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VISITA PASTORALE IN SARDEGNA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI OPERATORI PASTORALI
DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI NUORO

Cattedrale di Santa Maria della Neve
Venerdì, 18 ottobre 1985

 

Venerato fratello nell’Episcopato,
Cari fratelli Sacerdoti, Religiosi, Religiose e Laici.

1. Desidero esprimere innanzitutto la mia profonda gioia e il mio ringraziamento al Signore per quest’incontro con voi, che così degnamente rappresentate l’intera comunità ecclesiale di Nuoro. È significativo il luogo stesso di questo nostro incontro: la cattedrale, che è il cuore della diocesi, il centro spirituale della Chiesa locale, dove la santa eucaristia celebrata dal Vescovo costituisce il punto di riferimento dell’unità e della comunione per tutte le altre assemblee liturgiche, che si svolgono nell’ambito della realtà diocesana.

Questa cattedrale è di costruzione relativamente recente, ma la comunità di fede che in essa si raduna trae le sue origini ben più addietro nel tempo e, sia pure attraverso alterne vicende storiche e mutamenti concernenti la strutturazione diocesana, può esser fatta certamente risalire ai primi secoli dell’era cristiana, come del resto l’intera Chiesa della Sardegna, anche se comprensibilmente l’evangelizzazione, partita dalle zone costiere, tardò un certo tempo a raggiungere i territori dell’interno.

Saluto cordialmente tutti i presenti: il Pastore della diocesi, Monsignor Giovanni Melis Fois, il Clero secolare e regolare, le Suore e le Claustrali, i membri dei Consigli pastorali diocesano e parrocchiali, i rappresentanti degli istituti secolari e dei terzi ordini, le associazioni e i movimenti, tutto il Popolo di Dio della Chiesa che è in Nuoro. Gioia, benedizione e pace a voi dal nostro Signore Gesù Cristo!

Ringrazio vivamente per i cordiali indirizzi che mi sono stati rivolti dal vostro Vescovo e da un laico. Queste calde testimonianze di affetto, rese a nome di tutti i fedeli, dispongono maggiormente il mio animo ad esprimervi con senso di profonda comunione i pensieri che sto per offrirvi.

2. La vitalità e lo spirito d’iniziativa della vostra comunità ecclesiale mi sono testimoniati in modo speciale da due avvenimenti, ai quali va tutto il mio plauso: la messa in opera di un organico piano pastorale diocesano, fondato su tre importantissime consegne: “Evangelizzare - Santificare - Testimoniare”, e le recenti celebrazioni del bicentenario della costituzione della diocesi, i cui Atti si sono voluti opportunamente raccogliere in una poderosa pubblicazione, della quale ho preso visione con interesse.

Il programma pastorale si inscrive in quello più generale della Conferenza Episcopale Italiana, e intende calarne le direttive nella presente situazione concreta della diocesi.

La “testimonianza” è collegata con l’“evangelizzazione”; essa ne è - come ebbe a dire il mio Predecessore Paolo VI - “il primo mezzo” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 41); essa rende credibile la verità del messaggio evangelico che viene annunciato. Ma l’“evangelizzazione”, a sua volta, è ordinata alla santificazione di coloro che vengono evangelizzati. Non basta evangelizzare. Occorre santificare. Occorre essere strumenti e canali della grazia per la salvezza del mondo. E ciò non è compito soltanto del ministero sacerdotale, che trasmette la grazia alle anime mediante l’amministrazione dei sacramenti; ma ogni battezzato, ogni cresimato deve sentirsi, in quanto evangelizzatore e testimone, uno strumento dello Spirito Santo per la salvezza dei fratelli.

Evangelizzare nella comunione e nella pacificazione: questa potrebbe essere la sintesi e la consegna di fondo del vostro programma pastorale. Apprezzo in modo particolare l’importanza che vi si è voluta dare alla catechesi. Essa è un aspetto fondamentale di quella realtà più complessa, che è data dall’evangelizzazione. Subentrando al primo annuncio della fede, la catechesi ha il compito di indirizzare il cristiano verso una fede adulta, e introdurlo quindi o iniziarlo a quella profonda conoscenza del mistero di Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo, che i Padri chiamavano la “mistagogia”.

3. Nel sottolineare l’importanza della catechesi, voi vi ponete in perfetta sintonia con quanto venivo dicendo nella mia Esortazione Apostolica Catechesi Tradendae (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 15), laddove affermavo che la catechesi deve avere la “priorità rispetto ad altre opere e iniziative” della Chiesa, la quale, “in questo XX secolo che volge al termine, è invitata da Dio e dagli avvenimenti - i quali sono altrettanti appelli da parte di Dio - a rinnovare la sua fiducia nell’azione catechetica come in un compito assolutamente primordiale della sua missione”.

Di fronte all’enorme e multiforme quantità di messaggi che vengono proposti agli uomini d’oggi dai grandi mezzi della comunicazione sociale, è più che mai necessario presentare alle anime, in modo ordinato e sistematico, un cammino di fede che consenta loro di approfondire sempre meglio le verità essenziali del messaggio evangelico, e acquisire così quel discernimento soprannaturale che permette di orientarsi con sicurezza sulla via della salvezza.

