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VIAGGIO APOSTOLICO IN PORTOGALLO II, COSTA RICA, NICARAGUA I,
PANAMA, EL SALVADOR I, GUATEMALA I, HONDURAS, BELIZE, HAITI

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I «CAMPESINOS»

Penonomé (Panamá) - Sabato, 5 marzo 1983

 

Cari fratelli contadini.

1. Da questa terra panamense di Penonomé levo il mio sguardo verso di voi e verso tutti i vostri compagni di lavoro; quelli di Panamá e di tutta l’America Centrale, di Belize e di Haiti, per salutarvi con grande stima e affetto. Per dirvi che il Papa è molto contento di visitarvi ed è felice di stare in mezzo ai contadini, persone semplici, oneste, e nelle quali risplende una profonda religiosità.

Permettetemi innanzitutto di estendere il mio saluto e il mio ricordo alle vostre mogli e ai vostri figli; a tutte le famiglie contadine che voi rappresentate. Questo saluto vuol essere anche il mio profondo ringraziamento per la vostra affettuosa accoglienza, mentre vi esorto a vivere ogni volta più fedelmente la vostra condizione di cristiani.

2. La prima riflessione che voglio fare insieme a voi è quella della vostra dignità di uomini e di lavoratori della campagna. Una dignità che, come ho già indicato nella mia enciclica Laborem Exercens (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 21), non è minore di quella di chi lavora nell’industria o in altri settori della vita sociale ed economica.

Il lavoro, infatti, trova la sua dignità nel disegno di Dio Creatore. Dio ha creato l’uomo e lo ha fatto figlio suo, immagine sua. Lo ha creato affinché con la sua intelligenza e il suo lavoro fisico, nella città o nella campagna, si perfezioni, si realizzi e trovi onestamente il suo sostentamento personale e quello della sua famiglia. E affinché contemporaneamente serva col suo lavoro al bene dei suoi fratelli e contribuisca allo sviluppo della società.

Questo piano divino e la dignità che esso comporta si applicano perfettamente al lavoro agricolo e alla situazione dell’uomo che coltiva la terra come voi; giacché offrite alla società i beni necessari, i prodotti basilari per l’alimentazione quotidiana. Perciò non deve pesare su di voi alcun sentimento di inferiorità rispetto alla dignità delle vostre persone e al vostro genere di vita. Con questa convinzione cercate la vostra elevazione, ben sapendo il valore e il rispetto che merita il vostro compito, svolto con spirito di servizio all’uomo integrale (cf. Gaudium et Spes, 64). Ricordate che Cristo stesso volle sperimentare la stanchezza fisica, lavorando con le sue mani, come semplice artigiano (cf. Mt 13, 55).

3. La Chiesa comprende e riconosce questo valore della vostra condizione di contadini. E vuole essere vicina a voi con la luce della fede, con lo stimolo dei valori morali, con la sua voce in difesa della vostra dignità e dei vostri diritti.

Nel suo insegnamento sociale non ha mai cessato di indicare a persone e istituzioni, a stati ed organismi internazionali il dovere di assicurare il necessario sviluppo dell’attività agricola, affinché essa cresca armonicamente e si eliminino le piaghe che assillano gli uomini della campagna.

La presenza del Papa oggi tra voi - che prolunga quella del mio predecessore Paolo VI a Bogotá e quelle mie a Cuilapán (Messico) e a Recife (Brasile) - vuol essere una nuova manifestazione di questo desiderio di vicinanza a voi, alle vostre preoccupazioni, alle vostre aspirazioni.

Non vengo con soluzioni tecniche o materiali che non sono di competenza della Chiesa. Porto con me la vicinanza, la simpatia, la voce di questa Chiesa che è solidale con la giusta e nobile causa della vostra dignità di uomini e di figli di Dio.

