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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI CATTOLICI RUMENI
DI RITO ORIENTALE

6 gennaio 1982

 

Carissimi fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio.

È con grande, grande gioia che ricevo la vostra visita, in questa festività dell’Epifania di nostro Signore, nella quale ho avuto il piacere di conferire l’ordinazione episcopale al vostro connazionale, Sua Eccellenza Monsignor Traian Crisan, nominato recentemente Segretario della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi.

Questo incontro mi offre la gradita occasione di salutare cordialmente la comunità cattolica romena che si trova nell’Urbe e, tramite essa, anche quella che è in patria, e di esprimere a tutti i sentimenti di affetto e di sollecitudine che ho avuto sempre per essi nel mio cuore, e ancora più da quando la Provvidenza mi ha chiamato ad essere Vescovo di Roma e successore di Pietro.

Conosco bene, infatti, l’antica cultura e la ricca storia della nobile nazione romena. Mi sono note anche le benemerenze delle comunità cristiane in Romania, composte di gruppi di diversa origine, unite da un solo amore e da una grande lealtà per la loro patria. In particolar modo, voglio ricordare la Chiesa cattolica di rito orientale, alla quale il nuovo Arcivescovo appartiene e che ha avuto un ruolo tanto importante, da tutti riconosciuto, nella formazione e nell’educazione civica e spirituale dei figli del popolo romeno, così come nel risveglio e nello sviluppo della vostra coscienza nazionale.

Nell’arco della sua storia bimillenaria, la Chiesa cattolica si è arricchita delle culture, delle tradizioni, dei costumi di tutte le popolazioni che hanno accolto la Buona Novella. Per conseguenza, essa si è espressa e continua ad esprimersi anche in una diversità di riti, latino e orientali, pur nella salda base di una sola fede e dell’unica divina costituzione della Chiesa universale. Questa realtà è stata messa in luce anche dal Concilio Vaticano II, il quale “non solo circonda di doverosa stima e di giusta lode il patrimonio ecclesiastico e spirituale delle Chiese Orientali, ma lo considera fermamente quale patrimonio di tutta la Chiesa”, e pertanto desidera che esse “fioriscano e assolvano con nuovo vigore apostolico la missione loro affidata, oltre a quanto riguarda tutta la Chiesa...” (Lumen Gentium, 23; Orientalium Ecclesiarum, 1 et 5).

Tale unità nella diversità ha distinto anche la storia della Chiesa Cattolica che è in Romania. La Santa Sede ha seguito e segue con particolare sollecitudine, nella gioia e nelle molte e tristissime prove, la condizione della comunità cattolica di rito orientale, come quella di una porzione ecclesiale molto amata e a cui è molto vicina nel pensiero e nella preghiera.

Questa Sede Apostolica non cessa di sperare e di adoperarsi perché essa possa vivere, riconosciuta e tranquilla, com’è suo diritto nativo, ed anche in forza dei principi di libertà religiosa, garantiti nelle moderne Costituzioni e sanciti in documenti internazionali. Oltre agli interventi in questo senso fatti dai Rappresentanti della Santa Sede in diverse occasioni – in particolare, nelle Riunioni di Belgrado (1977) e di Madrid (1980/81), tenute nel quadro della Conferenza sulla Sicurezza e a Cooperazione Europea di Helsinki – ricordo la Lettera che ho indirizzato, il 1° settembre 1980, a tutti i Capi di Stato dei paesi firmatari dell’Atto Finale della suddetta Conferenza di Helsinki. In questo documento, ho messo in risalto, con rispettosa ma doverosa chiarezza, l’esigenza che i diritti fondamentali della libertà religiosa, sul piano personale e comunitario, siano rispettati, garantiti e tutelati anche sul piano della legge civile. In particolare, ho sottolineato la necessità che sia riconosciuta la libertà di aderire a una fede determinata e alla comunità confessionale corrispondente, nonché la libertà, per le comunità confessionali, di avere una propria gerarchia interna, oppure ministri liberamente scelti, secondo le loro norme istituzionali.

Ho fiducia che questi principi trovino adesione e risonanza in tutti gli uomini di buona volontà, e particolarmente nelle varie comunità cristiane di Romania. È una speranza che già fu espressa dal mio predecessore Paolo VI, il quale, nell’auspicare il superamento degli ostacoli frapposti alla vita e allo sviluppo della Chiesa cattolica orientale di Romania, si augurava che “anche i nostri fratelli di Romania, ai quali ci unisce la medesima fede cristiana, ma che ancora non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, condividano queste nostre ansie e sentano come propri i vostri e nostri desideri” (Paolo VI, Allocutio ad rumenos Presbyteros, die 22 oct. 1973: Insegnamenti di Paolo VI, XI [1973] 1016).

Voglio, quindi, esortare voi e tutti i vostri fratelli e sorelle cattolici romeni a perseverare forti nella fede e a vivere uniti nell’amore di Cristo. Non potete immaginare quanta consolazione provo al ricevere informazioni circa l’intrepida lealtà dei cattolici in Romania, senza distinzione di riti, verso la Sede di Pietro, e circa la fede viva e l’operosa carità di cui sono animati.

Affido le vostre preoccupazioni e le vostre speranze – per le mani di Maria santissima, venerata con tanto amore e fiducia dalla comunità ecclesiale romena – al Signore Onnipotente e Misericordioso, che “tutto fa tendere al bene di quelli che lo amano” (Rm 8,28), per il bene della Chiesa che è in Romania e di tutto il vostro diletto popolo.

Auguro, specialmente nella circostanza odierna, che il ministero episcopale di Monsignor Crisan sia fruttuoso per la Chiesa universale e per la Chiesa in Romania, specialmente per la sua Chiesa, la Chiesa orientale tanto vicina e cara al nostro cuore.

A tutti imparto volentieri la mia apostolica benedizione, invitando i Vescovi a condividere quella benedizione con me.

    



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