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VIAGGIO APOSTOLICO IN CANADA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DELLE ALTRE
CHIESE E COMUNIONI CRISTIANE

 Chiesa anglicana di St. Paul
 Vener
, 14 settembre 1984

 

Cari amici in Cristo,

1. Sono profondamente lieto di unirmi nella preghiera di lode e di domanda a voi, che rappresentate le diverse Chiese e Comunioni cristiane di tutto il Canada. Con profondo rispetto e amore saluto voi tutti con le parole dell’apostolo Paolo: “Grazia a voi e pace da Dio padre e dal signore Gesù Cristo” (2 Ts 1, 2). Desidero anche salutare con profondo rispetto i capi delle altre fedi che sono venuti qui oggi. Vi ringrazio per la vostra presenza a questo servizio ecumenico.

Nel Vangelo, san Matteo ci dice che Gesù “salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola li ammaestrava” (Mt 5, 1-2). Anche noi siamo discepoli di Gesù e insieme noi andiamo a lui. Andiamo ad ascoltare la sua parola in modo che possa ammaestrarci così come egli un tempo ammaestrava la folla che si radunava attorno a lui sulla montagna. Desideriamo essere ammaestrati ed ispirati dal suo messaggio di salvezza. Desideriamo inoltre pregare insieme per il dono dell’unità fra i cristiani e unire i nostri cuori nella lode di Dio: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

2. È davvero molto bello essere con voi. Voglio che sappiate quanto vi sia profondamente grato per la “Lettera pastorale ecumenica” che è stata indirizzata alle congregazioni e parrocchie cristiane di tutto il Canada prima della mia visita pastorale. È stato meraviglioso e rassicurante conoscere l’appoggio spirituale e l’interesse fraterno di così tanti fratelli e sorelle cristiani. Apprezzo profondamente il caloroso benvenuto che mi avete riservato, e sono molto lieto che abbiate colto questa opportunità per affermare la necessità del movimento ecumenico, per sottolineare molti degli importanti passi compiuti verso la piena unità e per incoraggiare iniziative nuove nonché una preghiera continua per il raggiungimento di quella meta a cui aspiriamo così grandemente.

3. Esattamente venti anni fa - il 14 settembre 1964 - il mio predecessore Paolo VI si è rivolto ai partecipanti al Concilio Vaticano II nel momento in cui si riunivano per dare inizio alla terza sessione, che doveva promulgare la costituzione sulla Chiesa e il decreto sull’ecumenismo. Verso la fine del suo discorso si rivolse direttamente agli osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali dicendo: “Desideriamo ribadire ancora una volta la nostra meta e la nostra speranza di poter un giorno rimuovere ogni ostacolo, ogni incomprensione, ogni sospetto che ancora ci impedisce di sentirci davvero fatti “di un solo cuore e di una anima sola” (At 4, 22) in Cristo e nella sua Chiesa . . . Ciò è qualcosa di grandissima importanza che affonda le sue radici nei misteriosi disegni di Dio e noi ci adoperiamo, in umiltà e pietà, per divenire degni di una grazia così grande”.

Vent’anni dopo che queste parole furono pronunciate, possiamo rallegrarci nel vedere i grandi passi che abbiamo compiuto, poiché in effetti sono stati rimossi molti ostacoli, molte incomprensioni e molti sospetti. Per tutto ciò ringraziamo Dio. Nello stesso tempo sono grato per quest’occasione, e per altre come questa, che ci danno l’opportunità di apprezzare in modo più approfondito ciò che la grazia di Dio ha creato in noi, e che ci danno nuova forza e nuovo coraggio per intraprendere insieme il cammino che ancora ci attende.

4. Nella mia prima lettera enciclica, Redemptor Hominis, scritta poco dopo la mia nomina a successore di Pietro, ho affermato: “Nella presente situazione storica della cristianità e del mondo, non appare altra possibilità di adempiere la missione universale della Chiesa, per quanto riguarda i problemi ecumenici, che quella di cercare lealmente, con perseveranza, con umiltà e anche con coraggio, le vie di avvicinamento e di unione così come ce ne ha dato personale esempio papa Paolo VI. Dobbiamo, pertanto, ricercare l’unione senza scoraggiarci di fronte alle difficoltà, che possono presentarsi o accumularsi lungo tale via; altrimenti, non saremmo fedeli alla parola di Cristo, non realizzeremmo il suo testamento” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptor Hominis, n. 6). L’esperienza dei sei anni trascorsi dalla mia elezione ha confermato ancor di più nel mio cuore l’obbligo evangelico “di cercare, lealmente con perseveranza, con umiltà ed anche con coraggio, le vie di avvicinamento e di unione”.

5. Non possiamo rifiutare questo difficile ma vitale incarico poiché è essenzialmente legato alla nostra missione di proclamare a tutta l’umanità il messaggio di salvezza. Il ripristino della completa unità dei cristiani, per cui preghiamo e che aneliamo così grandemente, è d’importanza cruciale per l’evangelizzazione del mondo. Milioni di nostri contemporanei non conoscono ancora Cristo, e altrettanti milioni fra coloro che hanno sentito parlare di Cristo sono impediti di accettare la fede cristiana a causa delle nostre tragiche divisioni. In effetti, la ragione per cui Gesù pregava perché potessimo essere una sola cosa era precisamente “perché il mondo potesse credere” (Gv 17, 21). La proclamazione della Buona Novella di nostro signore Gesù Cristo è notevolmente ostacolata dalla divisione dottrinale che esiste fra i discepoli del Salvatore. D’altro canto, l’opera di evangelizzazione dà i suoi frutti là dove i cristiani di diverse comunioni, anche se non completamente uniti, collaborano come fratelli e sorelle in Cristo, nei limiti del possibile e nel rispetto delle loro singole tradizioni.

