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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 
AI PROVINCIALI DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

27 febbraio 1982

 

1. Sono particolarmente lieto di accogliervi oggi, carissimi fratelli in Cristo, in questo speciale incontro! Saluto di cuore il mio Delegato per la Compagnia di Gesù, Padre Paolo Dezza, ed il suo Coadiutore, Padre Giuseppe Pittau, e specialmente il venerato Preposito Generale, Padre Pedro Arrupe, e tutti voi, Assistenti e i Consiglieri della Curia Generalizia e 86 Padri Provinciali, che rappresentate davanti ai miei occhi i 26.000 Gesuiti, i quali, sparsi in ogni parte del mondo, sono impegnati a “servire all’unico Signore ed alla Chiesa sua Sposa, sotto il Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra”.

A questi sentimenti di sincera letizia per la vostra presenza, si aggiunge il doveroso sentimento di riconoscenza e di gratitudine, che – nella scia dei miei Predecessori – desidero rivolgere a tutta la Compagnia di Gesù ed ai suoi singoli Membri, per il contributo storico di apostolato, di servizio, di fedeltà a Cristo, alla Chiesa ed al Papa, dato da secoli con una generosità instancabile ed una dedizione esemplare in tutti i campi dell’apostolato, nei ministeri, nelle missioni. È un riconoscimento che, oggi, a nome della Chiesa tutta io rivolgo a voi, degni eredi di tali religiosi, che hanno fatto da quattro secoli e mezzo della “maggior gloria di Dio” il loro motto e il loro ideale.

Questa gratitudine e questa riconoscenza acquistano uno speciale significato nelle attuali circostanze, che si manifestano e sono oggettivamente delicate per il governo del vostro benemerito Ordine. È noto che, in seguito alla infermità che ha colpito il carissimo Padre Arrupe, ho giudicato opportuno di nominare un mio Delegato personale, ed un suo Coadiutore, per il governo dell’Ordine e per la preparazione della Congregazione Generale. La situazione, indubbiamente singolare ed eccezionale, ha suggerito un intervento, una “prova”, che – e lo dico con intensa commozione – sono stati accolti dai Membri dell’Ordine con spirito autenticamente ignaziano.

Ed esemplare e commovente è stato soprattutto, in tale delicata contingenza, l’atteggiamento del reverendissimo Preposito Generale, il quale ha edificato me e voi con la sua piena disponibilità alle superiori indicazioni, col suo generoso “fiat” alla volontà esigente di Dio, che si manifestava nella improvvisa ed inaspettata malattia, e nelle decisioni della Santa Sede. Tale atteggiamento, evangelicamente ispirato, è stato ancora una volta la conferma di quella totale e filiale obbedienza, che ogni Gesuita deve dimostrare verso il Vicario di Cristo.

Al Padre Arrupe, qui presente col silenzio eloquente della sua infermità, offerta a Dio per il bene della Compagnia, desidero dire, in questa occasione particolarmente solenne per la vita e per la storia del vostro Ordine, il grazie del Papa e della Chiesa!

Un sentimento di riconoscenza debbo pubblicamente manifestare anche al mio Delegato personale, il Padre Paolo Dezza, il quale, in spirito di perfetta obbedienza ignaziana ha accettato un peso ed un compito, particolarmente difficili, pesanti e delicati. Ma la sua profonda spiritualità, la sua vasta preparazione culturale, la sua consumata esperienza religiosa sono e saranno per la Compagnia una garanzia di fedeltà nella continuità. Analogo sentimento esprimo per il suo Coadiutore, il Padre Giuseppe Pittau, il quale ha per tanti anni lavorato nel Giappone, in quella nobile Nazione, nella quale il Padre Arrupe aveva profuso, specie dopo la terribile seconda guerra mondiale, i tesori della sua apostolica intrepidezza e generosità sacerdotale.

2. Viva soddisfazione ho il dovere di manifestare per l’analogo atteggiamento di obbedienza e di disponibilità fiduciosa, di cui hanno dato concreta dimostrazione in questo periodo gli Assistenti, i Consiglieri della Curia Generalizia come pure i Gesuiti di tutto il mondo. L’opinione pubblica, che forse attendeva dai Gesuiti un gesto dettato solo dalla logica umana, ha ricevuto, con ammirazione, una risposta, dettata invece dallo spirito del Vangelo; dallo spirito profondamente “religioso”, dallo spirito delle buone, autentiche tradizioni ignaziane.

Tale atteggiamento di obbedienza e di disponibilità è stato la risposta consapevole da parte della Compagnia di Gesù ad un gesto di amore, compiuto nei suoi riguardi dalla Santa Sede e dal Vicario di Cristo.

Sì, carissimi fratelli! La decisione, che è stata presa dalla Santa Sede, ha la sua profonda motivazione e la sua vera scaturigine nel particolare amore, che essa ha nutrito e nutre per il vostro grande Ordine, benemerito nel passato e protagonista del presente e del futuro della storia della Chiesa!

Da parte mia, poi, tale amore è dettato da uno speciale rapporto della Compagnia di Gesù alla mia persona ed al mio ministero universale, ma scaturisce anche dalla mia esperienza sacerdotale ed episcopale nell’arcidiocesi di Cracovia, come pure dalla speranza e dalle attese per quanto concerne la realizzazione dei compiti post-conciliari ed attuali della Chiesa.

In tale clima di serena accoglienza della volontà di Dio, voi, in questi giorni, state riflettendo nella meditazione e nella preghiera sul modo migliore di rispondere alle attese del Papa e del Popolo di Dio, in un periodo di polarizzazioni e di contraddizioni, che contraddistinguono la società contemporanea. Oggetto delle vostre riflessioni, animate dal “discernimento” ignaziano, sono i problemi fondamentali della identità e della funzione ecclesiale della Compagnia: il “sentire cum Ecclesia”; l’apostolato; la qualità della vita religiosa del gesuita; la formazione; che cosa attende la Chiesa dalla Compagnia di Gesù.

3. Guardando, in questo nostro incontro, il vostro gruppo qualificato di Figli di sant’Ignazio, si offre alla mia considerazione la visione del vostro Ordine e della sua gloriosa storia.

È noto a tutti coloro che conoscono la storia della Chiesa come e quanto la Compagnia di Gesù, sorta al tempo del Concilio di Trento, abbia efficacemente contribuito all’attuazione degli orientamenti di quel Concilio ed alla immissione nella Chiesa stessa di quella corrente di vitalità, che esso apportò.

È però opportuno riflettere sul passato del vostro Ordine per cogliere le note fondamentali di questo processo e gli aspetti più ricchi e positivi del modo in cui la Compagnia vi contribuì: essi saranno come delle luci guida, dei fari indicatori di ciò che la Compagnia di oggi, spinta dal dinamismo tipico del carisma del suo Fondatore, ma in autentica fedeltà ad esso, può e deve fare per favorire ciò che lo Spirito di Dio ha suscitato nella Chiesa col Concilio Vaticano II.

