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LITURGIA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Giovedì, 2 febbraio 1995

 

1. “Lumen ad revelationem gentium” (Lc 2, 32).

La liturgia della Presentazione del Signore riveste un particolare significato: quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, essa costituisce quasi un’ultima parola di letizia del Natale del Signore, e invita a volgere lo sguardo verso il periodo ormai prossimo della Quaresima e della Pasqua.

All’odierna celebrazione nella Basilica di San Pietro vengono invitati ogni anno i membri delle Famiglie religiose maschili e femminili e degli Istituti secolari residenti in Roma. Benvenuti, cari Fratelli e Sorelle! La vostra presenza richiama alla mente e al cuore i religiosi e le religiose e gli appartenenti agli Istituti secolari del mondo intero. Richiama, in particolare, il Sinodo dei Vescovi dell’autunno scorso, che ha posto la riflessione sulla vita consacrata al centro della Chiesa. Oggi desideriamo pregare perché da tale Assemblea sinodale scaturiscano per tutti gli Istituti religiosi frutti di approfondita consapevolezza della peculiare vocazione che è loro propria.

La luce che domina l’odierna liturgia diventi segno della luce interiore che penetra il cuore dei giovani e indica loro la via dei consigli evangelici, proposti da Gesù a quanti vogliono seguirlo consacrando a Lui la loro esistenza.

2. Nel volgere ora la nostra attenzione alla liturgia della Parola, notiamo in essa quasi tre dimensioni: la dimensione del tempio, del sacrificio e della profezia.

Il tempio. Leggiamo nel libro del profeta Malachia: “Entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate: l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate” (Ml 3, 1). Sono parole che illustrano il particolare momento in cui Maria e Giuseppe portarono Gesù al tempio di Gerusalemme per presentarlo al Signore, secondo quanto prescritto dalla Legge di Mosè. L’arrivo di due persone povere provenienti dalla vicina cittadina di Betlemme sarebbe certamente passato inosservato, se non ci fosse stata l’azione dello Spirito Santo a rendere sensibile Simeone ed Anna alla presenza del Messia.

Che cosa era il tempio di Gerusalemme? Sorto ai tempi del re Salomone, distrutto e poi ricostruito dopo l’esilio, riedificato infine da Erode il Grande, esso rappresentava il termine della lunga peregrinazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto verso la Terra Promessa. In Egitto Dio aveva fatto irruzione nella storia d’Israele. Il popolo ebreo, liberato miracolosamente dalla schiavitù, aveva iniziato attraverso il deserto, sotto la guida di Mosè, il lungo viaggio, che doveva durare quarant’anni. Lungo il cammino aveva ricevuto la Legge di Dio, il Decalogo, scritto su Tavole di pietra. Quelle Tavole, divenute in un certo senso quanto di più sacro Israele possedeva, erano custodite in una tenda, spostata dapprima lungo il cammino da un luogo all’altro, e poi, dopo la traversata del Giordano, portata nella Terra promessa. Le Tavole dell’Alleanza restarono nella tenda ancora per molto tempo, giacché molti anni trascorsero prima che maturasse l’idea della costruzione di un tempio, in cui deporre nel Santo dei Santi questo segno sacro.

Il tempio di Gerusalemme costituiva per Israele in certa misura il compimento della promessa ricevuta da Dio; esso però restava anche il luogo dell’attesa. In effetti, l’intero Antico Testamento è pervaso dall’attesa del Messia e di tale attesa il tempio di Gerusalemme era segno particolare e quasi luogo simbolico. Molti si ponevano la domanda: Quando giungerà il giorno in cui Dio manderà il suo Messia e gli permetterà di varcare la soglia del tempio di Gerusalemme?

Ed ecco, il giorno è giunto! È giunto in modo diverso da come Israele se lo immaginava. Oltre a Simeone e ad Anna, nessuno si è reso conto che nella persona di un piccolo bambino, portato in braccio dai suoi genitori, il Messia ha già varcato la soglia del tempio della Città Santa. Il Signore atteso da Israele, l’Angelo dell’Alleanza da esso sospirato, è venuto nel suo tempio.

L’evento è cantato dal Salmo responsoriale dell’odierna liturgia. È un canto solenne, trionfale: “Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche!” (Sal 24, 7). È questo, infatti, il culmine della storia del tempio di Gerusalemme.

3. La seconda dimensione della liturgia di oggi è costituita dal Sacrificio. Maria e Giuseppe giungono al tempio per presentare un’offerta a Dio, secondo quanto prescritto dalla Legge di Mosè. Sono poveri e, non potendo permettersi di dare di più, offrono due giovani colombe.

Il tempio era il luogo dove si presentavano le offerte. Nel tempio di Gerusalemme avvenivano per lo più sacrifici cruenti. Tutti però dovevano prepararsi per il momento in cui, non più mediante il sangue di animali, ma per mezzo del proprio sangue, il Redentore sarebbe entrato nel tempio. Tempio non costruito da mani d’uomo, bensì eterno. Tempio in cui il Figlio offre se stesso al Padre, come sacrificio perfetto ed eterno (cf. Eb 9, 24-25).

