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 VISITA PASTORALE A TRENTO
MESSA DI BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO
MONSIGNOR GIOVANNI NEPOMUCENO DE TSCHIDERER

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Trento - Domenica, 30 aprile 1995

 

1. “Proclamiamo la tua risurrezione!”. La Chiesa proclama la risurrezione di Cristo nel momento centrale di ogni Santa Messa quando, dopo la consacrazione, il celebrante pronuncia ad alta voce le parole: “Mistero della fede!”. Ad esse tutta l’assemblea risponde con l’acclamazione: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Queste parole rimandano al nucleo centrale degli eventi salvifici trasmessi a noi nel Vangelo. La Chiesa annunzia ancora oggi il Cristo crocifisso, come hanno fatto gli Apostoli; come ha fatto san Paolo, che non riteneva di sapere altro “se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1 Cor 2, 2). La Chiesa annunzia la morte di Cristo, indicando in essa l’inizio della nuova vita.

Signore Gesù, anche noi oggi in Trento “proclamiamo la tua risurrezione”. Insieme con le donne e con gli Apostoli, ci fermiamo presso la pietra rotolata via dall’ingresso della tua tomba, rimasta ormai vuota. Come i discepoli, ti incontriamo sulla via di Emmaus; in modo particolare, ti incontriamo nel cenacolo insieme con gli Apostoli e, con Tommaso, tocchiamo le tue ferite. Ti incontriamo anche in Galilea, sul lago di Genezaret, dove prima eri stato visto tante volte mentre insegnavi. Su quel lago avevi chiamato gli Apostoli a seguirti, ed essi, lasciate le reti, avevano iniziato il cammino del quale tu sei Maestro e Guida.

Su quel lago erano risuonate un giorno le parole da te rivolte a Pietro: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc 5, 4). E Pietro aveva eseguito l’ordine, ottenendone una pesca straordinariamente abbondante. Dopo la risurrezione questa stessa scena si ripresenta, come racconta il brano evangelico dell’odierna liturgia. Ancora una volta agli Apostoli, stanchi per la pesca infruttuosa durata tutta la notte, Tu dici: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete” (Gv 21, 6). Essi dunque gettano la rete, e questa si riempie talmente di pesci da essere tratta a riva con grande fatica.

Quando la Chiesa, celebrando l’Eucaristia, proclama la risurrezione di Cristo, lo fa in virtù della testimonianza resa dagli Apostoli, che hanno personalmente rivisto il loro Maestro vivo. La loro testimonianza oculare è la prima fonte della fede della Chiesa, la quale proclama la risurrezione di Cristo come evento realmente accaduto, fondamento della fede e ragione della speranza di quanti cercano la salvezza.

2. Di questa fede vive la Comunità apostolica a Gerusalemme: ad essa fa riferimento la prima lettura dell’odierna Liturgia. Gli Apostoli, condotti ancora una volta davanti al tribunale del Sinedrio, ricevono nuovamente dal Sommo Sacerdote un ammonimento severo: “Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo” (At 5, 28). La risposta di Pietro e degli Apostoli è semplice, ma allo stesso tempo ferma: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29): dobbiamo, cioè, obbedire a quanto Dio comanda, a ciò che Egli ci affida come sua parola, piuttosto che a quanto ci viene ordinato dal Sinedrio.

Gli Apostoli, che videro con i propri occhi il Cristo dopo la risurrezione, non potevano tacere la loro straordinaria esperienza. Se Egli si era mostrato ad essi, lo aveva fatto affinché la verità della sua risurrezione giungesse a tutti gli uomini mediante la loro testimonianza qualificata. La risurrezione di Gesù è il nuovo inizio dell’intervento di Dio nella storia del Popolo eletto. Proclamando ogni giorno durante la celebrazione dell’Eucaristia la risurrezione di Cristo, la Chiesa si ricollega a questo nuovo inizio: “Proclamiamo la tua risurrezione”.

3. Durante questa celebrazione solenne ho la gioia di elevare agli altari, qui a Trento, il servo di Dio Giovanni Nepomuceno de Tschiderer. Non è forse questa beatificazione una singolare proclamazione della risurrezione di Cristo? Quest’uomo, che a cominciare da oggi chiameremo “Beato”, non partecipava forse spiritualmente all’incontro degli Apostoli con Cristo risorto, di cui parla l’odierno Vangelo? Anch’egli non ha forse udito la stessa domanda che Cristo rivolse a Pietro sul lago di Genezaret: “Mi ami tu?” (Gv 21, 15). E non ha cercato anche lui, come Pietro, di rispondere a quella domanda con tutta la sua vita: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo” (Gv 21, 15)?