Ripercorrendo i quattro secoli e mezzo della sua storia, emergono alcuni elementi di autentico valore: sono quelli che caratterizzano la vita e la missione di quel Corpo, che per volere d’Ignazio è la Compagnia di Gesù.

La prima preoccupazione di Ignazio e dei suoi compagni fu quella di promuovere un autentico rinnovamento della vita cristiana. La situazione della società e della Chiesa erano tali che solo l’opera di uomini di Dio poteva avere incidenza e dare un apporto di vitalità santificatrice.

Sull’esempio di Gesù, che percorse “tutte le città ed i villaggi, insegnando nelle sinagoghe, predicando il Vangelo del regno” (Mt 9,35), i primi compagni, inviati dall’obbedienza, andarono pellegrinando nelle varie città, diffondendo la buona novella ed apportando un soffio di vita santa; è l’inizio di quelle missioni popolari, destinate a servire il popolo cristiano, a istruirlo nella fede ed a portarlo ad una coerenza di vita; missioni popolari che avranno in seguito un rigoglioso sviluppo ed un vasto benefico influsso.

Per un più profondo rinnovamento nella vita cristiana si rivelano mezzo particolarmente efficace gli “esercizi spirituali” di sant’Ignazio, che hanno segnato un’orma indelebile nella storia della spiritualità. Negli esercizi si formarono i primi compagni e i loro successori, e con gli esercizi essi divennero le guide spirituali di innumerevoli fedeli, li aiutarono a scoprire la loro vocazione secondo il piano di Dio ed a divenire degli autentici cristiani impegnati, qualunque fosse il loro stato di vita.

4. Accanto alla direzione spirituale fu cura sollecita della Compagnia la diffusione della vera dottrina cattolica, tra i dotti e gli indotti, dai fanciulli ai più anziani. I due santi Dottori della Chiesa gesuiti, san Pietro Canisio e san Roberto Bellarmino, furono gli autori di due celebri catechismi per i fanciulli e furono insieme maestri ammirati, il primo coinvolto nelle discussioni teologiche del Concilio di Trento, il secondo difensore della fede dalle cattedre di Lovanio e di Roma.

Per un simile intento sant’Ignazio, e dopo di lui la Compagnia, si fecero premura dell’educazione della gioventù: fondarono e moltiplicarono i collegi nei quali, seguendo un nuovo sistema pedagogico – la celebre Ratio Studiorum – miravano a dare una formazione integrale della persona umana, per forgiare degli uomini che, eminenti negli studi ed in ogni professione, fossero insieme degli eminenti cristiani.

Tutto ciò avveniva in un tempo, in cui il mondo, e particolarmente l’Europa, erano in trasformazione, anzi ad una svolta decisiva nel campo letterario e scientifico. In questo processo si inserirono vigorosamente letterati e scienziati gesuiti, svolgendo un’opera di pionieri “ad maiorem Dei gloriam”, favorendo cioè quello sviluppo cristiano dell’uomo che, quando si realizza, è in gloria di Dio.

5. Guardando poi ad un settore di vitale importanza per la Chiesa, la preoccupazione di sant’Ignazio, e dietro a lui della Compagnia, fu quella dei seminari e dei centri superiori di studio per la formazione del clero. A sant’Ignazio si deve la fondazione del tanto benemerito Collegio Romano, divenuto l’Università Gregoriana, e parimente la fondazione del Collegio Germanico, al quale seguirono, spesso con la collaborazione di tanti gesuiti, gli altri Collegi nazionali in Roma, per preparare alla Chiesa leve di sacerdoti, dotati di sana dottrina e di solida virtù, che divennero zelanti apostoli nelle proprie patrie e non di rado martiri della fede.

In connessione con questi centri di studio, la Compagnia ha dato un validissimo contributo nel campo delle scienze sacre, di particolare importanza per la Chiesa; e la folta schiera dei gesuiti cultori della teologia, dell’esegesi biblica, della patrologia, della storia ecclesiastica, della morale e del diritto canonico e di tante altre scienze connesse con gli studi sacri.

Ma la visione di sant’Ignazio si apri ad orizzonti ancora più vasti, tanto quanto era vasto il mondo, che in seguito alle recenti scoperte geografiche aveva preso più ampie dimensioni. È l’anelito di Cristo, che vibrava nel cuore del Santo, e nel cuore di quanti, condividendo il suo spirito, si offrirono interamente a “nostro Signore, re eterno”, la cui “volontà è di conquistare tutto il mondo” (S. Ignazio di Loyola, Spir. Ex., 95).

Il gruppo dei primi compagni di Ignazio era piccolo; eppure il Santo mandò in Oriente san Francesco Saverio, il primo di quella ininterrotta schiera di missionari gesuiti che in Oriente e in Occidente furono “inviati” ad annunciare il Vangelo, ed ardenti di zelo apostolico, erano pronti a dare la vita per testimoniare la loro fede, come attestano i numerosi Martiri della Compagnia.

Mentre lo scopo primario della loro missione era quello di comunicare la fede e la grazia di Cristo, essi si sforzarono insieme di elevare il livello urnano e culturale delle popolazioni, in mezzo alle quali lavoravano, di promuovere una vita sociale più giusta e più rispondente ai disegni di Dio, per cui sono tutt’ora ricordate nella storia le famose Riduzioni del Paraguay.

La generosità e lo slancio di questi missionari attiravano nuove leve; le lettere di san Francesco Saverio toccavano il cuore degli studenti universitari di Parigi. Similmente fecero la vita e gli scritti di tanti altri noti apostoli del regno di Cristo, ai quali va aggiunto uno stuolo anonimo di santi religiosi, che nelle sperdute terre di missione hanno sacrificato la loro vita nell’umiltà e nel nascondimento.

Fra i tanti missionari gesuiti desidero nominarne uno, perché il suo ricordo è oggi di particolare attualità: il Padre Matteo Ricci, di cui stiamo per celebrare il quarto centenario del suo ingresso nella Cina; quel grande Paese che era stato il sogno di san Francesco Saverio, morto trent’anni prima nell’isola di Sanciano, alle porte di quella Cina che è stata e vuole ritornare ad essere un campo privilegiato dell’apostolato della Compagnia.

Così nel corso della sua storia, la Compagnia di Gesù, in ogni parte del mondo, dove si combatteva per Cristo e per la sua Chiesa, è stata presente con i suoi figli migliori, ardenti di zelo, armati di virtù, forniti di dottrina, fedeli alle direttive del loro capo, del Vicario di Cristo, il Romano Pontefice.

