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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA COMUNITÀ DELLA DIOCESI DI ALBANO

Castel Gandolfo - Domenica, 23 settembre 1984

 

Autorità religiose e civili, cari sacerdoti e fedeli della “nostra” diocesi di Albano.

1. Sono molto lieto di questo incontro domenicale pomeridiano che, per il gran numero dei presenti, per le peculiari memorie che esso intende rievocare, per le stesse circostanze di persona e di ambiente, assume un particolare significato. Di ritorno dal non breve viaggio apostolico nelle diverse regioni del Canada, io sto ancora usufruendo di un po’ di riposo nel territorio diocesano di Albano, e ora la vostra presenza mi offre come un motivo di ulteriore distensione, poiché conosco molto bene, ormai da quasi sei anni, la devozione e l’affetto che nutrite per me.

2. Quella di stasera, come hanno opportunamente ricordato monsignor vescovo e il signor sindaco, è innanzitutto un’udienza di ricordi. Ricordi ormai lontani nel tempo, ma pur vicini psicologicamente; ricordi tristi e insieme consolanti: ricordi dei giorni della seconda guerra mondiale, che ebbe lungo il litorale e sui colli di Albano uno speciale “teatro” e provocò non pochi lutti e rovine; ricordi della successiva ripresa e della presto conclusa ricostruzione. E chi potrà cancellarli? Forse il tempo, nel fatale avvicendamento delle generazioni (cf. Qo 1, 4), attenuerà o sfumerà certi particolari; ma sempre viva, io penso, resterà la memoria o l’immagine di quanto, dopo il noto sbarco, avvenne non soltanto ad Anzio e a Nettuno, ma in tutta la zona circostante nel crudo inverno del gennaio 1944 e nei mesi seguenti. In effetti, non solo il territorio e l’ambiente, ma il patrimonio e la popolazione furono coinvolti e travolti nell’aspro conflitto. E come dimenticare - un solo esempio fra i tanti - le più di cinquecento vittime, provocate da un solo bombardamento nel qui vicino edificio della Propaganda Fide?

Occasione di riflessione e anche di preghiera vuol essere, a quarant’anni di distanza, l’odierna commemorazione di questi dolorosissimi eventi. Sarà una rinnovata meditazione intorno al tremendo flagello della guerra; sarà una mesta preghiera di suffragio per i congiunti e per gli amici scomparsi.

3. Ma questa è, altresì, un’udienza di gratitudine verso colui che, in quel medesimo periodo, fin dal primo profilarsi del diretto pericolo per la presenza “in loco” degli eserciti accanitamente contrapposti, fu per tutti e, in primo luogo, per la popolazione civile, qui residente, il padre sollecito e provvido. Voi avete già capito, carissimi fratelli e sorelle, a chi alluda: io penso, ricordo e celebro la figura amabile e insieme austera di Pio XII, pontefice due volte romano per l’impegno, la dedizione e - direi - la passione di carità, dimostrata verso i suoi concittadini e corregionali in quei terribili mesi. Ma al suo fianco io desidero idealmente collocare e ricordate tutti coloro che, in tale servizio di drammatica emergenza, con lui validamente collaborarono, nell’offrire ospitalità e sostentamento ai profughi, nel lenire le innumeri ferite del corpo e dell’animo, nel prestare particolare assistenza ai bambini: monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, allora sostituto della segreteria di Stato; monsignor Domenico Tardini, segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari; il direttore, gli addetti e gli operai delle ville pontificie.

Per merito di tutte queste persone e di tanti altri buoni, il cui nome e la cui opera sono noti soltanto al Signore, si ebbe qui (ma non solo qui!) un’esemplare dimostrazione di quello che è uno dei doveri primari e naturali della Chiesa: soccorrere i suoi figli nel dolore, aiutarli nel bisogno, tergere le loro lacrime. Fu quella una gara di carità che, all’occorrenza, si estendeva anche agli stessi belligeranti e, come tale, non mancò di avere pubblico riconoscimento ed elogio da parte di essi!