L’odierna liturgia della Parola annunzia questo “momento”. Nella lettera agli Ebrei è scritto che il Messia divenne “un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (Eb 2, 17), “per ridurre all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” (Eb 2, 14). Soffrendo personalmente, egli venne così in aiuto a quanti sono sottoposti alle prove. Scrive l’autore della Lettera agli Ebrei: “della stirpe di Abramo si prende cura” (Eb 2, 16). Quanti partecipano alla fede di Abramo verranno in tal modo inseriti nel Sacrificio di quel Gesù di Nazaret, che oggi, per la prima volta, varca la soglia del tempio di Gerusalemme.

4. La terza dimensione è la Profezia. La liturgia dell’odierna festa è pervasa da un profondo soffio profetico. Dio parla mediante ogni elemento di questa liturgia: parla mediante il tempio di Gerusalemme, mediante l’offerta presentata da Maria e Giuseppe, parla infine mediante la bocca di Simeone, uomo retto e pio, che attendeva il conforto d’Israele. A lui lo Spirito Santo aveva rivelato che non avrebbe visto la morte senza prima aver incontrato il Messia del Signore (cf. Lc 2, 25-26).

Dio parla anche mediante la “profetessa” Anna, figlia di Fanuele, vedova e avanzata negli anni, la quale partecipava alla stessa attesa del Messia (cf. Lc 2, 36-38). Quanto Simeone dice in questa circostanza rispecchia anche i sentimenti dell’anziana donna. Le parole ispirate di Simeone sono penetrate profondamente nella memoria della Chiesa. Le ripetiamo ogni giorno nella Liturgia delle Ore, a Compieta: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2, 29-32).

Le pronuncia Simeone, ma è più giusto dire che, mediante la bocca di lui, è lo Spirito Santo a proferirle. E Simeone trova nelle parole dello Spirito il compimento dell’attesa di tutta la propria esistenza: egli vede finalmente il Messia! Lo vede sulla soglia della sua vita di Messia, mentre è ancora un bambino di quaranta giorni.

Lo Spirito che guida le parole da lui pronunciate, gli permette di intravedere il futuro di questo Bambino. Simeone infatti parla a Maria del futuro del Figlio, quando profetizza: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35). Queste parole pronunciate ad appena quaranta giorni dalla nascita di Gesù ci portano, insieme a Maria, già sotto la croce, al momento culminante della missione messianica di suo Figlio. Anzi, in un certo senso esse vanno ancora oltre. Non è forse vero che, attraverso i secoli, per molti Gesù Cristo è rimasto “segno di contraddizione”?

5. Cari Fratelli e Sorelle! Sono lieto di poter meditare insieme con voi il mistero della festa odierna, che è, allo stesso tempo, mistero di gaudio e di dolore.

Vorrei qui tornare a quanto dicevo all’inizio. Nel Sinodo dei Vescovi dell’autunno scorso, la vita consacrata è stata posta al centro della Chiesa. Essa costituisce un’attuazione del Vangelo in cui Cristo è particolarmente presente. La vita consacrata, mediante i consigli evangelici, reca i suoi frutti attraverso i secoli e le generazioni nella vita della Chiesa. Fruttifica in un modo singolare! Il Sinodo ci ha resi consapevoli di quale grande bene sia per la Chiesa la vita consacrata, cioè quella specifica consacrazione, attraverso la quale una persona, uomo o donna, si dona senza riserve a Cristo, Maestro, Redentore e Sposo.

Contemplando tutto questo, desideriamo oggi pregare con ardore per il rinnovamento della vita religiosa nella Chiesa; per una grande abbondanza e ricchezza di vocazioni religiose. Esse scaturiscono in modo più profondo dallo spirito del Vangelo e servono l’opera del Vangelo in maniera più totale.

Roma è particolarmente ricca di famiglie religiose maschili e femminili. Da questa Città, come da un centro, fluiscono impulsi forti per la vitalità degli Ordini e delle Congregazioni religiose. Allo stesso tempo, giungono a Roma gli echi della grande e molteplice missione che le persone consacrate e le Comunità religiose compiono in tutto il mondo. Accade come per i seminatori di cui parla il Salmo: partono camminando a volte tra sofferenze e lacrime, e tornano poi con la gioia di una messe abbondante (cf. Sal 126, 5-6).

La luce del Vangelo, così limpida nella liturgia odierna, brilla nel tempio di Gerusalemme sopra il Redentore nato da poco. Vi accompagni sempre questa luce, cari Fratelli e Sorelle, perché nell’ambito della vostra vocazione “siano svelati i pensieri di molti cuori”, e cresca così il Regno di Dio in ogni angolo della terra!

 

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