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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
A DIRIGENTI E IMPRENDITORI  CRISTIANI
SULLA GIUSTIZIA NEGLI AMBIENTI DI LAVORO

24 novembre 1979

 

Cari e Illustri Signori!

Sono molto lieto e onorato di accogliere in questa aula delle Benedizioni voi, qualificati membri del Consiglio Nazionale, e voi, Dirigenti Regionali e Provinciali dell’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti. Saluto in voi tutti gli altri rappresentanti del vasto e complesso mondo degli organizzatori di imprese industriali, agricole e commerciali, cioè gli istitutori di lavoro, di impieghi e di addestramenti professionali.

Un saluto particolare va soprattutto al Cardinale Giuseppe Siri, vostro Consulente Morale Nazionale, che da oltre un trentennio vi assiste e vi incoraggia nel vostro sforzo nobile, sì, ma tanto delicato e difficile di animazione cristiana del mondo dell’economia. Saluto altresì il vostro Presidente, il quale ha desiderato, con voi tutti, questo incontro per esprimere a me, come già avete fatto in numerose altre occasioni con i miei venerati Predecessori Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, i sentimenti di fede e di devoto attaccamento alla Sede di Pietro, i quali hanno sempre ispirato ed ispirano codesta Unione fin dal suo sorgere, nel lontano 1947.

1. Il mio primo pensiero per voi, oggi, non può essere che di stima, di plauso e di incoraggiamento per la significativa presenza che voi, evitando ogni ostentazione, fate effettivamente sentire nella società. È un compito, il vostro, nel quale vedo adombrato un vero e proprio “servizio” civile e sociale: servizio a quanti sono impegnati nei vari campi dell’attività imprenditoriale. Naturalmente, non sono in grado di entrare nel merito delle caratteristiche specificamente tecniche di tale attività; né voi, penso, vi aspettate questo da me, a cui il Signore ha affidato l’ufficio pastorale di indicare in tutte le forme operose della vita umana la norma suprema per raggiungere la salvezza eterna. In questa prospettiva, che non è d’ordine economico, ma neppure estranea a qualsiasi realtà che tocca l’uomo, ho letto con la dovuta attenzione la Nota informativa, che il Signor Presidente, nel domandare questa udienza, ha voluto gentilmente rimettere, insieme ad un’ampia documentazione.

Mi compiaccio vivamente di codesta vostra attività, che sulla scia luminosa dei benemeriti fondatori del Sodalizio, porta avanti un discorso impegnato a far conoscere, accettare e applicare, da parte degli operatori economici, gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa nelle imprese, e a trovare in essa le ragioni capaci di giustificare, anzi di promuovere quell’ordine nuovo della società, fondato sul rispetto della persona umana e sulla promozione, armoniosa e fattiva, del bene comune, che risponde alle esigenze del Vangelo, e al quale anelano i popoli, delusi da tante promesse e da tante esperienze aliene o contrarie alla ispirazione di fede che è vostra. A questo tende il lavoro quotidiano della vostra Unione, sostenuta in questo dalla presenza dei suoi Consulenti Morali i quali, in mezzo ai Soci, hanno funzione di animatori e guide spirituali, discrete ed attive.

Ho preso conoscenza con altrettanto piacere del prezioso contributo che voi portate nelle analisi delle trasformazioni tecnologiche, economiche, politiche e culturali in atto in Italia, per apportarvi una visione cristianamente orientata. Tutto ciò voi fate mediante congressi, incontri, dibattiti e apprezzate pubblicazioni. Tra queste ultime mi piace ricordare la rivista “Operare”, della quale Paolo VI di venerabile memoria lodò lo spirito di perspicacia per aver saputo essa superare molte difficoltà “con la competenza dei suoi collaboratori, con la pazienza della sua ricerca in ogni aspetto della realtà considerata, con la sincerità delle sue opinioni, con la moderazione delle sue affermazioni, con l’ampiezza delle sue visuali” (cf. Paolo VI, Allocutio ad Sodales UCID, 7 febbraio 1966). Con non minor soddisfazione ho appreso l’impegno che voi mettete nel promuovere la ricerca metodica per la qualificazione dei futuri dirigenti o per la riqualificazione di quelli attuali mediante corsi di aggiornamento aziendale, seminari e attività congiunte con le Università di studi. Questo nobile intento, destinato ad aprire gli animi alla concezione moderna della società e a temprare le forze morali dei vostri associati, e di altri ancora, perché, oltre a possedere una rigorosa preparazione tecnica, imparino ad essere uomini cristianamente onesti, leali e generosi, merita apprezzamento e il pubblico riconoscimento. A voi perciò tutta la mia gratitudine e la mia paterna benevolenza!

