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DISCORSO DI GIOVANI PAOLO II
AI VESCOVI PORTOGHESI
DELLA PROVINCIA ECCLESIASTICA DI BRAGA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 4 febbraio 1983

 

Amati fratelli in Cristo.

mentre vi saluto cordialmente, qui riuniti nella carità dello Spirito Santo, vi auguro grazia e pace, da parte di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo. E continuiamo il colloquio fraterno iniziato personalmente a Fatima, mesi fa, e continuato in questi giorni nell’incontro con ciascuno di voi. Considero attuali le sentite parole di apprezzamento e di stimolo di quella mattina dell’ultimo 13 maggio; e rivolgendomi a voi, penso anche agli altri fratelli Vescovi portoghesi, con i quali mi incontrerò prossimamente; e penso alle vostre comunità diocesane e a tutti i figli del Portogallo.

In questo momento, molto grato a me, la vostra affermazione di inequivoca devozione e fedeltà è qualcosa che trascende le persone e si riveste di un significato particolare. Siete in visita “ad limina Apostolorum”: con voi ci sono le vostre diocesi, certamente mobilitate da voi in questo senso, per testimoniare la vitalità perenne, nelle circoscrizioni della provincia ecclesiastica di Braga, della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, garantita dalla promessa del Signore: “Sarò sempre con voi, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

Celebrando qui l’unità nella carità, nella Chiesa, ricordo molte immagini ed episodi della mia recente visita pastorale al vostro Paese e del pellegrinaggio a Fatima. Non dimenticherò mai quel giorno grigio del 15 maggio, quando ebbi la gioia di vedere in netto contrasto con le condizioni climatiche, l’irradiante simpatia e la calorosa ospitalità delle genti della vostra bella regione; l’ho provato nominatamente in Coimbra, Braga e Porto, dove c’erano incontri prefissati; ma lo stesso si sarebbe ripetuto, certamente, nelle altre terre, che io stimo ugualmente, ma che non mi fu possibile visitare.

Accettate ancora una volta la mia gratitudine, per l’accoglienza generosa, affabile e semplice, alla buona maniera portoghese. Tante grazie!

2. Siete venuti qui per riaffermare la fede, di cui siete cultori e mentori in seno alle vostre comunità ecclesiali, visitando i luoghi segnati dalla presenza e dalla suprema testimonianza della fede, data dagli Apostoli; siete venuti a prendere contatto diretto con gli Organi centrali del governo pastorale del Vescovo di Roma a servizio di tutta la Chiesa; e siete venuti, soprattutto, “videre Petrum”: per “vedere Pietro”.

Sono certo - e di questo faccio orazione fiduciosa al Signore - che questa vostra visita “ad limina Apostolorum” non tralascerà di produrre, di per se stessa, molti frutti tra i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale. Di più, la vostra testimonianza di viva comunione con il successore di Pietro, nella sua sincerità, esprime anche prontezza disponibile ad accettare le norme e le direttive della Sede Apostolica e degli Organismi centrali che la servono, cosa che può comportare, talvolta, rinuncia a posizioni e preferenze personali, nel campo dell’opinabile, in vista del bene comune di tutto il Popolo di Dio, la Chiesa una e unica.

Con fraterna confidenza, sincero affetto in Cristo e cordiale semplicità, voglio dirvi che, dal tenore delle vostre relazioni e anche dal nostro colloquio personale, traspare la coscienza che l’epoca in cui viviamo richiede da noi uno sforzo sempre rinnovato e una comunione operante, sempre più vissuta, assidua e sapiente, per rispondere ai suoi interrogativi. Ma “tenendo in conto che la prova, alla quale è sottomessa la nostra fede, produce la costanza” mi rallegro nel verificare che siete serenamente disposti a impegnarvi perché questa “costanza sia accompagnata da opere perfette . . . senza nulla trascurare” (Gc 1, 3-4).

Lo stesso Signore Gesù, attraverso i “suoi”, già ci aveva avvertiti, amorosamente, che sarebbero venuti momenti simili, perché gli uomini “non hanno conosciuto né il Padre né lui” (cf. Gv 16, 1 ss.); la tristezza non può invadere i nostri cuori. Abbiamo il “Consolatore” e in lui la realtà di una promessa indefettibile: “Sarò sempre con voi” (Mt 28, 20).

3. Le mie parole di oggi cercano di andare incontro alla generosa buona volontà di cui siete animati, proprio come quelle che vi indirizzai a Fatima, desiderosi, come siamo tutti, di conformarci al Buon Pastore (cf. Gv 10, 1 ss.). Ciò costituì il punto di riferimento di quanto vi dicevo allora.

