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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLE MARCHE E DELL'UMBRIA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

5 dicembre 1981

 

Venerati fratelli nell’Episcopato!

1. Saluto con gioia in voi i degni Pastori delle arcidiocesi e diocesi delle Marche e dell’Umbria, che siete convenuti a Roma per la vostra visita “ad limina Apostolorum”, la quale, da tempo programmata, ci offre finalmente la lieta possibilità di un incontro atteso e fraterno. L’occasione, infatti, è la più propizia per rinnovare e rinsaldare quei vincoli di comunione, che legano da una parte i Vescovi con la Santa Sede e dall’altra il successore di Pietro con i suoi confratelli nel ministero episcopale. È così che si realizza quell’unità del gregge di Cristo, per la quale il nostro Salvatore ha ardentemente pregato (cf. Gv 17,11) e che si propone al mondo come esempio luminoso e fecondo di mutua solidarietà e cooperazione nel nome dell’unico e altissimo ideale cristiano.

La vostra presenza qui, oggi, rinnova per me in particolare il gaudio ripetutamente provato, quando mi fu dato di incontrarmi con varie Comunità cristiane delle vostre terre: a Loreto e ad Ancona, ad Assisi, a Norcia, a Terni, a Collevalenza e Todi. E rivedo, alla vostra presenza, l’esultanza e la fede di quanti, nelle diverse stazioni dei miei pellegrinaggi, mi hanno accolto con giubilo e mi hanno testimoniato nell’ascolto e nella comune preghiera la loro adesione a Cristo e il loro impegno a favore del suo Vangelo e della sua Chiesa. Di queste corroboranti esperienze ancora una volta ringrazio i generosi fedeli marchigiani e umbri e soprattutto voi, che ne portate la cura pastorale.

2. Una visita “ad limina”, venerati fratelli, è occasione di consultivi e di progetti, è tempo di constatazioni e di speranze. So che voi avete minutamente esaminato la situazione pastorale delle vostre diocesi con vivo senso di responsabilità, con realismo e con slancio insieme. E so che ciascuno di voi individualmente e ciascuna delle vostre Conferenze Episcopali regionali siete portatori di problemi molteplici e pressanti. Il trapasso dell’assetto sociale da un tipo di vita a cultura rurale ad un tipo nuovo, che si va man mano affermando, quello della piccola e media industria o dell’impresa cooperativa, ha certamente dei risvolti sull’impostazione o almeno sul timbro della vita cristiana delle popolazioni locali. Il rischio di un cristianesimo di superficie, insidiato da ideologie o visioni dell’uomo aliene o indifferenti, se non ostili, alla tradizione cristiana, richiede prese di posizione precise e illuminate. La crisi vocazionale, anche se non allarmante, spinge ad un impegno meditato e fermo, che si dovrà esercitare sia direttamente sulla chiamata di persone adatte al ministero pastorale, sia indirettamente nella formazione di famiglie e comunità cristiane dalla fede adulta e responsabile. So che ciascuno di questi problemi è oggetto della vostra attenzione e della vostra premurosa sollecitudine; e per ciascuno di essi assicuro la mia fraterna partecipazione alle vostre ansie e il mio compiacimento per il vostro zelo.

Così godo pure con voi per i segni, anzi i fermenti, che lasciano intravedere positivi sviluppi verso una promettente maturità cristiana delle vostre Comunità diocesane. L’impegno dei numerosi e benemeriti Ordini religiosi, presenti nelle vostre diocesi, il dinamismo di movimenti cattolici vari, l’istituzione di Corsi di teologia per Laici, la disponibilità da parte dei giovani e anzi la loro ricerca di un messaggio che valorizzi e promuova l’uomo nella sua interezza: questi sono altrettanti motivi di fiducia, che danno spazio e offrono materia a quanti hanno a cuore l’affermazione del Vangelo e la gloria di Dio.

3. Le vostre Regioni, poi, hanno caratteristiche peculiari di vita cristiana, che, mentre affondano le loro radici in un illustre passato, così è auspicabile incidano tuttora e in futuro sulla qualità ed intensità della specifica identità dei battezzati. Penso innanzitutto alla grande tradizione di santi fioriti sulle vostre terre. I nomi di Benedetto, Francesco, Chiara, Rita, Gabriele per l’Umbria; e poi Nicola da Tolentino, Giuseppe da Copertino e Maria Goretti per le Marche, sono universalmente noti. Ciascuno di questi santi corrisponde davvero ad una vivida sorgente luminosa posta in alto, “perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,15). Qual è l’invito che essi ancora e sempre rivolgono a tutti noi ed in special modo ai loro conterranei? È un chiaro stimolo a coltivare la vita interiore, la preghiera: in una parola, ad una sequela di Cristo, contrassegnata dalla santità.