2. Ma tutto ciò non basta! Voi considerate vostro dovere anche lo sforzo per venire incontro alle legittime istanze che salgono dai lavoratori delle vostre aziende. Occorre che l’imprenditore e i dirigenti di imprese facciano tutto quanto è in loro potere per dare udienza, debita udienza!, alla voce dell’operaio dipendente e per comprendere le sue legittime esigenze di giustizia ed equità, superando ogni tentazione egoistica tendente a rendere l’economia norma a se stessa. Voi sapete e volete ricordare a tutti che ogni disattenzione in questo settore è colpevole, ogni ritardo fatale. Tanti conflitti e antagonismi tra lavoratori e dirigenti affondano spesso le loro radici nel terreno infecondo del mancato ascolto, del dialogo rifiutato o indebitamente differito. Non è tempo perduto quello che vi fa incontrare personalmente i dipendenti, quello che vi permette di rendere i vostri rapporti con loro più umani e le vostre aziende più “a misura d’uomo”.

A voi non sfugge la situazione di tanti operai delle fabbriche, i quali, se costretti a vivere come in un reticolato artificiale, corrono il pericolo di sentirsi atrofizzati nella loro spontaneità interiore. La macchina, con i suoi automatismi rigidi, è ingrata e avara di soddisfazioni. Le stesse relazioni tra colleghi di lavoro, quando diventino spersonalizzate, non possono dare il necessario conforto o sostegno; e gli apparati di produzione, di distribuzione e di consumo spesso costringono gli operai a vivere in modo “massificato”, senza iniziative, senza scelte. A tale livello di disumanizzazione si può giungere quando la tavola dei valori viene rovesciata e si eleva il “produttivismo” a unico parametro del fenomeno industriale, quando viene negletta la dimensione interiore dei valori, quando si mira più alla perfezione dell’opera, che non alla perfezione di chi la compie, privilegiando così l’opera all’operatore, l’oggetto al soggetto. Qui il discorso, che d’altra parte a voi è familiare, tenderebbe ad ampliarsi, e porterebbe a parlare della questione più generale e universale dei diritti dell’uomo.

Ma esso ci porterebbe lontano; mi limito perciò a ricordare un breve passaggio della mia prima Enciclica, nella quale affermavo che la violazione dei fondamentali diritti umani “non può, in nessun modo, accordarsi con un qualsiasi programma che si autodefinisca “umanistico”. E quale programma sociale, economico, politico, culturale potrebbe rinunciare a questa definizione?” (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 17).

Voi siete ben certi che solo in questa prospettiva l’uomo – ogni uomo, sia imprenditore o dirigente, oppure collaboratore nei diversi settori, impiegatizio ed operaio – può ritrovare il suo senso profondo, essendo messo così in grado di esprimere i suoi talenti, di collaborare, di partecipare e di cooperare al retto funzionamento dell’impresa, di cui tutti sono, insieme, collaboratori e artefici.

In tal modo recupera anche la sua importante significazione il tempo destinato al lavoro, non meno di quello riservato al riposo. L’uno e l’altro fanno riscoprire all’uomo se stesso e insieme quei valori superiori dell’amore e della solidarietà che gli permettono di realizzare uno sviluppo integrale, che lo affranchi da possibili e sempre imminenti frustrazioni.

Ecco, cari fratelli, qualche indicazione, che vi possa essere di utilità nell’adempimento della vostra non facile e responsabile attività imprenditoriale e dirigenziale. Nel concludere, mi piace far mio l’augurio che il mio grande Predecessore, Paolo VI, vi rivolse nel suo ultimo discorso, a voi lasciato come testamento: “Che la vostra testimonianza cristiana contribuisca veramente a diffondere nell’ambiente imprenditoriale la convinzione della destinazione universale dei beni creati, i quali “devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo le regole della giustizia, che è inseparabile dalla carità” (Gaudium et Spes, 69). Possa il vostro esempio stimolare ad un uso dei redditi disponibili non arbitrario, né egoistico; possa soprattutto l’impostazione da voi data all’attività nell’impresa fare di questa una comunità di persone, nella quale ognuno si senta valorizzato nella propria dignità, mediante una responsabile partecipazione all’opera comune” (cf. Paolo VI, Allocutio ad Sodales UCID, 12 febbraio 1977). Questo augurio desidero avvalorare con la preghiera, mentre, invocando l’aiuto del Signore sulle vostre persone, sui vostri cari, su tutti gli iscritti a codesta Unione e sulle loro famiglie, a tutti di cuore imparto la Benedizione Apostolica.



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