Con l’approssimarsi del terzo millennio cristiano assistiamo ad una rapida espansione della tecnologia che eleva il numero sia delle opportunità che degli ostacoli nei confronti dell’evangelizzazione. Tale tecnologia, se da una parte produce certi effetti benefici per l’umanità, dall’altra dà vita ad una mentalità tecnologica che mette alla prova i valori del Vangelo. Esiste la tentazione di perseguire lo sviluppo tecnologico come fine a se stesso, come se fosse una forza autonoma con imperativi interni di espansione, invece di vederlo come una risorsa che deve essere posta al servizio della famiglia umana. Esiste una seconda tentazione che collegherebbe lo sviluppo tecnologico alla logica del profitto e alla costante espansione economica senza il dovuto riguardo per i diritti dei lavoratori o le esigenze dei poveri e degli emarginati. Una terza tentazione consiste nel collegare lo sviluppo tecnologico al perseguimento o mantenimento del potere invece di usarlo come strumento di libertà.

Per evitare questi pericoli, tali sviluppi devono essere esaminati in base ai dettami oggettivi dell’ordine morale e alla luce del messaggio evangelico. Uniti nel nome di Cristo, dobbiamo fare domande critiche e porci dei principi morali basilari che siano orientati verso lo sviluppo tecnologico. Per esempio, le esigenze dei poveri devono avere la priorità sui desideri dei ricchi; i diritti dei lavoratori sulla massimizzazione dei profitti; la tutela dell’ambiente sull’espansione industriale incontrollata; una produzione che risponda ad esigenze sociali su una produzione a scopo militare. Queste sfide investono aree importanti della collaborazione ecumenica e formano una parte vitale della nostra missione di proclamazione del Vangelo di Cristo. Ma prima di tutto per questo eleviamo i nostri cuori a Dio, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo.

So che da alcuni anni in Canada si stanno compiendo grandi sforzi di collaborazione ecumenica; recentemente si sono manifestati un’intensità sempre maggiore ed un crescente desiderio di unione completa in Cristo. I vari dialoghi teologici fra le Chiese sono stati molto significativi e molle forme di collaborazione tra le Chiese per la giustizia sociale e i diritti umani si sono rivelate particolarmente importanti per affrontare certi problemi tipici della nostra era tecnologica. Ammiro profondamente lo spirito cristiano che ha prodotto questi sforzi generosi. E vi sollecito a continuare anche se i risultati rimangono incompleti e nonostante l’ingiusta critica che a volte potete incontrare da parte di coloro che non comprendono l’importanza dell’attività ecumenica. Sono pronto a ribadire la posizione della Chiesa cattolica secondo cui tutti gli sforzi validi per promuovere l’unità fra i cristiani sono una risposta alla volontà di Dio e alla preghiera di Cristo. Sono parte essenziale della nostra missione di vivere la verità nella carità e di proclamare il Vangelo di Cristo.

6. La collaborazione ecumenica, come l’abbiamo constatata, può assumere diverse forme: lavorare insieme per portare a compimento i programmi di collaborazione, intraprendere il dialogo teologico e tentare insieme di comprendere il nostro passato tormentato, cooperare nell’opera di giustizia e di umanizzazione della società tecnologica, e così via. Tutte queste azioni hanno un gran valore e occorre compierle con ardore, in particolare quelle che fanno avanzare la verità e ci aiutano a crescere in carità fraterna. Nello stesso tempo, occorre che noi ci ricordiamo del primato delle attività spirituali che il Concilio Vaticano II considerava come l’anima stessa del movimento ecumenico (cf. Unitatis Redintegratio, 8). Penso alla pratica fedele della preghiera pubblica e privata per la riconciliazione e l’unità, alla ricerca della conversione personale e della santità di vita. Senza ciò, tutti gli altri sforzi mancano di profondità e non hanno la vitalità della fede. Senza ciò ci dimenticheremmo anche che san Paolo ci dice chiaramente: “Tutto questo però viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18).

Non può esserci alcun progresso verso l’unità fra di noi se non c’è approfondimento della santità della vita. Nelle Beatitudini, Gesù indica il cammino della santità: “Beati i poveri in spirito . . . Beati gli afflitti . . . Beati i miti . . . Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia . . .” (Mt 5, 3ss.). Se ci adopereremo per entrare a far parte di coloro che sono detti “beati”, noi cresceremo in santità; ma nello stesso tempo apporteremo il nostro contributo all’unità di tutti i discepoli di Cristo, così parteciperemo alla riconciliazione del mondo. La vera santità della vita, che ci avvicina al cuore del Salvatore, rafforzerà i nostri vincoli di carità con tutti, e specialmente con gli altri cristiani.

Sforziamoci di essere nel numero di quei “beati” delle beatitudini, “che hanno fame e sete di giustizia” in un’era tecnologica, che pregano per l’unità fra di loro e fra tutti coloro che credono in Cristo nel desiderio e nella speranza di quel giorno in cui “ci sarà un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16).

 

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