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VISITA PASTORALE AD ASSISI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL POPOLO DI ASSISI

Venerdì, 12 marzo 1982

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Voglio esprimervi subito la mia profonda gioia nel trovarmi oggi nuovamente con voi, cittadini e cristiani della diocesi di Assisi, in questo festoso incontro.

Vi saluto tutti, ad uno ad uno, con sincero affetto, rivolgendo uno speciale pensiero alle Autorità civili, che hanno cortesemente voluto farmi corona in questo lieto giorno, e al Vescovo diocesano, Monsignor Goretti, che associo qui pubblicamente a quanti si spendono con responsabilità e dedizione al bene comune della convivenza umana e cristiana di Assisi.

Vi ringrazio cordialmente per la sentita e calorosa accoglienza riservatami; in essa leggo la vostra adesione e devozione non solo alla mia persona, ma soprattutto a colui che indegnamente rappresento: a Pietro, cioè, come segno e garante dell’unità della Chiesa universale, e ancor più a Gesù Cristo, che di tutti noi, sua Chiesa, è l’unico vero Capo, Signore e Sposo, avendoci redenti a prezzo del suo sangue (cf. 1 Pt 1, 18-19).

Dopo la visita compiuta a pochi giorni di distanza dalla mia chiamata alla Cattedra di Pietro, il 5 novembre 1978, è questa la seconda volta che vengo ad Assisi. E, credetemi, l’emozione è sempre la stessa, poiché qui si respira un’atmosfera unica di purissima fede cristiana e di altissimi valori umani di civiltà. Le due componenti, infatti, trovano qui la loro perfetta fusione nel nome di Francesco, e, se esse costituiscono indubbiamente una delle maggiori glorie della storia d’Italia e del suo nobile popolo, hanno però anche avuto un riverbero universale, poiché ne ha non poco beneficiato lo sviluppo religioso e civile di non pochi paesi della terra.

Francesco, figlio di Pietro di Bernardone, ha reso giustamente celebre ed onorato nel mondo intero il nome di questa città umbra, in cui nacque otto secoli fa. E lo ha fatto anche in quanto figlio della Chiesa, in piena comunione con l’allora Vescovo della Città, e con i Vescovi di Roma, che approvarono ed incoraggiarono il nuovo movimento da lui iniziato, conferendogli la possibilità di uno slancio, che ebbe molteplici ripercussioni sul piano della vita cristiana, delle missioni, ed anche della letteratura e dell’arte. Era giusto, perciò, che anch’io tornassi ad Assisi, in questo solenne ottavo centenario francescano, per riconfermare la mia profonda venerazione al santo Poverello, la mia stima ed anche le mie attese riposte nelle grandi Famiglie religiose che da lui derivano, ad una delle quali è affidata la cura di questa Basilica di santa Maria degli Angeli; ma pure la mia alta considerazione per la stessa città di Assisi, che fu e resta la culla privilegiata del grande “Giullare di Dio”, che è stato definito “il più santo degli italiani e il più italiano dei santi”.

2. Ma ad Assisi Francesco non deve soltanto i suoi natali anagrafici. Ancor più egli, per grazia divina, ha riscoperto qui la sovreminente ricchezza di Cristo e del suo Vangelo, che ha prodotto in lui, per così dire, una nuova nascita, ponendolo in una interiore condizione di assoluta armonia con il prossimo e la natura. Noi ci troviamo in questo momento presso la Basilica che racchiude l’antica chiesetta della Porziuncola. Proprio in essa, dopo averla restaurata con le proprie mani, alla lettura liturgica del capitolo decimo del Vangelo secondo Matteo, Francesco decise di abbandonare la precedente breve esperienza eremitica per dedicarsi alla predicazione in mezzo alla gente, “con parola semplice ma con cuore meraviglioso”, come dice il suo primo biografo Tommaso da Celano (Tommaso da Celano, Vita, I, 23), dando così inizio al suo tipico ministero. Qui poi avvenne la vestizione di santa Chiara, con la fondazione del secondo Ordine delle Clarisse o “Povere Dame di san Damiano”. Qui ancora Francesco impetrò da Cristo, mediante l’intercessione della Regina degli Angeli, il grande perdono o “Indulgenza della Porziuncola”, subito confermata dal mio predecessore Papa Onorio III a partire dal 2 agosto del 1216; e fu dopo questa data che prese il via una grande attività missionaria, che portò Francesco ed i suoi Frati in alcuni paesi musulmani ed in varie nazioni d’Europa. Qui, infine, il Santo accolse cantando la “sorella nostra morte corporale” (S. Francesco d’Assisi, Cantico delle Creature, 12) a quarantacinque anni di età. Siamo, perciò, in uno dei luoghi più venerabili del Francescanesimo, caro non solo all’Ordine francescano, ma anche a tutti i cristiani, che qui, quasi sopraffatti dall’intensità delle memorie storiche, ne ricevono luce e stimolo per un rinnovamento di vita, all’insegna di una fede più radicata e di un amore più genuino.