Questa è la Compagnia di Gesù che la storia pone dinanzi al nostro sguardo; la Compagnia di Gesù che i nemici di Cristo hanno perseguitato fino ad ottenerne la soppressione, ma che la Chiesa ha fatto risorgere, sentendo il bisogno di figli così valorosi e devoti, sui quali i Papi hanno fatto affidamento nel passato e sui quali il Papa vuole fare affidamento anche per il futuro.

 

6. Si j’ai parlé de la Compagnie dans le passé en vue de recueillir les traits marquants de sa vie et de sa mission, c’est parce que je pense à la Compagnie d’aujourd’hui et à ce qu’en attend l’Eglise pour le présent et pour l’avenir.

Qui observe la richesse de l’apport que votre Ordre a fourni à la vie de l’Eglise et du monde et arrive à mettre en valeur ses aspects principaux, ne peut manquer de voir ce qui fut pour saint Ignace une des notes les plus caractéristiques de l’Ordre fondé par lui sous l’impulsion du Saint-Esprit.

Dans son histoire en effet la Compagnie de Jésus s’est toujours distinguée, à travers les formes multiples et variées de son ministère apostolique, par la mobilité et par le dynamisme que son fondateur lui a infusés et qui l’ont rendue capable de saisir les signes des temps et par là d’être à l’avant-garde du renouveau voulu par l’Eglise.

En vertu de la vocation apostolique et missionnaire qui est la vôtre, les membres du corps choisi que vous formez par la volonté de saint Ignace et de l’Eglise, se trouvent, selon les paroles que vous adressait Paul VI “en première ligne du renouvellement profond que l’Eglise, particulièrement après le second Concile du Vatican, s’efforce de réaliser dans ce monde sécularisé. Votre Compagnie est, pour ainsi dire, un test de la vitalité de l’Eglise à travers les siècles; elle constitue en quelque sorte un carrefour où se rencontrent d’une manière très significative les difficultés, les tentations, les efforts et les entreprises, la pérennité et les succès de l’Eglise entière”.

Eh bien! Comme vous le disait déjà mon vénéré prédécesseur, l’Eglise attend aujourd’hui de la Compagnie qu’elle contribue efficacement à la mise en œuvre du Concile Vatican II, comme, au temps de saint Ignace et bien après, elle déploya tous ses efforts pour faire connaître et appliquer le Concile de Trente, et pour aider de manière remarquable les Pontifes romains dans l’exercice de leur magistère suprême.

7. Permettez-moi d’insister une fois de plus et solennellement sur l’interprétation exacte du récent Concile. Il s’agissait et il s’agit toujours d’une œuvre de renouvellement ecclésial à l’écoute de l’Esprit Saint. Sur ce point capital, les documents conciliaires sont d’une clarté sans nulle autre pareille. Et ce renouvellement de fidélité et de ferveur dans tous les domaines de la mission de l’Eglise – mûri et exprimé dans l’écoute collégiale de l’Esprit de Pentecôte – doit être également accueilli et vécu maintenant selon le même Esprit, et non selon des critères personnels ou des théories psycho-sociologiques. C’est pour mieux accomplir ce travail au sein du peuple de Dieu que les contemplatifs et les religieux qui pratiquent la vie apostolique ont été appelés par le même Concile à une rénovation de leur existence évangélique. Le décret “Perfectae Caritatis” exprime avec clarté et ferveur ces critères de rénovation. En leur étant fidèle, il n’y a plus de place pour les déviations certainement nuisibles à la vitalité des communautés et de l’Eglise tout entière. Il m’apparaît que la Compagnie de Jésus, toujours plus imprégnée de l’esprit du véritable renouveau, sera en mesure de jouer pleinement son rôle aujourd’hui comme hier et toujours: à savoir aider le Pape et le Collège apostolique à faire avancer toute l’Eglise sur la grande voie tracée par le Concile, et à convaincre ceux qui sont hélas tentés par les chemins soit du progressisme soit de l’intégrisme, à revenir avec humilité et avec joie à la communion sans ombres avec leurs Pasteurs et avec leurs frères qui souffrent de leurs attitudes et de leur absence. Ce labeur patient et délicat est assurément l’œuvre de toute l’Eglise. Mais, dans la fidélité à votre Père saint Ignace et à tous ses fils, vous devez aujourd’hui vous lever comme un seul homme pour cette mission d’unité dans la vérité et la charité.

Le quatrième vœu de la Compagnie fut précisément compris par saint Ignace comme l’expression vivante et vitale de la conscience que la mission du Christ se prolonge dans le temps et dans l’espace en ceux qui, appelés par lui à le suivre et à partager ses travaux, font leur ses sentiments et vivent par là en intime union avec lui et, par le fait, avec son Vicaire sur la terre.

Voilà pourquoi saint Ignace et ses premiers compagnons, voulant participer à la mission du Christ, qui continue dans l’Eglise, décidèrent de se mettre sans conditions à la disposition du Vicaire du Christ et de se lier à lui par “un vœu spécial, si bien que cette union avec le successeur de Pierre, qui est le caractère spécifique des membres de la Compagnie, a toujours assuré votre communion avec le Christ, dont elle est le signe; car le Christ est le chef premier et suprême de la Compagnie qui, par définition, est à lui la Compagnie de Jésus”.

8. En raison de cette note distinctive et caractéristique de votre Ordre, l’Eglise attend donc en premier lieu que vous adaptiez les différentes formes d’apostolat traditionnel qui conservent encore aujourd’hui toute leur valeur, travaillant pour renouveler la vie spirituelle des fidèles, l’éducation de la jeunesse, la formation du clergé, des religieux et des religieuses, l’activité missionnaire; cela comporte catéchèse, proclamation de la Parole de Dieu, diffusion de la doctrine du Christ, pénétration chrétienne dans le domaine de la culture d’un monde qui cherche à établir une division et une opposition entre science e foi, activité pastorale pour les pauvres, les opprimés, les marginaux, exercice du ministère sacerdotal dans toutes ses expressions authentiques, sans oublier les nouveaux moyens d’apostolat dont dispose la societé moderne, comme la presse et les media, en perfectionnant l’usage que la Compagnie en a déjà fait durant l’époque récente.

