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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN PELLEGRINAGGIO DELL'ARCIDIOCESI DI LUCCA

Sabato, 3 settembre 1983

 

Cari fratelli e sorelle!

1. Sono lieto di salutarvi pellegrini a Roma per l’Anno Giubilare della Redenzione, insieme al vostro benemerito Arcivescovo Giuliano Agresti. Voi rappresentate l’arcidiocesi di Lucca, e io estendo molto volentieri il mio saluto all’intera Comunità diocesana, che, se non conosco personalmente, so però vivace e impegnata, oltre che ricca di una gloriosa storia civile e religiosa. La vostra odierna presenza, del resto, testimonia quanto ardente e profonda sia la devozione che nutrite verso il successore di Pietro e quanto convinta l’adesione a tutto ciò che egli significa per la vita e la crescita della santa Chiesa di Dio. Vi incoraggio a procedere con entusiasmo su questa strada di alta sensibilità ecclesiale, che è una connotazione caratteristica e indispensabile per il cristiano.

2. Il vostro pellegrinaggio è essenzialmente motivato dalla ricorrenza dell’Anno Santo, che commemora e celebra il 1950° anniversario della nostra Redenzione. E questo avvenimento ci confronta immediatamente con la croce di Gesù, che si staglia nettamente davanti agli occhi della nostra fede come fonte e garanzia di salvezza sicura. È stato disegno provvidenziale di Dio porre la morte di Cristo al centro del processo redentivo, che ha una storia di preparazione nelle vicende dell’antico popolo d’Israele, ma che raggiunge il suo culmine luminoso non solo nella venuta di Gesù, ma ancor più nella sua morte e risurrezione. Veramente, “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia” (Gv 1, 16). Ciò che importa fare, specialmente in questo anno, ma anche in tutta la nostra vita, è di scoprire sempre di nuovo e lasciarsi investire con sempre rinnovato stupore dall’onda meravigliosa della grazia di Dio, che passa attraverso il totale dono di sé fatto da Gesù, nostro Signore. Egli “mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20), Forti di questo amore, cosa dovremmo ancora temere? Quale ostacolo potrebbe fermare o anche solo impedire il nostro cammino nel mondo? Nulla, infatti, è più forte di questo amore divino e misericordioso; al contrario, in ogni cosa “noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8, 37).

3. Cari fratelli e sorelle! Se questo è il fondamento della nostra identità cristiana, come non dovrebbe essere spedita, forte, gioiosa, la nostra vita di ogni giorno, al di là di qualunque interiore debolezza o esteriore difficoltà! Ecco per voi un frutto di prim’ordine di questo Anno Giubilare: riconfermarvi in una incrollabile adesione a Cristo per riprendere con maggiore speditezza e capacità d’irradiazione l’impegno della vostra testimonianza sulla base del Vangelo.

A Roma voi potete visitare le tombe dei gloriosi apostoli Pietro e Paolo e di fronte all’esempio della forza della loro fede rinsaldare vigorosamente la vostra: essa soltanto, infatti, “è la vittoria che ha sconfitto il mondo” (1 Gv 5, 4).

Tornando alle vostre case, voi ritroverete gli impegni e le preoccupazioni di tutti i giorni. Ma cercate di portare fin dentro al tessuto più minuto della vostra esistenza di battezzati questa confortante certezza: il Signore cammina con noi, condivide le nostre gioie e le nostre sofferenze, dà slancio alle nostre stanchezze.

Sappiate che da pare mia vi ricordo a lui, alla potenza della sua grazia redentrice. In particolare, voglio assicurare il mio affetto ai malati, la mia solidarietà a chi è in cerca di lavoro, la mia speranza nei giovani. A loro e a tutti voi imparto di cuore una particolare benedizione apostolica, in pegno di abbondanti favori celesti.

 

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