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  CELEBRAZIONE EUCARISTICA CONCLUSIVA
 DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Paolo fuori le mura
Giovedì, 25 gennaio 1996

 

1. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo” (Mc 16, 15).

Si conclude oggi la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, durante la quale siamo stati tutti invitati ancora una volta a prendere coscienza della grandezza del compito ricevuto da Cristo: Annunziate al mondo il Vangelo! Apparendo agli Apostoli dopo la risurrezione Gesù disse: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16, 15-16). Bisogna dunque predicare affinché credano. Bisogna agire in modo che tutti gli uomini possano essere salvati.

È proprio la responsabilità verso il Vangelo che ci sollecita a cercare con insistenza le vie dell’unità. L’unità dei cristiani, infatti, è una delle principali condizioni di credibilità della nostra testimonianza e della sua fruttuosità. Per questo Cristo pregò: “Siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).

Questa verità evangelica si presenta ai nostri occhi con forza ancor maggiore nell’odierna assemblea liturgica, che ci vede raccolti nella Basilica di san Paolo fuori le mura, tornata al suo primitivo splendore per quanto riguarda il transetto, con il ricco soffitto e la pavimentazione marmorea. Siamo qui riuniti al termine della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

2. L’ultimo giorno dell’Ottavario, infatti, coincide con la festa liturgica della Conversione di san Paolo. Si tratta di una coincidenza davvero felice! Infatti, il frutto di questa settimana ecumenica dovrebbe essere proprio la conversione. E quella di Saulo di Tarso è una conversione in qualche modo esemplare e particolarmente toccante.

Saulo, persecutore dei cristiani e della Chiesa nascente, diventa Apostolo di quello stesso Cristo di cui era nemico. Accadde alle porte di Damasco: provvisto delle lettere del Sinedrio di Gerusalemme, Saulo si recava a Damasco con l’intento di arrestare i cristiani che lì si trovavano per condurli a Gerusalemme, dove sarebbero stati puniti. All’improvviso fu sorpreso da uno straordinario fulgore. Dopo anni ricorderà ancora quel momento: “Una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti” (At 22, 6-8).

In quel momento si rese conto che tutto quello che faceva contro i cristiani colpiva Gesù Cristo. Paolo non lo conosceva di persona. Secondo il punto di vista del Sinedrio, riteneva certamente giusta la sua condanna a morte sulla croce e rifiutava di accettare ciò che si diceva riguardo alla sua risurrezione. Alle porte di Damasco si trova faccia a faccia con il Risorto che, come ben descrive l’iconografia tradizionale, lo fa cadere a terra con una potenza invisibile, l’abbaglia con lo splendore che accompagna la sua apparizione e gli dice: Tu perseguiti me; “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti” (At 22, 8).

Così dicendo, Cristo risorto si identifica con i suoi discepoli, si identifica con la Chiesa. Paolo comprende tutto questo immediatamente. In modo folgorante ciò si imprime nel profondo della sua coscienza e diventa la fonte di tutte quelle ispirazioni, che in seguito egli esprimerà nelle sue Lettere. Si potrebbe dire che in quell’istante egli ricevette per rivelazione tutta la luce del Vangelo e si convertì.

3. Toccato nell’intimo del cuore, Paolo domandò: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore gli rispose: “Alzati e prosegui verso Damasco; là ti diranno ciò che devi fare” (cf. At 22, 10). Così avvenne. A Damasco andò da lui Anania, fedele osservante della legge diventato cristiano. Gli disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. In quell’istante Paolo riebbe la vista. E Anania soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito (...) Ricevi il battesimo e lavati dei tuoi peccati, invocando il suo nome” (At 22, 14-16).

In precedenza Anania aveva ricevuto dal Signore il seguente incarico: “Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome” (At 9, 15-16).

E così Paolo da persecutore diventò apostolo di Cristo. Tutti coloro che lo vedevano e lo udivano rimanevano stupiti: “Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua precisamente per condurli in catene dai sommi sacerdoti?” (At 9,21).

Ma costui non è quel Saulo?...” (cf. At 9, 21). Davvero, Paolo è quel Saulo di Tarso, il temuto persecutore del nome di Cristo. Ed è allo stesso tempo un uomo nuovo: è un Apostolo. Davanti a lui c’è un compito immenso, unico nel suo genere; compito che egli, sospinto dalla grazia, si assumerà con la determinazione e il coraggio di cui era capace, con eroica fortezza, così da diventare, agli inizi della Chiesa, forse il più grande testimone di Cristo e una delle salde colonne della comunità primitiva, edificata sul fondamento degli Apostoli con a capo Pietro.

4. Non è possibile leggere il racconto della conversione di san Paolo senza provare una grande emozione. Ed è più che mai opportuno rileggerlo in quest’ultima giornata di preghiera per l’unità dei cristiani. Un’opera ecumenica, infatti, non può compiersi senza una multiforme conversione. Dobbiamo trasformarci da “confessori separati” in “confessori uniti”. Cristo non può essere diviso, come abbiamo letto nella liturgia della scorsa domenica (cf. 1 Cor 1, 13). Cristo è uno! Questa unità di Cristo è una sfida per i cristiani separati. Cristo vivente nella sua Chiesa è uno. E la Chiesa è il suo Corpo mistico.

Come membri di questo Corpo, di questo organismo vivente, dobbiamo costantemente ritornare all’unità organica. Quest’unità di Cristo non significa l’esclusione di tutte le differenze. Nella sua predicazione sulla Chiesa come Corpo di Cristo, Paolo stesso annunzia la pluralità e la diversità dei membri (cf. 1Cor 12,1-11). Esiste una pluralità che serve l’unità. Dobbiamo pregare per tale ricchezza nella varietà e lavorare perché essa s’esprima. Ma dobbiamo, al tempo stesso, chiedere allo Spirito Santo il superamento di tutte quelle differenze che intaccano l’unità.

Si avvicina l’anno Duemila. Esso porta con sé una particolare sfida ecumenica. In occasione del Grande Giubileo dobbiamo cercare di presentarci davanti a Cristo, se non pienamente uniti, almeno più vicini, meno divisi e più desiderosi dell’unità organica voluta da Cristo. Così il Giubileo sarà il momento solenne in cui esprimere nell’unità del Corpo mistico, che è la Chiesa, la nostra lode a Cristo e rendere onore a Lui, “che è, che era e che viene” (Ap 1, 8).

 

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