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VIAGGIO APOSTOLICO IN TOGO, COSTA D'AVORIO II, CAMERUN I,
REPUBBLICA CENTRO-AFRICANA, ZAIRE II, KENYA II, MAROCCO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE UFFICIALE
DELL'ISTITUTO CATTOLICO SUPERIORE DELL'AFRICA ORIENTALE

 Nairobi (Kenya) - Domenica, 18  agosto 1985

 

Cari Fratelli Vescovi, cari Fratelli e Sorelle in Cristo.

“Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria” (Ef 1, 17) nella sua amorosa Provvidenza ci permette, tramite questo incontro, di dare espressione visibile alla profonda comunione ecclesiale nella quale i fedeli sono uniti coi successori degli apostoli, nominati dallo Spirito Santo pastori di anime e mandati a continuare l’opera di Cristo, Pastore eterno (Christus Dominus, 1). Sono pieno di un senso di gratitudine a Dio per questo raduno che ho atteso con grande trepidazione, e vi chiedo di unirvi a me nel rendere lodi a Dio che è ricco di misericordia (Ef 2, 4) per la consolazione e il vigore che esso dispensa a tutti noi. Saluto tutti coloro tra voi che sono membri delle Conferenze Episcopali dell’Africa Orientale, e chi tra voi proviene da altri Paesi africani, e da altri continenti. Vi ringrazio della vostra presenza e della vostra calda accoglienza.

Il mio ringraziamento va anche alle autorità civili e ai dignitari che hanno voluto condividere questo felice momento nella vita della Chiesa in Africa Orientale. Esprimo la mia cordiale stima e rispetto ai membri delle svariate Chiese cristiane e comunità ecclesiali, nonché agli altri corpi religiosi. Possiamo noi essere uniti nel nostro sincero desiderio di servire la causa della pace e del progresso tra tutti i popoli senza eccezione né distinzione, causa che ci è cara proprio per via della nostra comune fede in Dio, Padre comune della famiglia umana.

A tutti voi qui presenti ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai membri delle congregazioni e società missionarie, ai seminaristi, a tutti voi dico: “Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo” (Fil 1, 2).

1. Scopo particolare di questo incontro è l’inaugurazione ufficiale dell’Istituto Cattolico Superiore dell’Africa Orientale. Questo magnifico complesso materializza un progetto che ha come proprio fine oggettivo quello di “edificare il corpo di Cristo” (Ef 4, 12), quale esso esiste in Africa Orientale. Questo Istituto rappresenta un progetto al quale i vescovi di questa regione hanno lavorato con dedizione e amore.

Tramite il Presidente dell’AMECEA, Vescovo Mazombwe, la gerarchia ecclesiastica ha espresso il proprio affidamento sull’Istituto cattolico superiore dell’Africa orientale quale simbolo di una sempre più matura presenza della Chiesa in questa regione, e quale risposta concreta all’urgente esigenza di collaboratori qualificati nel compito di evangelizzazione e di catechesi.

Voi nutrite pertanto grandi speranze per questa facoltà di teologia. Vi aspettate che essa rafforzi efficacemente la vita spirituale ed ecclesiale delle vostre Chiese locali. Io condivido appieno queste vostre speranze, e vi incito a perseguire con ardente entusiasmo gli obiettivi dell’Istituto.

2. L’inaugurazione di questo Istituto sta avvenendo nel contesto del 43° Congresso eucaristico internazionale. Questa circostanza eleva immediatamente i nostri pensieri alla sublime realtà che costituisce l’oggetto di tutta l’autentica riflessione teologica nella Chiesa: il mistero di Gesù Cristo, la parola fatta carne per la redenzione della famiglia umana. Nelle parole del Concilio Vaticano II, l’intento della scienza teologica è quello di “aprire progressivamente . . . verso il mistero di Cristo, il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa e opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale” (Optatam totius, 14).

Il compito di proclamare il messaggio evangelico del mistero salvifico di Cristo, sia nel suo contenuto concettuale oggettivo, sia nella sua dimensione esistenziale, attraverso la quale esso si rivela nella storia, appartiene all’intera comunità dei credenti. Tuttavia “il Verbo della vita” (1 Gv 1, 1) è affidato in modo particolare all’autorità dottrinale della Chiesa espressa in modo univoco nel collegio dei vescovi. In quanto successori degli apostoli, i vescovi sono al servizio del “Verbo”, e il loro primo obbligo nei confronti di questo Verbo è quello di assumere con responsabilità il ministero di predicare e insegnare del Vangelo. I vescovi della Chiesa sono, in realtà, come ci ricorda il Concilio, “dottori rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica” (Lumen gentium, 25).

Questo Istituto cattolico superiore è, nel vero senso della parola, uno strumento del peculiare compito d’insegnare (“munus docendi”) affidato ai vescovi di questa regione. Esso esprime il loro desiderio collegiale e la loro decisione di esercitare questo compito di insegnare, in un aperto dialogo con la cultura teologica della Chiesa universale quale si è sviluppata nel corso dei secoli e quale si sta sviluppando nelle attuali circostanze nella storia del popolo di Dio.

