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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE «LATINITAS
»

Lunedì, 15 dicembre 1986

 

Diletti fratelli e sorelle, studiosi di lingua latina, mi è gradito incontrare voi che in questo nostro tempo, con slancio coltivate e vi sforzate di promuovere la lingua latina. Avete deciso di celebrare quest’anno la festa del latino e il Certamen Vaticanum con maggior solennità per questi due motivi: infatti sono trascorsi dieci anni da quando Paolo VI, mio predecessore di venerata memoria, provvidenzialmente fondò l’“Opus Fundatum”, che ha nome “Latinitas”, il manoscritto del quale inizia con le parole “Romani sermonis”. I fini di esso sono stati così indicati: “Favorire e proteggere tutte le iniziative pubbliche e gli sforzi privati diretti alla promozione dell’uso della lingua latina tra gli uomini che parlano diverse lingue, nel redigere scritti di più alta dottrina, soprattutto pertinenti la cura della Chiesa, nelle università cattoliche e nei seminari diocesani; favorire lo studio della lingua e della letteratura latina classica e medievale” (PAULI VI Romani Sermonis, III, a): AAS 58 [1976] 482).

Non v’è dubbio che durante questi dieci anni avete cercato di realizzare le intenzioni pubblicamente dichiarate dal mio predecessore, di portarle a effetto con sforzi e certo in mezzo a difficoltà non piccole né di poco conto. Alcuni pongono la questione se si possa conservare la lingua latina in questo nostro tempo in cui uomini e cose sono soggetti a mutamenti tanto veloci, tante nuove invenzioni vengono introdotte, che dovrebbero essere chiamate con termini latini nuovi ad esse adatti, e inoltre soprattutto il latino stesso non è più insegnato in molte scuole; ci si chiede poi se esso, quasi tesoro prezioso, ma ormai non più adeguato ai tempi, debba essere tralasciato oppure possa ancora trovare qualche spazio, almeno tra i cultori di lettere. Che ciò possa avvenire è prova il vostro “Opus Fundatum” e il “Certamen Vaticanum”, nonché l’amore e la cura di questa veneranda lingua da parte di esperti e anche di giovani.

Perché ciò si verifichi sono necessari, oltre a nuovi metodi didattici, moltissimi termini con cui si indichino in latino le nuove conquiste dell’oggi. So che voi con grande lavoro vi accingete a preparare il “Lexicon recentis Latinitatis” godendo per tale opera dell’aiuto della Sede apostolica. Inoltre voi in questa festa del latino avete ricordato anche il 16° centenario della conversione di sant’Agostino, e ciò con uno spettacolo in latino, di cui sono stati interpreti studenti dell’università e delle scuole superiori di questa bella città. Le parole di tale spettacolo sono state tratte, con gioia, dalla famosa opera di sant’Agostino Le Confessioni. A voi, diletti giovani, di cuore plaudo. sant’Agostino nella sua giovinezza provò le difficoltà, nelle quali forse anche voi vi dibattete, ma fu instancabile ricercatore della verità ed egli, aiutato dalla grazia di Dio, trovò la via della salvezza e in essa con tenacia perseverò, divenuto così luce della Chiesa e della civiltà occidentale.

Inoltre sant’Agostino fu anche artefice della Latinità cristiana, e tale fatto si può quasi considerare frutto della sua conversione. Essendo egli dottore eloquentissimo di retorica, conosceva in modo superlativo le eleganze della lingua latina; così, quando si rivolge ai letterati, come nella pregevole opera “De doctrina christiana”, il suo eloquio si innalza a stili più raffinati; quando poi si rivolge, in qualità di pastore, al suo popolo, si adegua alla sua possibilità di comprensione, dicendo: “È meglio essere ripresi dai grammatici che non essere capiti dai popoli” (Enarr. in Ps 138: PL 37, 1796).

Sembra dunque che egli vi esorti a usare un latino piano e intelligibile, non troppo ricercato e oscuro. Esorto dunque amorevolmente voi che siete presenti e i vostri colleghi assenti a perseverare nella vostra nobile fatica. Il magistero della Chiesa non smette di esortare i discepoli a dedicarsi allo studio della lingua latina. Sono note le parole del Concilio Vaticano II: “Acquistino una conoscenza del latino che li metta in grado di comprendere tante fonti della dottrina e i documenti della Chiesa” (Optatam Totius, 13). Inoltre il nuovo Codice di diritto canonico così ricorda: “Nell’istituzione sacerdotale si curi che i discepoli non solo conoscano accuratamente la loro lingua materna, ma anche siano pratici della lingua latina” (Codex Iuris Canonici, can. 249).

Infine, mi fa piacere attribuire i premi a coloro che sono risultati vincitori in questo “Certamen Vaticanum” per la poesia o per la prosa.

 

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