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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CONSIGLIO DELLA SEGRETERIA GENERALE DEI VESCOVI

Sabato, 16 dicembre 1978

 

Venerabili Fratelli.

Sono pieno di gioia a motivo dell’incontro con voi. Infatti il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi è un gruppo a me caro e familiare, è in effetti l’ambito in cui io, per così dire, sono cresciuto. Mi sia lecito ricordare che dopo l’ultima sessione terminata nel mese di ottobre 1977 del Sinodo dei Vescovi, io sono stato eletto per la seconda volta in tre anni come membro del medesimo Consiglio.

Se in base ad un altra deliberazione, che il Collegio dei Cardinali fece quest’anno il 16 ottobre, il mio mandato in tal senso e stato estinto, ciononostante sento uno stretto legame con codesto Consiglio, per questo motivo – è bello ripetere ciò che ci dà motivo di gioia – sono particolarmente lieto di trovarmi alla vostra presenza. Una parte non piccola degli obiettivi che vi proponete sono frutto della mia esperienza personale.

Tale esperienza invero manifesta la dottrina del Concilio Vaticano II sulla forma collegiale dei Vescovi. Questa collegialità è richiesta ogni giorno di più alla stessa vita della Chiesa in questo tempo.

Questo risuonò nel primo discorso di Giovanni Paolo I, che pronunciò queste parole: “Salutiamo tutti i Vescovi della Chiesa di Dio, che “uno per uno rappresentano la loro Chiesa, tutti poi insieme al Papa rappresentano tutta la Chiesa nel vincolo della pace, dell’amore e dell’unità” (Lumen Gentium, 23) e la cui forma collegiale vogliamo saldamente rinvigorire” (Giovanni Paolo I, Allocuzione: AAS 70 [1978] 696-697); proprio questo, poche settimane dopo, è stato confermato dal suo successore nella prima allocuzione, con queste espressioni: “In modo particolare poi esortiamo a ... tenere sempre più presente ciò che il vincolo collegiale porta con sé; perciò i Vescovi sono uniti strettamente al successore del beato Pietro e tutti tra di loro sono concordi per adempiere ai compiti insigni loro affidati nell’interpretare il Vangelo, nel santificare con gli strumenti della grazia, nel guidare con l’arte pastorale tutto il Popolo di Dio. Questa forma collegiale senza dubbio riguarda anche il congruo progresso degli istituti, in parte nuovi, in parte conformi alle odierne necessità, con i quali si raggiunge la maggiore unità possibile degli animi, dei propositi, delle opere nella edificazione del corpo di Cristo... Per quanto riguarda ciò, facciamo innanzitutto menzione del Sinodo dei Vescovi” (Giovanni Paolo II, Allocuzione: AAS 70 1978] 922).

Il principio enunciato dal Concilio sulla forma collegiale, senza dubbio può essere reso evidente in molteplici modi e può essere portato ad effetto. Di questo argomento ha trattato il mio insigne Predecessore Paolo VI, parlando ai Padri riuniti per il Sinodo straordinario nell’anno 1969: “Pensiamo di aver dimostrato – disse – quanto grande sia il nostro desiderio che questa collegialità dei Vescovi abbia una funzione promotrice nella stessa situazione e azione della vita, sia istituendo lo stesso Sinodo dei Vescovi, sia dando la propria approvazione alle Conferenze Episcopali, sia nei particolari ministeri della nostra Curia Romana eleggendo alcuni Fratelli nell’episcopato e Pastori di anime, che vivono nei territori delle loro diocesi. Se ci assisterà la grazia divina e la concordia fraterna renderà più facili i nostri rapporti reciproci, si potrà estendere più ampiamente l’esercizio di questa collegialità sotto altre forme canoniche... il Sinodo... anche varrà ad illuminare con consentanee regole canoniche quale sia e come cresca la collegialità dei Vescovi, e nello stesso tempo potrà anche avvalorare le direttive del Concilio Vaticano I e II sul potere del Successore del Beato Pietro e dello stesso collegio dei Vescovi con a capo il Sommo Pontefice” (Paolo VI, Allocuzione: AAS 61 [1969] 717-718). Di questi argomenti hanno trattato tutte le sessioni precedenti; e sono questioni che hanno certamente un’importanza fondamentale per realizzare, nella stessa prassi della vita, il proposito di rinnovamento della Chiesa, che è contenuto nella dottrina del Concilio Vaticano II.

Questo è chiaramente il significato delle questioni trattate nelle ultime due sessioni ordinarie del Sinodo dei Vescovi; la questione più importante e in un certo senso il cardine di tutto sembra essere l’evangelizzazione, cui fa seguito subito la catechesi, mediante la quale quella, in primo luogo, si può attuare. Il frutto del Sinodo celebrato nel 1974 fu l’Esortazione Apostolica di Paolo VI Evangelii Nuntiandi; il frutto invece del Sinodo del 1977 non è ancora stato pubblicato, spero che possa essere pubblicato all’inizio del prossimo anno. Abbiamo certamente bisogno di documenti del genere che nascono dalla vita della Chiesa, feconda ma talvolta difficile, e che a loro volta portano un nuovo fermento alla stessa vita.

Siete certamente consapevoli dell’importanza della questione, che è la tesi del Sinodo del 1980 e che ha questo titolo: “Il ruolo della famiglia cristiana nel mondo di oggi”. Questo argomento non è separato dai precedenti, ma procede nella stessa direzione. Si deve tuttavia osservare che la famiglia non è solo “oggetto” di evangelizzazione e di catechesi, ma anche, ed è di fondamentale importanza, è il suo “soggetto fondamentale”. Questo si deduce da tutta la dottrina del Concilio Vaticano II sul Popolo di Dio e sull’apostolato dei laici. Questo stesso argomento è come il campo specifico, dove la medesima dottrina si tramuta in prassi e dove, di conseguenza, si opera il rinnovamento della Chiesa secondo le intenzioni del medesimo Concilio.

Dovrete prevedere e sostenere certo un imponente lavoro, Venerabili Fratelli! Vi ringrazio moltissimo della vostra sollecitudine, innanzitutto ringrazio il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, il Vescovo Ladislao Rubin e i singoli esimi colleghi del Consiglio della segreteria Generale. E non voglio dimenticare i periti e gli ufficiali, che nella medesima Segreteria svolgono i loro compiti. Vi esorto tutti a continuare questo nobile lavoro, con il quale si contribuisce non poco in questa età al rafforzamento e alla crescita della Chiesa.

Abbracciandovi con affetto particolare, vi impartisco molto volentieri la Benedizione Apostolica, pegno dell’aiuto celeste.



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