3. In particolare, sento di dover sottolineare lo specifico messaggio che ci proviene dalla Porziuncola e dalla sua Indulgenza. Esso è messaggio di perdono e di riconciliazione, cioè di grazia, della quale noi siamo fatti oggetto, con le debite disposizioni, da parte della misericordia divina. Dio, dice san Paolo, è veramente “ricco di misericordia” (Ef 2, 4) e, come ho scritto nella lettera enciclica che s’intitola proprio con queste parole, “la Chiesa deve professare e proclamare la misericordia divina in tutta la verità, quale ci è tramandata dalla rivelazione” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 13), anzi, essa “vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 13). Ebbene, chi di noi può dire nel suo intimo di non aver bisogno di questa misericordia, cioè di essere in totale sintonia con Dio, così da non aver bisogno di un suo intervento purificatore? Chi non ha qualcosa da farsi condonare da lui e dalla sua paterna magnanimità? O, detto in termini evangelici, chi di noi potrebbe scagliare la prima pietra (cf. Gv 8, 7), senza macchiarsi di presunzione o di irresponsabilità? Solo Gesù Cristo avrebbe potuto farlo, ma vi rinunciò con un incomparabile gesto di perdono, cioè di amore, che rivela nel contempo una sconfinata generosità ed una costruttiva fiducia nell’uomo. Ogni giorno dovremmo rinfocolare in noi sia l’invocazione, umile e gaudiosa, della riconciliante grazia di Dio, sia il senso del nostro debito verso di lui, che ci ha offerto “una volta per sempre” (Eb 9, 12), e continuamente ci ripresenta con immutata bontà, un perdono al quale non avremmo diritto, che ci ricolloca nella pace con lui e con noi stessi, infondendoci una nuova gioia di vivere. Solo su questa base si comprende l’austera vita di penitenza condotta da Francesco e, da parte nostra, possiamo accogliere l’appello ad una costante conversione, che ci distolga da un’esistenza egoistica e ci concentri su Dio come punto focale della nostra vita.

Il prossimo Sinodo dei Vescovi - come ben sapete - avrà come tema “La Riconciliazione e la Penitenza nella missione della Chiesa”, e qui ad Assisi non possiamo fin d’ora non invocare la illuminante assistenza di san Francesco su quei lavori.

4. Ma il santo di Assisi fu anche, per così dire, un campione della riconciliazione fra gli uomini. La sua intensa attività di predicatore itinerante lo portò di regione in regione e di borgata in borgata attraverso quasi tutta l’Italia. Il suo tipico annuncio di “Pace e bene”, che lo fece definire come un “nuovo evangelista”, (Tommaso da Celano, Vita, I, 89; II, 107) risuonava per tutti i ceti sociali, spesso in lotta fra loro, come invito a cercare la composizione dei dissidi mediante l’incontro e non lo scontro, la dolcezza della comprensione fraterna e non l’astio o la violenza che divide.