Wenn wir diese bedeutsame Gestalt des neuen Seligen Johann Nepomuk von Tschiderer und seine grenzenlose Christusliebe betrachten, so richtet sich unser Blick auch auf die Region seiner Herkunft und seines so überaus segensreichen Wirkens unter deutschsprachigen Gläubigen. Daher richte ich einen besonderen Gru an die Gläubigen aus den Diözesen Bozen–Brixen, Innsbruck und Feldkirch. Diese Ortskirchen sind mit Bischof Johann Nepomuk zutiefst verbunden. Geboren und getauft in Bozen, hat er als Seelsorger in deutschsprachigen Pfarreien des Bistums Trient gewirkt. Als Weihbischof in Brixen galt seine Hirtensorge auch Feldkirch.

Bischof Johann Nepomuk von Tschiderer war also ein Mann, der Grenzen überschritten hat. Er machte sich die Weisung des Herrn zueigen, zu dienen und sich nicht “dienen zu lassen”.  Bischof Johann Nepomuk konnte Grenzen unterschiedlicher sozialer Lage, verschiedener Sprachen und mannigfacher Mentalitäten überbrücken und verbinden. Der neue Selige hat in der Tat im Herzen Europas gewirkt und vermochte in dem leuchtenden Beispiel seiner Person Identitäten zu wahren und doch Gemeinschaft zu fördern.

Seine Liebe zum auferstandenen Herrn und zu seiner Kirche, die gesandt ist, das Evangelium allen Völkern bis an die Grenzen der Erde zu verkünden und alle Menschen zu seinen Jüngern zu machen,  hat in dem neuen Seligen auch die Sorge um geistliche Berufe geweckt. So ist er in diesem Bemühen neben seinem sozialen Engagement in der Diözese Bozen–Brixen noch immer gegenwärtig. Die Bischöflichen Seminare, vor allem das Johanneum, das seinen Namen trägt, vergegenwärtigen auch heute noch dieses für die Kirche so wichtige Anliegen um wohlvorbereitete und für ein ganzes priesterliches Leben tragfähige Antworten auf den Ruf des Herrn in seine besondere Nachfolge. Ich lade alle Gläubigen, Priester und Ordensleute Eurer Diözesen ein, nicht im Gebet nachzulassen, damit der Herr der Ernte Arbeiter in seinen Weinberg sende. 

Ecco le parole del Santo Padre in una nostra traduzione in lingua italiana.

Quando ci occupiamo della significativa beatificazione di Giovanni Nepomuceno de Tschiderer e del suo sconfinato amore per Cristo, pensiamo anche alla sua regione d’origine nella quale ha svolto la sua opera benefica fra i credenti di lingua tedesca. Per questo porgo un saluto particolare ai fedeli delle diocesi di Bolzano-Bressanone, di Innsbruck e di Feldkirch. Queste Chiese locali sono legate al Vescovo Giovanni Nepomuceno. Nato e battezzato a Bolzano, ha operato anche come Pastore nelle parrocchie di lingua tedesca della Diocesi di Trento. In quanto Vescovo Ausiliare di Bressanone rivolgeva la sua sollecitudine pastorale anche a Feldkirch.

Il Vescovo Giovanni Nepomuceno de Tschiderer fu anche un uomo che oltrepassò i confini. Fece suo l’ordine del Signore di servire e di non “farsi servire” (Mt 20, 26). Il Vescovo Giovanni Nepomuceno fu in grado di oltrepassare i confini della diversità di condizioni sociali, di lingua e di mentalità.

Il nuovo Beato ha di fatto operato nel cuore dell’Europa ed è stato in grado, con l’esempio illuminante della sua persona, di conservare le identità e tuttavia di promuovere la comunità.

L’amore per il Signore Risorto e per la sua Chiesa, che ha il compito di annunciare il Vangelo a tutti i popoli fino ai confini della terra e di fare di tutti gli uomini i suoi discepoli (cf. Mt 28, 19) suscitò nel nuovo Beato anche la sollecitudine per le vocazioni. I seminari vescovili, soprattutto il Giovanneo, che porta il suo nome, richiamano alla mente anche oggi questo compito di preparazione così importante per la Chiesa e per una risposta ferma della vita sacerdotale alla chiamata del Signore alla sua particolare sequela. Esorto tutti i fedeli, i sacerdoti e i religiosi delle vostre Diocesi a non smettere mai di pregare affinché il Signore delle Messi invii operai nella sua vigna (cf. Mt 9, 37-38).

4. Il Vescovo Giovanni Nepomuceno ebbe da Dio, in straordinaria misura, il dono dell’amore. Ogni atto della sua vita fu animato da un profondo ed intenso rapporto con il Signore, coltivato quotidianamente nel raccoglimento e nella preghiera. Grazie a questo egli seppe vivere un grande distacco da ogni forma di compromesso con gli agi e gli onori della terra. I diversi ministeri che gli furono affidati, con il loro grave carico di responsabilità, vennero da lui affrontati con quel coraggio che viene solo dall’umiltà. Pienamente consapevole della propria inadeguatezza, non esitò a gettare le reti fidando, come Pietro, sulla parola di Cristo.

