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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
A MONSIGNOR GIUSEPPE CHIARETTI

 

Al venerato fratello monsignor Giuseppe Chiaretti,
vescovo di Montalto e Ripatransone-San Benedetto del Tronto.

Le sono sinceramente grato per le devote espressioni di spirituale affezione e di comunione ecclesiale, con le quali ella ha voluto accompagnare l’annunzio di un simposio internazionale su “La traduzione Vulgata della Bibbia dalle origini ai nostri giorni”, che sarà celebrato a Grottammare, in occasione del IV centenario dell’elevazione a sommo pontefice del mio predecessore Sisto V, illustre figlio di codesta terra marchigiana, avvenuta appunto nel 1585. L’occasione mi offre l’opportunità di porgere un cordiale e benedicente saluto a lei e ai qualificati studiosi e docenti di scienze bibliche, nonché a tutti coloro che prendono parte al convegno, per onorare la memoria di quel grande pontefice che nulla tralasciò affinché “la parola del Signore si diffondesse e fosse glorificata” (cf. 2 Ts 3, 1).

A questo anelito, che già fu di Paolo di Tarso, il papa Sisto V informò tutta la sua attività pastorale, nella quale si distinse come geloso custode del “depositum fidei” e come infaticabile propagatore del messaggio della salvezza. Infatti all’indomani della sua ascesa alla cattedra di Pietro si diede fervida premura di adempiere le direttive del Concilio di Trento, riguardanti la revisione della versione biblica di San Girolamo: “Vulgata editio quam emendatissime imprimatur” (Enchiridion Biblicum, n. 63). Nel 1586 istituì un’apposita commissione di esperti cultori di Sacra Scrittura, i quali curarono quella famosa Bibbia sistina che, riveduta in seguito per disposizione del papa Clemente VIII, passò alla storia col nome di Vulgata sisto-clementina; e rimase il testo ufficiale per la Chiesa latina fino all’emanazione della costituzione apostolica Scripturarum Thesaurus, con la quale ho avuto la gioia di promulgare, nel 1979, l’edizione tipica della versione detta neo-Vulgata, che ha portato un ulteriore specifico contributo al doveroso ossequio dovuto all’opera monumentale dell’eminente cultore della “parola di salvezza” (At 13, 26) che fu il singolare eremita di Betlemme, Girolamo, a cui, come egli scrisse, Dio parlava “ogni giorno per mezzo della testimonianza delle sante scritture” (cf. S. Girolamo, Ep. 133, 13: PL 29, 1160).

Al di là di ogni valutazione di carattere specificamente filologico e critico, è indubbio che l’impegno dimostrato da Sisto V costituisce un’eloquente testimonianza della costante preoccupazione della Chiesa nel promuovere gli studi biblici e nell’assicurare un’interpretazione fedele alla verità rivelata e insieme rispondente alle esigenze degli uomini di ogni epoca. Con la revisione della Vulgata, questo intese fare Sisto V, mosso da un amore veemente per la Chiesa e per la parola di Dio.

Mi auguro che un pari amore sostenga lo svolgimento di codesto convegno, destinato a ripercorrere il lungo e faticoso itinerario della Vulgata geronimiana, la quale dal IV secolo fino ai nostri giorni non ha cessato di offrire un più largo accesso alle fonti della rivelazione e di nutrire generazioni e generazioni di fedeli.

La stretta connessione tra Chiesa e Bibbia, che distinse, tra l’altro, l’opera apostolica di Sisto V, valga agli studiosi a mettere sempre meglio in luce i legami che uniscono indissolubilmente la Sacra Scrittura alla tradizione della Chiesa. Infatti se da una parte la parola di Dio convoca e illumina la Chiesa, dall’altra è la Chiesa interprete primordiale delle Scritture, è la Chiesa che in esse ha attinto attraverso i secoli la propria fede, la propria speranza e la propria regola di vita. La ricerca delle varie traduzioni e redazioni del testo sacro non può limitarsi a una mera discussione erudita o ad una semplice ricostruzione filologica ed esegetica, pur sempre doverose e indispensabili; tutto deve infatti mirare alla comprensione totale della “Scrittura divinamente ispirata” (2 Tm 3, 16). Non si riuscirebbe mai a comprendere pienamente il testo biblico, se esso venisse isolato e strappato dal suo ambiente vitale, cioè dalla viva tradizione della Chiesa. Non si può concepire la parola di Dio fuori del mistero ecclesiale, fuori dallo spirito che anima la coscienza attuale della Chiesa; la Bibbia diventerebbe una lettera che uccide (cf. 2 Cor 3, 6), un puro documento del passato.

Perciò, come già ho detto recentemente ai membri della Pontificia commissione biblica, l’impegno del buon esegeta “duas debet habere proprietates, nempe scientiae subtilitatem et fidei integritatem” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Sodales Pontificiae Commissioni Biblicae habita, 3, 18 aprile 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 1069).

Prego il Signore perché gli studiosi intervengano a codesto convegno con la dovuta preparazione scientifica, ma anche con la necessaria e umile richiesta della grazia divina, senza la quale il disegno salvifico di Dio racchiuso nei testi sacri rimane inaccessibile (cf. Mt 11, 25). In questo senso, Sant’Agostino esortava i maestri di Sacra Scrittura ad avere una profonda conoscenza delle lingue bibliche, non disgiunta da un grande spirito di preghiera: “orent ut intelligant” (S. Agostino, De doctrina christiana, 3; 36; PL 34,89).

Con questi ardenti voti accompagno lo svolgimento del simposio invocando su quanti vi interverranno a vari titoli i lumi dello Spirito Santo, mentre di cuore imparto la propiziatrice benedizione apostolica, in segno della mia benevolenza.

Dal Vaticano, 24 giugno 1985.

GIOVANNI PAOLO II

 

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