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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO ECCLESIALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA SULLE MIGRAZIONI

Castel Gandolfo - Venerdì, 6  settembre 1985

 

Venerati Fratelli,
Signori e Signore.

1. Porgo il mio cordiale saluto a tutti voi, qui convenuti in occasione del simposio ecclesiale, organizzato per celebrare una data a voi particolarmente cara, quando la Santa Sede affidò alla Conferenza Episcopale l’assistenza pastorale degli emigrati italiani.

È un’occasione da non passare sotto silenzio per un motivo di efficienza apostolica: fare il consuntivo del lavoro svolto in questo arco di tempo, scoprire adempimenti e lacune, individuare i problemi centrali oggi sul tappeto, cogliere prospettive per l’immediato futuro, delegare uomini validi ad attuarle.

2. Il vostro è un campo d’impegno pieno d’imprevisti, perché costituisce il settore della mobilità per eccellenza. Il problema delle migrazioni è antico quanto la storia stessa: da quando Abramo lascia Ur, centro di una delle più antiche civiltà conosciute, all’esodo d’Israele verso la Terra Promessa; dalle deportazioni del Popolo di Dio in Assiria e in Babilonia alla fuga della Sacra Famiglia migrante in Egitto, su su, nel corso dei secoli fino ai tempi nostri.

Da questo quadro, così antico e pur così attuale, l’uomo appare in una realtà drammatica e dolorosa, che solo la fede può trasfigurare nella condizione di pellegrinaggio verso la Patria.

Per quanto riguarda specificamente la situazione dell’Italia, è ben nota la figura dell’italiano, emigrante in tutti i continenti. E consta che, nel periodo che va dalla metà del secolo scorso fino ai primi decenni di questo, l’Italia ha avuto il numero più elevato di espatri. Si è calcolato che, nel giro di un secolo, oltre 25 milioni d’italiani hanno lasciato la propria terra. Oggi la situazione sembra capovolta, e, da Paese d’emigrazione, l’Italia è divenuta un Paese d’immigrati.

Negli ultimi tempi il fenomeno della migrazione, temporanea o definitiva, si è straordinariamente accentuato dappertutto con la frequenza e la rapidità dei mezzi di trasporto, assumendo proporzioni non ancora mai viste in precedenza, anche per il fenomeno del turismo di massa, e creando in ogni nazione profondi mutamenti di struttura e di mentalità.

Giovani che girano il mondo in cerca di lavoro; vaste ondate di profughi costretti ad abbandonare la terra d’origine; anziani senza accoglienza; famiglie divise da una legislazione carente o ingiusta; credenti bisognosi di assistenza per la pratica della loro fede.

Sono alcuni aspetti del grande problema, che voi dovete affrontare.

3. Chi crede in Dio è vicino a chi soffre.

Nel regime dell’antico Patto, i profeti hanno accompagnato il popolo nel duro cammino dell’esilio, per mantenere viva la Parola e la promessa divina di assistenza.

Con Gesù, e in nome del suo precetto dell’amore universale, la Chiesa è stata sempre a fianco del migrante. E in questo particolare campo di assistenza spirituale e sociale, grandi figure di italiani e di italiane si sono straordinariamente distinte. Due nomi bastano da soli a evocare un’eccezionale storia di apostolato: il Servo di Dio Monsignor Giovanni Battista Scalabrini e Santa Francesca Cabrini, eroina di due mondi.

La Chiesa si rende conto di quanto avviene in questo settore della vita umana, vuole conoscere i vari aspetti e studiarne le cause, si propone di cercare la corrispondenza intercorrente tra la condizione della mobilità e la vita cristiana.

Così è nata nel 1970 la Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, da cui sono derivate le analoghe Commissioni nazionali. Così è nato il documento del 1978: “Chiesa e mobilità umana”, che condensa in un unico testo i principali aspetti dei fenomeni della mobilità del nostro tempo.

4. L’occasione così significativa di questo incontro mi spinge a manifestarvi il mio vivo e sentito compiacimento per l’impegno di tutti voi, Membri della Commissione, nelle varie attività svolte e iniziative in programma. Sono al corrente del numero e della qualità dei Sacerdoti, diocesani e religiosi, impegnati pastoralmente tra gli emigrati italiani all’estero e tra gli immigrati in Italia.

In mezzo al complesso dei problemi vecchi e nuovi, la mia esortazione oggi vuole toccare soprattutto due aspetti di questa realtà.

Il primo si richiama al comando evangelico di fondo: “Amatevi come io vi ho amato” (Gv 15, 12), e alla direttiva dell’apostolo Paolo: “Portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6, 2). È una linea di principio, fondata sulla misura dell’amore di Cristo, che è senza misura, capace di spingere il cristiano a vedere il migrante come fratello, e stargli vicino con la comprensione, il consiglio, l’aiuto.

Il secondo tocca più specificamente il fenomeno dell’emigrazione nella prospettiva del futuro, nel quadro dell’insegnamento della Gaudium et Spes e della Lettera Apostolica Familiaris consortio. Sono direttive che impegnano a eliminare le discriminazioni, a riformare la vita economica, a provvedere alle famiglie degli emigranti, a responsabilizzare i pastori e i fedeli di fronte alle necessità dell’uomo che si trova fuori patria, in cerca di lavoro e di sistemazione. Ogni Diocesi, ogni parrocchia deve sentirsi chiamata in causa a livello di clero e di laici. I rapporti tra Chiese di origine e di arrivo diventino più stretti e cordiali, in maniera che l’emigrante sia assistito in ogni fase della sua mobilità.

È un lavoro complesso e difficile, ma necessario, per costruire la civiltà nuova fondata sull’amore del Vangelo.

Sono sicuro che voi, Membri della Commissione per le Migrazioni della Conferenza Episcopale Italiana, sarete sempre maggiormente all’altezza del compito.

Insieme col mio compiacimento per il lavoro già svolto in questo primo ventennio e come auspicio per il futuro, vi accompagni la mia Benedizione, che vi imparto di cuore e che volentieri estendo a quanti, nelle Diocesi e nelle Parrocchie, collaborano con voi.



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