En outre, l’Eglise désire voir la Compagnie s’intéresser toujours davantage aux initiatives que le second Concile du Vatican a particulièrement encouragées:

– l’œcuménisme, pour réduire le scandale de la division entre chrétiens. Voici plus de vingt ans que l’Eglise a créé le Secrétariat pour l’Unité des chrétiens: il importe que dans un monde qui se déchristianise ceux qui croient en Dieu et dans le Christ collaborent entre eux;

– l’approfondissement des relations avec les religions non chrétiennes, poursuivi par le Secrétariat pour les non chrétiens, et la présentation de la vie et de la doctrine chrétiennes d’une manière adaptée aux différentes cultures, qui tienne compte avec grande sensibilité des traits caractéristiques et des richesses de chacune;

– les études et les initiatives concernant le phénomène préoccupant de l’athéisme, encouragées par le Secrétariat pour les non croyants, vous rappelant la charge que vous a confiée Paul VI de “résister vigoureusement et de toutes vos forces à l’athéisme”.
Il y a encore un point sur lequel je voudrais attirer votre attention. De nos jours, on ressent avec une urgence toujours plus grande dans l’action évangélisatrice de l’Eglise, la nécessité de promouvoir la justice. Si l’on tient compte des véritables exigences de l’Evangile et en même temps de l’influence qu’exercent les conditions sociales sur la pratique de la vie chrétienne, on comprend facilement pourquoi l’Eglise considère la promotion de la justice comme une partie intégrante de l’évangélisation. Il s’agit d’un domaine important de l’action apostolique. Dans ce domaine tous n’ont pas la même fonction et, en ce qui concerne les membres de la Compagnie il ne faut pas oublier que la nécessaire préoccupation pour la justice doit s’exercer en conformité avec votre vocation de religieux et de prêtres. Comme je l’ai dit le 2 juillet 1980 à Rio de Janeiro, le service sacerdotal “s’il veut vraiment demeurer fidèle à lui-même, est un service par excellence et essentiellement spirituel. Ce caractère doit être encore accentué aujourd’hui contre les tendances multiformes à séculariser le service du prêtre en le réduisant à une fonction purement philantropique. Son service n’est pas celui du médecin, de l’assistant social, du politique ou du syndicaliste. Dans certains cas, peut-être, le prêtre pourra prêter ces services, bien que d’une manière supplétive, et dans le passé il les a prêtés d’une façon remarquable. Mais aujourd’hui ils sont rendus de façon convenable par d’autres membres de la société, tandis que notre service est toujours plus clairement et plus spécifiquement un service spirituel. C’est sur le terrain des âmes, de leurs relations avec Dieu et de leur rapport intérieur avec leurs semblables que le prêtre a une fonction essentielle à remplir. C’est là qu’il doit déployer son assistance aux hommes de notre temps. Certes, toutes les fois que les circonstances l’exigeront, il ne pourra se dispenser de fournir aussi une assistance matérielle par le moyen des œuvres de charité et par la défense de la justice.

Mais, comme je l’ai dit, c’est-à-dire en dernière analyse, il s’agira d’un service secondaire qui ne doit jamais faire perdre de vue le service principal, qui est d’aider les âmes à découvrir le Père, à s’ouvrir à lui et à l’aimer en toutes choses”.

Déjà le second Concile du Vatican a mis en lumière la valeur et la nature de l’apostolat des laïcs et les a exhortés à prendre leur part dans la mission de l’Eglise; mais le rôle des prêtres et des religieux est différent. Ils n’ont pas à prendre la place des laïcs et ils doivent encore moins négliger la charge qui leur est spécifiquement propre.

 

Traduzione italiana del discorso pronunciato in lingua francese

6. Se ho parlato della Compagnia nel passato in vista di raccogliere i tratti caratteristici della sua vita e della sua missione, è perché penso alla Compagnia d’oggi e a ciò che si attende da essa la Chiesa per il presente e per l’avvenire.

Chi osserva la ricchezza dell’apporto che il vostro Ordine ha offerto alla Chiesa e dato al mondo e giunge a mettere in valore i suoi aspetti principali, non può fare a meno di notare ciò che per Sant’Ignazio fu una delle note più caratteristiche dell’Ordine fondato da lui sotto l’impulso dello Spirito Santo.

Nella sua storia in effetti la Compagnia di Gesù si è sempre distinta, attraverso molteplici e varie forme del suo ministero apostolico, per la mobilità e il dinamismo che il suo fondatore ha infuso ad essa e che l’hanno resa capace di cogliere i segni dei tempi e attraverso questo di essere all’avanguardia del rinnovamento voluto dalla Chiesa.

In virtù della vostra vocazione apostolica e missionaria i membri del corpo scelto che voi formate per volontà di Sant’Ignazio e della Chiesa si trovano, secondo le parole che vi ha indirizzato Paolo VI “in prima linea del rinnovamento profondo che la Chiesa, particolarmente dopo il Concilio Vaticano II si sforza di realizzare in questo mondo secolarizzato. La vostra Compagnia è, per così dire, un test della vitalità della Chiesa attraverso i secoli: essa costituisce in qualche modo un crocevia in cui si incontrano in modo molto significativo le difficoltà, le tentazioni, gli sforzi e le imprese, la perennità e i successi della Chiesa intera” (Paolo VI, Allocutio ad Patres XXXIIae Congregationis Generalis Societatis Iesu, die 3 dec. 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 1156ss.).

Come vi ha detto già il mio venerato predecessore, la Chiesa attende oggi dalla Compagnia che essa contribuisca efficacemente alla messa in opera del Concilio Vaticano II, come, ai tempi di Sant’Ignazio e subito dopo, essa dispiegò tutti i suoi sforzi per far conoscere e applicare il Concilio di Trento, e per aiutare in modo essenziale i Romani Pontefici nell’esercizio del loro magistero supremo.

7. Permettetemi di insistere una volta di più e solennemente sull’interpretazione esatta del recente Concilio. Si trattava e si tratta sempre di un’opera di rinnovamento ecclesiale in ascolto dello Spirito Santo. Su questo punto di capitale importanza i documenti conciliari sono di una chiarezza senza pari (cf. Lumen gentium, 4. 7. 9; cf. Gaudium et spes, 21 § 5 et 43 § 6). E questo rinnovamento di fedeltà e di fervore in tutti i campi della missione della Chiesa – maturato ed espresso nell’ascolto collegiale dello Spirito della Pentecoste – deve essere ugualmente accolto e vissuto ora secondo lo stesso Spirito e non secondo i criteri personali o teorie fisico-sociologiche.

E per meglio compiere questo lavoro in seno al popolo di Dio che i contemplativi e i religiosi che praticano la vita apostolica sono stati chiamati dal medesimo Concilio a un rinnovamento della loro esistenza evangelica. Il decreto Perfectae caritatis (Perfectae Caritatis, 2 et 3) esprime con chiarezza e fervore questi criteri di rinnovamento. Essendo fedeli ad essi, non c’è più posto per le deviazioni certamente nocive per la vitalità delle comunità e della Chiesa intera. Mi sembra che la Compagnia di Gesù, sempre più impregnata dello spirito di un vero rinnovamento, sarà in grado di giocare pienamente il suo ruolo oggi come ieri e sempre: saper aiutare il Papa e il collegio apostolico a far avanzare tutta la Chiesa sulla grande via tracciata dal Concilio, e a convincere coloro che sono ahimè tentati dalle vie sia del progressismo sia dell’integrismo a ritornare con umiltà e con gioia nella comunione senza ombra coi loro Pastori e con i loro fratelli che soffrono dei loro atteggiamenti e della loro assenza. Questo lavoro paziente e delicato e sicuramente l’opera di tutta la Chiesa. Ma, nella fedeltà al vostro padre Sant’Ignazio e a tutti i suoi figli, dovete oggi levarvi come un sol uomo, per questa missione di unità nella verità e carità.

