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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI DELEGATI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI
PER I RAPPORTI CON L'EBRAISMO

Sabato, 6 marzo 1982


Cari fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,
care sorelle, Signore e Signori.

Venuti da diverse regioni del mondo, siete qui riuniti a Roma per fare il punto sull’importante questione dei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo. E l’importanza di questo problema è ugualmente sottolineata dalla presenza, in mezzo a voi, di rappresentanti della Chiesa ortodossa, della Comunione anglicana, della Federazione luterana mondiale e del Consiglio ecumenico delle Chiese, che sono felice di salutare in particolar modo ringraziandoli della loro collaborazione.

A voi Vescovi, preti, religiosi, laici cristiani, esprimo ugualmente tutta la mia riconoscenza. La vostra presenza qui come i vostri impegni nelle attività pastorali, o nel campo della ricerca biblica e teologica, mostrano a quale punto i rapporti tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo toccano differenti aspetti della vita e delle attività della Chiesa.

E lo si capisce molto bene. Il Concilio Vaticano II ha detto in effetti nella sua dichiarazione sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra Aetate, 4): “Scrutando il mistero della Chiesa, il Concilio ricorda il legame che collega spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento con la stirpe di Abramo”. E ho avuto io stesso l’occasione di dirlo più di una volta: le nostre due comunità religiose “sono legate anche a livello della loro propria identità” (Giovanni Paolo II, Ad Praesides et Legatos Consociationum Hebraicarum de dialogo inter Christianos et Hebraeos ad universorum hominum utilitatem fovendo, die 12 mar. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 529). In effetti – prosegue ancora il testo della dichiarazione Nostra Aetate (Nostra Aetate, 4) –: “la Chiesa di Cristo riconosce che le premesse della sua fede e della sua elezione si trovano, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, Mosè e i profeti... È perché la Chiesa non può dimenticare che essa ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento attraverso questo popolo . . . E ha sempre davanti agli occhi le parole dell’apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe dei quali è l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse e i patriarchi, e da cui è nato, secondo la carne, il Cristo (Rm 9, 4-5), il Figlio della Vergine Maria”.

Vale a dire che i legami tra la Chiesa e il popolo ebraico sono fondati sul disegno del Dio dell’alleanza, e - come tali - necessariamente hanno lasciato dei segni in certi aspetti delle istituzioni della Chiesa, specialmente nella sua liturgia.

Certo, dopo l’apparizione duemila anni or sono di un nuovo ramo sul ceppo comune, le relazioni tra le nostre due comunità sono state segnate da incomprensioni e risentimenti che ben conosciamo.

E se ci sono stati, dopo il giorno della separazione, dei malintesi, degli errori, e anche delle offese, si tratta ora di superarle nella comprensione, nella pace e nella stima reciproca. Le terribili persecuzioni subite dagli ebrei nei diversi periodi della storia hanno al fine aperto molti occhi e sconvolto molti cuori. I cristiani sono su una buona strada, quella della giustizia e della fraternità, cercando, con rispetto e perseveranza, di ritrovarsi con i loro fratelli semiti attorno all’eredità comune, così ricca per tutti. C’è bisogno di precisare, soprattutto per coloro che rimangono scettici, a volte anche ostili, che questo riavvicinamento non deve essere confuso con un certo relativismo religioso e ancor meno con una perdita d’identità? I cristiani, da parte loro, professano la loro fede senza equivoci nel carattere salvifico universale della morte e della resurrezione di Gesù di Nazaret.

Sì, la chiarezza e il mantenere la nostra identità cristiana sono una base essenziale, se vogliamo allacciare rapporti autentici, fecondi e duraturi con il popolo ebraico. In questo senso, sono felice di sapere che voi vi impegnate notevolmente, studiando e pregando insieme, al fine di cogliere e di formulare meglio i problemi biblici e teologici, a volte difficili, che sono suscitati dal progresso del dialogo tra ebrei e cristiani. In questo campo, l’imprecisione e la mediocrità nuocerebbero enormemente al dialogo. Che Dio doni ai cristiani e agli ebrei di incontrarsi sempre più, di avere degli scambi in profondità e a partire dalla propria identità, senza mai dimenticarla da una parte e dall’altra, ma cercando veramente la volontà del Dio che si è rivelato!

Sono questi rapporti che possono e devono contribuire ad arricchire la conoscenza delle nostre proprie radici, e a meglio mettere in luce certi aspetti della nostra identità di cui abbiamo parlato. Il nostro patrimonio spirituale comune è considerevole. Facendo il suo inventario, ma anche tenendo conto della fede e della vita religiosa del popolo ebraico tale e quale sono professate e vissute anche ora, può essere di aiuto a meglio comprendere certi aspetti della vita della Chiesa. È il caso della liturgia, le cui radici ebraiche sono ancora da approfondire, e soprattutto devono ancora essere meglio conosciute e apprezzate da parte dei fedeli. Questo vale ugualmente per quanto riguarda la storia delle nostre istituzioni, che dalle origini della Chiesa, sono state ispirate a certi aspetti dell’organizzazione comunitaria della sinagoga. Infine, il nostro patrimonio spirituale comune è soprattutto importante a livello della nostra fede in un unico Dio, buono e misericordioso, che ama gli uomini e si fa amare da loro (cf. Sap 11, 24-26), maestro della storia e del destino degli uomini, che è nostro Padre, e che ha scelto Israele, “l’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvaggio che sono i gentili” (Nostra Aetate, 4; cf. etiam Rm 11, 17-24).

Ecco perché vi siete preoccupati, durante la vostra sessione, dell’insegnamento cattolico e della catechesi nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo. Su questo punto, come su altri ancora, siete guidati e incoraggiati dagli “Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione conciliare "Nostra Aetate" (n. 4)”, pubblicati dalla Commissione per le relazioni religiose con l’Ebraismo (Orientations et suggestions pour l’application de la déclaration conciliaire Nostra Aetate, n. 4, chap. III). Bisognerebbe arrivare a fare in modo che questo insegnamento, ai differenti livelli di formazione religiosa, nella catechesi data ai bambini e agli adolescenti, presenti gli ebrei e l’ebraismo, non solamente in maniera onesta e obiettiva, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma più ancora con una viva coscienza dell’eredità che abbiamo descritto a grandi linee.
È finalmente su una tale base che si potrà stabilire - come comincia a farsi felicemente sentire - una stretta collaborazione verso la quale ci spinge la nostra comune eredità, cioé il servizio dell’uomo e dei suoi immensi bisogni spirituali e materiali. Per vie diverse, ma in fin dei conti convergenti, noi potremo pervenire - con l’aiuto del Signore che non ha mai cessato d’amare il suo popolo (cf. Rm 11, 1) - a questa vera fraternità nella riconciliazione, il rispetto, e alla piena realizzazione del disegno di Dio nella storia.

Sono felice di incoraggiarvi, cari fratelli e sorelle in Cristo, a continuare sul cammino iniziato, facendo prova di discernimento e confidenza, e nello stesso tempo di una grande fedeltà al magistero. Così voi compirete un autentico servizio di Chiesa, che deriva dalla sua misteriosa vocazione e deve contribuire al bene della Chiesa stessa, del popolo ebraico e dell’intera umanità.

                                                     



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