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VISITA PASTORALE  IN VENETO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI LAVORATORI, AGLI IMPRENDITORI E AI DIRIGENTI
DEL COMPLESSO INDUSTRIALE VENETO

Porto Marghera (Venezia)
Lunedì, 17 giugno 1985

 

Carissimi.

1. Con viva gioia mi trovo in mezzo a voi, rappresentanti del vasto e importante campo del lavoro, che anche qui a Porto Marghera esprime la grandezza dell’opera dell’uomo e anche tutte le tensioni della odierna società. Esso manifesta altresì le giuste aspirazioni ad un mondo in cui la fatica dell’uomo sia debitamente valorizzata ponendo al centro la persona.

A voi, lavoratori, che ogni giorno sperimentate la fatica fisica; a voi dirigenti e tecnici, che operate perché questa fatica sia alleviata; a voi imprenditori, che sentite il dovere di dedicare risorse e tempo a servizio di un’economia per l’uomo, il mio saluto e la mia stima.

Attraverso voi, è mio desiderio salutare tutto il mondo del lavoro di questa terra veneta, dalla quale molti di voi provengono, lasciando il loro paese per cercare qui una fonte di vita. Agli operai, ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai piccoli imprenditori, ai lavoratori del settore terziario sia produttivo che dei servizi, ai pescatori, la mia solidarietà sincera e calorosa.

Vengo a voi con cuore di fratello per condividere i vostri pensieri e preoccupazioni, per sottolineare le vostre ricerche e iniziative, per incoraggiare tutti, comunità cristiana e uomini di buona volontà, perché ogni sforzo sia fatto, in tutti i campi e a ogni livello, per affrontare e portare a soluzione i processi di rinnovamento e di ristrutturazione insieme al fondamentale problema dell’occupazione per tutti.

Questioni serie sorgono dalla situazione di “crisi”. Esse devono essere lette non solo in chiave economica, politica e tecnica, ma anche e soprattutto in chiave etica. Ogni crisi, infatti, obbliga a rivedere e verificare la mentalità e la vita in vari loro aspetti.

2. Il mondo del lavoro vive oggi un momento di grande disagio: viene a mancare il lavoro, e il numero dei disoccupati e degli inoccupati, specialmente tra i giovani, cresce quotidianamente; le condizioni di vita, pur migliorate nel loro complesso, non soddisfano ancora; la solidarietà, minata dall’egoismo personale o di gruppo, stenta a realizzarsi; la sicurezza di vita, fondata su una concreta e giusta pace sociale, non pare essere ancora accolta; l’economia stenta a piegare le sue leggi a servizio dell’uomo: l’errore dell’economismo, che considera il lavoro umano esclusivamente secondo la sua finalità economica, è ben lungi dall’essere corretto.

So che qui a Porto Marghera vi è stato un calo di circa 13.000 posti di lavoro dagli anni 70 ad oggi; sono notevoli le situazioni di cassa integrazione; molti giovani faticano a trovare un’occupazione, dignità e futuro, personale, familiare e sociale.

Marghera ha tuttavia continuato la tradizione di lavoro e di apertura al mondo di Venezia e ha sviluppato in tutti questi anni un’immensa ricchezza, non solo economica, tecnica e organizzativa, ma anche imprenditoriale, professionale e sindacale. Percorrendo alcune delle sue strade, ho potuto rendermi conto di quanto sia vasto e complesso questo polo industriale.

Qui la concentrazione delle industrie è molto forte, e si possono intuire gli aspetti positivi che ne derivano, ma anche i gravi problemi esistenti in rapporto alle persone che vi lavorano, all’ambiente e al territorio. So che si opera per migliorare i servizi, per difendere l’ambiente, per evitare l’inquinamento, per prevenire gli infortuni, per migliorare i rapporti con il territorio.

Merita perciò ogni incoraggiamento e stima l’impegno posto dai lavoratori e dalle loro organizzazioni sindacali, dai tecnici e dai dirigenti, dagli imprenditori e dai politici, per migliorare l’ambiente di lavoro perché rispetti la dignità delle persone, le quali in esso si esprimono e operano.

3. Questa straordinaria realtà di lavoro e di problemi, attese e di speranze che è Porto Marghera, conosce oggi una situazione che si può spiegare solo in termini congiunturali di “crisi”.