3. La proclamazione del Vangelo è indirizzata a tutte le persone e a tutti i popoli. La fede che la Chiesa professa in risposta a questa proclamazione appartiene a tutti i suoi membri, e tutti sono chiamati a capire e a vivere questa fede nel modo più pieno possibile.

Sebbene sia vero che l’attività di insegnamento della Chiesa, per mezzo di svariate forme di evangelizzazione e di catechesi, giunge ad ampi settori del popolo di Dio, la cultura teologica in senso stretto, in particolare ad un livello accademico superiore, è a disposizione solamente di un numero limitato di credenti. Tuttavia la comprensione più approfondita del mistero di Cristo, che è data dalla riflessione teologica, è un dono dello Spirito Santo elargito per il bene comune della comunità ecclesiale tutta intera.

Pertanto i teologi e coloro che attendono agli studi teologici in nome della Chiesa devono rendersi conto che ciò che fanno non costituisce un fine in se stesso, quanto piuttosto un servizio reso alla Sposa di Cristo. Essi sono chiamati ad agire non come un’élite privilegiata, ma con ancor maggiore consapevolezza, quali umili amministratori di un “talento” loro consegnato (cf. Mt 25, 14-30).

Le parole di San Paolo agli Efesini a proposito dei vari carismi ben si applicano qui, e delineano un programma per chi è impegnato nel campo degli studi teologici: “È lui che ha stabilito alcuni come . . . maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio” (Ef 4, 11-13). Conservando una chiara visione della propria “vocazione” specifica all’interno del corpo ecclesiale, e mantenendo un vivo senso di servizio verso il popolo di Dio, e di comunione coi vescovi, questa facoltà può divenire fonte di grande vitalità creativa nelle vostre Chiese locali.

4. A questo proposito sono lieto di notare che, nel fissare gli scopi dell’Istituto, i vescovi hanno dato priorità a due aspetti della loro responsabilità pastorale, nei confronti dei quali chiedono il capace aiuto di coloro che qui insegneranno e studieranno. Il primo di essi è il rafforzamento e la crescita della vita spirituale delle vostre comunità. Il secondo è il consolidamento della famiglia, “la chiesa nel focolare”, e di quelle altre piccole comunità cristiane che quali gruppi naturali “nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa; oppure dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente offrire” (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 58).

Compito dell’Istituto sarà quello di formare la vita spirituale e intellettuale dei collaboratori pastorali - sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne - che serviranno e animeranno queste comunità . . . “che si radunano nella Chiesa per unirsi alla Chiesa e per far crescere la Chiesa” (Ivi).

5. Accanto a queste preoccupazioni pastorali, e quale garanzia di efficacia nel rispondere ad esse, particolare significato per le vostre Chiese ha la funzione specificamente teologica dell’Istituto. Nelle situazioni concrete del disvelarsi del mistero della salvazione nelle vostre diocesi e nei vostri Paesi, è importante per le vostre Chiese locali essere attivamente presenti nella vita culturale della società offrendo una presentazione teologica adeguatamente elaborata del messaggio evangelico e dei problemi umani nei riguardi dei quali gli uomini cercano una spiegazione.

La presenza della Chiesa quale comunità di credenti all’interno delle realtà sociali, economiche e politiche della vita è mediata in una certa misura dalla riflessione teologica. Per essere veramente cristiana, questa riflessione teologica deve essere guidata dal Verbo rivelato di Dio e dagli insegnamenti della Chiesa quali si sono sviluppati a partire dagli inizi attraverso l’esercizio della missione profetica di Cristo, trasmessa in modo particolare al Pontefice romano e ai vescovi in comunione con lui.

L’applicazione del metodo “scientifico” a questa riflessione è compito specifico del teologo. La riflessione teologica rende chiara la struttura d’intelligibilità del messaggio cristiano, ne mette in luce la coerenza intrinseca, chiarisce il rapporto tra l’immutato contenuto degli assiomi di fede e gli svariati e mutevoli contesti entro i quali il messaggio viene proclamato e predicato.

Di fronte alla realtà delle enormi trasformazioni sociali e culturali che hanno luogo in tutto il mondo, ivi comprese quelle nei vostri Paesi qui in Africa, la sfida cui sono confrontati i teologi non è priva di grandi difficoltà e rischi. I pericoli di una riflessione teologica staccata dalla vita nello Spirito, e il male causato da una cultura pseudo-teologica priva di autentico spirito di servizio nei confronti del mistero della redenzione sono in un certo senso evocati dalle solenni parole di San Giovanni: “Ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo . . .” (1 Gv 4, 3).

Lo “spirito della verità” e lo “spirito dell’errore” (cf. 1 Gv 4, 6) lottano per il possesso della mente di chi è alla ricerca della verità.

Se è vero che una legittima e necessaria libertà di ricerca è essenziale per il progresso della scienza teologica, chi è impegnato nell’indagine teologica non deve tuttavia concepire questa libertà come una trasposizione nel campo della teologia dei criteri metodologici di altre scienze. La teologia cristiana ha il proprio specifico punto di partenza nel Verbo di Dio trasmesso nella Tradizione e nelle Scritture, e ha un costante punto di riferimento nel magistero della Chiesa, vero guardiano e interprete della piena dottrina di Cristo.

