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VIAGGIO APOSTOLICO IN CANADA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLE PERSONE CON DISABILITÀ

Centro di riabilitazione «François Charon» (Québec)
Lunedì, 10 settembre 1984

 

Cari fratelli e sorelle.

1. Ho vivamente desiderato questo incontro personale con voi, che siete provati nel vostro corpo con la malattia o gli infortuni. Vorrei salutare ciascuno e ciascuna di voi, e tutti coloro che vi circondano con il loro affetto e il loro aiuto, che contribuiscono a farvi amare la vita e a svilupparla in voi come un dono di Dio: genitori, amici e tutto il personale di questa casa. Al di là delle vostre persone, saluto gli altri handicappati di questa regione del Québec e quelli del Canada. Come Gesù di Nazaret, desidero avvicinarmi a voi, e approfondire così con voi il senso spirituale della vostra sofferenza e della vostra speranza di vivere pienamente.

2. Prima di tutto esprimo spontaneamente la mia ammirazione, le mie felicitazioni, i miei incoraggiamenti a coloro che hanno organizzato questo centro e che ne assicurano quotidianamente il funzionamento. Il nome di François Charon ha un grande potere rievocatore: durante il secolo dei fondatori, ha fatto l’esperienza della malattia, e ha deciso di abbandonare la sua azienda lucrativa di pelletterie per consacrare le sue forze e il suo denaro ai diseredati: bambini, orfani, storpi, anziani, infermi, procurando le cure, l’educazione, un mestiere. La sua casa di carità è diventata l’ospedale generale di Montréal.

E oggi, dopo la fusione avvenuta cinque anni fa di due istituzioni quasi simili, il centro François Charon si trova all’avanguardia della scienza, della tecnica e della pedagogia, per offrire i suoi servizi di riadattamento fisico e psicosociale a un crescente numero di persone adulte handicappate fisiche dell’est del Québec.

Non soltanto esse trovano qui strumenti e metodi perfezionati di rieducazione funzionale, ma anche i mezzi per acquisire la massima autonomia possibile nel loro proprio ambiente, e l’aggiornamento professionale per un’integrazione nella società. Per questo le vostre équipes comprendono specialisti di tutti i rami, che lavorano secondo una filosofia che vuol dare a ciascuno possibilità uguali e una eguale dignità umana. È meraviglioso, e io auspico che gli scienziati continuino a inventare tutto quello che può alleviare efficacemente la sofferenza.

Ma questi strumenti e questa competenza, cari membri del personale, non arriveranno a soddisfare gli handicappati senza la dedizione, l’attenzione, il sostegno, il calore umano di cui hanno così bisogno, e io so che voi li prodigate in questa casa. Sono colpito dalla giovinezza degli impiegati, mossi da un ideale di servizio, che portano qui la loro disponibilità e il loro dinamismo. Non dimentico nemmeno i numerosi volontari che, con le loro visite, qui e a domicilio, assicurano un clima di amicizia e di servizio.

Ciò che merita pure un incoraggiamento è la preoccupazione di questa impresa d’integrare la dimensione spirituale nella sua opera di riadattamento umano. Il segno ne è questa bella cappella al centro della casa. Così, tutti quelli che lo vogliono, possono raccogliersi davanti al Signore, partecipare all’Eucaristia, meditare e cantare con gli altri, incontrare il sacerdote e coloro che partecipano all’attività dell’ufficio pastorale. La persona forma un tutto - corpo e anima - e ogni avvenimento personale - prova, sforzo o guarigione - è legato allo spirituale.

Sì, formulo i migliori auguri per il servizio qualificato di questo centro, e degli altri centri simili del Québec.

3. In tutto ciò io vedo un segno del valore che questo popolo sa accordare alla dignità delle persone handicappate, malgrado la seduzione che il mondo moderno prova per la produttività, il profitto, l’efficacia, la rapidità, i record della forza fisica.