Alle fluttuazioni internazionali dell’economia, della finanza e dei mercati, e alle condizioni derivanti dalla rapida e diffusa applicazione delle nuove tecnologie, si aggiungono certamente problemi nazionali e locali che tocca a voi analizzare attentamente per affrontare con i necessari interventi, a seconda delle specifiche competenze, onorando sempre le responsabilità e gli impegni assunti.

E ciò va compiuto con urgenza e con coraggio, al fine di evitare i molti effetti negativi di questa situazione critica, che finiscono per essere subiti dai più deboli.

Mentre esprimo la mia umana e cristiana solidarietà nei confronti di costoro, che pagano i prezzi più sofferti dell’attuale situazione in termini personali e familiari - agli uomini e donne che hanno perso il loro lavoro, ai giovani che talora disperano di poterlo trovare - vorrei dire a tutti che la realtà di Porto Marghera è un patrimonio di esperienza lavorativa, imprenditoriale e sindacale, di professionalità e di ricerca tecnologica che va conservato, incrementato e messo a frutto a favore dello sviluppo del territorio.

Ma il rilancio, o avrà una sua anima etica o non sarà autentico sviluppo.

Il clima di incertezza e di paura che si crea con la crisi può indurre alla sfiducia, al ripiegamento su se stessi, sulla propria famiglia o gruppo, favorendo atteggiamenti fatalistici, ricerca di difesa individuale attraverso il doppio lavoro o il lavoro nero: situazioni che, se talora possono essere comprensibili, tuttavia, nella generalità, ingenerano facilmente sperequazioni e ingiustizie.

Vien messa in difficoltà la solidarietà nelle coscienze, e nelle sue forme istituzionalizzate.

Si diffonde una mentalità sempre più economicistica e consumistica, che esalta i favoriti e penalizza i più deboli; che condiziona fortemente la natalità, l’educazione dei figli, i rapporti con gli altri, soprattutto con i più svantaggiati e con gli anziani, depotenziando le motivazioni del servizio gratuito e della partecipazione attiva. Ciò che vien meno è il senso religioso e morale della vita. Il recupero, forte e motivato, delle ragioni etiche più profonde del vivere insieme, nella laboriosità, nella solidarietà e nella generosità, portando realmente gli uni i pesi degli altri (Gal 6, 2), darà vigore all’inventiva e al coraggio necessari per guardare avanti con progetti seri e realistici; per ritessere i rapporti dialettici, pur sempre costruttivi, se cercati nella lealtà e nella giustizia, fra imprenditori, dirigenti e lavoratori, tutti interessati allo sviluppo di Porto Marghera.

Penso in questo momento alle migliaia di persone che, a vario titolo e in molteplici modi, vi hanno dedicato e vi dedicano ancora oggi la loro vita.

Sento il dovere di ricordare in particolare chi nel servizio ha subìto infortuni, ha riportato invalidità, ha perso la vita.

Né posso dimenticare le vittime del terrorismo: mi limito ad una sola: l’ingegnere Giuseppe Taliercio, il cui corpo, crivellato di colpi, venne trovato poco distante da qui: la sua lunga prigionia non fiaccò né la sua grande fede cristiana né il suo severo senso di responsabilità umana e civile.

Mi piace inoltre far memoria di tutti coloro che, in mezzo a tante difficoltà, si adoperano per aprire spazi di speranza, cercando nuovi posti di lavoro per coloro che sono in cassa integrazione, cercando di assicurare un futuro sereno a questa zona.

4. Nell’affrontare le sfide del momento attuale, il mondo di oggi, e anche il mondo del lavoro, ha necessità di riconciliazione con il “progetto di Dio”. Dio ha chiamato l’uomo ad essere “signore delle cose create”: l’uomo non può essere un oggetto dominato dalle leggi economiche o politiche, né può essere ridotto a strumento. “L’uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché, come immagine di Dio, è una persona, cioè un essere soggettivo capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona l’uomo è quindi soggetto al lavoro” (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 6). Non vi sarà vero sviluppo se non verrà ribadito che l’uomo è il primo fondamento del valore del lavoro e che lo scopo del lavoro, di qualsiasi lavoro eseguito dall’uomo, rimane sempre l’uomo stesso.

Nell’attuale contingenza storica emerge con sempre maggiore forza l’esigenza di una nuova solidarietà generosa ed effettiva. Solidarietà che aiuti a indovinare nuove vie di sviluppo; solidarietà che venga incontro alle attuali situazioni di difficoltà in cui vive il mondo del lavoro; solidarietà, perciò, anche di fronte ai problemi della disoccupazione.