Io stesso, come ben sapete, nelle udienze generali del mercoledì mi impegno, in conformità al mio ministero apostolico, in questo servizio, che ritengo fondamentale.

4. Mediante l’evangelizzazione e la catechesi, la Chiesa viene convocata nella luce e sotto la guida della Parola di Dio. È quella Chiesa stessa che - come afferma il Concilio - si realizza “come un sacramento . . . dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1).

La Chiesa-sacramento è convocata e radunata, in modo originario e iniziale, dall’appello del predicatore e dell’apostolo, dall’opera evangelizzatrice e dalla catechesi. E in tale opera, una funzione essenziale e insostituibile è svolta non solo dal Sacerdote, ma anche dai Religiosi e dalle Religiose, nonché dai laici, uomini e donne, genitori, educatori e amici.

5. A proposito dell’evangelizzazione, non bisogna mai dimenticare che essa si fonda sostanzialmente su due fattori: un fattore umano - la trasmissione delle verità da credere, e un principio divino - l’azione dello Spirito Santo nelle anime degli evangelizzandi.

Ordinariamente l’una e l’altra componente devono insieme concorrere nell’azione evangelizzatrice, anche se a volte lo Spirito predispone in modi che hanno del meraviglioso il terreno destinato alla semente evangelica. Avviene così che in certi casi l’evangelizzatore si accorge con gioiosa sorpresa di essere stato come prevenuto, nel suo compito di portare la luce al mondo, dallo Spirito Santo.

Questa constatazione, tuttavia, non può dispensarlo dalla fatica connessa con l’annuncio e l’illustrazione di un messaggio che si qualifica per il suo carattere di novità, giacché non si limita a realizzare le esigenze dell’uomo, ma gli dona una condizione di vita, quella di “figlio di Dio”, che supera infinitamente - colmandole - le esigenze della sua natura e del più nobile degli umanesimi.

Il messaggio cristiano dona all’uomo delle verità - i misteri della “vita eterna” - le quali devono sì in qualche modo armonizzare con la sua ragione, ma presentano nel contempo per essa il carattere di una novità assoluta: si tratta di verità che, se non venissero da Dio - ordinariamente per mezzo della missione apostolica - resterebbero totalmente ignote anche alle menti più elevate.

L’evangelizzatore e il catechista devono essere ben consapevoli di questo carattere trascendente del messaggio evangelico rispetto a tutte le culture umane e alla stessa ragione dell’uomo presa nel suo complesso.

Il compito di trasmettere questi contenuti più propri del Vangelo, così paradossali per la sapienza del mondo, è spesso un compito ingrato, ma deve restare sempre l’obiettivo finale di ogni vera e compiuta opera evangelizzatrice.

Tale compito sembra a volte destinato al fallimento, suscitando in chi ascolta incomprensioni o anche reazioni ostili, ma l’apostolo non può deflettere dal suo mandato per accattivarsi comunque le simpatie del mondo. Egli dovrà, in certi casi, continuare ad annunciare la verità, anche se non è ascoltato, sull’esempio di Cristo e dei veri apostoli.

6. Occorre poi impegnarsi a tradurre, per quanto è possibile, il messaggio cristiano in un linguaggio comprensibile e accettabile per chi ci deve ascoltare; occorre calarlo nei valori propri della sua cultura: ciò che oggi chiamiamo “inculturazione”. Ma non è detto che, una volta fatto ciò, il successo sia comunque assicurato. Chi poteva essere più credibile di Nostro Signore Gesù Cristo? Eppure molti non Gli hanno creduto.

Se il successo non ci arride, dovremo allora evitare l’insidiosa tentazione di mutare, decurtare o attenuare i contenuti del messaggio. Dobbiamo presentarli certamente con gradualità, ma mirando sempre ad una loro esposizione completa, e in quella elevatezza divina, che disturba e sconcerta la sapienza terrena, ma riesce invece assai consona al cuore di quei “piccoli” dei quali parla il Vangelo.

Compito difficile, quello dell’evangelizzatore! Esso è a volte crocifiggente, e spesso fa sperimentare l’amarezza dell’ingratitudine umana. Ma all’evangelizzatore deve bastare, quaggiù, servire Cristo e servire le anime.

L’opera evangelizzatrice è inseparabile da questa partecipazione alla Croce del Salvatore. Anzi, in un certo senso, è questa partecipazione che svolge il ruolo più importante. La Beata Gabriella Sagheddu, vostra condiocesana, ha predicato più con l’offerta di se stessa, che con la sublimità della parola, che pure è utile e necessaria. Ed è stata una grande, convincente predicatrice. Anche la Serva di Dio Antonia Mesina ci ha lasciato un grande messaggio, firmato col sangue. Ricordiamo e invochiamo questi grandi annunciatori della Parola di Dio.

Sotto l’auspicio della Beata Vergine della Neve, di cuore vi benedico.



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