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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL I CONVEGNO NAZIONALE
DEGLI OPERATORI DI PASTORALE PER LA FAMIGLIA
E AL CONVEGNO "LA FAMIGLIA ALLE RADICI
DELL'UOMO, DELLA NAZIONE, DELLA CHIESA"

7 dicembre 1981

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. A voi il mio saluto cordiale ed un benvenuto particolarmente affettuoso. Sono sinceramente lieto di questo incontro con una così qualificata rappresentanza del clero e del laicato cattolico: intervengono, infatti, all’udienza i partecipanti al Convegno indetto dalla Conferenza Episcopale italiana sul tema: “Comunione e comunità nella Chiesa domestica”; con essi sono pure presenti i componenti del Simposio, sul tema: “La famiglia alle radici dell’uomo, della Nazione, della Chiesa” promosso congiuntamente dall’Istituto Polacco per la Cultura Cristiana, dal Centro Culturale Massimiliano Kolbe e dalla Fondazione Juan Diego de Guadalupe.

Come non rallegrarsi del risveglio di interesse per la famiglia, che i due Convegni eloquentemente testimoniano? Se, infatti, v’è un campo sul quale urge far convergere l’impegno concorde dell’intera Comunità cristiana, questo è proprio quello della pastorale familiare, investito oggi da problemi particolarmente complessi e gravi.

Desidero, pertanto, esprimervi il mio compiacimento per quanto andate facendo in questo settore vitale sia per la Chiesa che per la società, e mi preme, altresì, valermi di questa circostanza per rivolgervi una calda parola di incoraggiamento, esortando ciascuno a perseverare con rinnovato entusiasmo nelle linee di azione insieme decise, nonostante le difficoltà che in un apostolato come il vostro certamente non mancano.

2. La domanda, a cui il Convegno organizzato dalla CEI ha cercato in questi giorni di dare una risposta – “la famiglia italiana è una comunità in comunione?” – è una delle domande centrali in questa delicata materia. La famiglia, infatti, in quanto istituita “fin dal principio” da Dio, possiede una sua verità propria, alla quale dobbiamo continuamente ritornare ed alla cui luce dobbiamo giudicare ogni situazione. Chiederci, pertanto, se la famiglia è una “comunità in comunione”, equivale a chiederci se la famiglia realizza veramente e interamente il progetto di Dio su di essa.

Nell’ascolto continuo e fedele della Parola di Dio e facendo tesoro di tutto ciò che l’esperienza dell’umanità ha percepito, la Chiesa è andata sempre più scoprendo il progetto divino che costituisce l’intima verità di ogni famiglia. Con intuizione particolarmente profonda il mio predecessore Paolo VI di venerabile memoria. ha espresso tale verità in questo modo sintetico: “Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione dei loro esseri in vista di un mutuo perfezionamento personale, per collaborare con Dio alla generazione ed educazione di nuove vite” (Paolo VI, Humanae Vitae, 8).

La famiglia è “comunità in comunione” quando, innanzi tutto, la comunità coniugale è in comunione.

Come leggiamo nel libro della Genesi (Gen 1,28), Dio creò l’uomo a sua immagine: chiamandolo all’esistenza per amore, lo chiamò, contemporaneamente, all’amore. Dato che Dio è amore e l’uomo è creato a sua immagine, la vocazione all’amore è stata inscritta, per così dire, organicamente in questa immagine, cioè nell’umanità dell’uomo, che Dio creò maschio e femmina.

È la realizzazione di questa immagine, è la verità profonda della comunione coniugale che rende possibile in radice la comunione familiare.

Con la vocazione all’amore infatti, è collegata in maniera inscindibile la vocazione al dono della vita.

La Chiesa ha sempre insegnato questa connessione inscindibile: l’amore coniugale è la sorgente della vita umana, e il dono della vita umana esige alla sua origine l’amore coniugale. È alla luce di questo rapporto, posto da Dio, che si comprende come la comunità familiare possa essere in comunione solo quando essa è il luogo dove l’amore genera la vita e la vita nasce dall’amore.

Nessuna di queste due realtà, amore cioè e vita, sarebbe autentica se fosse separata dall’altra: né l’amore coniugale esisterebbe secondo la misura intera della sua verità, né la vita umana avrebbe un’origine degna della sua grandezza unica. In una parola: la comunità coniugale non sarebbe in comunione piena né, di conseguenza, sarebbe in grado di far essere in comunione la comunità familiare.

3. “Il Signore – come insegna il Concilio Vaticano II, – si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare” l’amore coniugale “con uno speciale dono di grazia e di carità” (Gaudium et Spes, 49).

Risalire alle sorgenti della comunione coniugale e, quindi, della comunione familiare vuol dire risalire al Sacramento del matrimonio. In esso, infatti, l’uomo e la donna sono resi partecipi, come insegna la lettera agli Efesini (Ef 5,25-32), dello stesso atto di donazione compiutosi sulla Croce e sempre eucaristicamente presente nella Chiesa.

È questo atto che ricostruisce la comunione degli uomini con Dio e fra loro, distrutta dal peccato.

Mediante il Sacramento, l’uomo e la donna, liberati dalla durezza del loro cuore, sono capaci di realizzare, e nella loro comunità coniugale e nella loro comunità familiare, l’evento della comunione.

