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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL VESCOVO DI MACERATA

 

Al venerato fratello Tarcisio Carboni,
Vescovo di Macerata.

Ricorre quest’anno la data anniversaria di un avvenimento di grande rilievo nella storia della evangelizzazione cristiana e negli annali delle relazioni culturali tra i popoli: il IV Centenario dell’inizio della missione in Cina del padre Matteo Ricci, che ricevette i natali in Macerata, il 6 ottobre 1552, due mesi prima della morte del grande apostolo dell’Oriente, san Francesco Saverio, avvenuta il 3 dicembre, alle soglie di quel grande ed allora impenetrabile Continente.

A giusto e speciale titolo, quindi, codesta città, rendendosi anch’essa interprete di un’ammirazione universale sottolineata autorevolmente da tante parti, intende ricordare il grande concittadino con manifestazioni solenni di carattere religioso e culturale, alle quali sono lieto anch’io di partecipare con animo sollecito e vivo fervore, indirizzandomi con lo scritto a lei, esimio Pastore di codesta Comunità diocesana, ed a tutti i fedeli affidati alle sue cure spirituali.

Il mio venerato predecessore Paolo VI, il 10 novembre 1964, in occasione di analoga commemorazione centenaria, quella dell’arrivo a Macao del primo gruppo di Missionari nel 1564, inviava una lettera al Cardinale da Costa Nuñes, suo delegato personale per le solenni celebrazioni.

In tale missiva, dopo aver descritto le circostanze storiche che avevano reso possibile l’avvenimento, affermava che esso era “giustamente considerato di grande importanza, perché ferace di frutti e di successi notevoli per il costante e diuturno lavoro di quei pionieri e perché da quegli inizi nasceva e si sviluppava, in tempi recenti, la luce del Vangelo nell’immenso paese della Cina e nelle regioni vicine” (cf. AAS 57 [1965] 158).

Propriamente a Macao, che Paolo VI, nel citato documento definisce “porta quanto mai adeguata per la diffusione del Vangelo” (Ivi.) nel continente cinese, arrivava il 7 agosto 1582 il padre Matteo Ricci, che per santità di vita, per ricchezza di cultura, per originalità di metodi apostolici, fu giustamente esaltato dai posteri come insigne missionario e grande scienziato. A lui ed al confratello padre Michele Ruggeri, dopo diversi e vani tentativi, fu concesso finalmente di porre piede per primi e di prendere stabile dimora nella città di Sciaochin, nella provincia di Canton, la più meridionale della Cina.

Cominciava in quel giorno, 10 settembre 1583, la gloriosa e feconda epopea dei Gesuiti in Cina.

Non posso quindi che esprimere il mio più vivo compiacimento per le celebrazioni in programma anche a Macerata. E poiché la Cina è tanto cara al mio cuore e la sollecitudine per quella Chiesa “è divenuta particolare e costante assillo del mio pontificato” (Giovanni Paolo II, Epistula ad Episcopos totius Orbis catholici: de precibus ad Deum pro Ecclesia in Sinis fundendis, die 6 ian. 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V,1 [1982] 177) formo vivissimo auspicio che la figura di quest’uomo di Dio sia sempre meglio conosciuta ed apprezzata, per i meriti acquisiti nei suoi 57 anni di vita, di cui ben 28 spesi in quella vasta regione.

L’opera letteraria di Matteo Ricci, indubbiamente eccezionale, è ancora poco conosciuta; tuttavia non mancano studiosi ed esperti, cinesi ed occidentali, impegnati nell’approfondirne gli aspetti più rilevanti. Il numero straordinario di scritti, spesso di singolare valore, che egli ha lasciato, in cinese, in portoghese ed in italiano, è tale, da richiedere uno studio diffuso e qualificato.

Tali scritti – come quelli dei sommi artisti e letterati del Rinascimento, ai quali il Ricci si può ben paragonare – vanno dai trattati di argomento religioso a quelli filosofici; dalle opere storiche e letterarie sulla Cina a quelle di diffusione delle scienze matematiche, fisiche, geografiche e cosmografiche; da saggi sulla morale cristiana allo studio dei principi etici di Confucio; dalle relazioni inviate ai suoi Superiori alle lettere personali indirizzare a parenti ed amici. Come è stato rilevato recentemente, la sua attività si è estesa anche all’arte pittorica nella quale ha pure lasciato segni del suo genio multiforme.