Il quarto voto della Compagnia fu precisamente compreso da Sant’Ignazio come l’espressione vivente e vitale della coscienza che la missione di Cristo si prolunga nel tempo e nello spazio in coloro che, chiamati da lui a seguirlo e a condividere le sue pratiche (cf. S. Ignazio di Loyola, Spir. Ex., nn. 91-98), fanno propri i suoi sentimenti, vivendo attraverso ciò in intima unione con lui e con il suo Vicario sulla terra.

Ecco perché Sant’Ignazio e i suoi primi compagni, volendo partecipare alla missione di Cristo, che continua nella Chiesa, decisero di mettersi senza condizione a disposizione del Vicario di Cristo e di legarsi a lui con “un voto speciale, così che questa unione con il successore di Pietro, che è il carattere specifico dei membri della Compagnia, ha sempre assicurato la vostra comunione con Cristo, di cui essa è segno; perché Cristo è il capo primo e supremo della Compagnia che per definizione è la Compagnia di Gesù” (Paolo VI, Allocutio ad Patres XXXIIae Congregationis Generalis Societatis Iesu, die 3 dec. 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 1156ss.).

8. In ragione di questa nota distintiva e caratteristica del vostro Ordine, la Chiesa si aspetta dunque in primo luogo che voi adempiate alle differenti forme di apostolato tradizionale che conservano ancora oggi tutto il loro valore, lavorando per rinnovare la vita spirituale dei fedeli, l’educazione della gioventù, la formazione del clero, dei religiosi e delle religiose, l’attività missionaria; questo comporta catechesi, proclamazione della Parola di Dio, diffusione della dottrina di Cristo, penetrazione cristiana nel campo della cultura di un mondo che cerca di stabilire una divisione e un’opposizione tra scienza e fede, attività pastorale per i poveri, gli oppressi, gli emarginati, esercizio del ministero sacerdotale in tutte le sue espressioni autentiche, senza dimenticare i nuovi mezzi di apostolato di cui dispone la società moderna, come la stampa e i mass media, perfezionandone l’uso che la Compagnia ha già fatto durante l’epoca recente.

Inoltre, la Chiesa desidera vedere la Compagnia interessarsi sempre più alle iniziative che il Concilio Vaticano II ha particolarmente incoraggiato:

– l’ecumenismo per ridurre lo scandalo della divisione tra i cristiani. Sono più di venti anni che la Chiesa ha creato il Segretariato per l’unità dei cristiani: è necessario che in un mondo che si sta scristianizzando coloro che credono in Dio e in Cristo collaborino tra loro;

– l’approfondimento delle relazioni con le religioni non cristiane, perseguito dal Segretariato per i non cristiani, e la presentazione della vita e della dottrina cristiane in una maniera adeguata alle differenti culture, che tenga conto con grande sensibilità dei tratti caratteristici e delle ricchezze di ciascuna;

– gli studi e le iniziative concernenti il preoccupante fenomeno dell’ateismo, incoraggiati dal Segretariato per i non credenti, ricordandovi l’impegno che vi ha affidato Paolo VI di “resistere vigorosamente e con tutte le vostre forze all’ateismo” (Paolo VI, Allocutio ad Patres XXXIae Congregationis Generalis Societatis Iesu, die 7 maii. 1965: Insegnamenti di Paolo VI, III [1965] 262ss.).

C’è ancora un punto sul quale vorrei attirare la vostra attenzione. Ai nostri giorni, si risente con un’urgenza sempre più grande nella azione evangelizzatrice della Chiesa, la necessità di promuovere la giustizia. Se si tiene conto delle vere esigenze del Vangelo e nello stesso tempo dell’influenza che esercitano le condizioni sociali sulla pratica della vita cristiana, si comprende facilmente perché la Chiesa considera la promozione della giustizia come una parte integrante dell’evangelizzazione. Si tratta di un campo importante dell’azione apostolica. In questo campo non tutti hanno la medesima funzione e, in ciò che concerne i membri della Compagnia, non bisogna dimenticare che la necessaria preoccupazione per la giustizia deve esercitarsi in conformità con la vostra vocazione di religiosi e di preti. Come ho già detto il 2 luglio 1980 a Rio de Janeiro, il servizio sacerdotale “se vuole veramente restare fedele a se stesso, è un servizio per eccellenza e essenzialmente spirituale.

Questo carattere deve essere ancora accentuato oggi contro le tendenze multiformi a secolarizzare il servizio del prete riducendolo ad una funzione puramente filantropica. Il suo servizio non è quello del medico, dell’assistente sociale, del politico o del sindacalista. In certi casi, è possibile, il prete potrà prestare i suoi servizi, anche se in maniera suppletiva, e nel passato egli li ha prestati in maniera notevole. Ma oggi questi servizi sono forniti in maniera conveniente da altri membri della società mentre il nostro servizio è sempre più chiaramente e precisamente un servizio spirituale. È sul terreno delle anime, dei loro rapporti con Dio e del loro rapporto interiore con i loro simili che il prete ha una funzione essenziale da compiere. È qui che egli deve svolgere la sua assistenza agli uomini del nostro tempo. Certo, tutte le volte che le circostanze lo esigeranno, non potrà dispensarsi dal fornire anche un’assistenza materiale, attraverso opere di carità e la difesa della giustizia. Ma, come ho già detto in ultima analisi, si tratterà di un servizio secondario che non deve far mai perdere di vista il servizio principale, che è quello di aiutare le anime a scoprire il Padre, ad aprirsi a Lui e ad amarlo in tutte le cose”.

Già il Concilio Vaticano II ha messo in luce il valore e la natura dell’apostolato dei laici e li ha esortati a prendere il loro posto nella missione della Chiesa; ma il ruolo dei preti e dei religiosi è diverso. Non devono prendere il posto dei laici e devono ancora meno dimenticare l’impegno che è loro specificatamente proprio.

9. Your Constitutions lay down clearly those prerequisites which are necessary if the Society of Jesus is to contribute efficaciously to the implementation of the Conciliar Decrees as the Church expects her to do.

