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VISITA PASTORALE A GENOVA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I MALATI DEL PICCOLO COTTOLENGO DI DON ORIONE

 Paverano - Domenica, 22 settembre 1985

 

1. La gioia di questo incontro, che ho vivamente desiderato, vuole esprimersi prima di tutto attraverso i saluti. Con piena effusione di cuore vi saluto e idealmente abbraccio tutti ad uno ad uno, carissimi Fratelli e Sorelle, variamente provati dalla malattia e dall’infermità, ospiti dei diciotto distinti reparti che formano il vasto complesso di questa benemerita istituzione, e quanti sono accolti nelle altre quattro sedi di cui si compone il Piccolo Cottolengo di Genova. Nel farmi prossimo a ciascuno di voi, mi inchino commosso dinanzi al vostro dolore e vi invoco dalla bontà del Signore ogni consolazione, in conformità ai bisogni e ai desideri che custodite nell’animo.

Mi è caro parimenti rivolgere il mio cordiale saluto a coloro che si prodigano nella vostra assistenza: medici, infermieri, inservienti, volontari, impiegati, e in modo particolare ai religiosi e alle religiose della “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, che tra queste mura, con apprezzata dedizione, rendono costantemente viva la presenza del loro grande Pastore, il Beato Luigi Orione.

2. Qui, invero, tutto parla di lui, dell’umile e fervido sacerdote che, nel 1933, fondò e aprì personalmente l’Istituto, a conforto dei fratelli più poveri e bisognosi, all’ombra del Santuario di Nostra Signora della Guardia, dopo aver trascorso una notte in preghiera dinanzi alla Cappella dell’Apparizione.

In questo Centro, come negli istituti ad esso collegati, rivive il genio della carità, che in Don Orione si tradusse come peculiare carisma nella fiducia della Divina Provvidenza. Si respira così un clima di intensa spiritualità; quella spiritualità tanto eloquente che nasce dal dolore accettato nella luce del Cristo Crocifisso, e inserita nel misterioso disegno di Dio, il quale, nella sua insondabile grandezza di cuore, tutto conduce a buon fine. Poiché Dio “non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande” (A. Manzoni, I Promessi Sposi, VIII).

“Nulla è più caro al Signore che la fiducia in Lui. E noi vorremmo avere una fede, un coraggio, una confidenza tanto grande, quanto è grande il cuore di Gesù che ne è il fondamento”: così scriveva don Orione da Buenos Aires dando vita al Piccolo Cottolengo nella capitale argentina. E insisteva: “Il Piccolo Cottolengo si regge “in Domino”, sulla fede; vive “in Domino”, della divina Provvidenza e della vostra generosità; si governa “in Domino”, cioè con la carità di Cristo . . . Tutto dipende dalla Divina Provvidenza: chi fa tutto è la Divina Provvidenza e la carità di cuori misericordiosi, mossi dal desiderio di fare il bene, come il Vangelo insegna, a quelli che ne hanno più bisogno”.

Se il Paverano si è sviluppato fino ad essere oggi il più grande Istituto del genere in Liguria, con una popolazione che supera complessivamente il migliaio, dotato di moderne strutture sanitarie, è anche perché Genova ha fatto proprio l’insegnamento e l’esempio di don Orione, e ha efficacemente collaborato con la Provvidenza. Io sono particolarmente lieto di rendere omaggio alla generosità dei genovesi, nella certezza che essa continuerà ad espandersi in una sempre più ampia dilatazione di carità.

Il retaggio spirituale dell’insigne sacerdote, che ho avuto il privilegio di ascrivere nell’Albo dei Beati, costituisce uno stimolo speciale a che l’assistenza sia sempre scrupolosamente praticata come esercizio di quella sublime carità che è medicina delle anime e alleata al sollievo delle membra sofferenti.

3. In una memorabile conferenza tenuta all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano nel dicembre 1937, don Orione ebbe queste appassionate e ferme espressioni: “Nel più misero degli uomini brilla l’immagine di Dio; siamo apostoli di carità . . . Seminiamo a larga mano sui nostri passi opere di carità e di amore; asciughiamo le lacrime di chi piange; sentiamo il grido angoscioso di tanti nostri fratelli che soffrono e anelano a Cristo; andiamo loro incontro da buoni samaritani”.

Sono parole di grande attualità.

Esse anticipano una delle più profonde dimensioni del Concilio Vaticano II, che Paolo VI condensò sagacemente nella formula: “Per conoscere l’uomo bisogna conoscere Dio”. “Se noi ricordiamo - affermò quel mio indimenticabile Predecessore - come nel volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo . . . e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste . . . il nostro umanesimo si fa cristianesimo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo” (Insegnamenti di Paolo VI, III, [1965] 731).

Nella densità di questi concetti si profila con chiarezza il valore umano e cristiano di ogni sofferenza, e, d’altra parte, l’obiettivo finale di chi alle umane sofferenze si accosta con lo spirito del Samaritano.

Qui con voi, sotto il tetto del vostro dolore, amatissimi ammalati, quelle parole di Paolo VI, che formano una parte cospicua dell’eredità del Concilio, avvicinate agli aneliti di Don Orione, assumono nell’anima mia vibrazioni particolari. Vent’anni fa le ascoltai come uno dei padri conciliari. Oggi vado dispiegando l’impegno di approfondirne l’applicazione come Pastore della Chiesa universale.

Perciò, mentre addito a voi, nelle angustie della malattia o dell’infermità, le alte mete della fede, vi domando anche di essermi vicini spiritualmente, offrendo le vostre sofferenze come preghiera vissuta, con la particolare intenzione di ottenere dal Signore che il prossimo sinodo straordinario dei Vescovi favorisca “l’ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce delle nuove esigenze” (“L’Osservatore Romano”, 27 gennaio 1985), come precisai all’atto dell’indizione il 25 gennaio scorso.

In tale fiducia, rinnovandovi i miei affettuosi sentimenti, imparto di cuore la Benedizione Apostolica, propiziatrice di ogni desiderato bene.



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