Non è mia intenzione di ritornare, con la benevolenza con la quale vi parlai allora, su alcuni problemi che si presentano con maggior acutezza al vostro lavoro pastorale quotidiano, animato da zelo che va fino al sacrificio, pervaso da una carità illuminata. Essendoci in questo gruppo di fratelli Vescovi una buona parte degli alti responsabili dei destini della Conferenza episcopale portoghese, ciò mi dà l’opportunità di spiegare i brevi accenni che ne feci in quella occasione.

So bene che siete coscienti, tutti e ciascuno di voi, di quanto ci è richiesto con urgenza dal nostro tempo, tempo di mutamenti profondi, anche fra voi. Si tratta infatti di un imperativo di sempre del “comandamento nuovo”, alla luce di quanto fecero i Vescovi fin dai primi tempi della Chiesa: “essi unirono le loro forze e volontà, per promuovere il bene comune e il bene di ciascuna delle Chiese” (cf. Christus Dominus, 36). E con ciò non facevano altro che vivere e testimoniare la certezza di formare un corpo solo, in cui la grazia conferita a ciascuno, secondo la misura con cui Cristo vuol concederla, deve convergere “per l’edificazione della Chiesa”, conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace, giacché “c’è un solo Dio e Padre di tutti che . . . agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (cf. 1 Cor 14, 12; Ef 4, 2 ss.).

4. La Conferenza episcopale, come si sa, ha questi obiettivi: essere spazio di incontro e di dialogo, nel vivere la Collegialità effettiva ed affettiva tra i Vescovi: “in questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete” (Gv 13, 35); essere quella “segreteria” o “banco di lavoro” in gruppo, al quale i Vescovi devono “sedersi” per “calcolare” e valutare i mezzi di “edificazione” e di “difesa” del regno di Dio (cf. Lc 14, 28 ss.), con una pastorale pianificata, programmata e organica, condivisa; ed essere, ancora, entità rappresentativa, “ab intra” e “ad extra” dell’ambito ecclesiale. Come è ovvio, tuttavia, la facoltà di essere rappresentativa le potrà venire soltanto dalla piena realizzazione dei due primi obiettivi in sintonia con la volontà di Dio e con il suo amore per l’uomo. È questa sintonia, “l’essere” più profondo di una “Chiesa evangelizzata”, che spingerà un gruppo di Vescovi a cercare cammini per un’attuazione come quella di Cristo, cammini che passano tra la rigidezza arida della chiusura per “giustizia” legale e la “terra di nessuno” di un attivismo che si suppone “impegnato”, “aperto” e “pluralista”, il quale, in uno spazio di tempo più o meno breve, di dimostrerà disintegratore di forze, fiaccatore di volontà e sterile, se non nocivo, per il regno di Dio.

Si sa che una struttura, quando non serve o non funziona con ritmo regolare, in accordo con la propria identità e finalità, si deteriora, imbarazzando o sovraccaricando lo sforzo di quelli che non possono prescindere da essa.

Organizzazione ecclesiale, al servizio del Popolo di Dio, una Conferenza episcopale non può allontanarsi dalla sua vocazione originaria, sotto pena di degenerare in burocrazia; così come non può fermare, né oscurare mai le sue basi di sostegno, che sono: la comunione, la partecipazione e la luce del prototipo di “Chiesa evangelizzata”, da parte di tutti quelli che la integrano.

Mantenere queste basi di fedeltà a se stessa, in una Conferenza episcopale, in cui ogni Vescovo-membro è una “pietra viva”, con posto e funzione ben precisi, non va d’accordo con l’indifferenza, il disinteresse o la passività; questo porrebbe in rischio, se non la solidità, per lo meno la sicurezza e la garanzia di una continuità e qualità di rendimento. E per “comunicare”, “partecipare” e essere “luminosa Chiesa evangelizzata” con gli altri, si richiede l’osservanza di un “codice”, che è un tutto organico e si chiama “Beatitudini”. Possibili “elefantiasi, in qualcuno degli “otto capitoli”, non sfugge facilmente all’avvertenza, tanto dolorosa quanto amorosa, del Maestro: “Chi non raccoglie con me, disperde” (Mt 12, 30).

5. Costruire e difendere e consolidare costantemente il regno di Dio, partendo dalla visione realista e dalla valutazione ponderata delle situazioni e dei mezzi a disposizione - sono ancora le parabole di Cristo a guidarci (cf. Lc 14, 28 ss.) - oltre a non ammettere soluzioni di continuità, richiede tempestività perspicace. È stato ancora il Signore a paragonare il regno di Dio, la Chiesa, al “lievito” che deve essere attivo per lievitare la massa, al “campo” che deve essere coltivato con diligenza, sempre, anche davanti alle contrarietà che possono andare dal tempo non favorevole, fino al nemico che, nella “seminagione” già compiuta, semina la zizzania (cf. Mt 13, 4 ss; Gc 5, 7 ss.).