So delle condizioni della vostra precaria esistenza: condizioni di miseria per molti di voi, spesso inferiori alle esigenze basilari della vita umana. So che lo sviluppo economico e sociale è stato diseguale in America Centrale e in questo Paese; so che la popolazione contadina è stata frequentemente abbandonata ad un livello ignobile di vita e non poche volte è stata sfruttata e trattata duramente.

So che siete coscienti dell’inferiorità delle vostre condizioni sociali e che siete impazienti di ottenere una distribuzione più giusta dei beni e un miglior riconoscimento dell’importanza e del posto che vi compete in una nuova società più partecipativa (cf. Paolo VI, Allocutio ad quamplurimos Columbianos agri cultores v. d. “campesinos” habita, 23 agosto 1968: Insegnamenti di Paolo VI, VI [1968] 372 ss.).

4. È certo che, come indicai nella Laborem Exercens (n. 21), “le condizioni del mondo rurale e del lavoro agricolo non sono uguali dappertutto, e diverse sono le posizioni sociali dei lavoratori agricoli nei diversi Paesi. E ciò non dipende soltanto dal grado di sviluppo della tecnica agricola, ma anche, e forse ancora di più, dal riconoscimento dei giusti diritti dei lavoratori agricoli e, infine, dal livello di consapevolezza di tutta l’etica sociale del lavoro (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 21).

Le cifre attuali vi possono dare un’idea di questo grave problema. Se nella maggioranza dei Paesi sviluppati o industrializzati, il settore agricolo, modernizzato e meccanizzato, raggruppa meno del 10 per cento della popolazione attiva, in molti dei Paesi del Terzo Mondo, lo stesso settore agricolo rappresenta sinanche l’80 per cento della popolazione totale, con un sistema tradizionale di agricoltura di mera sussistenza. D’altra parte, la distribuzione della terra e insieme i suoi modi di sfruttamento che riuniscono proprietari, fattori e agricoltori salariati, varia da un Paese all’altro, secondo il sistema socio-politico. A volte coesistono la proprietà privata, le cooperative comunitarie e le aziende di Stato.

5. La situazione di tanti contadini preoccupa la Chiesa. Per questo io stesso in Messico invitavo all’azione, “per recuperare il tempo perduto, che è spesso tempo di sofferenze prolungate e di aspettative non soddisfatte (Giovanni Paolo II, Allocutio ad quamplurimos “Indios” in pago “Cuilapán” habita, 29 gennaio 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 242).

Come non sentirmi commosso di fronte a situazioni tragiche - disgraziatamente troppo reali - come quella descritta nella mia Enciclica sul lavoro umano? “In taluni Paesi in via di sviluppo, milioni di uomini sono costretti a coltivare i terreni di altri e vengono sfruttati dai latifondisti, senza la speranza di poter mai accedere al possesso neanche di un minimo pezzo di terra in proprio. Mancano forme di tutela legale per la persona del lavoratore agricolo e per la sua famiglia in caso di vecchiaia, di malattia o di mancanza di lavoro. Lunghe giornate di duro lavoro fisico vengono miseramente pagate. Terreni coltivabili vengono lasciati abbandonati dai proprietari; titoli legali per il possesso di un piccolo terreno, coltivato in proprio da anni, vengono trascurati o rimangono senza difesa di fronte alla “fame di terra” di individui o di gruppi più potenti” (Eiusdem, Laborem Exercens, 21).

Non dubito degli sforzi fatti da molti dei politici e dirigenti di questo e di altri Paesi per migliorare seriamente la vostra situazione di povertà. Quando sia necessario, su di loro incombe il dovere di “agire subito in profondità. Bisogna mettere in pratica trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Bisogna intraprendere, senza più attendere, riforme urgenti” (Paolo VI, Populorum Progressio, 32).

Però il dovere di agire spetta non solo alle autorità, ma anche a voi e all’intera società, facendo uno sforzo congiunto, attuando una effettiva armonizzazione di tutte le forze vive del Paese, per creare le strutture del vero sviluppo; per portare nella campagna i nuovi strumenti e mezzi che allevino il lavoro del contadino, che rendano il suo incontro giornaliero con la terra più umano e più gioioso, perché si aumenti la produttività e si retribuisca lo sforzo delle sue mani ad un giusto prezzo.

