come comunione di vita e d’amore. L’esperienza insegna che la famiglia può realizzare le attese dei giovani, ma può anche deluderle. È la famiglia a deludere le attese dei giovani o non sono piuttosto loro a deludere se stessi? Questa domanda da sola è sufficiente per rendersi conto di quanto l’amore sia unito alla responsabilità, e di quale tipo di responsabilità si tratti.

6. La lettura del libro del profeta Isaia ci presenta oggi Dio che, Creatore e Redentore dell’uomo, è allo stesso tempo lo Sposo: “Poiché tuo sposo è il tuo Creatore . . . tuo Redentore è il Santo di Israele” (Is 54, 5). Ritroviamo questa immagine dell’Antico Testamento nel Vangelo e nelle Lettere di san Paolo, dove emerge in modo chiaro quanto profondamente la vocazione al matrimonio e alla vita in famiglia sia radicata nel mistero di Dio. Il brano di Isaia come pure quello della Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini parlano dell’amore sponsale di Dio. Ecco la caratteristica dell’amore su cui si basa il matrimonio e la famiglia: fa di due giovani uno sposo e una sposa.

L’amore sponsale s’esprime nella donazione totale. La persona umana può donarsi totalmente e senza riserve a Dio nella vocazione religiosa o sacerdotale. Essa può donarsi senza riserve anche ad un’altra persona - l’uomo alla donna, e la donna all’uomo - e la disponibilità ad un tale dono di sé decide della vocazione al matrimonio e alla vita familiare. Tutti i testi della Sacra Scrittura che parlano di amore sponsale, parlano allo stesso tempo della vocazione al matrimonio.

Il Signore Gesù, sin dall’inizio della sua attività messianica, preannunciò, mediante la sua presenza a Cana di Galilea, il carattere sacramentale di questa vocazione. E quando rispose alla domanda dei farisei sull’indissolubilità del matrimonio, espresse con altre parole il disegno iniziale di Dio sull’amore sponsale (cf. Mt 19, 3-9). Infatti solo l’amore sponsale può far sì che l’uomo abbandoni la propria madre ed il proprio padre e si unisca a sua moglie così strettamente da diventare una sola carne (cf. Gen 2, 24). E lo stesso, ovviamente, avviene per la donna. Questa unità, di cui parla il libro della Genesi e che viene confermata da Cristo, il quale la eleverà alla dignità di sacramento, è frutto del reciproco amore sponsale e della grazia divina. Donandosi reciprocamente nell’alleanza coniugale, l’uomo e la donna si giurano l’un l’altro fedeltà, amore ed onestà per “tutti i giorni della loro vita”, e nel loro consenso è contenuta la prospettiva della paternità e della maternità. Gli sposi si riconoscono come futuri genitori, come padre e madre, manifestando la volontà di perseverare nell’unità coniugale anche in considerazione della prole che Dio darà loro. Le parole del consenso matrimoniale esprimono la responsabilità che testimonia nel modo più completo l’amore. Donandosi ed accettandosi reciprocamente, gli sposi confermano, davanti a Dio e agli uomini, che il loro amore è maturo per un simile impegno. Quando il Signore Gesù pone alla folla la domanda riguardante la persona di Giovanni Battista: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?” (Lc 7, 24), dice una cosa che può essere riferita anche alla maturità interiore richiesta agli sposi quando prendono una decisione che li vincolerà per tutta la vita. Non possono essere come “canne agitate dal vento”.

7. All’inizio dell’Anno della Famiglia ho indirizzato una Lettera personale a tutte le famiglie della personale a tutte le famiglie della Chiesa e del mondo. Certamente è arrivata tra le mani di molti di voi qui presenti e penso che essa potrebbe essere utile ai giovani che si preparano al matrimonio: essi devono essere condotti a tale impegnativo passo da un amore che è in se stesso qualcosa di bello. La Lettera alle famiglie si sofferma ampiamente sul significato del “bell’amore”.

Oggi, in quest’incontro nel periodo d’Avvento, desidero augurare a tutti voi il bell’amore: ai coniugi che vivono il matrimonio ed ai giovani che vi si preparano. L’amore è bello quando è vero, quando è capace di far fronte alle esperienze e alle prove della vita. Nel “bell’amore” è presente Dio. Lui stesso, infatti, è amore nel senso più pieno della parola (cf. 1 Gv 4, 8). Cristo ci insegna il “bell’amore” in ogni pagina del Vangelo e specialmente nel sacrificio della Croce, col quale offre se stesso. Questa interpretazione della Croce con il “bell’amore”, questa interpretazione dell’amore con la Croce: è un mistero, è una realtà: cercate di approfondirla. Una meravigliosa esposizione del “bell’amore” la troviamo nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi, della quale voglio riportare qui un passo: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non vi vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 4-7).

Prima di tessere quest’inno alla carità, san Paolo dice ai destinatari: “Aspirate ai carismi più grandi!” (1 Cor 12, 31). E il “carisma più grande” è l’amore. Vorrei formulare con queste parole dell’Apostolo delle Genti gli auguri per voi, cari amici: “Aemulamini autem charismata maiora!”. Vi auguro l’amore che merita il nome di grande, di vero, di bello! Cristo Signore, nel mistero del suo Natale, schiuda davanti a voi la prospettiva di tale amore, che colma e realizza le più profonde attese dell’animo umano.

Vorrei alla fine, insieme con il Cardinale Vicario, i Vescovi ed i collaboratori della Diocesi di Roma, con tutti i sacerdoti, i parroci romani, con i vostri cappellani che concelebrano l’Eucaristia con me, augurare a tutti i presenti, a tutta la grande comunità universitaria di Roma, Buon Natale!

Sia lodato Gesù Cristo.

 

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