First there is the prolonged, solid formation of the future apostles ot the Society. In the same Formula of the Institute, after describing the way typical of the Society, Ignatius writes: “By experience we have learned that the path has many and great difficulties connected with it. Consequently we have judged it opportune to decree that no one should be permitted to pronounce his profession in this Society unless his life and doctrine have been probed by long and exacting tests”.

You must not yield to the easy temptation of watering down this formation which has such importance in each and every one of its aspects, spiritual, doctrinal, disciplinary and pastoral; the ensuing damage would outweigh by far any results which could perhaps be achieved right away.

Remember that even in the ways of your Founder, the Society was faced with the anguishing problem which faces you today. Even then there were too few apostles, apt and ready, to cope adequately with the pastoral needs.

10. However, you must bear in mind that this long and exacting preparation has as its primary aim, the formation of men who are outstanding because of their intimate union with God. In fact, Ignatius was convinced that all apostolic activity has value and is efficacious only if it flows from that “union between the instrument and God” of which he so often speaks. The primacy of the interior life is the very foundation of Ignatius’ vision and spirituality; it constitutes the inner core of an authentic apostolic life, because the true apostle lives out his mission in total dependence on God and in union with him.

Your Founder and with him his first companions were indeed men of God; in answer to the freely-given call of the Eternal King, and having understood interiorly the Spirit which animated Jesus himself, the One sent by the Father, they lived as the Lord asked his Apostles to live, when he said to them: “Abide in me, and I in you. As the branch cannot bear fruit by itself, unless it abides in the vine, neither can you, unless you abide in me. I am the vine, you are the branches. He who abides in me, and I in him, he it is that bears much fruit, for apart from me you can do nothing”.

Yet again, in virtue of what is the richest element in the spirit of your Founder, I beg you to reflect on the deepest meaning of the “Contemplation for Obtaining Love”, by which the apostolic man lives in the awareness of the reality that “all gifts and benefits come from above. My moderate ability comes from the Supreme Omnipotence on high, as do my sense of justice, kindliness, charity, mercy and so on, like sunbeams from the sun or streams from their source...”. Such is the spirit of the true apostle who lives his mission in total dependence on God and in union with him.

For this reason in apostolic religious life of which St. Ignatius, under God’s impulse, was one of the great Founders, there should be no separation between the interior life and the apostolate. These are the two essential and constitutive elements of this life: they are inseparable, and they mutually influence and compenetrate each other.

11. Together with solidity of virtue, your Constitutions insist on a solidity and soundness of doctrine, such as is essential for an efficacious apostolate. Consequently “The Jesuits were universally considered to be a support for the doctrine and discipline of the whole Church. Bishops, priests and lay people used to look upon the Society as an authentic nourishment for the interior life”. The same should remain true in the future by means of that loyal fidelity to the Magisterium of the Church, and in particular of the Roman Pontiff, to which you are in duty bound.

12. In fact, a special bond binds your Society to the Roman Pontiff, the Vicar of Christ on earth.

As I have already mentioned above, St. Ignatius and his companions, having spiritually grasped the true meaning and value of the mission of Christ, and how it is prolonged in history, attached capital importance to this bond of love and service to the Roman Pontiff, so much so that they wished this “special vow” to be a characteristic element of the Society. Whilst describing their own interior disposition, and what they expected of those who would later be admitted to the Professed Body of the Society, they wrote those words which are, and must remain engraved in the heart of every Jesuit worthy of the name: “For the sake of our greater devotion in obedience to the Apostolic See, of greater abnegation of our own wills, and of surer direction from the Holy Spirit, in addition to that ordinary bond of the three vows, we are obliged by a special vow to carry out whatever the present and future Roman Pontiffs may order which pertains to the progress of souls and the propagation of the faith; and to go without hesitation or excuse, as far as in us lies”. It is evident that here we are touching upon the essence of the Ignatian charisma, and upon what lies at the very heart of your Order. And it is to this that you must always remain faithful.

The Roman Pontiff to whom you are linked by this special vow is, in the words of the Second Vatican Council, “the Supreme Pastor of the Church”. As such he has a particular ministry of service to exercise for the good of the universal Church, and in which he willingly accepts your loving, devoted and time-tested collaboration. But the same Roman Pontiff also accepts the collaboration that you offer him in his role as head of the Episcopal College, united with his brother Bishops in a collegial ministry of discernment and harmony, which, in virtue of a distinctive charisma, coordinates in docility to the Holy Spirit the other roles of ecclesial service. For this reason you are likewise linked to the members of the College of Bishops by a bond that calls you to be united with them in pastoral charity and in close practical collaboration. Precisely because of your special availability to the call of the Roman Pontiff, you are able to work ever more effectively with the College of Bishops and with its individual members, who in the Successor of Peter find their perennial and visible source and foundation of unity.

As the Second Vatican Council explained, the Roman Pontiff also employs the departments of the Roman Curia in the exercise of his service to the universal Church. This fact itself requires a loyal collaboration between the Society of Jesus and these departments. Because of the exigencies of your vows and the reality of my ministry, it could not be otherwise. Some of the special tasks assigned to the Society of Jesus and other important works that it has assumed in the postconciliar period correspond to the programmes of the Apostolic See that are coordinated by some of its new departments. Through collaboration with these various bodies, the Society of Jesus can find its rightful orientation in a number of issues and at the same time make an enormous contribution to the universal Church. On his part the Roman Pontiff offers you, in the name of Christ, whose Vicar he is, the full measure of his grateful love for your collaboration with him personally, with the College of Bishops, and with the whole Roman Curia, which the Society of Jesus has been generously assisting in so many ways for years.

 

Traduzione italiana del discorso pronunciato in lingua inglese

9. Le vostre Costituzioni stabiliscono chiaramente i requisiti essenziali che sono necessari alla Compagnia di Gesù per contribuire efficacemente all’adempimento dei Decreti Conciliari come la Chiesa si aspetta che essa faccia.

In primo luogo vi è la lunga e solida formazione dei futuri apostoli della Compagnia. Nella stessa Formula dell’Istituto, dopo aver descritto la linea di condotta tipica della Compagnia, Ignazio scrive: “Sappiamo per esperienza nostra che il cammino comporta molte e gravi difficoltà; abbiamo giudicato perciò opportuno di stabilire che nessuno sia ammesso a far professione in questa Compagnia se non dopo che, con lunghe e accuratissime prove, sia investigato sulla sua vita e condotta” (S. Ignazio di Loyola, Formula Institutii Societatis Iesu, 9).

Non dovete cedere alla facile tentazione di attenuare questa formazione che ha tanta importanza in ognuno ed in tutti i suoi aspetti: spirituali, dottrinali, disciplinari e pastorali; il conseguente danno supererebbe di gran lunga qualsiasi risultato poteva essere stato immediatamente raggiunto.