In questo modo, tanti contadini oggi minacciati dalla solitudine, dalla povertà e dall’indifferenza in cui versano, cesseranno di guardare verso la città, pensando di trovare in essa ciò che la campagna ha negato loro. Si eviterà così di veder crescere le file della disoccupazione nelle grandi città, con nuovi mali di decomposizione sociale.

6. Nella ricerca di una migliore giustizia e della vostra elevazione, non potete lasciarvi trascinare dalla tentazione della violenza, della guerriglia armata o dell’egoistica lotta di classe; perché questo non è il cammino di Gesù Cristo, né della Chiesa, né della vostra fede cristiana. Ci sono coloro che sono interessati a farvi abbandonare il vostro lavoro, per impugnare le armi dell’odio e della lotta contro altri fratelli vostri. Costoro non dovete seguirli.

A cosa conduce questo cammino di violenza? Senza dubbio aumenterà l’odio e la distanza fra i gruppi sociali, aumenterà la crisi sociale del vostro popolo, aumenteranno le tensioni e i conflitti, fino a giungere all’inaccettabile spargimento di sangue, come di fatto è già avvenuto. Con questi metodi, completamente contrari all’amore di Dio, agli insegnamenti del Vangelo e della Chiesa, renderete impossibile la realizzazione delle vostre nobili aspirazioni. Si provocheranno nuovi mali di decomposizione sociale e morale, con la perdita dei più preziosi valori cristiani.

Il vostro giusto impegno per la giustizia, per lo sviluppo materiale e spirituale, per la partecipazione effettiva alla vita sociale e politica, deve seguire gli orientamenti indicati dall’insegnamento sociale della Chiesa, se volete costruire la nuova società, quella della giustizia e della pace. Metodi e vie diverse genereranno nuove forme di ingiustizia, dove non troverete mai la pace che tanto e così giustamente desiderate.

7. Allo stesso modo dei discepoli di Emmaus, felici di aver incontrato il Signore risorto e di averlo riconosciuto dalla “frazione del pane (cf. Lc 24, 35), voi, amati contadini, dovete vivere la gioia di dividere il pane con i vostri fratelli, con quell’aiuto disinteressato che tanto vi contraddistingue e vi onora. Si tratta di condividere anche la vostra solidarietà e capacità di mutua assistenza, di superare gli egoismi e le piccolezze, di rafforzare e condividere la vostra fede e la vostra religiosità.

Il pane che il contadino trae delle viscere della terra è il pane che alimenta l’umanità. Ed è il pane della Eucaristia che la Chiesa consacra quotidianamente e dà da mangiare a tutti i figli che lo vogliono dividere come fratelli nella stessa fede. È il pane che ci unisce alla Chiesa, che ci fa sentire fratelli e figli di uno stesso Padre. È il pane che alimenta la nostra fede mentre siamo pellegrini ed è speranza per l’eternità felice verso cui ci incamminiamo.

Questo costante riferimento a Dio deve ispirare il vostro impegno a favore della giustizia, dell’amore per l’uomo, della ricerca efficace di una società nuova, che dia la speranza di porre fine alla drammatica distanza che separa coloro che hanno molto da coloro che non hanno niente.

Potete esser certi che la Chiesa non vi abbandonerà. La vostra dignità umana e cristiana è sacra per essa e per il Papa. Essa continuerà a reclamare l’eliminazione delle ingiuste diseguaglianze, degli abusi autoritari. Continuerà ad appoggiare le iniziative e i programmi orientati alla vostra promozione e al vostro sviluppo.

La Vergine Maria, Madre vostra piena d’amore, vi accompagni sempre, vi protegga, custodisca le vostre famiglie, riceva le vostre preghiere e interceda per voi dinanzi a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, nel cui nome vi benedico con immenso affetto, cari contadini. Amen.

 

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