Lo scopo del padre Ricci in questa mirabile attività – come è ben noto – era di far conoscere l’affascinante mondo cinese ai popoli occidentali e l’Occidente alla Cina, in vista di un proficuo scambio culturale, che favorisse una corrente di reciproca comprensione. Ben si comprende che padre Ricci, apostolo com’era, si attendesse, al termine di questo processo, che i cinesi, toccati dalla grazia divina, si disponessero ad accogliere il messaggio cristiano, e che l’Occidente concepisse un sentimento di stima verso la millenaria tradizione culturale della Cina.

Il padre Ricci aveva assimilato la lingua cinese a tal punto da poter esprimere esattamente anche i contenuti di una cultura differente e in uno stile – grazie anche alla collaborazione di amici del luogo – molto apprezzato dai lettori cinesi del suo tempo e di quello odierno. Non v’è dubbio che il padre Ricci pervenne a tale risultato per un doppio impulso del suo spirito: da una parte, la propria ammirazione per i nobili valori della cultura cinese, dall’altra, il desiderio di attirare la stima e la considerazione, anche da parte dei ceti più alti ed influenti: mandarini, bonzi e lo stesso Imperatore, per il messaggio cristiano, del quale egli era umile seguace e fervido araldo.

A proposito di tale atteggiamento di rispetto per la realtà culturale e storica del popolo cinese – atteggiamento che informò tutta l’opera poliedrica di Matteo Ricci – mi piace ricordare quanto ebbi a dire a Manila il 18 febbraio 1981, rivolgendomi alle Comunità Cattoliche Cinesi in Asia: “Il vostro Paese è grande non solo in termini di estensione geografica e di popolazione, ma specialmente a motivo della sua storia, per la ricchezza della sua cultura, e per i valori morali che il suo popolo ha coltivato attraverso i secoli. Il gesuita padre Matteo Ricci comprese e apprezzò pienamente la cultura cinese fin dagli inizi, e il suo esempio dovrebbe servire di ispirazione a molti” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV,1 [1981] 384).

In mezzo ad una cultura tanto diversa da quella europea, padre Matteo Ricci seppe, in una parola, operare una “mediazione”, che anticipò i tempi, ed il cui spirito e metodo sono stati confermati dal Concilio Vaticano II, ove esso dichiara che bisogna “conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo, che in esse si nascondono” (Ad Gentes, 11).

Pur attraverso difficoltà, il suo “dialogo con la Cina” andava sviluppando ampi consensi nel Paese; ne furono testimonianza le attenzioni straordinarie di cui fu circondato anche a Corte, e gli onori eccezionali, che gli furono tributati dopo la morte. Oggi ancora la figura del padre Ricci è viva presso il popolo cinese col nome di “Li Ma-tou”, come è stato ricordato anche un paio d’anni fa in occasione delle solenni celebrazioni Ricciane presso codesta Università. Il padre Ricci costituisce, dunque, una comune eredità della Chiesa e della Cina e si presenta come solido ed emblematico punto di riferimento per un dialogo costruttivo rivolto al futuro, giacché – come dissi nella circostanza sopra ricordata – “è al futuro che dobbiamo guardare” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV,1 [1981] 384).

Le intuizioni del padre Ricci non furono sempre valutate, in seguito, nel loro giusto significato. Di esse dobbiamo dire, con l’immagine del Vangelo, che sono state un seme, soggetto sì alla morte sotto terra, ma solo per svilupparsi in albero rigoglioso carico di frutti.

Nutro viva speranza che dalle celebrazioni in suo onore possano derivare copiosi vantaggi non solo all’azione missionaria della Chiesa, ma anche a tutto il diletto popolo cinese, al quale la Sede Apostolica – come scrissi nella summenzionata Lettera – “guarda con particolare simpatia ed affetto” per “tutta la mirabile realtà di tradizioni e di cultura, di alta umanità e di ricca spiritualità, che forma il retaggio storico ed attuale della grande Nazione cinese” (Giovanni Paolo II, Epistula ad Episcopos totius Orbis catholici: de precibus ad Deum pro Ecclesia in Sinis fundendis, die 6 ian. 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V,1 [1982] 179).

Con questi sentimenti, invoco dal Signore i più preziosi doni della grazia divina per un anno centenario ricco degli auspicati frutti di bene per le anime e di incremento culturale, mentre di gran cuore imparto a lei, ai Promotori delle celebrazioni, al clero ed ai fedeli della diletta diocesi di Macerata la mia benedizione apostolica.

Data a Castel Gandolfo, il 13 Settembre dell’anno 1982, IV di pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

  

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