Il bene della Chiesa in Africa orientale esige che l’Istituto Cattolico Superiore divenga non solo un centro di studio, ma anche un punto focale di preghiera e di vita liturgica, nel quale corpo insegnante e studenti raggiungano la piena maturità quali uomini e donne di fede nonché testimoni del Vangelo. Possa questo Istituto divenire parte non solo della mente della Chiesa in Africa Orientale, ma anche, e soprattutto, parte importante del suo cuore: “Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (1 Gv 4, 7).

6. La costituzione apostolica Sapientia christiana e il Codice di diritto canonico fanno riferimento in modo esplicito al dovere dei vescovi e delle Conferenze episcopali di promuovere la fedeltà delle facoltà ecclesiastiche alla dottrina della Chiesa (cf. Giovanni Paolo II, Sapientia christiana, pref., IV, e Codex Iuris Canonici, can. 810 § 2). La ragione di questa vigilanza da parte dei vescovi altro non è se non l’ineludibile dovere incombente sull’intera comunità ecclesiale di proseguire nella missione affidata alla Chiesa dal Signore stesso: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni . . . insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).

Questo ruolo di controllo da parte dei vescovi è applicabile in modo particolare in quell’ambito importante e delicato cui è stato dato il nome di “inculturazione”.

7. Per tutto il corso della storia della Chiesa, maestri e missionari si sono impegnati in un dialogo apostolico tra il messaggio di salvazione cristiano e le culture entro le quali i vari popoli esprimono la propria peculiarità spirituale ed esperienza umana. Nella mia recente lettera enciclica in commemorazione dell’11° centenario dell’opera di evangelizzazione dei santi Cirillo e Metodio tra i popoli slavi, ho considerato giusto attirare l’attenzione sul magnifico esempio che essi hanno dato a questo riguardo.

Un attivo dialogo tra fede e cultura è necessario a tutti i livelli della proclamazione del messaggio cristiano: nell’evangelizzazione, nella catechesi e nella riflessione teologica. In quanto esigenza scaturente dalla fede stessa, il criterio supremo di questo dialogo - anche nel campo dell’indagine teologica - deve essere il potere del Vangelo di trasformare, elevare e rigenerare la vita umana in ciascuna cultura e in tutte le circostanze.

Il successo delle Chiese locali nell’incarnare il Vangelo di Gesù Cristo nel ricco terreno Delle vostre culture africane dipenderà dalla misura in cui le vostre fatiche di evangelizzazione e catechesi saranno solidamente radicate nel patrimonio teologico della Chiesa universale. Dipenderà anche dalla misura in cui le vostre attività pastorali saranno accompagnate da una seria riflessione sui valori presenti in ciascuna comunità e che possono vantaggiosamente essere portati a far parte della vita della Chiesa. L’Istituto è chiamato ad aiutare le Chiese locali nello sfidante dialogo tra fede e cultura, tra Chiesa e società umana, tra regno di Dio e realtà temporali attraverso le quali la famiglia umana avanza verso il proprio destino ultimo.

L’Istituto ha un suo ruolo da svolgere nel rendere effettivo per l’Africa orientale il dinamismo del Concilio Vaticano II. Non dimentichiamo mai le parole pronunciate da papa Giovanni XXIII nel giorno di apertura di quell’assemblea collegiale: “Questo massimamente riguarda il Concilio ecumenico, che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace” (Giovanni XXIII, Allocutio in sollemni SS. Concilii Vaticani II inaugurazione habita, sessione I, 11 ottobre 1962). Possa l’Istituto essere sempre all’altezza della responsabilità estremamente importante alla quale è stato chiamato!

8. Fratelli vescovi, fratelli e sorelle in Cristo: in occasione dell’inaugurazione dell’Istituto Cattolico Superiore dell’Africa Orientale desidero esprimere la mia calda gratitudine a tutti coloro che hanno dato il loro contributo d’ispirazione, di sforzo e di risorse alla realizzazione di questo importante progetto. Sono troppi per citarli uno per uno; raccomando quindi tutti i benefattori di questo centro all’amorevole cura di Maria, Madre di Dio.

Invoco la luce e la saggezza divine su coloro che qui insegneranno e studieranno. In particolare addito loro l’esempio di discepolato datoci da Maria. Mentre seguiva con umiltà e assiduità il dispiegarsi della vicenda della salvazione, “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19). Prego affinché, come Maria, anch’essi possano rispondere con gioia alle sfide del loro ruolo specifico mentre opereranno per l’avvento del regno di Cristo.

A gloria della santissima Trinità e per il rafforzamento della Chiesa nella fede e nel servizio di tutti i popoli delle nazioni che voi rappresentate - Etiopia, Kenya, Malawi, Sudan, Tanzania, Uganda, Zambia e Isole Seychelles - sono lieto di dichiarare ufficialmente aperto l’Istituto Cattolico Superiore dell’Africa Orientale.



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