4. Noi però non possiamo limitarci a una semplice commemorazione, per quanto salutare e opportuna, della ricorrenza quarantennale di quegli eventi. C’è da tener conto dell’attualità, cioè ci sono ormai altri problemi che toccano e interessano oggi la comunità ecclesiale e civile di Albano; e io penso che lo sguardo al passato possa offrire qualche utile elemento per la loro auspicata soluzione. Grazie a Dio - ecco un nuovo motivo di preghiera - non ci sono oggi guerre in questo territorio, anche se purtroppo - allargando lo sguardo oltre i confini dell’Italia - si scoprono qua e là conflitti e contrasti di maggiore o minore estensione, ma sempre e tutti pregiudizievoli per la causa della pace nel mondo.

Quali siano questi problemi è presto detto: dal 1944 ad oggi l’intero “ager Albanensis” ha conosciuto una grande espansione demografica e urbanistica, superando largamente i 300 mila abitanti, mentre il numero delle parrocchie è passato da venti a sessanta. Ecco un primo dato, che è sufficientemente indicativo dei non pochi problemi da affrontare e risolvere: ché non si tratta soltanto di provvedere ai servizi sociali o di approntare tempestivamente le diverse strutture. Si tratta di ben altro; si tratta di molto di più! Servizi e strutture sono elementi necessari, ma non sufficienti: quel che primariamente ci vuole è una sorta di “edificazione interiore”, per cui l’accresciuta popolazione, proveniente tra l’altro da diverse località e, quindi, alquanto eterogenea, si amalgami in connessione unitaria e - dal punto di vista propriamente ecclesiale - si sviluppi e maturi come autentica comunità cristiana, vivendo di un’unica fede nel vincolo di un’unica carità.

Eccolo il traguardo, cui bisogna tendere, cari fedeli e cittadini di Albano! Io so che esso è per voi un preciso obiettivo nel vostro programma di azione pastorale, che s’intitola appunto “Comunione e comunità”. C’è posto in esso, ovviamente, per tante iniziative particolari, attinenti all’evangelizzazione e alla promozione umana. Ma ci dev’essere anche posto - desidero sottolineare - per una collaborazione aperta e leale tra comunità cristiana e comunità civile.

Come Vescovo di Roma, che in qualità di ospite usufruisce del clima riposante offerto dai vostri bei colli, voglio assicurarvi che continuerò a seguire con particolare benevolenza, con interesse e fiducia quanto da voi sarà intrapreso per raggiungere questa nobile finalità di spirituale e umana coesione. Permettetemi, anzi, di indicarla ancora e di raccomandarvela con le autorevoli parole del primo Papa: “Stringendovi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo . . .” (1 Pt 2, 4-5). Esser pietre vive nell’edificio compatto dell’unica Chiesa di Cristo: ecco il punto di arrivo che io vi propongo; ecco l’augurio che io formulo per ciascuno di voi, sacerdoti, religiosi e laici dell’intera diocesi.

5. Poco fa mi è stato presentato un piccolo vaso contenente un po’ di terra prelevata dai tre cimiteri di guerra - americano, germanico, britannico - che esistono nel vostro territorio. Dentro di esso, proprio su quella terra resa sacra dal sangue di giovani vite stroncate dal furore della guerra, io ho piantato - come avete visto voi stessi - un piccolo ulivo quale segno di riconciliazione e di pace.

C’è forse bisogno di spiegare il simbolismo di questo così semplice gesto? Vi dirò solo che, se ho parlato all’inizio di “ricordi consolanti” accanto all’evocazione dei brutti fantasmi del lontano 1944, è perché anche dal male, con l’aiuto di Dio, può scaturire il bene: dal panorama fosco della guerra si leva un’invocazione accorata della pace tra gli uomini, come dalle zolle, tra loro mescolate, che coprono le ossa di chi fu dianzi nemico spunta il tenero ramoscello e, presto, l’albero dell’ulivo fecondo.

A tutti imparto di cuore la mia particolare benedizione.

 

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