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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE
ITALIANA DI ANESTESIOLOGIA

Giovedì, 4 ottobre 1984

 

1. È con viva gioia che ricevo la visita dei partecipanti al congresso della Società italiana di anestesiologia, che celebra quest’anno il 50° anniversario di vita e di attività. Nel ringraziare il professor Corrado Manni per le parole con cui ha interpretato i comuni sentimenti, saluto i membri del comitato direttivo della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva col loro presidente, il professor Gualtiero Bellucci, e i membri del comitato direttivo dell’Associazione anestesisti, rianimatori ospedalieri italiana, guidati dal presidente professor Girolamo Gagliardi. Un particolare saluto vada anche a monsignor Fiorenzo Angelini, zelante animatore della pastorale nel mondo sanitario, e un saluto ancora a tutti i presenti.

2. Voi avete sollecitato questo incontro per ascoltare la parola del Papa e per riceverne incoraggiamento alla vostra professione; io non esito a chiamarla “diaconia” per l’uomo tanto essa è finalizzata alla sua vita e alla sua salute: e per questo mi è veramente gradito accogliervi.

Da quando il dolore, a causa del peccato, ha fatto irruzione nella natura umana, corrodendone l’integrità fisica e psichica, l’uomo ha cercato con ogni mezzo di combatterlo, di lenirlo e di eliminarlo. È una reazione “naturale”, spontanea, immediata. Ma con il progredire della scienza sono state affilate per così dire le armi, sono stati trovati farmaci e metodi sempre più perfetti. Ne è scaturita una nuova branca della medicina applicata, l’anestesiologia, la quale occupa oggi un posto primario nella terapia del dolore. In breve volgere di anni, da strumento straordinario ed eccezionale, essa s’è fatta provvidenziale componente dell’assistenza sanitaria favorendo, anche in coloro che sono soggetti a male irreversibile e letale, un decorso dell’infermità meno drammatico, e facilitando altresì quella valorizzazione della sofferenza, che è insieme fattore terapeutico, poiché agevola il confluire della reazione fisica e psichica dell’uomo all’attacco del male.

Le benemerenze dell’anestesiologia sono inoltre manifeste nel contributo da essa offerto alla possibilità di allargare le forme di intervento terapeutico che, grazie al suo apporto, conosce oggi, sia qualitativamente che quanto ad estensione, sempre nuove e persino straordinarie risorse.

Gli operatori del settore, sempre agendo con seria scienza e retta coscienza, sia credenti che non credenti, sono chiamati in maniera particolare a rendere nobilissimo servizio alla sacralità della vita, la cui difesa è insieme nome e vanto della scienza medica.

3. Anche da questi semplici accenni, illustri signori, appare con immediata evidenza quanto importante sia il ruolo che siete chiamati a svolgere nel settore sanitario e più specificamente negli ospedali, nelle cliniche e nelle case di cura. Spetta a voi, infatti, secondo le vostre competenze, preparare il malato a subire l’intervento chirurgico. La deontologia vi spinge a impiegare ogni diligenza e competenza perché l’intervento possa riuscire perfettamente. Ma voi ne sono certo - non vi limitate solo a questo. Davanti a voi, anzi nelle vostre mani, avete una persona con la sua dignità e i suoi diritti, che porta scolpita nel suo essere l’immagine di Dio Creatore. Avete un fratello, che deve affrontare con serenità e fiducia un intervento a cui è sempre connesso - secondo la qualità e l’entità del male - un qualche rischio. Ciò provoca un comprensibile stato d’ansia nel paziente e nei suoi familiari.

Guardandolo appunto come fratello, vi sentite spinti a riservargli un trattamento “pienamente umano”, degno cioè di una creatura di Dio, che si trova in una situazione particolare. Non vi limitate perciò a prestare al malato quanto la medicina prescrive per quell’occasione, ma vi prodigate anche a rendergli meno pesante e più sicuro l’intervento, infondendogli coraggio e dimostrandogli affetto e totale solidarietà. Vi accertate che la “preparazione” sia perfetta, e poi, con dedizione e spirito fraterno, lo seguite momento per momento nel difficile e talvolta complicato iter operatorio, pronti a intervenire per ogni evenienza, perché la sicurezza della vita sia garantita al massimo. La vostra opera continuerà anche dopo l’intervento con l’aiutare il paziente a riprendere coscienza, a superare i traumi psicologici e a eliminare gli eventuali effetti negativi.