Se in queste stupende valli trentine continua a risuonare benefico il nome di Cristo e se la risposta di fede in Lui rimane sempre molto viva, lo si deve certamente, oltre che alla grazia dello Spirito Santo, ai primi evangelizzatori di questa terra, san Vigilio e i martiri d’Anaunia, e a quanti dopo di loro seppero superare, come il nuovo Beato, la paura degli uomini per consacrarsi fino in fondo al Vangelo. Il vescovo Giovanni Nepomuceno lo mise al primo posto e lo annunciò con le parole e con la vita. Sul suo atto di morte fu scritto: “Amò Trento e fu l’amore dei Trentini”.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle, sono molto lieto di porgere un cordiale saluto a ciascuno di voi, cominciando dai Presuli presenti, con uno speciale pensiero al Pastore della Chiesa di Trento, il carissimo Mons. Giovanni Maria Sartori, che ringrazio per le cortesi espressioni rivoltemi all’inizio della celebrazione. Saluto il suo venerato predecessore, Mons. Alessandro Maria Gottardi, associandomi di cuore all’augurio di una lunga vita in comunione d’amore con la Diocesi da lui guidata per venticinque anni.

Saluto il Cardinale Marco Cè, Patriarca di Venezia, ed i membri della Conferenza Episcopale Triveneta con gli altri Arcivescovi e Vescovi presenti anche dall’Austria, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i laici attivamente impegnati nei molteplici settori pastorali della Diocesi. Rivolgo un deferente pensiero alle Autorità amministrative, politiche e militari che hanno voluto partecipare a questa celebrazione liturgica.

Ricordo con speciale affetto gli ammalati, i sofferenti nel corpo e nello spirito, coloro che non hanno potuto essere fisicamente presenti a questa celebrazione e ci seguono attraverso la radio e la televisione. Saluto in modo particolare le famiglie: ad esse sono rivolte le premure della Chiesa, che desidera collocarle al centro della sua azione pastorale, perché sono al cuore della nuova evangelizzazione.

Cari fedeli della Chiesa di Dio che vive in Trento e delle altre Diocesi qui rappresentate: ravvivate le radici secolari della vostra fede; custodite e arricchite il prezioso patrimonio delle vostre tradizioni religiose, ricevuto dalle precedenti generazioni a prezzo di sacrifici durissimi; camminate incontro al terzo millennio dell’era cristiana con la certezza che il Signore risorto è al vostro fianco e vi sostiene.

6. “Proclamiamo la tua risurrezione”. La Liturgia eucaristica non proclama soltanto la risurrezione di Cristo testimoniata dagli eventi che ebbero luogo in Galilea dopo la Pasqua o a Gerusalemme nel primo periodo dell’attività della Chiesa dopo la discesa dello Spirito Santo; essa conduce il nostro sguardo di fede anche verso il ritorno finale di Cristo: “Proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Nel Libro dell’Apocalisse Giovanni ci parla della visione da lui avuta del Cristo glorificato. A Lui è rivolta la lode degli spiriti celesti e di tutta la creazione: “A colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli” (Ap 5, 13). Cristo, innalzato alla destra del Padre, è dunque descritto come l’Agnello di Dio, l’Agnello immolato, cioè offerto in sacrificio per i peccati del mondo. Proprio così fu indicato sul Giordano Gesù di Nazaret da Giovanni Battista: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29). Parole profetiche, che dovevano compiersi nel Mistero pasquale. Come è eloquente il fatto che tali parole vengano fatte proprie dalla Chiesa ogni giorno nella celebrazione eucaristica al momento della Santa Comunione: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”.

Quando riceviamo Cristo nella Comunione, si ripete in un certo senso l’evento accaduto sul lago di Galilea. Gesù domanda a ciascuno di noi, che ci accostiamo all’Eucaristia: “Mi ami tu?”. Ed ognuno, dopo aver confessato la propria indegnità con le parole del centurione tramandate nel Vangelo: “Signore... io non son degno” (Lc 7, 6), risponde con le parole di Pietro: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo” (Gv 21, 15).

Oggi la Chiesa a Trento, in un modo del tutto particolare, annunzia la morte di Cristo e proclama la sua risurrezione. Oggi, nel contesto dei 450 anni dal Concilio di Trento, la vostra Chiesa sperimenta anche con speciale intensità l’attesa della venuta di Cristo nella gloria. Essa, infatti, si allieta insieme con il Beato Giovanni Nepomuceno de Tschiderer e con tutti i Santi e i Beati per i frutti centuplicati che continuano a sgorgare dalla risurrezione di Cristo.

In comunione con loro, anche noi oggi annunciamo la tua morte, o Signore, proclamiamo la tua risurrezione, ed attendiamo sicuri nella speranza la tua venuta nella gloria alla fine dei tempi.

Amen.

 



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