Le nostre società, grazie a Dio, sembrano assumere poco a poco la consapevolezza del posto che spetta agli handicappati. Essi hanno dei diritti che spesso sono stati trascurati. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha pubblicato, il 9 dicembre 1975, una dichiarazione su questi diritti che merita la nostra lode. Nel 1981 essa ha pure indetto l’Anno internazionale delle persone handicappate. Ma bisogna che queste buone intenzioni s’incarnino nelle realtà di ogni regione, e qui vi sono delle difficoltà materiali e degli ostacoli psicologici da superare, dei progressi da realizzare.

La Chiesa se ne è sempre interessata in sommo grado, e nel corso dei secoli ha dato vita a opere di grande generosità per aiutare, come Cristo, gli handicappati, persuasa del valore unico di ogni persona. Il 4 marzo 1981 la Santa Sede ha pubblicato un lungo documento che riafferma i principi fondamentali e le linee d’azione (Documento della Santa Sede, die 4 mar. 1981: “L’Osservatore Romano”, 24 marzo 1981). Mi piace ripeterlo qui con chiarezza e vigore: la persona handicappata è un soggetto umano nella sua integralità, con tutti i diritti corrispondenti, innati, sacri e inviolabili, che essa lo sia a causa di un’infermità, di nascita o a seguito di malattie croniche, di incidenti, come pure per debolezza mentale o infermità sensoriale, e quale che sia l’importanza delle sue lesioni. Si deve facilitare ad essa la partecipazione alla vita della società in tutte le sue dimensioni e a tutti i livelli accessibili alle sue possibilità: famiglia, scuola, lavoro, comunità sociale, politica, religiosa. In pratica, ciò suppone il rispetto assoluto della vita umana dell’handicappato, dal suo concepimento e in tutti gli stadi del suo sviluppo.

Bisogna cercare di non vincere soltanto gli handicap, ma anche le loro cause. Essi hanno spesso delle cause naturali, malformazione dell’organismo o malattia; pensiamo anche alla guerra, all’inquinamento, agli abusi dell’alcol o di droga, alle imprudenze nella circolazione. E ancora, alle cause psicologiche e morali: un’“ecologia” spirituale s’impone allo stesso titolo di un’ecologia naturale. Bisogna aiutare le famiglie spesso disorientate, e molto meritevoli; per questo bisogna realizzare delle case di accoglienza come questa, che tengano conto dei legami con la famiglia. Bisogna tendere a dare una formazione, un impiego adatto con una giusta rimunerazione, possibilità di promozione e condizioni di sicurezza per evitare il facile trauma degli handicappati: ciò richiede immaginazione e audacia, per ogni specie di iniziative sociali, con l’aiuto dei pubblici poteri. Vi ho dedicato un intero paragrafo della mia enciclica sul lavoro (Laborem Exercens, 22). È necessario infine che l’handicappato sia non solo assistito e amato, ma che egli assuma, per quanto possibile, la consapevolezza della sua dignità, delle sue risorse, delle sue possibilità di volere, di comunicare, di collaborare, di amare, di donare a sua volta, lottando ogni giorno per conservare e per sviluppare le sue capacità.

In definitiva, la qualità di una società o di una civiltà si misura dal rispetto che essa manifesta verso i suoi membri più deboli. Una società tecnicamente perfetta, nella quale sono ammessi solo i membri pienamente produttivi, dovrebbe essere considerata come radicalmente indegna dell’uomo, pervertita da una specie di discriminazione non meno condannabile della discriminazione razziale. La persona handicappata è una di noi, partecipa alla nostra stessa umanità. Riconoscere e promuovere la sua dignità e i suoi diritti, significa riconoscere la nostra dignità e i nostri diritti.

Tali sono le convinzioni della Chiesa (cf. il suddetto documento della Santa Sede), che si rallegra di vedere condivise e messe in pratica da un buon numero di legislazioni e di società.

4. Ma, cari amici, il cristiano attinge dalla sua fede dei motivi ancor più profondi, e una forza particolare per questa opera in favore degli handicappati.