Per tutti questi motivi si può affermare con verità che la vostra scienza, relativamente giovane, ha largamente contribuito a rendere adulta e matura la medicina nelle sue applicazioni: essa infatti, intervenendo direttamente in ciò che il dolore ha di più aggressivo e sconvolgente, ricupera l’uomo a se stesso, rendendogli più umana l’esperienza del soffrire.

4. Potrebbe però accadere anche a voi di trovarvi in situazioni di conflitto con la vostra coscienza. Da una parte le inderogabili esigenze dell’ordine morale, dall’altra una richiesta in evidente contrasto con quelle esigenze. La fattispecie si può concretizzare in diversi casi. Ne ricordo due soltanto: quello, oggi purtroppo frequente, in cui il vostro intervento è richiesto per sopprimere la vita già sbocciata nel grembo materno e quello in cui la vostra opera è richiesta per provocare direttamente la cosiddetta morte “dolce” dei malati incurabili. Occorre ribadire con forza, di fronte a queste e a ogni altra violazione della vita o dell’integrità psico-fisica della persona innocente, che la legge di natura, prima ancora di quella evangelica, vieta simili comportamenti. La vita umana innocente è sacra: violare questo basilare principio di ogni civile convivenza significa sbalzare l’essere umano da quel piedistallo su cui la dignità di persona lo pone e ridurlo a fare, lui, da piedistallo ad altri suoi simili, dotati di un maggior potere politico, economico, sociale.

Non sia la vostra professione, nata per salvaguardare e promuovere la vita umana, a rendersi connivente di simili aberrazioni, contraddicendo alle sue finalità originarie e finendo per essere fautrice della cultura non della vita, ma della morte.

5. L’anestesiologia, come ho accennato, ha fatto grandi progressi. Nel diligente svolgimento del vostro lavoro anche voi siete chiamati a recare il vostro personale contributo all’avanzamento di questa branca della medicina, sia rinvenendo nuovi farmaci, sia scoprendo nuovi metodi. Non si può mai essere soddisfatti dei traguardi finora raggiunti nel lenire il dolore. Rimangono infatti molte zone da esplorare nella ricerca della causa del dolore, e inoltre di fronte all’insorgere di malattie, che sembrano destinate a provocare atroci e indicibili sofferenze, si è in obbligo di intensificare gli studi, per rendere la terapia più efficace e le metodiche più sicure. Pare superfluo aggiungere a voi - fondamentalmente posti a salvaguardia della vita umana - che anche eventuali nuove metodiche ed eventuali nuovi farmaci dovranno sempre essere usati nel rispetto della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti. È tanto più doveroso ribadire questo quanto più il fronte della cultura della morte intraprende tentativi per sollecitare consensi.

La Chiesa - come si sa - non è per la sopportazione ad ogni costo del dolore. Nel suo magistero - e io l’ho riaffermato nella lettera apostolica Salvifici Doloris, ritiene lecita l’azione che tende a lenire o a eliminare il dolore fisico nel rispetto dell’ordine morale e della dignità della persona. Pur con l’affermazione di questo principio che ha le sue radici nella Bibbia, esorta i cristiani e tutti i credenti a sopportare la sofferenza in unione con Cristo, che si è reso, per la nostra salvezza, servo di Jahvè e uomo dei dolori (Ioannis Pauli PP. II, Salvifici Doloris, 17). Nella sofferenza infatti - non sempre e non del tutto eliminabile - il credente trova la forza per purificarsi e per cooperare alla salvezza dei fratelli. La fede illumina di speranza il suo cammino verso la patria celeste e rafforza la certezza che anche questo corpo corruttibile sarà trasformato in corpo incorruttibile e glorioso dalla potenza del Cristo, che ha vinto la morte.

Nell’invocare sul vostro lavoro la sua continua assistenza, imparto di cuore a voi e ai vostri cari la mia benedizione, auspicando che i progressi della vostra scienza siano sempre espressione di servizio all’uomo e al suo superiore destino.

 

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