Sappiamo bene che il mondo odierno offre all’uomo innumerevoli sollecitazioni di varia natura, di cui molte in pratica tendono a distoglierlo dalle realtà più importanti e disperderlo in altre di poco conto, scompigliando la scala dei genuini valori, sui quali si può impostare, crescere e nobilitare la sua vita terrena. E così si viene distratti, più o meno inconsciamente, dall’attenzione per la “sola cosa di cui c’è bisogno” (Lc 10,42). Ma la distrazione è come una fotografia mossa e sfocata, che finisce per tradire l’oggetto ritratto. Anche l’uomo d’oggi è esposto, forse più che mai, ad un simile travisamento di se stesso. Occorre invece che si metta a fuoco, cioè riscopra il meglio di sé, la propria originaria vocazione ad una dignità, che solo Dio può conferirgli e solo Gesù Cristo può restaurare. I santi che ho menzionato, se posso continuare nel paragone, sono delle fotografie riuscite: immagini, i cui netti contorni coincidono con le intenzioni divine su di loro. E proprio qui sta la lezione. Ma, appunto, si tratta di un ideale raggiungibile solo coltivando un rapporto di comunione, intimo e stabile, con il Signore. E ciò è possibile riconoscendo il primato dello spirituale, dell’interiorità, accogliendo in concreto e nel vissuto quotidiano la parola di Cristo: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Questo occorre instancabilmente proporre, e con impegno profetico richiamare; infatti è in gioco il bene dell’uomo, che solo Cristo aiuta ad essere “più uomo” (Gaudium et Spes, 41). Di qui promanano quei semplici doveri del cristiano, che lo portano insieme a manifestare ed a scoprire la bellezza della sua identità: leggere e meditare la Parola di Dio, essere sensibili alla vita della Chiesa, partecipare ai momenti di preghiera comunitaria, e in ogni cosa recare quell’atteggiamento di interiore colloquio col Signore, sempre cercandolo, magari “a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi” (At 17,27). E allora è auspicabile che si ripeta la meravigliosa avventura dei molti santi umbri e marchigiani, i quali certo non considerano i loro posteri preclusi al cammino da essi percorso.

4. Non posso, inoltre, dimenticare il ruolo del Santuario mariano di Loreto, meritatamente celebre per la sua incidenza sulla vita cristiana in Italia, ma prima di tutto nelle vostre zone. Esso conduce il nostro pensiero alla Madre di Gesù, che “sulla terra brilla innanzi al peregrinante Popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione” (Lumen Gentium, 68). Nel mistero di Cristo, che impronta di sé l’esistenza dei cristiani, ella ha un posto tutto particolare: quello della donna, che accoglie giubilando l’amore di Dio per lei e gli si dona completamente; e quello della madre, che genera il Verbo incarnato, accompagnandolo nella sua crescita umana, e dilata poi la sua maternità sulla Chiesa nascente (cf. At 1,14). Mediante l’imitazione di Maria, che, per la sua singolare santità, è colei che in massimo grado ha manifestato Cristo al mondo, la Chiesa progredisce nella fede, nella speranza e nella carità, divenendo essa stessa portatrice e quasi ostensorio del Salvatore a tutti gli uomini. Ma, come sappiamo, il Santuario di Loreto ci propone la Vergine-Madre dell’umile Casa di Nazaret e invita tutti i cristiani all’esercizio delle virtù quotidiane nell’ambito della famiglia e del lavoro. Soprattutto ci ricorda che anche nel nascondimento e nelle occupazioni più modeste si trova la presenza vivificante del Signore, che è con noi tutti i giorni (cf. Mt 28,20); e perciò è concretamente attuabile la nostra comunione con Lui. Pertanto, l’ancella del Signore (cf. Lc 1,38) sta davanti ai nostri occhi come fulgido punto di riferimento per modellarvi la pratica traduzione dei grandi ideali di dedizione al Padre, di unione a Cristo, di docilità allo Spirito, di servizio alla Chiesa, di rivelazione agli uomini. E come tale dobbiamo presentarla ai fedeli, perché ne traggano alimento per la loro fede e conforto nel loro impegno. Al di sopra di tutto, abbiamo la certezza che ella, Regina di tutti i santi perché tutti sono anche a lei debitori della propria sanità, intercede in nostro favore e soccorre premurosamente quanti a lei ricorrono con animo filiale.

5. Alla Madre di Dio, pertanto, venerati fratelli, rimettiamo fiduciosamente anche il nostro ministero episcopale. Alle sue cure materne affidiamo la nostra sollecitudine per le Chiese di cui siamo Pastori (cf. 2Cor 11,28). E tutti voi incoraggio vivamente a proseguire con zelo, intelligenza ed entusiasmo in quel servizio alle vostre Chiese, che già svolgete con encomiabile diligenza e amore.

Continuate ad armonizzare le esigenze delle vostre diocesi con quelle della Conferenza Episcopale Italiana, al fine di procedere sempre di comune accordo nelle programmazioni pastorali.

Soprattutto ci sia tra voi e il vostro Clero e le vostre Comunità diocesane quell’intima fraternità evangelica, così da poter dir loro con san Paolo: “Chi, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia” (1Ts 2,19-20). E che essi a loro volta possano dire altrettanto di voi.

Sappiate che faccio costantemente menzione di voi nelle mie preghiere, e tutti vi raccomando alla potenza di Colui, “che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni” (Fil 2,13).

E siate sempre fiduciosi nella forza della sua grazia, con la quale soltanto tutto possiamo (Fil 4,13), come lo furono gli intrepidi apostoli Pietro e Paolo, le cui tombe siete venuti a visitare in quest’Urbe.

Sono lieto di assicurarvi anche tutto il mio affetto, e di gran cuore imparto a ciascuno di voi una particolare benedizione apostolica, che amo estendere a quanti sono affidati al vostro ministero. 

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