Il Vangelo ci mostra Gesù che passa facendo del bene. Egli accoglieva tutti coloro che soffrivano fisicamente o moralmente; anzi, andava loro incontro. Annunciava ad essi la buona novella dell’amore di Dio e della loro salvezza mediante la fede. E in questa salvezza egli mirava nello stesso tempo al corpo e all’anima. Confortando gli infermi - storpi, paralizzati, ciechi, sordi - voleva toglierli dalla loro miseria, e la loro guarigione, in risposta alla loro fede, era il segno della vita piena che egli annunciava: “Alzati e cammina!”.

Non si è accontentato di essere vicino alla sofferenza e di alleviarla: l’ha presa su di sé. Si è fatto volontariamente l’uomo dei dolori, familiare della sofferenza e, alla fine, di quella dei torturati, dei condannati a morte. Poiché egli ha offerto così la sua vita, lui, il Figlio prediletto del Padre, Dio lo ha risuscitato, e pertanto Cristo ci ha aperto le porte della vita. Ci ha garantito che la vita avrà l’ultima parola.

Il messaggio che ci ha lasciato è dunque che voi, handicappati, cerchiate con lui di lottare contro il male, di vincere gli ostacoli di cui soffre il vostro corpo, con l’aiuto della tecnica e della scienza, e con il coraggio dell’amore.

È così che diventiamo, gli uni per gli altri, dei buoni samaritani (cf. Salvifici Doloris, 28-30), non soltanto fermandoci presso l’uomo che soffre per le ferite della vita, ma portandogli un soccorso efficace, dando noi stessi a quest’uomo con il quale Cristo si identifica: “Quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l’avete fatto a me”.

5. Cari fratelli e sorelle in Gesù Cristo, finora ho parlato della nobiltà di questa lotta tenace contro il male fisico, con quanto essa suppone di competenza tecnica, di coraggio, di solidarietà e di speranza. Tale è appunto la volontà di Dio.

Ma il mistero della vostra sofferenza è più profondo, e io vorrei scrutarlo con voi, come ho fatto nella mia lettera dell’11 febbraio di quest’anno (Ivi, 9.26), nella festa di nostra Signora di Lourdes: “All’interno di ogni sofferenza provata dall’uomo... appare inevitabile l’interrogativo: perché? È un interrogativo circa la causa, la ragione e insieme un interrogativo circa lo scopo e, in definitiva, circa il senso... Ogni persona entra quasi sempre nella sofferenza con una protesta tipicamente umana, ponendosi la domanda del "perché"...”. Essa rivolge questo interrogativo a Dio, come Giobbe, e si rivolge pure a Cristo. Anche se identifica la causa secondaria che ha provocato il suo handicap, anche se spera di superarlo e di fatto vi arriva con la sua volontà e con i mezzi di rieducazione, il problema soggettivo rimane intatto: perché questa sofferenza, questo limite in me, in un dato periodo della mia vita? Questo mistero ci accompagna, come accompagna tutte le prove umane e lo stesso lavoro umano. Cristo risponde, in un certo modo, dalla sua croce, dal più profondo della propria sofferenza. Non è una risposta astratta: è una chiamata che l’uomo impiega molto tempo a capire.

Cristo ha dato un valore redentivo universale alla propria sofferenza, che sembrava essergli stata imposta dal di fuori; egli l’ha assunta nell’obbedienza verso suo Padre, nell’amore verso gli uomini, per liberarli dal loro peccato che è causa di sofferenza e di morte. E noi stessi partecipiamo a questa redenzione, se vi acconsentiamo. Questo consenso non è né fatalità, né rassegnazione alla sofferenza che in sé rimane un male e che obbliga a lottare. Ma Dio ci mostra come trarre il bene dal male offrendo questa sofferenza come è sentita oggi, con la croce di Cristo. Sono sicuro che molti di voi hanno fatto o fanno qui questa esperienza, nella fede. Il dolore rimane. Ma il cuore riceve serenità e pace e trascende il senso di inutilità della sofferenza (cf. Ivi, 27). Colui che soffre si apre all’amore. Aiuta le persone che lo circondano a uscire da se stesse, a donarsi. È testimone della fede e della speranza. Egli crede, nel mistero della comunione dei santi, che è utile alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle nel mondo. Entra nella missione redentrice con il Cristo.

