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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL TERMINE DEL CONCERTO OFFERTO NELL'AULA PAOLO VI

Venerdì, 9 febbraio 1979

 

1.Desidero ringraziare, a nome di tutti i presenti, in primo luogo, gli organizzatori e gli artisti che ci hanno offerto questo momento di spirituale godimento: ad essi, e a quanti hanno collaborato alla felice riuscita di questa manifestazione, vada l’espressione della mia sincera e cordiale riconoscenza.

2.Il mio pensiero si rivolge, poi, al Maestro Krzysztof Penderecki. Non è la prima volta che io partecipo all’esecuzione di una sua opera. Ricordo la “Passio et mors Domini nostri Iesu Christi” secondo San Luca nel cortile accademico del Castello di Wawel; ricordo l’esecuzione della “Utrenia” nella chiesa di Santa Caterina a Cracovia. Mai avrei potuto immaginare che mi sarebbe stato concesso di poter ospitare il signor Penderecki nell’aula “Paolo VI” in Vaticano nei primi mesi del mio pontificato.

Sono profondamente commosso.

3.Desidero congratularmi con lei, signor Maestro, per questo capolavoro, che nel suo contenuto riconferma la linea delle precedenti ricerche artistiche. È per me difficile dire qualcosa di più per quanto riguarda la parte essenziale, l’aspetto strettamente musicale, per il quale mi debbo limitare a manifestare una semplice impressione.

Devo confessare che questa impressione è profonda. Per quanto concerne il contenuto, mi viene in mente una frase pronunciata, forse ancora prima della guerra, da un uomo d’arte a me ben noto: “Ogni grande opera d’arte è nella sua ispirazione e nella sua radice religiosa”.

Penso che le grandi opere del Maestro Penderecki confermano questo principio.

Questa volta egli si è rivolto a Milton. Penso che il “Paradise Lost” sia diventato un’occasione per esprimere nel linguaggio così originale della sua composizione talune domande che l’uomo si pone; le domande che riguardano i problemi fondamentali della sua esistenza e del suo destino.

La risposta a queste domande, che troviamo nelle prime pagine della Sacra Scrittura, nei primi capitoli del libro della Genesi, non può non colpire per la sua profondità e per la sua logica.

Non si tratta di una semplice cronaca di alcuni avvenimenti; sono li registrate le esperienze fondamentali alle quali l’uomo, nella sua esistenza, deve ritornare sempre nonostante le precisazioni che l’ermeneutica biblica ha apportato in materia. Direi che i primi capitoli del libro della Genesi proteggono dal rischio di alienazioni ciò che in ognuno di noi vi è di sostanzialmente umano.

Voglio dunque congratularmi con lei, Maestro, per l’idea di rivolgersi a questa sorgente attraverso il poema del grande scrittore inglese.

Personalmente mi rallegro molto che tale opera musicale sia uscita dalla penna di un compositore polacco. Questa è ancora una testimonianza della matrice cristiana che penetra tutta la nostra cultura. E poiché il linguaggio della musica è più universale che quello della letteratura, auspico che questo frutto della creatività artistica di un mio connazionale possa diventare motivo di emozioni artistiche per tutti gli uomini contemporanei, indipendentemente dalla loro nazionalità.

E di questo ringrazio cordialmente il Signore.

Concludo con un plauso sincero ai singoli artisti, ai bravi solisti, ai componenti dell’orchestra del Teatro “alla Scala” e al coro dell’Opera di Chicago, che così magistralmente hanno saputo interpretare l’ispirata composizione.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.



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