E nel Cantico delle Creature egli confessa giubilando: “Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore” (S. Francesco d’Assisi, Cantico delle Creature, 10). È questo un principio fondamentale del cristianesimo, che non significa passività o sterile rassegnazione, ma invita ad affrontare ogni situazione con interiore serenità, ma anche con determinatezza, e con magnanima superiorità, che implica però un netto giudizio di valore e disgiunzione di responsabilità. Sono abbastanza chiari i riflessi di un simile atteggiamento anche sul piano della vita civile delle nazioni. Là dove i diritti umani vengono calpestati, sotto qualunque cielo, i cristiani non possono adottare le stesse armi dello spregio gratuito o della violenza sanguinaria. Essi infatti hanno altre ricchezze interiori e una dignità, che nessuno può intaccare. Ma questo non significa né inutile commiserazione né complice acquiescenza. Il cristiano non può mai accettare che la dignità dell’uomo venga in qualche modo mutilata, e perciò sempre ed instancabilmente leverà la voce per suggerire e favorire una riconciliazione vicendevole, che salvaguardi e promuova la pace e il bene dell’intera società. E lo farà con sommo rispetto per l’uomo, un rispetto che si può ben dire francescano e perciò evangelico.

5. San Francesco sta dinanzi a noi anche come esempio di inalterabile mitezza e di sincero amore nei confronti degli esseri irragionevoli, che fanno parte del creato. In lui riecheggia quell’armonia che è illustrata con parole suggestive dalle prime pagine della Bibbia: “Dio pose l’uomo nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2, 15), e “condusse” gli animali “all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati” (Gen 2, 19).

In san Francesco si intravvede quasi un’anticipazione di quella pace, prospettata dalla Sacra Scrittura, quando “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello ed il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà” (Is 11, 6).

Egli guardava il creato con gli occhi di chi sa riconoscere in esso l’opera meravigliosa della mano di Dio. La sua voce, il suo sguardo, le sue cure premurose, non solo verso gli uomini ma anche verso gli animali e la natura in genere, sono un’eco fedele dell’amore con cui Dio ha pronunciato all’inizio il “fiat” che li ha fatti esistere. Come non sentire vibrare nel Cantico delle Creature qualcosa della gioia trascendente di Dio creatore, del quale è scritto che “vide quanto aveva fatto ed, ecco, era cosa molto buona” (Gen 1, 31)? Non sta forse qui la spiegazione del dolce appellativo di “fratello” e “sorella”, con cui il Poverello si rivolge ad ogni essere creato?

Ad un simile atteggiamento siamo chiamati anche noi. Creati ad immagine di Dio, dobbiamo renderlo presente in mezzo alle creature “come padroni e custodi intelligenti e nobili” della natura e “non come sfruttatori e distruttori senza alcun riguardo” (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15).

L’educazione al rispetto per gli animali e, in genere, per la armonia del creato ha, del resto, un benefico effetto sull’essere umano come tale, contribuendo a sviluppare in lui sentimenti di equilibrio, di moderazione, di nobiltà ed abituandolo a risalire “dalla grandezza e bellezza delle creature” alla trascendente bellezza e grandezza del loro Autore (cf. Sap 13, 5).

6. Carissimi fratelli e sorelle, mentre ringrazio il Signore per avermi ancora una volta condotto in questa Assisi inimitabile e ritemprante, rinnovo a tutti voi l’espressione della mia gratitudine per la vostra sentita partecipazione a questo incontro.

Vi invito tutti a lodare con le parole di Francesco, l’“Altissimo, onnipotente, bon Signore” (S. Francesco d’Assisi, Cantico delle Creature, 1), perché solo in lui ritroviamo sempre la forza sufficiente per camminare ogni giorno con nuovo entusiasmo. E questo auguro con tutto il cuore a ciascuno di voi ed a quanti vi sono cari. Penso, in particolare, ai giovani, che si preparano con impegno ai loro compiti di domani; ai lavoratori, che trepidano per il giusto sostentamento della loro famiglia; ai malati ed alle varie sofferenze che essi devono sostenere, alle persone anziane ed a quanti sentono il peso della solitudine; a tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera quotidiana. E tutti, per la materna intercessione della Vergine degli Angeli, vi raccomando alla benevolenza di Dio, affinché sempre vi assista e vi colmi con l’abbondanza dei suoi doni celesti, che di cuore invocherò impartendo fra poco la benedizione eucaristica. 

                                                



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