Ricordate che anche al tempo del suo Fondatore, la Compagnia dovette affrontare l’angosciante problema che vi si pone oggi. Anche allora vi erano troppo pochi apostoli, idonei e ben preparati, per far fronte adeguatamente ai bisogni pastorali.

10. Comunque, dovete tenere sempre bene in mente che questa preparazione lunga ed esigente ha come scopo primario quello della formazione di uomini che siano eminenti a causa della loro intima unione con Dio. Infatti, Ignazio era convinto che tutta l’attività apostolica ha valore ed è efficace solo se deriva da quella “unione tra lo strumento e Dio” della quale egli parla tanto spesso. Il primato della vita interiore è il vero fondamento della visione e della spiritualità di Ignazio; esso costituisce il cuore di una autentica vita apostolica, perché il vero apostolo vive la sua missione in totale dipendenza da Dio e in unione con Lui.

Il vostro Fondatore e con lui i suoi primi compagni erano veramente uomini di Dio; in risposta alla libera chiamata del Re Eterno (S. Ignazio di Loyola, Spir. Ex., 91-98), e avendo interiormente inteso lo Spirito che animava Gesù stesso, Colui che fu mandato dal Padre, essi vivevano come il Signore aveva chiesto ai suoi Apostoli di vivere, quando Egli disse loro: “Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,4-5).

Tuttavia in virtù di quello che è il più ricco elemento dello spirito del vostro Fondatore, vi prego di riflettere sul profondissimo significato della “Contemplazione per ottenere l’amore”, mediante il quale l’apostolo vive nella consapevolezza della realtà che: “Tutti i beni e i doni discendono dall’alto, così come la mia limitata potenza dalla somma e infinita di lassù, e così la giustizia, la bontà, la pietà, la misericordia ecc, come dal sole discendono i raggi, dalla fonte le acque...” (S. Ignazio di Loyola, Spir. Ex., 237). Tale è lo spirito del vero apostolo che vive la sua missione in dipendenza totale da Dio e in unione con Lui.

Per questa ragione nella vita apostolica e religiosa della quale Sant’Ignazio, sotto l’impulso di Dio, fu uno dei grandi fondatori, non vi dovrebbe essere separazione tra la vita interiore e l’apostolato. Sono i due elementi essenziali e costitutivi di questa vita: essi sono inseparabili e si influenzano e compenetrano l’un l’altro.

11. Insieme alla solidità della virtù, le vostre Costituzioni insistono su di una solidità e un rigore dottrinale, quale è essenziale per un efficace apostolato. Per conseguenza: “I gesuiti venivano universalmente considerati quale supporto alla dottrina e alla disciplina della Chiesa intera. Vescovi, sacerdoti e laici erano soliti guardare alla Compagnia come ad un autentico nutrimento alla vita interiore” (Giovanni Card. Villot, Epistula Patri Arrupe missa, die 2 iul. 1973). Ciò dovrebbe continuare a rimanere valido nel futuro grazie a quella leale fedeltà al Magistero della Chiesa, e in particolare del Romano Pontefice, al quale, come a voi si richiede, siete particolarmente legati.

12. Infatti, un vincolo particolare vi lega al Romano Pontefice, il Vicario di Cristo sulla terra. Come ho già detto prima, Sant’Ignazio e i suoi compagni, avendo afferrato nello spirito il vero significato e valore della missione di Cristo, e come essa si prolunga nella storia, attribuivano un’importanza capitale a questo legame di amore e di servizio al Romano Pontefice, a tal punto che essi desideravano che questo “voto speciale” fosse un elemento caratteristico della Compagnia.

Descrivendo la loro propria disposizione interiore, e ciò che essi si aspettavano da chi sarebbero stati in seguito ammessi al Corpo dei Professi della Compagnia, essi scrissero queste parole che sono, e devono rimanere scolpite nel cuore di ogni gesuita degno di questo nome: “Per una maggiore devozione all’obbedienza verso la Sede Apostolica e una maggiore abnegazione delle nostre volontà, e una più sicura direzione dello Spirito Santo, abbiamo giudicato sommamente opportuno, che ognuno di noi e chiunque farà in seguito la medesima professione, oltre che dal vincolo dei tre voti sia legato da un voto speciale. In forza di esso, tutto ciò che l’attuale Romano Pontefice e gli altri successori comanderanno come pertinente al progresso delle anime ed alla propagazione della fede, ed in qualsivoglia paese vorranno mandarci, noi, immediatamente, senza alcuna tergiversazione o scusa, saremo obbligati ad eseguirlo, per quanto dipenderà da noi” (S. Ignazio di Loyola, Formula Institutii Societatis Iesu, 3). È evidente che stiamo adesso toccando quello che è l’essenza del carisma ignaziano, e ciò che sta al cuore del vostro Ordine. Ed è ad esso che dovete rimanere sempre fedeli.

Il Romano Pontefice, al quale siete legati da questo voto speciale, è, nelle Parole del Concilio Vaticano Secondo, “il Pastore Supremo della Chiesa” (Christus Dominus, 5). In quanto tale Egli esercita un particolare ministero di servizio per il bene della Chiesa universale, e in esso Egli accetta ben volentieri la vostra collaborazione affezionata, devota e provata nel tempo. Ma il Romano Pontefice stesso accetta anche la collaborazione che voi gli offrite nel suo ruolo di capo del Collegio Episcopale (cf. Lumen Gentium, 22), unito ai suoi Fratelli Vescovi in un collegiale ministero di discernimento e di armonia, che, in virtù di un carisma distintivo, coordina, docile allo Spirito Santo, gli altri ruoli del servizio ecclesiale (cf. Mutuae Relationes, 6). Per questa ragione voi siete parimenti legati ai membri del Collegio episcopale mediante un vincolo che vi chiede di essere uniti a loro nella carità pastorale e in una stretta collaborazione operativa. Precisamente a causa della vostra particolare disponibilità all’autorità del Romano Pontefice, voi siete in grado di lavorare tanto più efficacemente con il Collegio dei Vescovi e con i suoi membri individualmente, i quali nel Successore di Pietro trovano il loro perpetuo e visibile fondamento dell’unità (cf. Lumen Gentium, 23).

Come ha spiegato il Concilio Vaticano Secondo, il Romano Pontefice si serve anche dei dicasteri della Curia Romana nell’esercizio del suo servizio alla Chiesa universale (cf. Christus Dominus, 9).