Tanto il prevedere per provvedere, quanto la pazienza e la delicatezza del buon agricoltore, applicati al lavoro di una Conferenza episcopale, ci porterebbero a ricordare quello che diceva il mio predecessore, di venerata memoria, Paolo VI, a proposito dell’evangelizzazione, che è “qualcosa di ricco, complesso e dinamico”; ma che, in una sua sintesi fortunata, consiste nel “testimoniare, in modo semplice e diretto, Dio, rivelato da Gesù Cristo, nello Spirito Santo, perché gli uomini si salvino”; cioè, siano portati ad incontrare Cristo, Redentore dell’uomo, che “è sempre la base, il centro e il vertice della Salvezza” (cf. Evangelii Nuntiandi, 17. 26. 27; Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 13).

Continuo, poi, a chiedere al Signore che nella vostra funzione di Pastori, comunicata come Conferenza episcopale, vi impegniate a realizzare l’ideale di “guidare, andare avanti”, per fare la ricognizione del cammino, scoprire pericoli e garantire la marcia del Popolo di Dio che è in Portogallo (cf Giovanni Paolo II, Allocutio ad Lusitaniae Episcopos in urbe Fatima habita, 13 maggio 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/2 [1982]). Pertanto si impone di saper discernere, con chiaroveggenza, i segnali dei tempi e degli avvenimenti, farne la lettura, in particolare con la sollecitudine di “pascolare” e di prevenire incursioni di lupi, anche camuffati, che “rapiscono e disperdono” il gregge.

E tuttavia, non voglio tralasciare di congratularmi con l’attività della vostra Conferenza, in momenti di difficoltà per i portoghesi, con gli interventi per proporre e difendere i retti principi umani e cristiani; questi, cadendo nel terreno ancora ricco di profonda religiosità dell’amato popolo portoghese, non hanno mancato di dare, in questi ultimi tempi, frutti consolanti per i quali non ci rimane che ringraziare Dio provvidente e misericordioso.

6. Lo so, amati fratelli, che condividete queste considerazioni; e che siete ben consapevoli della necessità di attuarle, con sempre maggior profitto; consapevoli, soprattutto, della necessità di animare costantemente con una evangelizzazione intensa la pratica cristiana e la vita sacramentale delle vostre comunità e di portare tutti i figli del Portogallo all’incontro con Cristo, Redentore dell’uomo. E sarebbe il momento di scendere a concretizzazioni nei vari campi della vostra azione specifica, come Conferenza episcopale: dalla vita liturgica, alla catechesi, al rapporto con i religiosi e il loro inserimento nella pastorale, al servizio della carità, all’impegno sociale di testimonianza cristiana, alla pastorale della famiglia, dei giovani e degli emigranti, alla religiosità popolare, alle relazioni “ad extra” dell’ambito ecclesiale, ecc., fino alle carenze contro le quali lottate, per attendere a tutto questo, soprattutto per mancanza di mezzi e scarsezza di personale. Affido alla vostra sapienza, arricchita dall’esperienza vissuta, il compito di fare queste concretizzazioni, certo che darete priorità ad un’urgente pastorale delle vocazioni, con gli occhi e il cuore volti al Padre celeste che ben sa che avete bisogno di molte cose (cf. Mt 6, 33).

Bene dunque: “Io sarò sempre con voi”, ci ha promesso il Signore. Coraggio! Senza lasciare che il nostro cuore si turbi, siamo perseveranti! Il Papa, in virtù del suo ufficio, forte solamente “della consolazione ricevuta da Dio” (2 Cor 1, 4), nel parlarvi non ha altra preoccupazione che quella di “confermarvi” come fratelli, nelle vostre buone disposizioni e nella confidenza in Dio.

Mi raccomando alle vostre preghiere e a quelle delle vostre comunità ecclesiali, mentre vi rinnovo la certezza dell’affetto in Cristo e del costante ricordo nella preghiera, con la quale accompagno le vostre aspirazioni di pastori e la situazione della Chiesa nella vostra terra. E che sia la Madre della Chiesa, la Madre della nostra fiducia - tanto invocata e con titoli così espressivi tra voi, da Nostra Signora di Balsemao a Nostra Signora dei Rimedi, senza dimenticare Sameiro e Fatima - a presentare le nostre suppliche al Padre delle misericordie, in particolare nell’imminente Anno Santo della Redenzione. E imparto a voi e alle vostre diocesi la benedizione apostolica.

 

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