Di questa commovente testimonianza, ringraziamo gli handicappati e tutti quelli che discretamente li accompagnano in questo cammino spirituale. È importante che gli handicappati e i malati si aiutino reciprocamente nelle associazioni, non solo per umanizzare le loro condizioni di vita e far valere i loro diritti, ma per meglio accedere a questo mistero. Nessuno può imporre la propria fede, ma ciascuno può viverla e testimoniarla, e apportare un’ispirazione e un nuovo dinamismo all’interno delle strutture sanitarie: beati a coloro che comprendono il linguaggio delle beatitudini! La sofferenza umana è perciò una forza che può contribuire a trasformare il mondo.

6. Sì, con Cristo voi dovete amare la vita: “lo sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). La vita naturale del vostro organismo corporale, delle sue funzioni riabilitate, dei suoi sensi, la vita delle facoltà intellettuali e delle capacità d’amore. Ma anche la vita più misteriosa, soprannaturale, che Dio depone nei credenti mediante il Battesimo, che è la sua vita divina, la partecipazione alla sua vita trinitaria. Essa non è tributaria di handicap fisici; anzi contrasta con la debolezza del corpo. Questa vita è invisibile agli occhi, ma dà alle persone la loro bellezza interiore e la loro forza segreta; essa rimane e si sviluppa al di là di questa vita terrena. E la grandezza dei sacramenti, specialmente dell’Eucaristia e della Riconciliazione, è di introdurci in questa vita. Questa cappella ne è il luogo privilegiato.

7. Ecco, cari amici, l’essenziale del messaggio del Vescovo di Roma, presente in mezzo a voi.

Qui, voi mi sembrate particolarmente aiutati, indotti a ritrovare il gusto di vivere. Non posso impedirmi di pensare - ed è un’intenzione di preghiera che vi affido - a tutti gli altri handicappati di questo Paese, del mondo; agli handicappati mentali; ai malati gravemente colpiti, a quelli che hanno lesioni tali da non lasciare intravedere una speranza umana di miglioramento e che hanno diritto allo stesso rispetto della vita; agli handicappati indifesi, ai nascituri e agli anziani, ai quali vorrei prestare la mia voce: “Noi abbiamo il diritto di nascere, abbiamo il diritto di vivere”. Penso ai Paesi troppo poveri per poter organizzare dei centri di rieducazione come questo. Siamo tutti solidali con la sofferenza dei nostri fratelli e, come dicevo all’inizio dell’Anno internazionale degli handicappati (1 gennaio 1981): “Se soltanto una minima parte del "budget" per la corsa agli armamenti fosse devoluta per questo obiettivo, si potrebbero conseguire importanti successi e alleviare la sorte di numerose persone sofferenti”.

8. Prima di lasciarvi - e conserverò un intenso ricordo di questa visita - ripeto agli handicappati di questo centro il mio affetto e i miei incoraggiamenti. Lo dico anche alle loro famiglie e a tutte le persone così meritevoli di questa casa. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto in tale presenza di carità il centro vitale dell’apostolato dei laici (cf. Apostolicam Actuositatem, 8). Penso pure ai religiosi e alle religiose che hanno messo la loro vita consacrata a servizio degli handicappati, e a tutti i sacerdoti che portano loro i segni efficaci dell’amore di Cristo.

L’apostolo Pietro ha detto allo storpio della “Porta Bella”: “Non possiedo né argento né oro; nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina!”. Questo potere di guarire miracolosamente appartiene a Gesù Cristo. Oggi, il successore di Pietro vi ringrazia per la vostra accoglienza e per la vostra testimonianza, e spera che il suo passaggio tra di voi avrà contribuito a rafforzare la vostra fede, questa fede che illumina, che dilata ed eleva la vostra vita. Chiedo a Maria, nostra Madre, di ottenervi questo dono dallo Spirito Santo. E prego Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, di colmarvi delle sue benedizioni.



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