Questo fatto richiede di per sé una leale collaborazione tra la Compagnia di Gesù e questi dicasteri. A causa delle esigenze dei vostri voti e della realtà del mio ministero, non potrebbe essere altrimenti. Alcuni dei compiti speciali assegnati alla Compagnia di Gesù ed altre opere importanti che essa si è assunta nel periodo post-conciliare corrispondono ai programmi della Sede Apostolica che sono coordinati da alcuni dei suoi nuovi dicasteri. Mediante la collaborazione con questi vari organi, la Compagnia di Gesù può trovare il suo giusto orientamento in molti problemi e nello stesso tempo dare un enorme contributo alla Chiesa universale. Da parte sua il Romano Pontefice vi offre, in nome di Cristo, di cui è il Vicario, la piena misura del suo affetto pieno di gratitudine per la vostra collaborazione con lui personalmente, con il Collegio dei Vescovi, e con l’intera Curia Romana, che la Compagnia di Gesù ha per anni generosamente assistito in molti modi.

 

13. No me detengo más en estas reflexiones, porque sé que estos días estáis considerando, junto con el Padre Delegado, los deseos expresados por mí acerca de la Compañía y que, con espíritu de fe y de fraterna colaboración, buscáis los medios más conducentes para ponerlos en práctica.
Sólo tengo que alentaros a proseguir en este trabajo, que, mientras resultará particularmente provechoso para vuestra Compañía, será además de gran utilidad a toda la Iglesia, que mira a la Compañía con especial interés y aprecio.

La ejemplaridad de vuestra vida religiosa, la atmósfera espiritual de vuestras comunidades, la austeridad en el tenor de vida y el fervor en las obras apostólicas, serán motivo de edificación para todo el pueblo de Dios y atraerán a vuestra Compañía vocaciones cada vez más numerosas de jóvenes generosos, que aspiran no a una mediocridad en el seguimiento de Cristo, sino al radicalismo en su consagración a El.

Así os iréis preparando de un modo excelente para la Congregación General. Confío que esta preparación procederá de tal manera que sea posible, dentro de este año, la convocación de la Congregación General, que no sólo ha de dar a la Compañía un nuevo Prepósito General, según el deseo manifestado hace tiempo por el venerado Padre Arrupe, sino que juntamente ha de comunicar a la Compañía entera un nuevo estímulo para llevar a cabo con renovado aliento su misión, conforme a las esperanzas de la Iglesia y del mundo.

Os acompaño, por ello, con mis deseos y oraciones para que el Señor, por intercesión de Aquella a quien soléis invocar como Reina y Madre de la Compañía de Jesús y de vuestros numerosos Santos y Beatos, bendiga y haga fecunda vuestra labor.

A estos Santos y Beatos, elevados ya al honor de los altares, es consolador añadir también tantos otros de vuestros Hermanos que por sus insignes virtudes aguardan que la Iglesia reconozca oficialmente su santidad. A este propósito, me complace recordar que precisamente el pasado once de febrero tuve la satisfacción de declarar la heroicidad de las virtudes del humilde y tan querido Hermano Coadjutor Francisco Gárate, muerto hace cincuenta años y oriundo de la misma tierra que vio nacer a vuestro Santo Fundador Ignacio de Loyola.

La vida de estos religiosos de la Compañía, como la de tantos óptimos jesuitas que viven y trabajan por el mundo entero con un espíritu de fe lleno de amor y una entrega realmente ejemplar a los hombres, está demostrando que también en nuestro tiempo florece la santidad en la Compañía.

Y demuestra además qué válida sigue siendo la vocación de los Hermanos Coadjutores de la Compañía, que, con su entrega total al servicio del Señor, mediante el desempeño de sus cargos, colaboran eficazmente con los Padres al ministerio sacerdotal propio de la Compañía.

Con estos sentimientos, os doy de todo corazón a vosotros, y por vuestro medio a todos los miembros de la Compañía, como prenda de los dones divinos, mi Bendición Apostólica.

Traduzione italiana del discorso pronunciato in lingua spagnola

13. Non mi soffermo ulteriormente su queste riflessioni, perché so che in questi giorni state considerando, insieme al Padre Delegato, i desideri da me espressi al riguardo della Compagnia e che, con spirito di fede e di fraterna collaborazione, cercate i mezzi più appropriati per metterli in pratica.

Desidero solo incoraggiarvi a proseguire in quest’opera che, mentre risulterà particolarmente utile per la vostra Compagnia, sarà oltre a ciò di grande utilità per tutta la Chiesa, che guarda alla Compagnia con particolare interesse e apprezzamento.

L’esemplarità della vostra vita religiosa, l’atmosfera spirituale delle vostre comunità, l’austerità nel tenore di vita e il fervore nelle opere apostoliche, saranno motivo di edificazione per tutto il popolo di Dio e attireranno alla vostra Compagnia vocazioni sempre più numerose di giovani generosi, che aspirano non ad una mediocrità nella sequela di Cristo, ma ad una radicalità nella loro consacrazione a Lui.

In questo modo voi andrete preparando in modo eccellente la Congregazione Generale. Confido che questa preparazione procederà in modo che sia possibile, entro quest’anno, la convocazione della Congregazione Generale, secondo il desiderio manifestato da tempo dal venerato Padre Arrupe, ma che nello stesso tempo deve comunicare alla Compagnia intera un nuovo stimolo a compiere con rinnovato vigore la sua missione conformemente alle speranze della Chiesa e del mondo.

Vi accompagno, in questo, con i miei voti e la mia preghiera affinché il Signore, per intercessione di Colei che solete invocare come Regina e Madre della Compagnia di Gesù e dei vostri numerosi Santi e Beati, benedica e renda fecondo il vostro lavoro.

A questi Santi e Beati, già elevati agli onori degli altari, è consolante aggiungere anche tanti altri vostri Fratelli che per le loro insigni virtù attendono che la Chiesa riconosca ufficialmente la loro santità. A questo proposito, mi compiaccio di ricordare che precisamente il passato undici febbraio ho avuto la soddisfazione di proclamare la eroicità delle virtù dell’umile e tanto amato Fratello Coadiutore Francesco Gàrate, morto cinquanta anni fa e originario della medesima terra che ha visto nascere il vostro Santo Fondatore Ignazio di Loyola.

La vita di questi religiosi della Compagnia, come quella di tanti ottimi gesuiti che vivono e lavorano per il mondo intero con uno spirito di fede colmo di amore e uno slancio realmente esemplare verso gli uomini, sta dimostrando che anche nel nostro tempo fiorisce la santità nella Compagnia.

E dimostra che continua ad essere valida la vocazione dei Fratelli Coadiutori della Compagnia, che, con la loro dedizione totale al servizio del Signore, mediante lo svolgimento dei loro compiti, collaborano efficacemente con i Padri al ministero sacerdotale proprio della Compagnia.
Con questi sentimenti, imparto di tutto cuore a voi, e per mezzo vostro a tutti i membri della Compagnia come pegno dei doni divini, la mia Benedizione Apostolica.

                   



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