4. La vostra attenzione, tuttavia, è rivolta non tanto alla famiglia in genere, quanto piuttosto alla famiglia italiana. Voi intendete adoperarvi perché essa, nelle particolari condizioni in cui si trova, si senta chiamata ad entrare nell’eterno disegno del Creatore e del Redentore, e si impegni a congiungere in se stessa il mistero della vita e il mistero dell’amore, facendo si che operino insieme e si uniscano l’uno all’altro inseparabilmente, come Dio li ha congiunti.

Anche la famiglia italiana ha subito profonde trasformazioni in questi anni: trasformazioni che esigono dai cristiani una robusta capacità di discernimento, per sapere distinguere ciò che in esse vi è di positivo da ciò che vi è di negativo. Il criterio che deve guidare questo discernimento è quel progetto di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, di cui sopra ho parlato brevemente. Cercare altrove i criteri di discernimento avrebbe come inevitabile conseguenza la costruzione di comunità familiari che non sarebbero mai pienamente in comunione.

In particolare: non si deve dimenticare quanto ha insegnato il Concilio Vaticano II: “non può esserci vera contraddizione fra la legge divina del trasmettere la vita e quella di favorire l’autentico amore coniugale” (Gaudium et Spes, 51). Nella difesa della dottrina insegnata dalla enciclica Humanae Vitae, la Chiesa è consapevole di svolgere un servizio prezioso alla comunità coniugale, anzi all’uomo come tale: alla sua verità e alla sua dignità. Questo insegnamento deve essere fedelmente trasmesso nella catechesi sia degli sposi sia di coloro che si preparano al matrimonio. Silenzi, incertezze o ambiguità al riguardo, hanno come conseguenza di oscurare la verità umana e cristiana dell’amore coniugale.

Fatto ancor più distruttivo della comunione familiare è la piaga dell’aborto, che il Concilio chiama giustamente un “abominevole delitto” (Ivi). La testimonianza delle famiglie cristiane, al riguardo, deve essere limpida. Nessuna autorità umana può dichiarare legittimo ciò che la legge divina condanna: la vita di ogni uomo, anche dell’uomo già concepito e non ancor nato, merita un rispetto assoluto ed incondizionato. Se non si rispetta questo diritto primigenio, come è possibile, poi, parlare di diritti dell’uomo e di dignità della persona umana? Non c’è una patente contraddizione in tutto questo? Alla famiglia cristiana si apre, al riguardo, uno “spazio di carità” immenso: lo spazio dell’aiuto alle maternità difficili, dell’accoglienza, dell’impegno civile perché non si instauri nel costume una mentalità, nella quale non sia più percepito il valore assoluto della vita umana già concepita e non ancor nata.

5. Non meno stimolante è l’argomento affrontato nel Simposio promosso dalle Organizzazioni che ho menzionato all’inizio: la famiglia come luogo in cui nasce l’uomo, inteso in tutte le sue dimensioni.

La formulazione stessa del tema rivela la profonda convinzione – da me pienamente condivisa – circa il ruolo decisivo che la famiglia è chiamata a svolgere nel futuro dell’uomo, della società e dell’opera evangelizzatrice della Chiesa. La famiglia, infatti, è “la scuola di umanità più completa e più ricca” (Gaudium et Spes, 52); in essa si generano le molteplici relazioni personali, che costituiscono la vera misura dello sviluppo di una personalità. L’uomo che non è capace di aprirsi liberamente e personalmente, per amore, al rapporto con i suoi simili, non ha certo raggiunto la maturità della propria personalità.

Nella famiglia nascono quelle relazioni fondamentali di fraternità, che costituiscono la base stessa della fraternità sociale, grazie a cui gli uomini comunicano tra loro come veri fratelli, che camminano insieme sulla strada della vita, non come competitori, come estranei o addirittura come nemici, ma aiutandosi vicendevolmente a conseguire i loro più alti fini. È possibile vivere la fraternità solo quando c’è alla base una comune esperienza filiale. È questo il motivo per cui riveste tanta importanza la coscienza della paternità divina, della presenza di Dio Padre, che in Cristo ci rende suoi figli e, pertanto, fratelli fra noi, chiamati ad essere “sale della terra e luce del mondo”.

Non possiamo aspettarci una società rinnovata nei suoi valori senza un profondo rinnovamento della famiglia. Essa è generatrice e trasmettitrice di cultura. Non potremo giungere ad una efficace evangelizzazione della cultura senza evangelizzare profondamente la famiglia. Si tratta di una grande responsabilità, che è necessario mobilitare per difendere, rafforzare e stimolare all’impegno le famiglie cristiane, poiché da esse dipende in gran parte il destino della società e la sua evangelizzazione.

6. Se, come ho detto nell’enciclica Redemptor Hominis, l’uomo è “la prima e fondamentale via della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 14), e se è mediante la famiglia che egli accede compiutamente alla sua umanità, allora di deve concludere che tutta la Chiesa è impegnata nel servizio alla famiglia, per fa sì che essa diventi sempre più ciò che è chiamata ad essere.

Continuate, dunque, con slancio rinnovato cari fratelli e sorelle, nel vostro impegno apostolico. La causa è nobilissima: si tratta in definitiva di aiutare l’uomo di oggi ad amare l’amore umano e ad averne quella stima e quel rispetto, che sono dovuti alla sua preziosità.

Siate consapevoli, nella vostra azione, che io apprezzo il vostro impegno, lo stimolo col mio incoraggiamento e lo sostengo con la mia preghiera. A conferma di tali sentimenti sono lieto di impartire a voi, ai vostri familiari ed a quanti condividono gli ideali nei quali credete, l’apostolica benedizione, propiziatrice di ogni desiderato favore celeste.



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