5. Come ebbe a dire il mio predecessore Paolo VI: “Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un’azione effettiva. È troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzitutto la conversione personale” (Paolo VI, Octogesima adveniens, 48).

Ciascuno è chiamato a un serio impegno, nella propria responsabilità e nel posto che occupa.

A voi, imprenditori, spetta operare perché le leggi economiche siano sempre più a servizio dell’uomo, e al tempo stesso trovare, nell’attuale trasformazione delle aziende e del modo stesso di lavorare, metodi, tecniche e scopi perché l’uomo ritorni ad essere il primo fondamento del lavoro. In quale modo può essere composta la tensione tra capitale e lavoro? Una risposta è stata già da me data nell’enciclica sul lavoro umano (cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 11-15); eppure nuove riflessioni possono essere fatte in questo periodo in cui le nuove tecnologie entrano con sempre maggiore ampiezza nel ciclo produttivo e la scienza offre ogni giorno nuovi spazi di realizzazione alle nozioni acquisite.

A voi, lavoratori, spetta fondare su nuove basi la vostra reciproca solidarietà. La crisi attuale, le nuove condizioni di lavoro, i nuovi problemi riguardanti la programmazione della propria vita, i nuovi spazi di partecipazione, le prospettive di un continuo sviluppo richiedono mentalità e atteggiamenti nuovi. Voi potete essere oggi i protagonisti del nuovo, che si va programmando. Richiedete e operate perché questo nuovo assuma e realizzi i grandi valori della dignità dell’uomo, della santità della famiglia, della partecipazione comunitaria, della giustizia, della pace. Da questo Porto, che nel passato ha visto approdare e partire navi per il mondo intero, il vostro sguardo e la vostra azione si estendano ai lavoratori del mondo intero. E come già operate perché nella vostra Regione e nel Paese non vi siano differenze e discriminazioni di possibilità e di diritti tra i lavoratori, così fate per i lavoratori di tutto il mondo.

A voi, operatori politici, spetta il compito di intuire le strade nuove da percorrere nell’attuale situazione di crisi. Le intuizioni tradotte in leggi sagge e giuste renderanno possibile il passaggio a una civiltà più giusta e più umana.

Il recupero della disponibilità al servizio del bene comune è indispensabile perché ognuno sappia interrogarsi sul ruolo che gli è stato affidato e sappia prendere il giusto posto nella vita della società: con quella eticità nelle scelte, con quella moralità severa e trasparente nei comportamenti pubblici, che sola può garantire la credibilità e la fiducia e favorire una partecipazione più attiva di tutti i cittadini, che culmini in quella forza che è l’amore, capace di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni.

6. In modo particolare mi rivolgo a tutte le comunità cristiane da cui voi, lavoratori di Porto Marghera, provenite: comunità in cui vi dovete sentire di casa, perché aperte, accoglienti; comunità in cui voi stessi dovete essere presenti e partecipi, portando il contributo delle vostre idee ed esperienze, valori e speranze.

Pastori e laici possono rendere insieme il loro servizio al Vangelo e al mondo del lavoro, con spirito ecclesiale e missionario e con stile di vera comunione e condivisione. E con essi tutte le comunità, non estranee, ma sensibili e formate, saranno pronte ad accogliere tra i “segni dei tempi” anche quello che giustamente Papa Giovanni XXIII ha posto come primo: “l’ascesa economica e sociale delle classi lavoratrici” accompagnata dall’“esigenza di essere considerati e trattati non mai come esseri privi di intelligenza e di libertà, in balia dell’altrui arbitrio, ma sempre come soggetti o persone, in tutti i settori della convivenza” (Giovanni XXIII, Pacem in terris: AAS 55 [1963] 267).

Gesù non solo proclamava, ma prima di tutto compiva con l’opera, il Vangelo a lui affidato, la parola dell’eterna sapienza. Perciò, questo era pure il “Vangelo del lavoro”, perché colui che lo proclamava era egli stesso uomo del lavoro.

A lui guardate con fiducia e con speranza: affidatevi al suo amore e alla sua comprensione; ascoltate il suo messaggio di amore e giustizia. Lui sa quello che è dentro l’uomo. Lui realizzerà le vostre aspirazioni.

Gesù non vi tradirà mai, né vi ingannerà. La via che Egli ci ha tracciato è sicura.

A nome suo mi è gradito impartire di cuore a tutti voi, alle vostre famiglie, al mondo del lavoro veneto, la mia Benedizione.



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